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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

 

Un fenomeno simile lo troviamo presso il buddismo che, nato in India, nei secoli successivi si è trasferitopdf progressivamente sempre più verso oriente. L’estinzione in India avvenne verso il XIV secolo, dopo quasi 2000 anni dalla fondazione ed oggi i buddisti - secondo il censimento del 2001 - non arrivano al 1% della popolazione nel loro paese d’origine.

Oppure, più in piccolo, pensiamo al Kossovo con la chiesa ortodossa serba, che si sente espulsa dai suoi territori d’origineю Mi riferisco appunto al macrofenomeno della sparizione progressiva del cristianesimo dai paesi dove aveva avuto la sua origine e la prima folgorante espansione: il cosiddetto Medio Oriente (MO).

Un caso a parte di ‘migrazione religiosa’ resta evidentemente quello degli ebrei: più volte cacciati dalla Palestina, sparpagliati in tutto il mondo e ritornati parzialmente alla terra d’origine. Chi ha letto il romanzo di Franz Werfel “I quaranta giorni del Mussa Dagh” sull’assedio turco ad un gruppo di alcune migliaia di armeni nel 1915, può vedervi un simbolo di questa cacciata. Solo un simbolo, però: la realtà storica è invece multiforme e più complessa.

Tra i contributi che questo quaderno di OIKONOMIA propone quello di Claudio Monge ci illumina sul processo di “spostamento” del cristianesimo durante l’espansione dell’Islam e il prevalere dell’impero turco. Secondo il censimento nell’Impero Turco del 1914 la popolazione cristiana erano il 24% di quello che attualmente sono Turchia, Palestina/Israele, Egitto, Giordania, Libano, Siria. Oggi si potrebbe stimare la presenza cristiana negli stessi territori presi collettivamente a meno del 5%. In Palestina/Israele poi si può stimare all’ 1 %.
Per questo la proposta di J.-J. Pérennès credo che tenga conto di questa situazione essere reale: quella di essere estrema minoranza dei cristiani in MO. Secondo lo studioso francese, che vive al Cairo e che ha vissuto a lungo in Algeria, i cristiani presenti in questi paesi a maggioranza islamica non dovrebbero chiudersi a difesa dei propri interessi confessionali, bensì lottare con le minoranze politiche dei ogni paese che vogliono arrivare alla costituzione di regimi democratici. In tal modo non avrebbero solo ‘nemici’ ma anche ‘alleati’ nella loro lotta per la sopravvivenza.

Certo che pensare allo spopolamento cristiano dalla Palestina, dall’Iraq e dalla Siria fa male al cuore di coloro che amano la lunga storia della loro religione cristiana, ma è necessario anche rendersi conto che le uniche ‘crociate’ oggi pensabili a livello teoretico ed ancor più a livello politico sono quelle fondate sui diritti civili e per i diritti umani in genere.

Siamo in un’epoca di progressiva globalizzazione ed espansione della multiculturalità: il legame con il suolo non può più essere uno deli scopi che una religione si può proporre. Anche il dialogo interreligioso ci spinge in questo senso: non recriminazioni o tentativi di recupero ma solo la proposizione di finalità condivisibile da più ‘partiti’ e per il futuro comune. In questo senso il perseguimento dei diritti civili ed umani mi sembra una prospettiva politicamente realistica e anche teoreticamente difendibile.

L’esortazione post-sinodale del 2012 Ecclesia in Medio Oriente, che rappresenta l’orientamento della chiesa cattolica in MO, parla diffusamente di questo dialogo ai nn. 19 e ss.

“It is a dialogue which is not primarily dictated by pragmatic political or social considerations, but by underlying theological concerns which have to do with faith. They are grounded in the sacred Scriptures and are clearly defined in the Dogmatic Constitution on the Church Lumen Gentium and in the Declaration on the Church’s Relation to Non-Christian Religions. Jews, Christians and Muslims alike believe in one God, the Creator of all men and women”. Infatti questa è il fondamento teologico (cioè teoretico) della politica di un gruppo religioso che vuole mantenere la propria identità religiosa e la propria specificità.

Un problema però da non sottovalutare sono tutte quelle persone, o popolazioni, che si trovano ‘in mezzo al guado’. Cioè quella dei cristiani che sono attualmente sotto pressione politica e/o violenta nel proprio paese d’origine, al quale sono naturalmente molto legati. O di coloro che lo hanno dovuto abbandonare ma non si sentono di tagliare le proprie ‘radici culturali e storiche’. Entrambi questi gruppi si sentiranno probabilmente traditi dai correligionari che cercassero delle mediazioni, dei compromessi nel senso della proposta Perénnès.

Certo conosciamo comunità cristiane che mantengono una forte coesione anche dopo la migrazione dei territori d’origine, ad es. gli Armeni, ma non è sbagliato chiedersi quanto questa coesione potrà durare presso le future generazioni che nascono e crescono in contesti di paesi secolarizzati. La religione, in quanto attitudine interiore, non mi pare sufficiente come collante per una popolazione che non può abbinarvi altri legami: la lingua, la cultura famigliare, la storia, la residenza territoriale, l’economia… Forse la religione proprio per questo sta – sociologicamente parlando – cambiando natura: i supporti sociali odierni nei paesi sviluppati non sono più quelli del passato.

D’altra parte, la religione non può diventare l’olio che alimenta il ricordo nostalgico della terra dei padri o dei loro tempi. Rischierebbe di diventare qualche cosa di simile alla chiesa di Inghilterra ridotta nel paese d’origine a delle apparizioni pubbliche che sono mero ritualismo d’antan, decorativo, in qualche modo legame di riferimento identitario, ma non certo per le cose serie della vita individuale e collettiva di oggi.

La Pagina Classica questa volta propone non un testo antico, ma un testo che contiene la ‘classica’ risposta degli uomini buoni (dei ‘santi’ dicono i cattolici, ma anche il Mahtma Gandhi condivideva questa visione): quella di essere disposti a sacrificarsi per la pacificazione tra gli uomini. Questa risposta può sembrare inefficace in sé, ma non dimentichiamo che sono proprio le cose inutili di questo tipo che rendono la vita meritevole di essere vissuta in quanto danno senso a tutte le altre. Spingono gli altri uomini a riflettere, ad interrogarsi, ad agire nel senso indicato da tali valori ‘inutili’.

Sul lungo periodo si può essere osservatori imparziali e (abbastanza) distaccati di un fenomeno epocale come questa ‘migrazione religiosa’, ma sul breve termine incombe ai cristiani non direttamente coinvolti - ed ai sostenitori dei diritti umani - il dovere di aiutare chi soffre direttamente di queste espulsioni. Nel passato recente (XIX e prima metà del XX secolo) gli stati europei come la Francia, la Russia, la Germania dell’Impero, l’Inghilterra e anche l’Italia in qualche modo, ‘proteggevano’ cristiani in MO, anche se magari sul proprio territorio metropolitano non erano teneri con le organizzazioni cristiane. Oggi però questo periodo sembra terminato e quindi il ruolo di ‘protettori’ può essere assunto solo da gruppi che possono fare lobby all’interno dell’opinione pubblica, cioè dei mass media. Dove lo strumento universalmente accettato è quello dei diritti civili e dei diritti umani. pdf

A livello ‘micro’ la Facoltà di Scienze Sociali dell’Angelicum di Roma ha lanciato anche un progetto di aiuto culturale denominato Al Liqa (www.scienze-politiche.org) indirizzato agli studenti cristiani del MO. 

 

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Albino Barrera OP  -  Stefano Menghinello  -  Sabina Alkire

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