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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

La lezione è stato tenuta da Roberto La lezione è stato tenuta da

RobertoMoncalvo, Presidente di Coldiretti,

inoccasione dell’inaugurazione del XVIIIMaster di Management delle Organizzazionidel Terzo settore

e delle Impresesociali il 14 ottobre 2015, presso laFacoltà di Scienze Sociali dell’Angelicum.

 

 

Alcuni dei molti parametri che regolano la nostra società sono così presenti, così frequentemente canalizzati, ripresi e rilanciati dai media, da costituire il tessuto di un immaginario collettivo che si traduce in ‘visione’. Una visione che appare legata alla “potenza”; alla velocità; “all’efficienza” in tutti i campi; “all’individuo” divenuto centrale, nei consumi, nella vita professionale o nella politica. È questo tipo di “visione” a diventare escludente ed è a questo tipo di visione che l’agricoltura sociale può offrire rimedio: accetta l’inefficienza, si accontenta della “lentezza”, non chiede “potenza”, ricompone l’individuo (e il peso dell’individualità) in una dimensione “collettiva”; non obbliga a cogliere ‘tutte le opportunità. In breve consente un’altra “visione”, per alcuni versi ‘rovesciata’.

1. Cibo bene comunepdf
Nello sguardo che anche Expo 2015 ci ha aiutato a rivolgere al futuro, riemergono diversi punti di vista sullo sviluppo dell’economia e della società a livello globale: da chi è fermamente convinto che anche nei paesi maturi ci si avvii verso un progressivo ampliamento delle disuguaglianze sociali ed economiche (e quindi occorre necessariamente cambiare la “rotta”); a chi sostiene che sia forse sufficiente resettare il sistema aderendo con più rigore alle politiche vigenti.
Nello spazio ampio tra le diverse posizioni trova però via via emersione anche un “punto fermo”, allo stesso tempo conseguenza e primo tentativo di risposta sia alla disgregazione sia alla “liquidità sociale” a cui assistiamo, in un contesto di crescente razionalizzazione della spesa pubblica.
Esso va costruendosi attorno alla consapevolezza che l’Italia, l’Europa, il mondo intero hanno bisogno di un nuovo paradigma di sostenibilità incentrato sui beni comuni e orientato a nuove forme di condivisione e sussidiarietà, attraverso inedite forme di welfare e un “rinnovato” rapporto tra città e campagna.
La globalizzazione dell’economia ha favorito – anche per la filiera agroalimentare – logiche di affermazione e concentrazione della produzione di ricchezza in pochi attori e grandi players di mercato, a vantaggio degli investimenti finanziari e a discapito dello sviluppo dei territori e delle comunità.
Vale la pena ricordare che nonostante dal 2000 al 2015 ci siano stati importanti progressi per il 40% più povero dei paesi in via di sviluppo (1 miliardo di persone sono uscite dall’estrema povertà1), permane il rischio di un ritorno alla povertà (in particolare nei Paesi dove il reddito del 40% più povero di questi sta declinando).
La sperequata distribuzione ha vanificato la crescita e gli attesi miglioramenti del reddito globale: la ricchezza delle 80 persone più ricche al mondo è raddoppiata in termini nominali tra il 2009 e il 2014, mentre la ricchezza del 50% più povero nel 2014 è inferiore a quella posseduta nel 2009 (dati Oxfam).
Le stesse contraddizioni e limiti del modello di sviluppo intensivo e globalizzato hanno declassato il cibo a merce di scambio anonima e indifferenziata, minando la sicurezza e sovranità alimentare e alimentando un paradosso inaccettabile: il persistere di spreco alimentare e dell’obesità nei Paesi più ricchi a fronte di fame e malnutrizione in quelli più poveri2.
Un paradosso che ha stretti legami con la ingiustificata sopravalutazione dell’uso delle nuove tecnologie nella lotta alla fame e con la crescente riconversione delle terre in biocarburanti3; una contraddizione che ha inevitabili ripercussioni sulla diffusione del land e del water grabbing4 e sulla difesa – in particolare nei paesi più poveri – del ruolo dell’agricoltura familiare, per l’accesso al cibo delle popolazioni locali.
Il valore del cibo come bene comune è l’unico che possa garantire uno sviluppo sostenibile della produzione alimentare e coniugare i principi di sovranità e sicurezza alimentare con quelli di equità e accessibilità per tutti.

