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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

Compagnoni

 

Questa guerra in Ucraina tocca, oltre i nostri portafogli, soprattutto il nostro futuro sociale.

pdf1. Il Papa ha detto più volte con rammarico profondo che è una guerra tra cristiani, ed il Patriarca Kirill l’ha giustificata per amore della Patria Russa. Strano - no? - questa differenza abissale tra due importanti rappresentanti religiosi ed europei. Ma non è qualche cosa di nuovo.

Nella Pagina Classica troverete un testo in cui Tommaso d’A. commenta il versetto del Vangelo di Matteo: Beati i miti!, che ci rende testimonianza dell’esistenza di queste posizioni divergenti.
Nella relativa Nota Esplicativa cerco di contestualizzare la posizione di questo pensatore cristiano che scriveva sulla guerra giusta e sulla mitezza richiesta dal Signore proprio nei suoi ultimi anni di insegnamento a Parigi. Erano gli inizi degli anni ’70 del XIII secolo, quando Luigi IX di Francia era morto nel 1270 a Tunisi durante la sua ultima crociata. Ma le crociate medievali si stavano esaurendo tanto che il Krak dei Cavalieri (fortezza “imprendibile”) si arrende nel 1272 al sultano mamelucco Baybars.
Per Tommaso fare la guerra è un peccato contro la massima virtù cristiana, la Carità, ed è permessa solo in occasioni specialissime e seguendo regole precise.1 Deve conciliare la teoria della guerra giusta di Agostino con il fatto per la chiesa cristiana Beati i miti! non rappresenta solo una caratteristica storica di Gesù, ma è ritenuto essenziale per la sua imitazione. Cioè per essere (buoni) cristiani.

Tutta la storia della guerra in Europa in epoca cristiana vive questa tensione. Parallelamente non sarebbe difficile trovare situazioni assimilabili in altri contesti geografici, temporali e culturali.

Il fatto è che la Violenza, e la guerra ne è la Quinta Essenza, non è mai stata largamente e pacificamente accettata dalle società umane come stato naturale, inevitabile, né tanto meno addirittura auspicabile. Affermazione questa che storicamente andrebbe controllata, certo, ed in modo differenziato. È vero che molti imperi antichi hanno vissuto delle guerre per procurarsi risorse e schiavi, compreso l’impero romano, ma questo è un dato di fatto che oggi non è più proponibile come modello di società. Ma per ora prendiamo questa affermazione come assodata, per lo meno ipoteticamente.

 

2. Ma la radice di tutto è la violenza, che se negli animali è in qualche modo monocorde difensiva/predatoria, nell’uomo prende le più svariate forme «dalla guerra alla pedofilia».

Parlare semplicemente di violenza è però ambiguo. Ancor più usare espressioni come: le guerre di aggressione sono immorali. Dove con aggressione è inteso un uso previo di violenza non giustificato. Infatti parliamo abitualmente di violenza legittima e violenza illegittima. Quindi è meglio non utilizzare il termine “violenza”, implicitamente valutativo, e partire invece per definire e capire la violenza dal concetto di “uso della forza”.

In questo senso quando esso è legittimo non avremo violenza (moralmente negativa), mentre sarà legittimo quando seguirà una norma, una legge, possibilmente un accordo previo anche se non esplicito.

Avremo così inquadrato la situazione moderna dove lo Stato si riserva l’uso della forza, seguendo a sua volta regole e norme, appunto. Sia interne a sé stesso che esterne, internazionali.

L’uso della forza per indurre qualcuno a fare o non fare qualche cosa che di per sé non è disposto a fare deve essere normato e controllato previamente, con un processo di consenso sociale, sia morale che giuridico.

Inoltre questa normazione deve comprendere, a livello dell’individuo e sociale, anche un’autorità di controllo e sanzionatoria da applicare ai trasgressori.

L’uso che della forza fa Putin in Ucraina non rispetta le norme del diritto internazionale pubblico, e quindi è violenza.

