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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

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MYKHAYLO MELNYK

03 melnyk 1 Lpdfa partecipazione dei cristiani alla vita pubblica in quanto cittadini è attestata fin dai primi secoli della storia della Chiesa. La famosa Lettera a Diogneto di un antico autore ecclesiastico, citato dal Catechismo della Chiesa Cattolica, lo testimonia con questa affermazione: “I cristiani... abitano nella propria patria, ma come pellegrini; partecipano alla vita pubblica come cittadini, ma da tutto sono staccati come stranieri... Obbediscono alle leggi vigenti, ma con la loro vita superano le leggi... Così eccelso è il posto loro assegnato da Dio, e non è lecito disertarlo” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2240).

Allora il cattolico consapevole non può non essere interessato alla politica, perché la sua stessa esperienza di credente lo rende sensibile alla dimensione sociale e a quella dei bisogni, alla questione del bene comune e a quella dell’unità. E non solo il cattolico che si dedica “professionalmente” alla politica, ma ogni cattolico in quanto cittadino. Quindi i christifideles laici sono chiamati a partecipare in prima persona alla vita pubblica. Sul piano politico, più che il pontefice e i vescovi, sono essi, nella loro qualità di laicato organizzato – nei partiti, nei mass media, nella cultura, nelle istituzioni sociali, nella società civile – che si devono pronunciare e mobilitare per realizzare nel mondo la giustizia e la pace.

Nella condizione della crisi del politico, il cattolico non può che riandare ai suoi fondamenti pratici e teorici. Anzitutto al suo fondamento teologico. Tuttavia, poiché la rivelazione soprannaturale, oltre a far conoscere il mistero di Dio, “svela anche pienamente l’uomo all’uomo” (Gaudium et Spes, 22), fare politica da cristiano significa trarre, da questa conoscenza, ispirazione e forza nell’impegno per il bene comune, che il cristiano condivide con tutti gli uomini di buona volontà.
Oggi assistiamo anche un’altra crisi, di natura antropologica ed etica, amplificata dai moderni fenomeni di globalizzazione, mediatizzazione, tecnocrazia e consumismo. Trovare un’identità in questo contesto è sempre più difficile e la presenza dei cristiani all’interno della società va ripensata e rifondata con intelligenza e coraggio.

Allora quali le azioni e quali i comportamenti per i cattolici di oggi?

Innanzitutto abbandonare ogni tentazione di “congiunturalismo”: essere cioè liberi dalla preoccupazione di occupare spazi di potere, ed invece impegnarsi a fondo nella gestione di processo di sviluppo integrale, sostenibile, inclusivo. I cristiani sono chiamati a essere profezia, facendosi
costruttori di una società che supera il gap creatosi tra rappresentanti e rappresentati, professionisti di una cittadinanza attiva e partecipativa, di un’economia e di uno sviluppo inclusivi e sostenibili, della rimozione delle cause strutturali delle povertà vecchie e nuove, della ristrutturazione etica dei mercati finanziari, dell’umanizzazione dei media e della Rete. In una parola si tratta della costruzione della civiltà dell’amore, secondo il mandato evangelico, sul piano locale e mondiale.

In fin dei conti si tratta semplicemente di incamminarsi sulla strada indicata da Papa Bergoglio nella sua “enciclica sociale”, l’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium (in particolare i capitoli II e IV).

Il Papa, infatti, facendo riferimento al realismo della dimensione sociale dell’evangelizzazione e invitando a riflettere sulle sue radici finisce così per proporre una nuova tappa dell’evangelizzazione del sociale fondata sull’esperienza diretta dell’incontro con Cristo e la sua Parola, senza dimenticare che il soggetto diretto non è il singolo, ma la comunità. Tale evangelizzazione del sociale è quindi parte integrante della missione della Chiesa, popolo di Dio nella storia.

Di fronte alle nuove sfide che si moltiplicano a velocità sempre più rapida, i cristiani debbono sapersi trovare all’erta elaborando quasi un insieme di nuove idee in grado di rispondere, con un progetto condiviso, alle diverse situazioni. Si tratta di far nascere o di rivitalizzare – in una società sempre più secolarizzata ed animata da principi apertamente antievangelici – esperienze di vita come il terzo settore e le opere di carità, scuole di ogni ordine e grado, associazioni e movimenti che, pervasi e mossi dai valori cristiani, messi in rete tra loro, costituiscano le saline ove si forma quel sale che deve dare un sapore diverso a tutte le vivande di cui si cibano gli uomini e alle attività che concorrono a produrle.

Detto altrimenti, se i cattolici intendono dare il loro apporto specifico al bene comune con incisività ed efficacia è necessario che prosperino mondi vitali in cui si possono conseguire finalità e culture cattoliche, quella “maniera cristiana” di essere giurista, medico, industriale o altro, e che lo stato laico non può coltivare – e dei quali non si assume la responsabilità – ma che sono essenziali in vista dell’umanizzazione della vita sociale.

L’importante è che i cattolici non si rassegnino a svolgere un ruolo esclusivamente pre-politico, rifugiandosi in ambiti di impegno sociale e culturale, ma accettino l’impegno politico come servizio esclusivamente a vantaggio del bene comune.

Solo costituendo o mantenendo tra la società politica e le comunità ecclesiali un corpus di istituzioni cattoliche, garanti di un’educazione cristiana, ben organizzate e coordinate, dialoganti e propositive sul piano progettuale, raccordantisi ad altre di ispirazione cristiana tramite associazioni o movimenti, è possibile un’azione trasformatrice del sociale senza che il cristianesimo si infeudi ad un partito o diventi un partito supplementare. Si può evitare in tal modo il rischio della disorganicità e dell’isolamento e si può far valere meglio il proprio punto di vista presso i rappresentanti politici, favorendo un’affermazione pubblica dei valori evangelici.

Se i cattolici sapranno ritrovare la loro “vocazione al bene comune”, contro ogni tentazione di individualismo egoista, saranno in grado, insieme agli altri cristiani e tutti gli uomini di buona volontà, di impegnarsi per la “costruzione di popoli in pace, giustizia e fraternità”. Ma tutto questo ha una condizione previa: sperimentare quotidianamente la cultura dell’incontro e dell’esperienza della comunione e della prossimità, affrontare i problemi locali in un’ottica sempre più grande. In tal senso è importante coniugare insieme sussidiarietà e solidarietà per valorizzare tutti e non lasciare indietro nessuno.

Detto questo, occorre però che i fedeli laici impegnati in politica siano formati ad alimentare continuamente e a sostenere il loro servizio con un’autentica vita interiore. Devono cioè essere coscienti che l’azione politica per il cristiano non è un’attività qualsiasi, e che c’è una profonda differenza – come ripeteva il venerabile Giuseppe Lazzati – tra essere un “attivista”, cioè un politico pdfcompletamente assorbito da un lavoro che non gli lascia respiro, ed essere un “uomo d’azione”, cioè un politico che opera sì senza risparmiarsi, ma garantendo i parametri essenziali della contemplazione e della vita spirituale. Ben sapendo che il tempo riservato alla preghiera non solo non è sottratto all’attività politica, ma la potenzia, se è vero quanto afferma san Giovanni Crisostomo: “L’uomo che prega ha le mani sul timone della storia1.

NOTE
1 Cit. in G. LAZZATI, La preghiera del cristiano, Roma, AVE, 1986, 129 (vedi pure 22s.)

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