2. Verso un nuovo modello di sviluppo dell’agricoltura italiana
Si tratta del fondamento valoriale - la centralità del cibo come bene comune – con cui da sempre Coldiretti si oppone alle spinte verso una modernità priva di valori e “omologante” e su cui ha poggiato il suo Progetto economico della “Filiera Agricola tutta Italiana”.
Essa rappresenta il primo grande tentativo di rendere i produttori agricoli italiani protagonisti nella filiera e raggruppare i produttori di beni agroalimentari 100% made in Italy, offrendo la distintività italiana sui mercati nazionale e esteri, e garanzia di sicurezza, origine, genuinità, qualità per i consumatori italiani.
Per la “partenza” del Progetto la Coldiretti ha sfruttato un’occasione di successo: la filiera corta, che riconquista un rapporto immediato e la fiducia del consumatore; offre qualità e valorizzazione ai territori; veicola stili di vita sani e modelli di consumo consapevoli e responsabili; realizza minori sprechi, garantendo la freschezza e la durata dei prodotti offerti; rappresenta un trampolino di lancio per esportare i prodotti del vero made in Italy agroalimentare nel mondo.
I mercati della rete di vendita diretta Campagna Amica (la più estesa in Europa con 10.000 realtà fra mercati, fattorie e botteghe) sono così diventati espressione - nei grandi centri urbani come nei piccoli borghi - della nuova economia capace di restituire protagonismo alle imprese agricole e di generare occupazione, ma anche di migliorare la qualità della vita e delle relazioni sociali.
Il riferimento del Progetto Coldiretti al territorio come fonte inesauribile di ricchezze (storia, cultura, paesaggio, biodiversità) e nella pluralità delle sue espressioni geografiche, esprime il nuovo paradigma di sostenibilità in senso ampio - nelle sue dimensioni economica, sociale, ambientale – e traccia una via di sviluppo distintiva e virtuosa del sistema agroalimentare nazionale e del Paese, che arricchisce anziché impoverire le risorse di cui si alimenta.
Un modello di sviluppo in cui soprattutto i giovani agricoltori stanno intravedendo prospettive di futuro, intraprendendo con passione e lungimiranza le loro iniziative imprenditoriali di innovazione, diversificazione produttiva e green economy.
Con il suo Progetto e a fronte - come sembra evidente - di un complessivo arretrare delle ragioni e degli interessi generali, Coldiretti ha cercato di mantenere saldo il legame con il patrimonio etico e valoriale del sistema agricolo nazionale e l’ ”ossatura” contadina del nostro Paese, rafforzando le premesse per un modello di sviluppo agroalimentare in cui crescita sostenibile, legalità, vicinanza alla comunità fossero compatibili con la ricerca di un più adeguato reddito e centralità delle imprese agricole.
Le evidenze empiriche nella società ci permettono così oggi di raccontare un duplice movimento “mosso” dall’agricoltura: da una parte la riconoscibilità e il protagonismo verso i consumatori da parte delle aziende agricole (come abbiamo visto in modo emblematico nella “filiera corta”), dall’altra una corrispondente crescente consapevolezza da parte dei consumatori nello scegliere un prodotto o un servizio sulla base di criteri che contemplino il legame con il territorio e i valori di responsabilità, e “prossimità”.
Questa riscoperta dei valori di comunità e radicamento territoriale veicolata dal cibo e dal rapporto dell’impresa agricola con il cittadino consumatore esprime un fabbisogno di apertura e non più di rinserramento “localistico”: un’apertura alle sfide globali senza paure, alla necessità e opportunità riconosciuta di un diverso modello di crescita economica in grado di preservare i territori e i valori – come appunto l’identità e tipicità del cibo - da cui dipende la qualità della vita della società.

