Un tempo segnato dai muri!
Mentre era in corso questa ricerca sono continuati i flussi di persone e famiglie in fuga da guerre e povertà e alla ricerca di approdi sicuri nei quali ricostruire le loro vite spezzate. Ma in quegli “approdi sicuri” molti non sono mai arrivati: morti in mare, torturati o uccisi alle frontiere e ricacciati indietro in terre di nessuno dalle quali tentare appena possibile la sorte di un nuovo “game”.
E di nuovo si innalzano o, comunque, si progettano muri. Dal crollo del Muro di Berlino, solo in Europa, le barriere elettrificate ai confini, da 6 che erano nel 1989, oggi sono diventate 63. Come non ricordare poi il muro della vergogna - il muro di Tijuana - che separa, proprio dal 1990, gli Stati Uniti d’America dal Messico e che ha registrato l’impegno di Presidenti appartenenti a tutti gli schieramenti, sia repubblicani sia democratici. O, ancora, la barriera, lunga più di 700 km, di separazione in
Cisgiordania che dal 2002 Israele ha cominciato a costruire quasi interamente sulle terre palestinesi e che ha un impatto molto forte sulla vita delle persone dal momento che ogni giorno migliaia di palestinesi sono costretti a fare lunghe file ai checkpoint controllati dall’esercito israeliano per andare a lavorare in Israele.
Per non parlare, infine, degli accordi internazionali che hanno condannato e condannano migliaia di migranti provenienti dal continente africano alla detenzione e alle torture nei lager libici o, spesso, ad affogare nel Mediterraneo.
E ora quest’altra guerra! Mentre viene redatto questo rapporto (2022), un conflitto che ha già fatto decine di migliaia di vittime innalza nuovi muri di odio e di intolleranza ma, allo stesso tempo viola e spazza via con la violenza quegli stessi confini che i nazionalismi avevano reso invalicabili e che, proprio dopo l’invasione russa dell’Ucraina, sembrano aver fatto riscoprire solidarietà ostentatamente negate.
Questo scenario terribile è però contraddittorio, perché - nel medesimo continente europeo - quegli stessi confini (vedi quello tra Bielorussia e Polonia o quelli della Croazia) sono rimasti invalicabili per altri profughi, provenienti da altre rotte, da altre guerre. Stanno addirittura emergendo casi di persone provenienti da paesi africani in situazioni di conflitto, già ufficialmente accolte dal governo ucraino e inserite a pieno titolo in quel paese dove avevano ritrovato vita e lavoro, che ora, nello sfuggire a questa nuova guerra, rischiano di non poter entrare nei paesi europei che accolgono gli altri profughi e di essere respinte nel paese di origine.
Ancora una volta si dimostra che la “cittadinanza globale” non è un diritto ma, a seconda dei punti di osservazione, un privilegio o una concessione di chi questo privilegio ce l’ha.
La libera circolazione delle persone: lavoratori o cittadini?
D’altro canto - tanto per restare in Europa - è solo dal 1968 che è stato approvato un regolamento (n. 1612/68 e direttiva n. 68/360/CEE), che segna la completa liberalizzazione nella circolazione dei lavoratori e che estende il diritto alla libera circolazione anche ai familiari del lavoratore, pure se cittadini di Stati terzi!
Il trattato di Maastricht (entrato in vigore il 1°novembre 1993) ha introdotto il concetto di cittadinanza dell’UE di cui ogni cittadino di uno Stato membro beneficia automaticamente. È la cittadinanza dell’UE che sancisce il diritto delle persone a circolare e a soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Bisogna però aspettare il 1995, perché, con la convenzione di Schengen, per gli stessi cittadini europei si aprano pienamente le frontiere.
Già con l’accordo di Schengen, firmato il 14 giugno 1985, Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi avevano deciso di eliminare progressivamente i controlli alle frontiere interne e di introdurre la libertà di circolazione per tutti i cittadini dei paesi firmatari, di altri paesi dell’Unione europea (UE) e di alcuni paesi terzi. La convenzione di Schengen completa l’accordo e definisce le condizioni e le garanzie inerenti all’istituzione di uno spazio di libera circolazione. Firmata il 19 giugno 1990 dagli stessi cinque paesi, è entrata in vigore nel 1995. L’accordo e la convenzione, nonché gli accordi e le regole connessi, formano insieme quello che viene definito l’«acquis di Schengen», che è stato integrato nel quadro dell’Unione europea nel 1999 ed è diventato legislazione dell’UE.