Lo stesso avviene nell’abuso sulle donne o sui bambini. È un uso della forza non normato, nel senso accennato.

Parlare quindi in questo quadro concettuale di Violenza e Violenze non significa rinunciare a qualunque forma di coercizione, ma accettarla secondo regole e norme previamente stabilite.

Chi non segue questa regola è un violento nel senso corrente del termine ed è quindi socialmente e legalmente sanzionabile.

Si può quindi essere contro l’uso inappropriato della forza e non essere un pacifista assoluto, cioè persona (o istituzione) contraria a qualsiasi forza di esercizio coercitivo.

È chiaro che in questo ampio spazio della violenza ci sono vari gradi di gravità.

Quella di qualsiasi genere sui bambini appare particolarmente da rifiutare, come e non meno di quello della guerra. Là si distrugge il futuro di una persona, qui quello di un popolo.

 

3. Facciamo un passo avanti ulteriore. Il discorso se sia possibile arrivare alla soppressione della guerra mi sembra impossibile da impostare in modo rigoroso. Qualsiasi risposta si voglia dare, positiva o negativa, è un discorso utopico, perché non sostenuto da alcuna ragione storica o teoretica.

Lo studio dell’aggressività dei primati infatti, e la storia della guerra – una volta la si chiamava polemologia - non ci aiutano in modo univoco.

Si noti però che la normazione nazionale ed internazionale vigente ha molto ridotto l’uso della violenza nell’ultimo secolo. Ad esempio secondo l’ISTAT (istituto nazionale di statistica) il numero degli omicidi in Italia, è passato negli ultimi 20 anni da un migliaio a poche centinaia all’anno. Negli altri Paesi dell’Unione Europea il numero è superiore proporzionalmente al nostro e in assoluto, ma sono comunque cifre molto contenute.

Anche a livello pubblico non pare che esistano più all’interno del mondo civile società esaltanti la violenza collettiva come valore primo. Alcune società lo fanno parlando di difesa della Patria, come ha fatto Putin, ma è un evidente manovra mediatica (interna ed esterna alla Russia) per realizzare il proprio modello statuale “napoleonico”.

Se ne può dedurre che sia razionale continuare su questa linea pragmatica di controllo progressivo e costante dell’aggressività umana sia a livello sociale che privato. I risultati raggiunti di volta in volta ci aiuteranno nell’indirizzare gli sforzi successivi.

 

4. Una nota particolare meritano le forme di violenza fino ad ora poco considerate. Sui bambini, sulle donne, sulla cultura di un popolo, nella vita economica… Quella sui bambini e le donne, nel caso siano sessuali, meritano un’attenzione particolare perché toccano inequivocabilmente l’essenza della persona, della quale il corpo sessuato fa parte.

Ma anche le violenze strutturali della società, quelle razziali, culturali, religiose, non vanno lasciate in secondo piano: sono l’area di esistenza degli individui. Se questa area è un luogo strutturalmente violento (cioè dove prevale il più forte), tutta la vita degli individui ne verrà toccata.

Le strutture sociali di violenza sono messe sempre più in luce dalle scienze sociali moderne e, cosa più importante, esse ci insegnano che sono modificabili. Cioè che si può intervenire su di esse. Non siamo sempre davanti solo a fenomeni come le eruzioni vulcaniche, per definizione incontrollabili, bensì anche a fenomeni come le deforestazioni programmate, ad esempio, oppure a Land Grabbing più o meno esteso.

Questo è un vantaggio notevole della nostra epoca: possiamo prevedere meglio le violenze umane, capirne le strutture, cercare di rimediarvi. Che poi le scienze sociali moderne contribuiscano a darci la motivazione ad intervenire non è così evidente.

Probabilmente essa deve venire da altre fonti che non sia la pura conoscenza scientifica del fenomeno. È necessario un quadro di valori etici ampiamente condivisi nella società.

