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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

 

12 DiFazio 1

pdf12 DiFazio All'alba della Quarta Rivoluzione Industriale, inaugurata alla Fiera di Hannover del 2011 come informatizzazione dell'industria manifatturiera tedesca, ci troviamo oggi di fronte a un modello lavorativo che ha creato non pochi vantaggi economici e strutturali ma che sta presentando un profondo deficit nei rapporti interpersonali e, in larga scala, societari. Torna allora utile uno sguardo al libro scritto dallo storico e studioso dei movimenti comunitaristi Giorgio Campanini per capire se esistono o sono mai esistite delle alternative al modello vigente.

Tra queste possibili alternative, questo studio compatto presenta non tanto la biografia dell'industriale di Ivrea, quanto si propone di analizzare e presentare invece, in quattro capitoli, il suo pensiero. L'autore, per far ciò, dona al lettore uno sguardo sul panorama mondiale nel quale Adriano Olivetti si muove (1901-1960), che è quello fra le due guerre mondiali, e circoscrive quelle che possono essere state le fonti del pensiero olivettiano. Tra di esse si trovano troviamo i filosofi francesi Emmanuel Mounier e Jacques Maritain. Inoltre, viene evidenziato come Olivetti sia figlio di una cultura poliedrica data dalla condizione familiare (padre ebreo e madre calvinista) e dagli innumerevoli soggiorni in terre straniere quali l'URSS, gli USA e la Svizzera.

Al modello economico dell'imprenditore eporediese, era caro il progetto del «capitalismo dal volto umano» che si fondava essenzialmente su tre pilastri: favorire la maturazione culturale ed umana dei lavoratori; alimentare il rapporto tra le aziende e il territorio; superare il bicameralismo per una sorta di «tricameralismo» con decrescenti livelli decisionali.

Purtroppo tale progetto non fu oggetto di quegli studi, ricerche e approfondimenti che avrebbe meritato, al di là dell'area del "Movimento Comunità" (partito politico fondato dallo stesso Olivetti nel 1947) e degli intellettuali che vi gravitavano attorno. Solo ultimamente, con la nuova crisi del capitalismo esplosa negli anni Duemila, si sta iniziando a guardare a questa via non come modello utopistico ma come possibilità concreta. Anche se oggi gli scenari politico-economici sono molto diversi rispetto a quelli nei quali Olivetti si muoveva.

L'eredità che Adriano Olivetti lascia agli imprenditori del XXI secolo è incentrata sul tema della "umanizzazione del lavoro", tema affrontato anche dal "socialismo reale", il quale però lo ha di fatto smarrito. Il punto di vista di Olivetti non è lo stesso dei filosofi e teorici che a loro volta proposero delle alternative ai modelli vigenti, ma è il modello di un uomo che era innanzitutto un imprenditore, che aveva una conoscenza concreta della fabbrica e da essa desiderava far ripartire un "nuovo umanesimo" capace di conciliarsi con la tecnica moderna senza smarrire il senso dell'uomo. Per questo si si orienta sulla "luce del Vangelo" come bussola d'orientamento, come egli stesso scrive nella sua opera:

L'ordine politico delle comunità. Dei filosofi, come Mounier e Weil, Olivetti prese a cuore il problema della "depersonalizzazione del lavoro", tema troppo spesso trascurato dagli stessi sindacati operai, concentrati soprattutto sul livello troppo basso degli stipendi, dimenticando la spersonalizzante realtà dell'anonimato della fabbrica, che porta con sé un logoramento delle relazioni umane. Per poter far ciò era necessario pensare a un nuovo modello di fabbrica e di società industriale. Una società industriale che non risolve i problemi di povertà solamente in alcune aree ma che riesca anche ad arricchire il tessuto delle relazioni umane, rendere più solide le fondamenta della famiglia e rinvigorire la comunità locale. Perché una società sempre più consumistica e individualistica emargina l'uomo fino a ridurlo a oggetto passivo del sistema produttivo.

A causa della devastazione storica del 1929, Olivetti si volse verso il personalismo comunitario. Era divenuto utopico pensare a un costante, ininterrotto e lineare sviluppo del benessere generale e al parallelo progressivo incremento dei consumi, distanziando al contempo però sempre più i soggetti che interagiscono in questa catena economica.

Oggi siamo di fronte alla fabbrica iper-tecnologica, virtualizzata, dello smart working, simbolo della spersonalizzazione, contro la quale il movimento comunitarista si è ricorrentemente schierato. Questo handicap investe non solo il campo industriale ma anche altre realtà sociali. Basti pensare all'impatto che ha avuto la prima ondata della pandemia Covid-19 nell'ambito della formazione scolastica, proponendo un modello formativo a distanza. Modello che, a modesto parere di chi scrive, evidenzierà i suoi effetti solamente fra dieci anni quando, forse, gli adolescenti conosceranno solamente il modello virtuale come mezzo di interazione sociale. Questo «distanziamento sociale» ha portato a un impoverimento dei rapporti umani in parte già evidente e in parte ancora no, e allora ecco che il modello olivettiano potrebbe essere la svolta post-Covid, per la creazione di aree di lavoro più umane, nelle quali non è importante solamente il fatturato annuo ma anche il livello umano delle relazioni tra i dipendenti e con la comunità nella quale la fabbrica svolge la propria attività.

 

Salvatore Di Fazio

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