3. Agricoltura sociale: punta avanzata della “modernità” agricola
La “tensione” verso la sostenibilità delle imprese agricole trova la sua massima concretizzazione proprio nelle pratiche di agricoltura sociale.
Siamo ancora in una fase embrionale, ma già oggi il mondo di Coldiretti può contare su oltre 1.100 realtà di agricoltura sociale, che operano in rete sul territorio con enti locali, associazioni di volontariato e realtà del terzo settore; e attorno alle quali gravitano decine di migliaia di rifugiati, di detenuti, di disabili e tossicodipendenti.
Le imprese agricole italiane sono state le prime a cogliere le opportunità offerte dall’agricoltura sociale, soprattutto nelle aree più interne - che più di altre stanno registrando, con la crisi, rischi crescenti di tenuta del tessuto sociale (a partire dai fenomeni di deterioramento demografico) e riduzione della qualità della vita.
La loro risposta è stata piena e va affermandosi lungo tre principali dimensioni:
servizi alla persona, uno dei primi settori in cui le imprese agricole italiane sono emerse con l’offerta di strutture educative (asili nido, fattorie didattiche, ecc..) e di accoglienza, in particolare per gli anziani, oppure di valorizzazione urbana (ad esempio con gli orti urbani);
inclusione socio-lavorativa, per l’inserimento e l’integrazione dei soggetti a rischio di disagio o emarginazione: soggetti con problemi di dipendenza (alcool e droga); immigrati, ex-tossicodipendenti, rifugiati politici, minori a rischio, lavoratori disoccupati;
servizi di cura e assistenza terapeutica (ortoterapia, ippoterapia, ecc..), in modo privilegiato attraverso l’attivazione di reti e collaborazioni con altre strutture e spesso garantendo continuità e razionalizzazione dei servizi locali attraverso strutture, spazi e risorse dell’impresa.
Si parte infatti dall’impresa agricola come realtà che trova nell’agricoltura sociale – potremmo dire “fisiologicamente” - ragioni e prospettive di competitività economica per se stessa e le economie locali in cui opera; non separate ma, al contrario, incentivanti e premianti rispetto a quelle di utilità e servizio sociale; dando vita alla punta più avanzata di modernità e multifunzionalità sui territori.

4. Agricoltura sociale e nuovo welfare
La rinnovata e stretta relazione tra bene pubblico e privato rappresenta una dimensione importante perché in essa risiede la chiave di lettura del potenziale di welfare che prende forma dall’agricoltura sociale e in gran parte è ancora inespresso:

  • la possibilità di “raggiungere” tutto il territorio nazionale - grandi centri urbani e aree interne, grazie alla pervasività e al presidio del tessuto agricolo nazionale;
  • l’opportunità di garantire recupero di costi ed efficienza;
  • una stimabile leva per migliorare la qualità dei servizi alle persone e per la comunità5 
  • l’opportunità per la promozione e creazione di reti positive sui territori tra le imprese agricole e altri soggetti del settore sociale: cooperative e aggregazioni di imprese, attori istituzionali, sociali, imprenditoriali, strutture pubbliche e private, ecc. Un percorso, quindi, verso un nuovo welfare relazionale e sussidiario in cui la co-produzione di servizi e valore economico introduce logiche proprie dell’economia civile.

È in tale quadro, infine, che appare premiante il ruolo centrale dell’impresa e dell’attività agricola che la nuova legislazione nazionale sull’agricoltura sociale ha voluto riconoscere e che ha definito una nuova opportunità di integrazione e sviluppo imprenditoriale di attività sociali in realtà produttive, a vantaggio di sinergie con le altre realtà del terzo settore e pubbliche e della qualità dei servizi offerti sui territori.

