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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

Il progetto “R.I.P.A.” nasce da una intuizione del capitolo provinciale dei frati minori francescani del Lazio in risposta agli effetti della crisi economica del 2009., presso la chiesa di S. Francesco a Ripa.  Il progetto prende il nome da un luogo significativo per i frati minori, la chiesa si S. Francesco a Ripa di Roma. Sembra infatti che proprio qui Francesco amasse soggiornare nei suoi periodi di permanenza a Roma, e proprio in ragione del fatto che vi era un ospizio che accoglieva le persone più povere,  ed era governato da Jacopa dei Settesoli, nobildonna romana e sua grande amica. Una dimora comunque umile ma per lui accogliente, un ostello per poveri in una parte degradata e poco salubre di Roma, perché troppo vicina alla riva del Tevere (da cui "a ripa" – che significa anche “approdo”).

RIPA è anche un acronimo è significa nelle sue iniziali “Rinascere Insieme Per Amore”. Vorrei iniziare proprio da qui per spiegare cos'è RIPA. E' una fraternità di frati minori e anche di laici che accoglie, in uno stile di piena condivisione e gratuità, persone che, a causa di gravi difficoltà economiche e sociali, sono state costrette alla vita di strada. Attraverso l’incontro, il dialogo, la relazione fraterna, la conoscenza reciproca e la condivisione, gradualmente si instaura e restaura quel clima di fiducia in sé e negli altri, che risulta indispensabile a favorire e sostenere la riscoperta dei propri mezzi e dei propri doni, per arrivare con il tempo necessario a vivere la rinascita della propria persona. Obiettivo ultimo del progetto è così la rinascita della persona, come soggetto integrato, consapevole e autonomo, e il suo conseguente reinserimento sociale.

Per noi francescani, a circa sei anni dal suo inizio, RIPA resta un laboratorio sperimentale che ci consente di restare in ascolto dei poveri che sono nostri “maestri” (cfr. CCGG 3), in quanto portatori di quel potere rivelativo, che Dio ha affidato ai piccoli, perché ci svelano sempre qualcosa di noi e di Dio. In ragione di questa attenzione il progetto si è caratterizzato per una flessibilità carismatica che tende al cambiamento, per una risposta più idonea alle esigenze presenti nella storia di ogni persona accolta. L’accoglienza così orientata alla persona, e non semplicemente all’offerta di un servizio, è stata un fattore indispensabile per comprendere chi desiderava veramente essere aiutato verso un percorso di rinascita della propria vita e chi no. Se all’inizio ci sembrava scontato che tutti volevano essere accolti, con il passare del tempo ci siamo resi conto che invece era importante comprendere e decifrare il vero desiderio che portava la persona nel cuore. In questi anni abbiamo così incontrato persone che hanno voluto lasciare la strada, ma anche persone che non hanno voluto lasciare la strada, e che cercavano solo una sistemazione temporanea; o altri che hanno trasformato la loro stanza in cui erano accolti, in una strada, perché i disagi erano più profondi e spesso nascosti alla stessa persona. Ci siamo resi conto che serviva più ascolto, pazienza, amore, e soprattutto tempo, per fare capolino nel mistero della persona e cercare con l'aiuto di Dio di comprendere qualcosa, nel tentativo di definire insieme un percorso di rinascita fattibile e condiviso, e attivare se possibile tutti gli aiuti necessari a rendere così la persona sempre più libera e autonoma.

Da questo ascolto è così nato lo sviluppo ed il cambiamento. Nel 2013 è stata aperta una seconda casa a Valmontone, caratterizzata dalla possibilità di accogliere donne in difficoltà; ed a novembre 2014 in collaborazione con la S.Vincenzo de Paoli è stato aperta una casa per coloro che uscendo dal progetto potevano vivere un tempo di semiautonomia, collaborando alle spese di affitto e di utenze, in totale e piena autogestione. L’esperienza inoltre ha insegnato che si poteva offrire un contesto di fraternità a persone in difficoltà economico-sociale, ma che non erano portatrici di problematiche particolari di tossicodipendenza, alcoolismo o disturbi psichiatrici, in ragione del fatto che non si avevano e non si hanno le competenze e le strutture adeguate a trattare disagi così specifici.

Attualmente quando una persona viene accolta entra gradualmente nella fraternità, si cerca di comprendere e valutare capacità e competenze, insieme ai bisogni e desideri, tenendo conto poi delle risorse a nostra disposizione, si concordano in modo formale i punti più rilevanti del percorso di rinascita, definendo insieme una serie impegni finalizzati a promuovere il bene integrale della persona.

Facendo un primo e sommario bilancio di questa esperienza a distanza di cinque anni dalla sua nascita, si può affermare che in sintesi i punti di forza più rilevanti del progetto sono la consapevolezza che ogni rinascita è opera di Dio, e che solo Dio può far rinascere una persona, attraverso un cammino che deve gradualmente essere svelato e riconosciuto; quindi in sostanza la consapevolezza di essere collaboratori della misericordia di Dio nella storia di ogni persona accolta; l'attenzione concreta alla persona in un accompagnamento che è assolutamente personale e mai standardizzabile in processi di servizi ai bisogni della persona (anch'essi sono importanti ma non sono il nostro specifico); il tempo di accoglienza che anch'esso è correlato al percorso di rinascita, alcuni possono durare anche alcuni anni; la rete di relazioni e di fraternità che viene costruita intorno alla persona. Per i punti di debolezza è necessario ammettere che spesso il clima buono delle relazioni rende difficile il distacco per l'autonomia sia da parte di chi è accolto, sia di chi accoglie; l'attenzione poi alla qualità della vita fraterna impedisce inoltre l'accoglienza di persone con disagi psichiatrici, e dipendenze attive; difficoltà esterne oggettive legate purtroppo alla crisi economica e di un mercato del lavoro che in Italia ancora non funziona, e caratterizzato ancora da sacche di sfruttamento rilevanti, condiziona i tempi del reinserimento e dell’ autonomia economica.

Per il futuro si sta così valutando la possibilità di aprire una comunità di vita soprattutto per coloro che non hanno più, per l'età e proprie condizioni personali, la possibilità di raggiungere quella libertà sostanziale dovuta in ragione di quella dignità propria ad ogni essere umano.

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