Il trattato di Lisbona (entrato in vigore il 1° dicembre 2009) ha confermato tale diritto, altresì incluso nelle disposizioni generali riguardanti lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
La “libera circolazione” dei cittadini di quella che, nei decenni è divenuta l’Unione Europea, è dunque progressivamente divenuta una vera e propria cittadinanza europea. Lo Spazio Schengen, privo di frontiere, garantisce la libera circolazione a oltre 400 milioni di cittadini dell’UE e ai cittadini di altra origine che vivono nell’UE o che la visitano come turisti, studenti o per motivi di lavoro (chiunque sia legalmente presente nell’UE). La libera circolazione delle persone consente a ogni cittadino dell’UE di viaggiare, lavorare e vivere in un Paese dell’Unione senza particolari formalità. Schengen sostiene questa libertà consentendo ai cittadini di spostarsi nello Spazio Schengen senza essere sottoposti a controlli di frontiera.
Accanto a questa indubbia conquista vanno però analizzate quelle “misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l’asilo, l’immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest’ultima” contenute nello stesso art. 3 del Trattato e che riguardano i cittadini dei cosiddetti “Paesi terzi”. Per cittadini dei paesi terzi si intendono i migranti provenienti da paesi esterni all’Unione e che non hanno la cittadinanza di uno Stato membro.
I muri della legislazione italiana
Per questi l’articolo 4, comma 3, della Legge 6 marzo 1998, n.408 stabilisce che:
l’Italia, in armonia con gli obblighi assunti con l’adesione a specifici accordi internazionali, consentirà l’ingresso nel proprio territorio allo straniero che dimostri di essere in possesso di idonea documentazione atta a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonché la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno e, fatta eccezione per i permessi di soggiorno per motivi di lavoro, anche per il ritorno nel Paese di provenienza. I mezzi di sussistenza sono definiti con apposita direttiva emanata dal ministro dell’Interno, sulla base dei criteri indicati nel documento di programmazione di cui all’articolo 3, comma 1. Non potrà essere ammesso in Italia lo straniero che non soddisfi tali requisiti o che sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l’Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone, con i limiti e le deroghe previsti nei suddetti accordi.
I criteri contenuti nella direttiva per l’ingresso e il soggiorno degli stranieri nel territorio nazionale selezionano chi aspira all’ingresso in Italia su una base eminentemente economica, non già rispetto al bisogno ma, al contrario privilegiando chi ha mezzi sufficienti, o comunque una riserva di denaro che consente un eventuale ritorno, o l’accesso ad un alloggio dignitoso. Altrimenti l’ingresso è negato. Se avessero applicato questi stessi criteri alle centinaia di migliaia di italiani sparsi per il mondo, la nostra emigrazione (da quella “storica” in Europa e oltre-oceano a quella più recente) non si sarebbe certo realizzata, poiché si sa che chi emigra non lo fa generalmente per spirito d’avventura ma per bisogno, per cercare un futuro migliore per sé e per la propria famiglia, per sfuggire da guerre e condizioni di povertà e di vita spesso intollerabili.
La legislazione italiana in materia di immigrazione e diritto d’asilo dal 1998 è però andata progressivamente peggiorando, non solo sul piano dell’economicismo applicato agli esseri umani ma proprio ed anche sul piano dei diritti umani fondamentali. Prima con la legge 189/2002, poi con i decreti emanati dall’ex Ministro dell’Interno Salvini. Ad appena quattro anni di distanza, le disposizioni del Testo Unico del 1998, accusate di non offrire valido baluardo all’immigrazione clandestina ed alla criminalità ad essa collegata, vengono modificate ad opera della legge 30 luglio 2002, n. 189, la cosiddetta legge Bossi-Fini, dal nome dei proponenti della coalizione di destra all’epoca al governo del paese. Può entrare in Italia solo chi è già in possesso di un contratto di lavoro che gli consenta il mantenimento economico. Anche il permesso di soggiorno viene concesso solo a chi possiede un contratto di lavoro: dura due anni per i rapporti a tempo indeterminato (prima erano tre), un anno negli altri casi. Se nel frattempo la persona diventa disoccupata dovrà rientrare in patria. La legge aumenta inoltre da cinque a sei gli anni di soggiorno in Italia necessari per ottenere la carta di soggiorno (che permette la permanenza a tempo indeterminato). Per chi chiede il permesso di soggiorno, ma anche per chi ne chiede il rinnovo, la legge introduce l’obbligo di rilevamento e registrazione delle impronte digitali.