Sotto il profilo del modello imprenditoriale e del lavoro i tratti qualificanti dell’agricoltura sociale, immediatamente percepibili, sono legati a uno specifico uso del tempo e alla presenza di spazi aperti e meno confinati, al contatto e alla conoscenza dei processi naturali, alla possibilità di facilitare interazioni personali continue e durature improntate sull’accoglienza e sulla disponibilità di quanti si aprono a esperienze di agricoltura sociale.
Il tema della valorizzazione delle proprie risorse, a partire dalle tradizioni alimentari e dal lavoro inteso come oikonomia (governo della casa e relativa capacità di pensare a se stessi), unisce i mondi agricoli di tutte le latitudini, in particolare l’agricoltura familiare di tutto il pianeta, e costituisce parte integrante e fondante del “poliedro” caro a Papa Francesco: identità che dialogano, si incontrano e costruiscono una “sola famiglia umana”.
Le potenzialità dell’agricoltura sociale affondano le loro radici nella storia sociale e nelle caratteristiche identitarie dell’agricoltura italiana: dietro l’azienda agricola, dietro l’impresa, quasi sempre c’è una famiglia con una connotazione antropologica antica che ha saputo rigenerarsi accogliendo le sfide del tempo e del mercato, ma che resta “innata” e non di rado educata concretamente dall’amore cristiano, coniugale e familiare.
Quella convinzione per cui i membri della famiglia agricola erano braccia e bocche a cui si trovava un ruolo e che erano tutti da sfamare: capaci ed incapaci.
Citando il filosofo Galimberti: “Spesso sentiamo parlare di famiglia, di difesa della famiglia, di aiuti per la famiglia e nessuno ci avverte che la famiglia è incompatibile col modello capitalista, costretto a diventare turbo-capitalista per effetto della concorrenza globale”.
Le nostre imprese agricole cercano di riconciliare la famiglia con l’economia di mercato, superando l’incompatibilità con l’ ”economia dello scarto” e promuovendo snodi di “economia civile”.
Per farlo le nostre famiglie rigenerano una capacità inclusiva del lavoro che ne esemplifica la trasformazione da “lavoro come produzione” a “lavoro come servizio”; dove si realizzano beni che non sono solo merci, ma cibo, e contemporaneamente si impiega il tempo anche per la relazione, che in se stessa è anche cura, nello svolgimento dell’attività produttiva.
Con questa visione e concretezza del lavoro noi sentiamo vicine le parole della “Laudato Sì” dedicate alla necessità di difendere il lavoro, dove si afferma che “l’intervento umano che favorisce il prudente sviluppo del creato è il modo più adeguato di prendersene cura perché implica il porsi come strumento di Dio per aiutare a far emergere le potenzialità che Egli stesso ha scritto nelle cose”6.
Come abbiamo visto, nell’attività agricola il tema della responsabilità sociale d’impresa può incontrare anche la necessità delle comunità locali di continuare ad organizzare reti di servizi, ma anche legami intergenerazionali e continuità di rapporti e trasmissione di valori e conoscenze, in una logica molto vicina alla costruzione di sistemi di welfare municipali e solidali.
La stagione che aprì ad una maggiore sensibilità per l’integrazione sociale di soggetti deboli risale ad un’epoca a cavallo tra gli anni ‘70 e ’80: il costo era direttamente sostenuto dallo Stato e dalle amministrazioni locali; c’era un tessuto sociale più integro e solidale, alcuni attori, come gli insegnanti, svolsero un ruolo esemplare.
Mancò, allora, un riferimento puntuale e robusto al mondo del lavoro e la responsabilità di dare una risposta venne completamente affidata al “terzo settore”, con costi spesso elevati e con risultati di difficile misurabilità.
Paradossalmente oggi abbiamo: un tessuto sociale indebolito; una soggettività professionale (operatori, dipendenti pubblici, insegnanti) un po’ meno trainante di allora perché logorata dal peso della sfida; risorse economiche declinanti e un “terzo settore” se non “discusso”, che ha perso “nerbo”.
In questo quadro la co-produzione di valori economici e servizi sociali realizzabile dall’attività agricola è provvidenzialmente utile, perché: a) ci permette di superare il limite degli anni ‘70/’80, cioè la mancata valorizzazione del potenziale d’accoglienza del mondo del lavoro, b) l’agricoltura può e riesce ad integrare i soggetti deboli con minori costi e con una maggiore possibilità di “recupero”.
Non c’è ancora una misurazione statisticamente consolidata ed affidabile di questo fenomeno, ma piccole esperienze ce ne offrono una prova empirica convincente.
Perché l’agricoltura può integrare con minori costi e maggiore efficacia?
Il mondo agricolo nella sua dimensione non “estensiva”, cioè non legata agli imperativi dell’industrializzazione dell’agricoltura, sfugge ai modelli produttivi intensivi e performativi classici sia del fordismo/taylorismo industriale, che del settore terziario.
Il mondo agricolo riesce ad integrare nei suoi processi produttivi la molteplicità delle “nicchie individuali”; inoltre, le dimensioni del “tempo breve”, dell’efficienza riconducibile al “risultato immediato” e del “giudizio”, sono enormemente attenuate.
Infine, perché vi è una corrente valoriale diffusa – e misurabile - che individua una chiave etica precisa nell’ ”aspetto sociale” ed è pronta a riconoscergli un valore aggiunto. Ciò nell’insieme produce: sia una quota di reddito aggiuntivo per le aziende, che una qualità di inserimento (e sarebbe opportuno misurarla attraverso studi specifici e il mondo della ricerca) superiore, con un costo sociale nettamente inferiore.

