Presentiamo qui un agile volumetto (125p.) di Matteo Prodi (1966),
parroco a Bologna e studioso di etica economica.
Nel 2010 le Edizioni Dehoniane di Bologna avevano già pubblicato:
“Felicità e strategie d’impresa. Persona, relazionalità ed etica d’impresa”
di pp. 415, che OIKONOMIA presentò nel quaderno di giugno 2010.
Con la stessa modalità presentiamo qui anche la recente pubblicazione:
l’indice ed alcune pagine iniziali.
Indice
Introduzione;
Capitolo primo: La felicità e le ricchezze
Capitolo secondo: L'impresa in questione. Narrazione l: Il caso Verlicchi
Capitolo terzo: La Scrittura e l'impresa. Narrazione 2: La fine del modello economicodegli Atti degli Apostoli
Capitolo quarto: Il magistero della Chiesa. Narrazione 3: Il caso PiQuadro
Capitolo quinto: II centro del problema
Capitolo sesto: Due modelli in conflitto. Narrazione: Granarolo e gli stakeholder
Capitolo settimo: Il mondo dei lavoratori. Narrazione: Adriano Olivetti.
Narrazione: Il gruppo Indesit e il problema degli esuberi
Capitolo ottavo: Il ruolo degli imprenditori: Narrazione: Aristide Merloni
Capitolo nono: La Responsabilità sociale d'impresa
1. La classificazione delle RSI
2. Le scelte legate alla RSI
3. La misurabilità della RSI
4. La parola all'Europa
5. I codici etici
Narrazione: Il codice etico di COESIA
6. Problemi correlati: politica, finanza, globalizzazione, indignati e scarse risorse
Capitolo decimo: Il personalismo aziendale
1. L'esistenza incorporata
2. La comunicazione
3. La conversione intima
4. L'affrontare
5. Libertà sotto condizione
6. La dignità suprema
7. L'impegno
8. Una prima conclusione
Capitolo undicesimo: Un imperativo sempre più urgente: condividere! Narrazione: Muhammad Yunus e il microcredito
Conclusione
Ringraziamenti
Bibliografia
Introduzione
Il desiderio del presente lavoro è tracciare percorsi di felicità possibili dentro e attraverso la vita delle imprese. Possono queste organizzazioni essere costruttrici di bene per le persone, per le comunità? Possono stare insieme affari ed etica?
Ci siamo già occupati di questo tema in un volume molto più ampio (PRODI M., Felicità e strategia d'impresa, Dehoniana Libri, 2010) e volentieri abbiamo accolto l'invito a proporre uno strumento più agile e sintetico per continuare a riflettere su questi argomenti.
Accanto agli aspetti più teorici, ci siamo preoccupati di proporre situazioni concrete (chiamate narrazioni) che aiutino a capire meglio la dottrina e testimonino che è possibile portare i cambiamenti che il mondo aspetta, di cui tutti abbiamo bisogno.
Abbiamo bisogno di scelte e di stili di vita per rendere le imprese luoghi e strumenti di felicità.
Capitolo primo
La felicità e le ricchezze
Spendiamo poche parole per introdurre la parola felicità, in particolare nel suo rapportarsi ai beni.
Secondo la filosofia classica, la felicità non consiste principalmente nel possesso della ricchezza, nella salute, nella buona reputazione, bensì nell' esercizio pieno e costante della virtù. Su questo tema la saggezza popolare è piena di luoghi comuni. È sufficiente riprendere due coordinate essenziali riguardanti la felicità: essa è espansione del sé anche coinvolgendo gli altri. I beni costituiscono, in qualche modo, un'espansione della persona; rischiano, però, di chiuderla nei confronti del resto del mondo. La ricchezza ha, purtroppo, la caratteristica di tendere ad avere un unico proprietario; ognuno finisce per considerare l'altro come avversario e non come possibile collaboratore della propria felicità. E, data la definizione di partenza di felicità, impedisce anche il suo proprio essere felice. Inoltre, visto che la felicità nel postmodemo deriva dalla dilatazione del desiderio e, visto che i desideri maggiormente inculcati nell'individuo sono nel produrre e nel consumare, tutto viene ricondotto al possesso di beni e di cose: la felicità, come viene presentata e vissuta oggi, spinge verso l'homo oeconomicus, l'uomo che ha, non l'uomo che è. Si può dire ancora qualcosa: esiste il cosiddetto "paradosso della felicità" che, come dice Luigino Bruni (La ferita dell'altro, Il margine), raggruppa una pluralità di dati (ancora sostanzialmente controversi) che però, al di là delle diverse teorie e interpretazioni che si sono succedute nel tempo e che si susseguono ancora, concordano sostanzialmente su un punto: una volta che il reddito pro capite ha superato una certa soglia (quella che consente di vivere in modo decente), esso non è più un fattore importante nella felicità soggettiva delle persone, o, in ogni caso, lo è molto meno di altri fattori, tra cui la vita relazionale e familiare, o la salute. Oggi la maggior parte delle spiegazioni di questa mancata correlazione ruotano attorno alla metafora del treadmill: l'aumento del reddito porta con sé l'aumento di qualcos'altro, esattamente come in un tappeto scorrevole (treadmill appunto), dove corriamo, ma in realtà stiamo fermi, perché il tappeto sotto i nostri piedi corre in direzione opposta.
Cittadella Editrice, Assisi 2013
Collana “L’etica e i giorni"