1. Nell’ottobre 2012 la rivista ha dedicato un fascicolo a ‘’Migrazioni di persone, condivisione di valori”. A 15 mesi di distanza il fenomeno/problema migrazioni non diminuisce e si rivela sempre più chiaramente epocale, non destinato ad attenuarsi nel breve e neppure nel medio periodo.
Abbiamo quindi chiesto alcuni approfondimenti ai nostri docenti che già allora avevano contribuito al quaderno ed abbiamo individuato alcune nuove voci per continuare a seguire il fenomeno con l’intento di capire maggiormente il suo significato d’insieme.
2. Dal punto di vista antropologico le migrazioni sono un esperimento ‘in vivo’ interessantissimo. Ci fanno capire quanto e come un gruppo (ed un individuo) sia legato al suo territorio e alla sua specifica origine, e quanto e come deve cambiare per ritrovarsi ed affermarsi nel nuovo ambiente umano e fisico.
“Già Marco Polo conosceva molto bene la multietnicità e la multiculturalità, come molti altri viaggiatori prima e dopo di lui. In Europa nel XVII secolo andarono di moda “le cineserie”, mentre nel XIX secolo missionari, esploratori e colonizzatori scoprirono il mondo ‘intero’.
La differenza tra questi nostri antenati europei e noi sembra però essere grande: loro non avevano molti dubbi sulla superiorità della propria cultura su quella di altri popoli - oltre al fatto che noi oggi siamo molto più informati sulle altre culture. A noi invece sembra che le culture altre siano superiori alla nostra oppure almeno equivalenti. Non dal punto di vista della scienza, della tecnologia o dell’economia, ma sempre piùspesso da quello della saggezza di vita. Del senso della vita, delle scelte morali ultime quindi.”
Con questa costatazione iniziavo un mio recente articolo su Bioetica nella multietnicità (Rivista di Teologia Morale, Bologna, 2013, n.180, pp. 299-504). L’interesse primario di tale scritto era diverso da quello presente, ma il fenomeno al quale mi riferivo è fondamentalmente lo stesso.
Noi oggi, all’interno della globalizzazione avanzata, abbiamo in primo piano le sofferenze, gli squilibri, le ingiustizie che generano le migrazioni, e quelle che esse a loro volta generano. Ed è più che giusto che sia così. Non dimentichiamo infatti che proprio la sofferenza è un situazione privilegiata per scoprire quali regole della relazionalità umana siano state eventualmente disattese: è quando vediamo gli effetti perversi di un comportamento individuale o collettivo che scopriamo che una regola morale è stata disattesa. Infatti è più l’esperienza del male che quella del bene che ci aiuta a scoprire (o riscoprire) i valori morali o almeno a renderci conto che abbiamo commesso ‘del male’.
3. Si tenga conto che la nostra attuale fissazione collettiva sul progresso umano come progresso materiale e tecnico fa sì che le culture ‘inferiori’ da questo punto di vista predispongano i loro portatori a cambiare molti modelli e comportamenti legati ad altre tradizioni. Non dimentichiamo che l’uomo è un essere razionale ma soprattutto sociale e comunitario. E’ molto difficile sostenere valori e seguire norme morali che non siano sostenute da una comunità. Quindi, nel caso delle migrazioni l’adeguamento valoriale e comportamentale alla cultura d’accoglienza è una occasione (forse più per lo studioso che per i diretti interessati) per scoprire cosa un gruppo non sia disposto a cambiare delle vecchie tradizioni e cosa sia disposto ad accettare dalle nuove.
E’ per questo che si dovrebbe non solo inserire i nuovi cittadini ‘in qualche modo’ nella nuova società, ma si dovrebbero inserire aiutandoli a sviluppare gli aspetti migliori della civiltà che li accoglie. Anzi sarebbe auspicabile che la comunità di accoglienza accettasse valori tradizionali dei nuovi venuti che magari si erano persi nel corso del proprio ‘progresso’. Potrebbe essere, ad es., il senso di solidarietà, di fratellanza, di religiosità, di solidarietà spicciola tra vicini che aiutano a ridurre gli aspetti esclusivamente economici e materialistici che le comunità ‘progredite’ hanno di fatto assunto. A loro volta i nuovi arrivati potrebbero accettare nuovi valori da loro finora trascurati, come ad es. l’uguaglianza tra uomo e donna o la tolleranza verso altri gruppi etnici.