 

5. Qualche decennio fa, K. Lorenz e la sua scuola di etologia avevano studiato seriamente l’aggressività intra-specifica degli animali sociali. Ed inseguito anche quella umana. Dal punto di vista biologico, s’intende. Ricordo di essermi molto interessato a quelle ricerche, ma ricordo anche che i rimedi che gli etologi umani offrivano erano le competizioni sportive o nella ricerca scientifica come sostituto delle lotte violente. E poco di più.

Bisogna però dire che oggi lo sport professionista non sembra offrire esempi di “pace olimpica”, anzi. Essendo in gioco tanti soldi e tanti interessi d’immagine, quindi anche politici, lo sport sembra essere tutt’altro che d’aiuto sulla via della pace. Lo stesso parallelamente si può dire della ricerca scientifica e tecnologica.

Chi ha comunque portato avanti in questa scuola con maggior convinzione queste ricerche sulle strutture del comportamento umano mi pare sia I. Eibl-Eibesfeldt.2 Uno dei contributi maggiori da lui apportato al dibattito sulla guerra è stato quello di chiarire che il gruppo umano avversario in guerra viene visto come “non umano”, con il grande vantaggio quindi di far scatenare l’istintualità di caccia e di bloccare quella che blocca l’aggressione all’interno del proprio gruppo. Il nemico è “una bestia”, non più un uomo e quindi lo si può più facilmente distruggere superando le barriere innate anti-aggressive che tutti gli animali sociali possiedono.

Per l’origine della guerra io seguo fondamentalmente la teorizzazione dell’etologo I. Eibl-Eibesfeldt, discepolo di K. Lorenz. Egli sostiene che biologicamente il gruppo umano tende alla pace, alla cooperazione, attraverso meccanismi ad esempio come la gerarchizzazione e l’aggressione/educazione interna al gruppo. Ma la cultura gioca anche un grosso ruolo, perché ciò che è innato non significa fisso/immobile, bensì spesso capace di orientamento e sviluppo. Si pensi alla capacità della parola: innata ma che necessita di educazione per svilupparsi ed in una determinata lingua.

Nel caso della guerra la cultura del gruppo aggressore qualifica come “non umano” l’altro gruppo umano concorrente. In questo modo è possibile scatenargli contro tutta l’aggressività “non intraspecifica”, cioè trattarla come preda da distruggere. Il nemico è sempre bestiale, disumano, mostruoso.

Questa teorizzazione tiene bene come schema interpretativo della guerra, ma non può essere usato per spiegare altre aggressioni interne al gruppo / società umana.

La violenza sulle donne può rientrare nello schema aggressivo del maschio che per stabilire la (necessaria) gerarchia del gruppo usa una violenza fisico e/o sessuale esagerata. Cioè non funzionale al benessere del gruppo stesso. Qui la cultura gioca un ruolo preponderante, l’immagine sociale della donna e dei rapporti maschio/femmina è determinante.

Nel caso della pedofilia ho più difficoltà ad inquadrarne la possibilità biologica. Direi, a questo punto delle mie ricerche, che si tratti in un comportamento non funzionale, bensì originato dalla costruzione dell’immagine sessuale dell’attore. Il proprio e l’altrui sesso viene costruito, sviluppando basi genetiche, durante i primi anni di vista. Qui possono avvenire errori, generati da svariati fattori, per cui come si costruisce la propria immagine di omosessuale, così si costruisce l’immagine del partener sessuale non di donna/uomo adulta/o bensì con caratteristiche solo infantili. Da qui poi la pedofilia. D’altra parte molti attributi anche verbali nel rapporto eterosessuale qualificano la donna come bambina, carina, tenerina… qualificazioni infantili di fatto.

Anche nella pedofilia/efebofilia gioca comunque lo schema genetico per cui il maschio deve dominare il giovane del gruppo. Questo complica evidentemente le cose, ma in psicologia sociale niente è semplice. Si avranno quindi tendenze molto diverse a seconda delle culture e degli individui, che potranno andare da tendenza alla dominanza intellettuale a quella pedofila.

