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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

 

La questione operaia è essenzialmente una questione di sussistenza. La sua importanza dunque eguaglia quella delle sussistenze, o dei mezzi a procacciare ciò ch’è indispensabile alle necessità della vita: il vitto, il vestito, l’abitazione. Di più ella è tanto estesa quanto è il numero dei lavoranti paragonato a quello degli altri uomini. Da un lato adunque ella ha per oggetto i bisogni più imperiosi dell’uomo; dall’altro ella abbraccia la classe più numerosa della società. . .

Sì fatta condizione delle classi laboriose non fu sempre così; né divenne generale, che negli Stati moderni. Accenniamo un fatto, lo valuteremo più tardi. L’instabilità della posizione delle classi operaie dipende dal loro salario; questo dipende dall’offerta e dalla domanda; sorpassa di rado lo stretto necessario, resta spesso al di sotto. Ora tal condizione era sconosciuta una volta; ella ebbe origine dopo la costituzione degli Stati moderni coi principii della rivoluzione. . . . quindi, dimandiamoci: Qual è la cosa che fece del lavoro un traffico, e che ne abbassò il valore fino all’ultimo grado dello stretto necessario?

Il prezzo della merce è fissato dall’offerta e dalla domanda, e la concorrenza ne è la norma. La concorrenza raggiunge il suo pieno svolgimento quando siano rimossi gli ostacoli naturali e artificiali, togliendo specialmente tutte le barriere che arrestano il commercio. L’istituzione del libero scambio introdurrebbe adunque la concorrenza più estesa, e quest’ultima farebbe discendere il prezzo della merce al limite estremo delle spese di produzione. Se una merce potesse essere tradotta da tutti i punti della terra sul medesimo mercato, quegli che in qualità eguale la offrisse al prezzo più basso, prevalerebbe sugli altri produttori, e li costringerebbe o ad abbandonare il mercato, ovvero ad abbassare i loro prezzi. Quanto più sarà estesa la libertà del commercio, tanto più vedremo verificata questa affermazione. E la sue conseguenze si faranno più spietate, attesa la facilità delle comunicazioni e dello scambio dei prezzi correnti fra le cinque parti del mondo. Le spese di trasporto soltanto vi apportano una qualche modificazione, ed appongono una diga naturale a questa legge del sistema del libero scambio. Ma una diminuzione ognora possibile di queste spese la farà ben presto sparire.

Applicando questi principii al lavoro divenuto una merce, noi avremo evidentemente la vera ragione della condizione delle classi operaie tal quale l’abbiam disegnata. Il salario è fissato dalla offerta e dalla domanda; e la concorrenza è la regola di questa, come avviene nelle mercanzie. Questa concorrenza, a cui sia tolto ogni limite, abbasserà il salario fino all’ultimo termine del possibile. E questo avverrà quando il lavoro sia privo di tutte la sue leggi protettrici. L’abolizione di tutte le restrizioni alla libertà delle professioni avrà pegli operai le medesime conseguenze che quella degli ostacoli alla libertà del commercio. La libertà assoluta dell’industria produrrà anche’ella inevitabilmente una concorrenza senza confine fra gli operai, e introdurrà fatalmente l’abbassamento dei salarii fino all’ultimo estremo. . .

Non conchiudete dalle mie parole ch’io voglia ristabilire le maestranze dei tempi passati, e che riprovi tutti gli sforzi fatti per dilatare la libertà delle professioni. Assoggettiamo questo punto ad un esame più accurato e sparirà questo pregiudizio.

L’autorità e la libertà han questo di comune, che tutte due si fondano sull’idea d’un Dio eterno. La salute dell’umanità riposa sullo sviluppo di questa idea. Ma essa non si manifesterà in tutta la sua purezza, perché in mano dell’uomo; sarà sempre limitatamente compresa dal nostro spirito, e come mutilata dal nostro egoismo. . . Le maestranze sono una restrizione della libertà applicata alle professioni; rappresentano per così dire l’autorità che vuole impedire l’abuso della libertà. Il concetto che presiedette alla loro istituzione era di proteggere i lavoratori; era una specie di contratto fra le classi operaie e il resto della società. Con tal contratto le classi operaie garantivano una produzione sufficiente, e in ricambio la società, restringendo la concorrenza, assicurava loro un salario più elevato, e metteva in salvo la lor sussistenza dalle fluttuazioni giornaliere. . . Il grande industriale trova nel suo capitale una protezione molteplice, e il libero scambio sotto un certo rapporto è per lui un nome vano. Ma l’operaio non dev’essere protetto: quindi la guerra contro l’istituzione delle maestranze. Lungi da noi il pensiero di pretendere che l’organizzazione delle maestranze non fosse difettosa. . . Le maestranze han dato luogo a gravi abusi, perché erano male organizzate. . . Ma il principio a cui erano legate era vero, e dovea conservarsi. La libertà delle professioni di fronte alle maestranze è come la libertà in faccia alle autorità. Quest’ultima è senza dubbio legittima sino a un certo punto; ma ha i suoi limiti, che non deve oltrepassare. Sono gli abusi, e l’egoismo dei capi mastri, che fecero desiderare la libertà delle professioni. Questa aumentò considerabilmente la produzione; migliorò i prodotti sotto molti rapporti, ridusse il lor prezzo troppo elevato, e rese possibile anche alle classi meno agiate la soddisfazione d’un gran numero di bisogni fisici, che prima non potevano appagare. Ma essa pure ha i suoi limiti indispensabili e la sua fissa misura. Se li sorpassa, apporta delle conseguenze non men deplorabili di quelle che avvennero dagli abusi delle maestranze. . . .

I Governi avrebbero dovuto distinguere nelle maestranze l’abuso da ciò ch’era legittimo, e combinare quanto v’era in esse di utile con ciò che v’ha di buono e di giusto nella libertà delle professioni. Ma la vera saggezza par che abbandoni gli Stati moderni. I governanti non sanno altrimenti dirigere i popoli che come la scarpa di ferro dirige il carro sul pendio d’una scoscesa montagna. Eglino si lasciano rimorchiare e trascinare dalle idee moderne e dallo spirito di parte; e la loro principale occupazione è di moderare la rapidità colla quale siam sospinti all’abisso. Per tal guisa eglino non seppero riorganizzare le classi operaie nel senso che abbiamo indicato; e noi corriamo infallibilmente in braccio ad una libertà illimitata delle professioni, con tutte le sue conseguenze, e gli abusi di questa libertà saranno più perniciosi di quelli delle maestranze.

Wilhelm Emmanuel von Ketteler, La questione operaia e il cristianesimo, [1864], in Ketteler e Toniolo: tipologie sociali del movimento cattolico in Europa, a cura di Paolo Pecorari, Roma, Città Nuova, 1977. Traduzione del testo di Ketteler è condotta su quella veneziana del 1870, mentre per i riscontri con il testo tedesco si è tenuta presente la fondamentale raccolta di scritti ketteleriani curata dal Mumbauer (Kempten-Monaco 1911).

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