L’espulsione eseguita dal Questore mediante accompagnamento coattivo alla frontiera diviene la principale modalità di espulsione.
I Centri di Permanenza Temporanea (CPT) divengono spesso veri e propri luoghi di detenzione preventiva. dove il periodo di permanenza viene prolungato da trenta a sessanta giorni e l’inottemperanza ad un ordine di allontanamento viene configurata quale reato. La stessa legge introduce la possibilità di trattenimento anche del richiedente asilo in appositi centri di identificazione e, addirittura, ove questi sia già destinatario di provvedimento di espulsione o respingimento, in un CPT.
In materia di respingimenti, la legge ammette i respingimenti al paese di origine in acque extraterritoriali, in base ad accordi bilaterali fra l’Italia e altri paesi (ad esempio quello con la Libia di Gheddafi nel gennaio 2009), che impegnano le polizie a cooperare per prevenire l’immigrazione irregolare.
Al fine di non fare attraccare le imbarcazioni sul suolo italiano, l’identificazione degli aventi diritto all’asilo politico o a prestazioni di cure mediche e assistenza avviene direttamente in mare. Questa norma è tra le maggiori cause delle morti nel Mediterraneo. Tra i migranti a bordo delle barche intercettate potrebbero esserci profughi in cerca di protezione internazionale; il respingimento senza prima una verifica attenta - che spesso non avviene - viola l’articolo 18 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea che recepisce a sua volta il principio stabilito dalla Convenzione di Ginevra, secondo cui gli Stati non possono rinviare i rifugiati in paesi dove questi sono perseguitati e rischiano la vita. Eppure, è ben noto che i centri di detenzione libici - oltre che spesso anche i Paesi di origine - sono luoghi dove le persone respinte - rifugiate o migranti che siano - rischiano la vita; per questo, dunque, pur di non tornare indietro, tanti preferiscono sfidare il tutto per tutto e, non avendo nulla da perdere se non la vita, scelgono la clandestinità, confidando anche nella inefficacia delle leggi, e nelle lungaggini della burocrazia.
È soprattutto nell’impedire a migranti e profughi di raggiungere il nostro territorio che si sono concentrati gli sforzi normativi e politici del successivo Ministro dell’Interno Salvini, complici le norme vigenti relative alla convenzione di Dublino che prevedono che le richieste di asilo dei migranti debbano essere prese in carico dal paese d’ingresso in Europa, quindi nella maggior parte dei casi dai paesi di frontiera del Mediterraneo, come l’Italia. È una convenzione ritenuta inefficace, oltre che ingiusta, verso i paesi di approdo in quanto questi si trovano ad affrontare obblighi relativi alla gestione dell’accoglienza (oneri economici per il mantenimento delle persone, per le pratiche legali, ed altro ma anche carichi organizzativi). Nel corso degli anni, la Commissione europea ha provato più volte ad avviare un’equa ripartizione dei richiedenti asilo fra i 27 stati dell’Unione trovando un’opposizione dal fronte dei paesi contrari, guidato da Austria, Polonia e Ungheria. Se i paesi non accolgono le quote loro assegnate, dovrebbero almeno concorrere alle relative spese: ma dal momento che non è prevista alcuna sanzione in caso di inadempienza, non accolgono e… non pagano.
In questo clima, nel 2018, il decreto legge approvato dal Governo Lega-M5S giunge addirittura ad abolire i permessi di soggiorno per motivi umanitari.
Il 21 ottobre 2020, il nuovo Governo ha emanato un Decreto sicurezza (130/2020) poi convertito in legge dal Parlamento che ripristina una serie di norme che tutelano i diritti di chi arriva alle nostre frontiere, migranti, profughi o richiedenti asilo che siano… Mentre amplia i casi di divieto di espulsione, amplia anche le norme per la concessione di permessi di soggiorno che possono essere convertiti in permessi di soggiorno lavorativi. Vengono riconosciute le “gravi situazioni di calamità” e, per la prima volta - di fronte alle conseguenze dei cambiamenti climatici - compare il riconoscimento dei “migranti ambientali”. Si tratta di un passo avanti nella politica migratoria, ma quando arriveremo a pianificare dei corridoi umanitari o, inizieremo ad organizzare gli ingressi nel Paese e la circolazione delle persone superando l’attuale logica di emergenza?