5. “Tratti” dell’agricoltura sociale
Le aziende agricole impegnate nell’agricoltura sociale hanno un elevato grado di diversificazione produttiva; ciò è funzionale all’ampliamento del set di mansioni praticabili che a sua volta rafforza l’accessibilità e la partecipazione da parte di soggetti svantaggiati coinvolti.
Questa diversificazione si palesa con la presenza di diverse tipologie di coltivazioni e di allevamenti e di attività di servizio: agriturismo, ristorazione, attività didattica per le scuole, punti vendita aziendali.
In secondo luogo, dalle informazioni disponibili, emerge come la gran parte di queste imprese adotti metodi di produzione biologici, anche se non sempre certificati. La scelta del biologico rappresenta da un lato un’esigenza pratica, ovvero conseguente a ragioni di sicurezza in un contesto caratterizzato dalla presenza di risorse umane “fragili”, dall’altro però, esprime un atteggiamento di responsabilità ambientale da parte dell’impresa che viene ritenuto naturalmente affine allo svolgimento di una funzione sociale.
In terzo luogo queste imprese tendono, più o meno marcatamente, a privilegiare modalità produttive che puntano sul lavoro delle persone coinvolte nell’attività dell’impresa. Ciò è coerente con l’obiettivo di valorizzare le risorse di lavoro presenti in azienda, di trovare modalità di coinvolgimento per ciascuna di esse e di privilegiare aspetti occupazionali rispetto a quelli reddituali. Tale caratteristica, inoltre, si collega con l’adozione di tecniche di tipo biologico che, com’è noto, implicano generalmente un maggior fabbisogno di lavoro per unità di superficie.
A riguardo, una recente indagine dell’ISFOL segnala l’atteggiamento decisamente positivo delle imprese agricole, dove poco meno di un intervistato su tre ritiene che l’inserimento di persone con disabilità psichica non comporti alcuna difficoltà per le imprese (27,8% rispetto al 9,5% del campione totale7 delle imprese).
Molti ordinamenti produttivi già oggi “accolgono” pratiche di agricoltura sociale: attività orticole, frutticole, viticole, olivicole, di culture vivaistiche e floricole. Con riferimento agli allevamenti maggiormente praticati, si segnalano l’apicoltura, gli allevamenti di piccoli animali da cortile, ma anche allevamenti di cavalli e di asini per la loro predisposizione a relazionarsi con le persone.
Un aspetto non meno rilevante, è rappresentato dall’elevato grado di apertura di queste imprese nei confronti del territorio. Aprire all’esterno l’impresa offrendo visite didattiche, servizi di ristoro o agrituristici, la vendita al dettaglio delle produzioni aziendali, la realizzazione di iniziative e manifestazioni pubbliche in azienda, è un tratto comune e di primaria importanza nelle imprese che attivano percorsi di agricoltura sociale. Questa “osmosi” con l’ambiente esterno contribuisce a sensibilizzare il territorio sull’esperienza in corso, serve a stabilire legami fondamentali per la sostenibilità dell’esperienza stessa e contribuisce alla riduzione dello stigma e dei pregiudizi che gravano su alcune tipologie di svantaggio, quali la disabilità mentale e il disagio psichico. In questi casi si può sostenere che il territorio, da elemento di vincolo diventa un’opportunità per lo sviluppo del progetto imprenditoriale e sociale.
Attraverso lo scambio dei prodotti ogni impresa costruisce una rete di relazioni che possono rivelarsi di fondamentale importanza per la sostenibilità nel tempo del progetto. La vendita diretta dei prodotti, che ricorre molto sovente in queste imprese, riveste una molteplicità di funzioni nell’ambito dell’agricoltura sociale.
In primo luogo, è utile sottolineare come i prodotti agricoli ottenuti coinvolgendo persone svantaggiate e con limitate abilità, non portano in sé la traccia dei limiti, mentali, psichici o sociali che siano, del soggetto svantaggiato che ha partecipato al processo produttivo. Da ciò consegue un’importante implicazione che riguarda la capacità delle esperienze di agricoltura sociale di produrre prodotti di qualità, anche elevata, e di poter così affrontare la difficile, ma importante, sfida del mercato.
L’importanza di tale sfida è evidente se si considera che il momento della vendita rappresenta un’occasione di gratificazione e di autostima per i soggetti coinvolti in quanto implica un riconoscimento del valore e del senso del lavoro svolto. Inoltre, anche se non rappresenta la principale motivazione per la vendita diretta dei propri prodotti, non va trascurato il fatto che i prezzi di vendita sono più remunerativi rispetto ad altre modalità.
Un’ultima osservazione concernente la vendita diretta dei prodotti riguarda la presenza in molti casi di prodotti di altre imprese agricole del medesimo territorio, che non necessariamente svolgono attività sociale. Avviene così che pdfl’impresa agro-sociale mette a disposizione anche di altre realtà agricole del territorio la propria rete di relazioni, la propria “reputazione” sociale, erogando un servizio, appunto quello di vendita, che altre aziende agricole non sarebbero in grado di organizzare autonomamente. Si sviluppa cosi un soggetto attivo di sviluppo locale capace di generare impatti che vanno ben aldilà di quelli sugli individui svantaggiati coinvolti.
Diversificazione delle attività produttive e loro organizzazione ai fini dell’inclusione, rapporto con la società e le istituzioni locali, attenzioni di cura, delineano un profilo di attitudini, interessi e competenze articolato che sollecita e sfida la famiglia e la sua impresa agricola nel sapervi fare fronte.
Questa sfida esalta il ruolo delle donne e dei giovani, proprio nell’attenzione di cura e nella diversificazione, sono loro gli indispensabili protagonisti delle potenzialità dell’agricoltura sociale e, allo stesso tempo, sono loro i protagonisti di una trasformazione della famiglia agricola che rigenera antichi legami in un contesto partecipato e condiviso, favorevole alla valorizzazione “integrale” di ciascun suo membro.