Questi semplici schemi interpretativi del “come avviene” un certo comportamento umano non abituale, non deve far dimenticare l’aspetto etico. Questo interviene nel giudizio di questi processi quando una persona non è rispettata nei sui diritti fondamentali. Questi fanno parte essenziale della cultura nella quale si vive e servono per distribuire lobi, stima o emarginazione/condanna. Non sono solo sociali, cioè un dato di fatto, ma sono fondati sulla struttura finalistica della persona, con tutto quello che ne segue. Questa è l’assolutezza della persona, che va interpretata con un trattato di morale fondamentale e generale.

 

6. La Violenza è il genere e le Violenze sono le specie, nelle quali essa si manifesta.

Con Violenza io intendo, come detto, l’uso illegittimo della forza da parte di un uomo e degli uomini. Dove illegittimo significa non conforme alle regole sociali, giuridiche e morali, che una comunità di uomini accetta a priori.3

Nell’uomo l’uso della violenza, intesa in questo modo, è l’affermazione del proprio io su quello dell’altro. È un modo primitivo di entrare in una relazione personale nella quale l’io non riconosce l’uguaglianza dell’altro. È un modo infantile di affermarsi attraverso mezzi illegittimi, cioè che non tengano in considerazione i diritti dell’altro.

È vero che chi subisce violenza può reagire con una violenza sproporzionata: tu mi chiami stupido ed io ti uccido. Ma anche in questo caso la violenza è illegittima, perché è appunto fuori dalla norma sociale della ‘legittima difesa’.

Tale situazione reattiva avviene spesso sotto il pretesto dell’interesse della famiglia, della razza, della Patria. In tal modo il violento si sente giustificato nel suo agire violento, proprio perché non è, o non gli sembra, generato dal proprio Io.

Ci possono essere anche casi di violenza per ristabilire la giustizia. Ad esempio lo zingaro che ruba sotto la premessa generale che la società lo costringe ad agire così per sopravvivere.

Esiste anche il modello di chi approfitta della propria forza illegittima partendo dal principio che la vita è dei più forti. E che il resto sono solo storia da perdenti. In questo caso però usciamo dalla convenzione sociale moderna basata sull’uguaglianza dei diritti e doveri, in definitiva sulla uguaglianza delle persone.

Non va dimenticato che questi schemi sono solo orientativi, perché in realtà la base di partenza degli individui è sempre sfumata. Ne seguono comportamenti ugualmente sfumati: un po’ di violenza, un po’ di non violenza; un po’ di generosità (cioè di riconoscimento dell’uguaglianza), un po’ di oppressione (io sono il più forte).

Queste variazioni nascono dalle situazioni sociali e storiche. Si pensi alla teoria hitleriana della superiorità della razza nordica destinata quindi a dominare il mondo. Ma non si dimentichi che tale teoria non era la teoria ufficiale del Terzo Reich, ed era rivelata (e coltivata) gradualmente negli ambienti sempre ristretti e più vicini al potere centrale. Ufficialmente si diceva che bisognava risanare le ferite inferte ingiustamente al Popolo tedesco, e che, per esempio, era giusto incamerare i Sudeti dove i ‘poveri’ tedeschi erano oppressi dai čechi, che venivano accusati di esercitare una forza illegittima.

Per quanto io riesco a capire, la limitazione dell’uso illegittimo della forza nella vita individuale e sociale è molto moderna, legato allo sviluppo di idee e strutture giuridiche e sociali come i diritti umani, gli stati costituzionali, le organizzazioni internazionali.

Tutto questo implica uno sviluppo morale che diventa politico e giuridico e tendenzialmente influenza le relazioni reciproche.

Non possiamo prevedere se ci sarà in futuro una ricaduta storica, ma la speranza è che non si ritorni indietro definitivamente. La diffusione mondiale di tali valori umanistici attraverso la globalizzazione e la relativa scolarizzazione, dovrebbe essere una garanzia.