Migranti, profughi, rifugiati, stranieri? Persone! Quando cittadini e cittadine?
Abbiamo voluto, pure sommariamente, riassumere quella che è stata – e lo è ancora - una vera e propria corsa ad ostacoli perché sia riconosciuto alle persone - prima provenienti dai diversi paesi d’Europa, poi dai paesi extraeuropei - il diritto alla libera circolazione. È una corsa che è costata - e continua a costare - sacrifici economici, tempo di vita, sofferenza e, ancora troppo spesso, morte.
Noi italiani, che in 150 anni abbiamo costruito nel mondo un’altra Italia, grande il triplo di quella attuale, lo sappiamo bene, anche se molto spesso facciamo finta di dimenticarcelo.
A fronte della globalizzazione - voluta, agevolata, addirittura imposta - di merci e capitali e della loro circolazione - legale o illegale che sia - vogliamo qui evidenziare che il riconoscimento della cittadinanza globale alle persone – a tutte le persone - e del fatto che tutti e tutte sono, siamo, cittadini e cittadine di un unico pianeta, non solo non è un diritto acquisito, ma che viene negato o, comunque, ostacolato. E su questa negazione c’è chi specula: trafficanti, sfruttatori di donne e minori, caporali e sfruttatori di mano d’opera, mercanti di organi e di armi, che fanno affari d’oro alimentando mafie e organizzazioni criminali che agiscono all’interno di circuiti globali.
La speculazione economica è d’altro canto resa possibile da un’altra speculazione - culturale e politica - che alimenta paure di “invasione”, diffonde stereotipi, difende privilegi e potere attraverso messaggi e comportamenti più o meno esplicitamente discriminatori e razzisti. Sono gli stessi messaggi e stereotipi che non solo negano la cittadinanza globale, ma anche l’accesso alla cittadinanza a persone che - ormai pienamente integrate nel tessuto sociale e lavorativo del nostro Paese - ancora non possono dirsi davvero italiani. Troppe le difficoltà burocratiche, estremamente rigidi i requisiti di accesso, troppo lunghi i tempi di attesa.
I tentativi di riforma, soprattutto i più recenti, a partire dal 2018, non hanno ancora visto la luce e, soprattutto per ciò che riguarda l’inclusione sociale dei minori figli di genitori stranieri, ci troviamo davvero di fronte ad una negazione di diritti non solo non giustificabile ma che rischia di minare la stessa convivenza civile e sociale. La legge 92 del 1992 si limita infatti a riconoscere lo ius sanguinis, ovvero il diritto alla cittadinanza esclusivamente ai figli di almeno un genitore italiano. Ma i bambini nati in Italia da entrambi i genitori stranieri debbono aspettare i 18 anni di età ed avere determinati e stringenti requisiti per richiedere la cittadinanza, imbattendosi in un iter burocratico che spesso blocca le pratiche per interi anni.
Solo di recente la Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati ha approvato un testo unificato che prevede lo Ius Culturae. È una nuova forma di acquisizione della cittadinanza da parte dei minori nati in Italia, o arrivati in Italia prima di avere compiuto 12 anni, che abbiano avuto legalmente residenza, senza interruzioni, in Italia e che abbiano frequentato regolarmente, per almeno cinque anni, nel territorio nazionale, uno o più cicli scolastici presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione, ovvero un percorso di istruzione e formazione professionale triennale o quadriennale idoneo al conseguimento di una qualifica professionale.
Il testo è stato per lungo tempo all’esame del Parlamento ma, già prima della crisi di Governo che ha portato alle elezioni politiche nel settembre 2022, la voce delle opposizioni si è fatta pesantemente sentire, determinando, di fatto, il blocco della discussione e dell’approvazione. Ora quelle stesse forze di opposizione si sono insediate nel nuovo Governo entrato in carica all’inizio dell’autunno e già, in merito alle politiche migratorie e al riconoscimento dei diritti di migranti e rifugiati ha dato prova di nuove e più pesanti chiusure. La speranza è nelle nuove generazioni perché soltanto con loro e da loro potrà crescere, proprio a partire dalle scuole e dalle università, una nuova convivenza civile basata su una cultura dell’uguaglianza e della valorizzazione delle differenze, antidiscriminatoria e antirazzista, capace di spingere per il cambiamento di una legislazione che non tiene conto della realtà e della storia.