NOTE

 1. Meno di 1,90 dollari al giorno (dati Banca Mondiale)

2. Per ogni persona denutrita ci sono due persone obese o in sovrappeso. Il cibo sprecato è 1/3 di quello prodotto ed è pari a 4 volte la quantità necessaria per nutrire gli affamati (804 milioni)

3. Nel 2020 si prevede che la domanda per biocarburanti arriverà ad assorbire (con ulteriori 40 milioni di ettari di terreno) il 7,6% della produzione mondiale di cereali.

4. Il Land grabbing descrive i fenomeni di neo-colonialismo che ormai da diversi anni interessano i paesi poveri le cui terre sono oggetto di crescenti investimenti da parte dei paesi più ricchi. In larga misura il principale driver è costituito dai biocombustibili. Secondo alcune stime (Oxfam), nei paesi poveri si compra ogni 4 giorni un'area di terra più grande dell'intera città di Roma. I paesi nei quali avvengono acquisizioni di terra più ampie sono accomunati da un sistema debole di protezione dei diritti sulla terra (il che significa canoni bassissimi di concessione in affitto per ettaro). Due terzi degli accordi sulla terra avvengono in paesi che soffrono la fame e più del 60% degli investitori stranieri intende esportare tutto ciò che viene prodotto. L'Africa è la più colpita: è stata acquisita in 10 anni un'area equivalente alle dimensioni del Kenya. Al land grabbing si accompagna spesso il water grabbing: l’estromissione delle popolazioni dal diritto di utilizzare l'acqua presente: spesso gli investimenti stranieri sono destinati alla creazione di sistemi di irrigazione ex novo che derivano l’acqua dai fiumi e la popolazione che risiede a valle non ne può usufruire più.

5. A titolo esemplificativo, alcuni casi studio consentono di valutare una percentuale di recuperi effettivi nelle nostre aziende a vocazione sociale dei soggetti tossicodipendenti spesso di 8/9 volte superiore alla media.

6. Papa Francesco, Laudato Sì, punto 124, pag.98, EDB

7. ISFOL, ”Le prospettive di impiego delle persone con disabilità psichica: opportunità e barriere nei contesti aziendali, ottobre 2014; pag.99.

 

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Albino Barrera OP  -  Stefano Menghinello  -  Sabina Alkire

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