Resta comunque che ‘il transito culturale’ è sempre difficoltoso. E non solo, evidentemente, dal punto di vista morale. I beni e i mali umani non sono solo quelli morali. Ma quelli morali sono il substrato e ci forniscono i criteri che ci permettono di giudicare tutti gli altri: infatti determinati valori e comportamenti sono detti morali perché sono direttamente legati alle finalità ultime e globali della vita di ognuno di noi. Queste ultime a loro volta sono quelle che danno il senso complessivo alla nostra vita, sia che lo sappiamo sia che lo ignoriamo.
4. All’inizio della sezione Studi abbiamo alcuni articoli che ci aiutano a cogliere con realismo il fenomeno migrazione: le quantità, la qualità ed il senso delle migrazioni attuali sono il contenuto degli articoli di G. Picanza, di L. Troiani e di M. Colucci.
Il contributo di F. Marzano offre il quadro teoretico dal punto di vista economico, mentre gli psicologi T. Di Bonito e A. Urso presentano il problema dell’inserimento dei migranti ed i principi etici al quale detto processo deve fare riferimento.
J. Crosthwaite presenta la situazione dei cosiddetti ‘latinos’ negli USA e propone alcune line di possibile futuro sviluppo di questa comunità sempre più numerosa. J. Ellul, islamista, ci presenta invece i fondamenti coranici dell’ospitalità della comunità islamica che è tra le più rilevanti nell’EU, e che tende a ingrandirsi ulteriormente.
Nella sezione Open Space ospitiamo due contributi di studenti della Facoltà di Scienze Sociali dell’Angelicum di Roma che ci ragguagliano sui rispettivi paesi, Ucraina ed Armenia, in relazioni alle emigrazioni. L’Ucraina è ancor una volta sotto pressione internazionale tra Russia ed UE e l’Armenia è la testimone di una infinita storia di dolori. Gli Armeni, insieme agli Ebrei ed - in un modo analogo - ai Cinesi, sono popoli che da sempre emigrano senza perdere la loro identità d’origine.
La Pagina Classica presenta un breve testo del L. Cavalli Sforza che intende sottolineare il legame tra cultura e genetica nel corso della storia, o meglio della preistoria umana. Il genetista di Stanford è conosciuto soprattutto per la sua teoria dell’unicità del genere umano basata sulla trasmissione di generazione in generazione del DNA mitocondriale presente solo nel patrimonio genetico materno.
5. Una cosa però va alla fine sottolineata. Le migrazioni sono un fenomeno che non si può bloccare, per tanti motivi che non è il caso di elencare, in quanto in gran parte noti a tutti. Primo fra tutti l’estensione della fame nel mondo, la disparità di assistenza sanitaria, la disparità di livello generale di istruzione ed in generale di livello di vita esistente tra popoli ‘sviluppati’ e gli altri miliardi di esseri umani. Senza voler far del triviale populismo, si può tranquillamente affermare che l’esigenza di equità a livello mondiale fa parte dello sviluppo della democrazia e dei diritti umani. Il che significa, in definitiva, che è fondata sull’uguaglianza di dignità di ogni essere umano. Anche i movimenti per la pace tra i popoli non possono prescindere dalla considerazione di queste ineguaglianze: se non si riducono drasticamente e a breve termine non possiamo che attenderci la prossima guerra.
Una volta resisi conto di questa necessità sia morale che storica, i nostri sforzi vanno inevitabilmente concentrati sul come trarre profitto dal fenomeno: a vantaggio sia per i migranti che per chi li ospita. Sempre evidentemente basandoci su diritti umani che non conoscono confini di razze né di continenti. Né di Prodotto Interno Lordo.