La cittadinanza globale tra diritto e consapevolezza
Ancora forte è lo scarto tra le norme che non riconoscono il diritto ad essere riconosciuti cittadini e cittadine del mondo e la consapevolezza diffusa che, al di là delle leggi e dei muri che continuano a seminare odio e divisioni, nascere in un determinato luogo è solo frutto del caso.
Da questo punto di vista, proprio la globalizzazione - e proprio quella economica e finanziaria - ha contribuito ad accelerare questi processi. Sembra un controsenso: coloro che tendono a mantenere ristretti i loro privilegi alzando muri di protezione contro supposte invasioni, sono gli stessi che, nei fatti, hanno creato i presupposti e reso accessibili a tutti gli strumenti che hanno favorito una cultura e una coscienza globali.
È una coscienza che sta crescendo proprio in una fase della storia dell’umanità nella quale è la vita dello stesso pianeta ad essere messa in pericolo dalle guerre e dall’emergenza climatica (alla quale le stesse guerre stanno contribuendo), al di là dei confini in cui si pretende di rinchiudere i singoli popoli…
Lo scarto tra diritti e consapevolezza non è però senza conseguenze perché il carico violento di diseguaglianze e di discriminazioni che questa globalizzazione economica e finanziaria porta con sé rischia di aggravare – spesso in modo drammatico - le lacerazioni nel tessuto sociale e civile e nelle relazioni di comunità.
Sta qui il ruolo che un’educazione diffusa alla cittadinanza globale può e deve giocare.
Serve un’educazione che raggiunga con linguaggi differenti e mirati i diversi interlocutori: dai bambini (che sono quelli dai quali più possiamo imparare) agli educatori; dagli addetti alla pubblica amministrazione per finire (o per cominciare) agli esponenti politici a tutti i livelli.
Serve un’educazione in grado di diventare cultura diffusa di dialogo e conoscenza dell’altro/a; che non miri all’omologazione ma riconosca e valorizzi le differenze mettendole in relazione e considerandole dono nella reciprocità.
Di tutti e tutte noi è il compito di contribuire in ogni modo ad alimentare questa coscienza, attraverso percorsi attivi e concreti di Educazione alla Cittadinanza Globale, perché sempre più, alla coscienza di essere tutti e tutte “nella stessa barca”, corrisponda il riconoscimento dei diritti che da ciò derivano. Primo fra tutti il diritto alla vita e ad una vita degna di questo nome.
È questa la via perché la “globalizzazione della solidarietà” non si tinga di filantropia asimmetrica ma realizzi il “solidus”, cioè l’alleanza tra uguali, perché solo così può essere sanata l’ingiustizia che nega i diritti di qualcuno per accrescere a dismisura i privilegi e il potere di altri.
La ricerca che è stata condotta e di cui presentiamo qui i risultati ha avuto questo tratto che è stato seguito - come vedremo - in modo determinato e per nulla casuale, sia nel merito sia nel metodo.