 

7. Un romanziere italiano ha scritto di recente che il contrario della violenza è la gentilezza. Il che mi è dapprima apparso come una cura ai pannicelli caldi. Ma poi ho notato che egli intendeva per gentilezza un metodo per educare le giovani generazioni a non essere violente. In questo senso la posizione è accettabile, perché – in senso quasi behaviorista - per essere gentile bisogna volere il bene dell’altro e solo così si può manifestare all’altro la propria attitudine interiore. Che è però, per definizione, il voler il bene dell’altro, l’amicizia sociale, l’apertura a venir incontro alle sue esigenze.

In pratica il contrario della violenza è il rispetto dell’altro, riconosciuto come eguale a noi, e con il quale è necessario collaborare per il bene suo, nostro e di tutte le persone coinvolte anche indirettamente nella relazione personale o sociale.

Sinonimo di violenza potrebbe essere prepotenza, nel senso di uso della forza almeno inappropriato.

Perciò il suo contrario potrebbe essere la disponibilità all’aiuto, a fare il suo bene, come si diceva sopra. Appunto la benevolenza e non la maleficenza, implicita nella prepotenza.

Alla base della violenza c’è la pura spinta della concorrenza, dell’autoaffermazione; l’amicizia sociale, la cooperazione è quindi l’atteggiamento opposto.

 

8. Logicamente non è necessario essere credenti per non essere violenti, ma ritengo che l’essere credenti aiuti molto sia a livello teoretico (non dimentichiamo il paradosso di Böckenförde4) che a livello psicologico e sociale. Ed anche educativo, in quanto una comunità credente e non violenta, è un ottimo terreno di coltura per un’educazione benevolente.

 

 

 

 Francesco Compagnoni

 

 

 

NOTE:


1 Nel 2020 Papa Francesco nella enciclica Fratelli Tutti ha dichiarato al n. 258:
«Il Catechismo della Chiesa Cattolica parla della possibilità di una legittima difesa mediante la forza militare, con il presupposto di dimostrare che vi siano alcune «rigorose condizioni di legittimità morale». Tuttavia si cade facilmente in una interpretazione troppo larga di questo possibile diritto. Così si vogliono giustificare indebitamente anche attacchi “preventivi” o azioni belliche che difficilmente non trascinano «mali e disordini più gravi del male da eliminare». La questione è che, a partire dallo sviluppo delle armi nucleari, chimiche e biologiche, e delle enormi e crescenti possibilità offerte dalle nuove tecnologie, si è dato alla guerra un potere distruttivo incontrollabile, che colpisce molti civili innocenti. In verità, «mai l’umanità ha avuto tanto potere su sé stessa e niente garantisce che lo utilizzerà bene». Dunque non possiamo più pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta”. Mai più la guerra!»Si ricordi anche che il Catechismo della Chiesa Cattolica (1997) prevedeva la pena di morte. Ma Papa Francesco lo ha fatto esplicitamente modificare nel 2018 in modo che oggi si legge:
“2267. Per molto tempo il ricorso alla pena di morte da parte della legittima autorità, dopo un processo regolare, fu ritenuta una risposta adeguata alla gravità di alcuni delitti e un mezzo accettabile, anche se estremo, per la tutela del bene comune. Oggi è sempre più viva la consapevolezza che la dignità della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi. Inoltre, si è diffusa una nuova comprensione del senso delle sanzioni penali da parte dello Stato. Infine, sono stati messi a punto sistemi di detenzione più efficaci, che garantiscono la doverosa difesa dei cittadini, ma, allo stesso tempo, non tolgono al reo in modo definitivo la possibilità di redimersi. Pertanto la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che «la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona», e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo.”

2 https://www.vitapensata.eu/ F. Compagnoni, Etologia, in Dizionario di Morale, Milano, Ed. S. Paolo 2019.

3 Lasciamo fuori anche i parallelismi con le strutture dell’uso della forza da parte degli animali.

4 Ridotto all’osso, si potrebbe enunciare in questo modo: "Lo stato liberale secolarizzato vive di presupposti che non può garantire"

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