NOTE
2 https://www.agi.it/estero/news/2021-10-10/principali-muri-barriere-contro-migranti-eretti-europa-14131596/ Dopo il crollo del muro di Berlino, nel 1989, in Europa sono stati creati 1.000 chilometri di muri. Nella piccola enclave di Ceuta e Melilla, in Marocco, come in Ungheria, i muri sono di filo spinato. Il muro costruito nel 2015 da Viktor Orbàn al confine tra Ungheria e Serbia si estende per 175 chilometri e ha un filo spinato alto quattro metri: progettato per “preservare le radici cristiane”, ha ispirato Slovenia, Austria, e Macedonia, che hanno fatto lo stesso ai loro confini. Anche la Bulgaria ha innalzato quasi 176 chilometri di recinzione di filo spinato lungo il confine con la Turchia. Poi si sono mossi più a nord. Prima l’Estonia con i suoi 110 chilometri di barriera hi-tech lungo il confine con la Federazione russa, poi i 90 chilometri di filo spinato in costruzione alle frontiere lettoni e il “Muro europeo” voluto dall’Ucraina, infine la Lituania, con una barriera alta 2 metri che corre lungo 50 dei 130 chilometri di frontiera con l’enclave russa di Kaliningrad. Anche la Grecia ha completato la costruzione di una barriera di 40 km alla frontiera con la Turchia, con un nuovo sistema di sorveglianza: le forze di sicurezza greche sono state messe in allerta per impedire il ripetersi della crisi migratoria del 2015 quando quasi un milione di persone, principalmente dal Medio Oriente, varcarono il confine con la Turchia. Tanto che nel marzo 2020, agenti greci hanno anche sparato ai migranti che attraversavano il confine con la Turchia: un atto scioccante su un confine normalmente pacificato, dove non è consuetudine sparare. E non basta. Perché la Turchia ha quasi terminato la costruzione di un muro lungo il confine con l’Iran: un muro che, come quello lungo il confine siriano e iracheno, è stato costruito principalmente per prevenire l’arrivo di migranti clandestini e la cui costruzione - più moduli, per una struttura lunga 295 chilometri, dotata di sensori a infrarossi - ha avuto un’accelerazione nelle ultime settimane sul versante iraniano, unica parte non completata, dopo il ritorno al potere dei talebani in Afghanistan.
3 La costruzione della prima barriera fisica fra Stati Uniti e Messico risale agli anni ‘90, quando George Bush inaugurò i primi 23 chilometri fra San Diego e Tijuana. Nel 1994, poi, Bill Clinton ampliò il muro aggiungendo la presenza fissa di poliziotti che dovevano controllare gli accessi e impedire quelli non autorizzati. La stessa cosa fu fatta da Bush figlio e Obama. La divisione si chiama ufficialmente “barriera di separazione tra Stati Uniti d’America e Messico”, ma la maggior parte delle persone la conosce come “muro di Tijuana”. Al momento, il muro ha superato i limiti urbani di Tijuana e San Diego, e la sua lunghezza totale è di circa 930 chilometri. La barriera è fatta di lamiera metallica sagomata, alta dai due ai quattro metri, e si snoda per chilometri lungo la frontiera tra Tijuana e San Diego. Il muro è dotato di illuminazione ad altissima intensità, di una rete di sensori elettronici e di strumentazione per la visione notturna, connessi via radio alla polizia di frontiera statunitense (circa ventimila Border Patrol) oltre ad un sistema di vigilanza permanente effettuato con veicoli ed elicotteri armati. Il risultato immediato della costruzione della barriera è stato un numero sempre crescente di persone che hanno cercato di varcare illegalmente il confine attraverso il deserto di Sonora o il monte Baboquivari, in Arizona. Questi clandestini hanno dovuto percorrere circa 80 km di territorio inospitale prima di raggiungere la prima strada nella riserva nativo-americana Tohono O’odham.
4 Regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità. Gazzetta ufficiale n. L 257 del 19/10/1968. Direttiva 68/360/CEE del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati membri delle loro famiglie all’interno della Comunità. Poi abrogata dalla Direttiva 2004/38/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE. Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea L 158 del 30 aprile 2004.
5 eur-lex.europa.eu/IT/legal-content/glossary/schengen-agreement-and-convention.html Oggi ventisei paesi europei - di cui ventidue dei ventisette Stati membri - fanno parte dello spazio Schengen. Anche Bulgaria, Croazia, Cipro e Romania, ai sensi dei rispettivi atti di adesione, fanno parte dello spazio Schengen, ma i controlli alle frontiere interne non sono ancora stati eliminati. L’Irlanda è il solo Stato membro che non rientra nell’area Schengen. Pur partecipando alla cooperazione tra forze di polizia di Schengen e alla cooperazione giudiziaria in materia penale, non fa parte dello spazio senza controlli alle frontiere interne e mantiene i controlli alle frontiere con i paesi Schengen. Altri quattro paesi - Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera - sono anch’essi associati all’acquis di Schengen ai sensi dei rispettivi accordi di associazione Schengen con l’UE e pertanto rientrano nello spazio Schengen. I paesi candidati all’adesione dell’UE devono accettare integralmente l’acquis di Schengen al momento della loro adesione. Tuttavia, i controlli alle frontiere interne sono revocati (con decisione unanime del Consiglio) solo dopo una valutazione che: a) venga condotta in conformità con il meccanismo di valutazione Schengen applicabile; b) concluda che sussistono tutte le condizioni per la corretta applicazione delle misure dell’acquis di Schengen che consentono l’eliminazione dei controlli alle frontiere interne.
6 Il trattato, nell’art.3, comma 2. Recita: “L'Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l'asilo, l'immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest'ultima”.
7 Fanno parte di questo gruppo sia i nati in un paese non dell’Unione, sia i nati nell’Unione che non hanno la cittadinanza di uno Stato membro.
8 https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1998;40 “Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 59 del 12 marzo 1998 e poi inserita nel Testo Unico delle disposizioni circa la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, (Decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286).
9 La direttiva in questione, emanata il 1° marzo 2000 e intitolata “Definizione dei mezzi di sostegno per l'ingresso e il soggiorno degli stranieri nel territorio nazionale”, stabilisce che: a) la disponibilità di mezzi di sostentamento può essere dimostrata mediante la produzione di valuta o di cambiali equivalenti o di fideiussioni bancarie o di polizze assicurative a garanzia del pagamento, mediante documenti che attestino servizi prepagati o documenti che dimostrino la disponibilità di fonti di reddito nel territorio nazionale; b) gli importi monetari previsti dalla direttiva devono essere rivisti annualmente, previa applicazione dei parametri relativi alla variazione media annua elaborati dall'ISTAT e calcolati sulla base dell'indice generale dei prezzi al consumo per i prodotti alimentari, le bevande, i trasporti e i servizi di alloggio; c) lo straniero deve indicare di avere un alloggio idoneo nel territorio italiano e di possedere la somma necessaria per il rimpatrio; può inoltre presentare un biglietto di ritorno; d) i mezzi di sostentamento minimi necessari per persona per il rilascio del visto sono definiti in base ad una Tabella specifica.
11 D.L. 04/10/2018 n° 113, G.U. 03/12/2018
12 Legge n. 173 del 18 dicembre 2020 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 314 del 19 dicembre 2020.
13 “La Comunità di italo-discendenti nel mondo viene stimata in circa centottanta milioni di persone, cui si aggiungono gli oltre sei milioni di cittadini italiani residenti all'estero”. Intervento del Presidente della Repubblica Mattarella in occasione della presentazione del XXX Rapporto sulle migrazioni della Fondazione Migrantes – “Verso un noi sempre più grande” novembre 2021.
14 «Paradossalmente, ci sono paure ancestrali che non sono state superate dal progresso tecnologico; anzi, hanno saputo nascondersi e potenziarsi dietro nuove tecnologie. Anche oggi, dietro le mura dell’antica città c’è l’abisso, il territorio dell’ignoto, il deserto. Ciò che proviene di là non è affidabile, perché non è conosciuto, non è familiare, non appartiene al villaggio. È il territorio di ciò che è “barbaro”, da cui bisogna difendersi ad ogni costo. Di conseguenza si creano nuove barriere di autodifesa, così che non esiste più il mondo ed esiste unicamente il “mio” mondo, fino al punto che molti non vengono più considerati esseri umani con una dignità inalienabile e diventano semplicemente “quelli”. Riappare «la tentazione di fare una cultura dei muri, di alzare i muri, muri nel cuore, muri nella terra per impedire questo incontro con altre culture, con altra gente. E chi alza un muro, chi costruisce un muro finirà schiavo dentro ai muri che ha costruito, senza orizzonti. Perché gli manca questa alterità». (Papa Francesco, Fratelli tutti, 27)
15 «Il mondo esiste per tutti, perché tutti noi esseri umani nasciamo su questa terra con la stessa dignità. Le differenze di colore, religione, capacità, luogo di origine, luogo di residenza e tante altre non si possono anteporre o utilizzare per giustificare i privilegi di alcuni a scapito dei diritti di tutti. Di conseguenza, come comunità siamo tenuti a garantire che ogni persona viva con dignità e abbia opportunità adeguate al suo sviluppo integrale». (Papa Francesco, Fratelli tutti, 118)
16 «D’altra parte ci sono educatori capaci di reimpostare gli itinerari pedagogici di un’etica ecologica, in modo che aiutino effettivamente a crescere nella solidarietà, nella responsabilità e nella cura basata sulla compassione». (Papa Francesco, Laudato si’, 210).