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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

Traduzione di N. Matteucci, UTET; Torino 1968. Parte II, Cap. 5

 

pdfIn un precedente capitolo ho appurato che gli uomini non possono fare a meno di credenze dogmatiche, ed anzi bisogna augurarsi che ne abbiano. Aggiungo qui che, fra tutte le credenze dogmatiche, le più auspicabili mi sembrano essere quelle religiose: lo si deduce chiaramente proprio quando si vuole fare attenzione ai soli interessi di questo mondo.

Si può dire che non ci sia azione umana, per quanto particolare possa sembrare, che non abbia la sua origine in un’idea generale che gli uomini si sono fatti di Dio, dei suoi rapporti con il genere umano, della natura della loro anima e dei loro doveri verso i loro simili. Non si può impedire che queste idee siano la fonte comune da cui procede tutto il resto.

Gli uomini hanno, dunque, tutto l’interesse a farsi idee ben precise su Dio, sulla loro anima, sui doveri che hanno nei confronti del loro creatore e dei loro simili; giacché il dubbio su questi primi punti lascerebbe tutte le loro azioni in balìa del caso e li condannerebbe, in certo qual modo, al disordine e all’impotenza.

Questo è dunque l’argomento su cui importa di più che ognuno di noi abbia idee ben precise; disgraziatamente però è anche quello su cui è più difficile che uno, abbandonato a sé stesso, e col solo sforzo della sua ragione, arrivi a precisarle. (…)

Il primo scopo delle religioni e uno dei loro principali vantaggi, è di offrire per ognuna di queste questioni primordiali una soluzione netta, precisa, intelligibile per la massa, e, inoltre duratura.

Certo vi sono religioni false e assurde; si può dire tuttavia che ogni religione, che resti nei limiti che ho indicati e non pretenda di uscirne, come molte hanno tentato per andare a frenare da tutti i lati il libero slancio dello spirito umano, impone un giogo salutare all’intelligenza; bisogna riconoscere che, se anche non vale a salvare gli uomini nell’altro mondo, è almeno utilissima alla loro felicità e alla loro grandezza in questo. Ciò è vero soprattutto per gli uomini che vivono nei paesi liberi.

Quando tra un popolo non esiste più religione, il dubbio si impadronisce delle più alte sfere dell’intelligenza e paralizza in gran parte le altre. Ci si abitua ad avere sulle materie che maggiormente interessano noi e i nostri simili, solo idee confuse e mutevoli; si difendono malamente le proprie opinioni o le si abbandona e, siccome si dispera di potere risolvere da soli il maggiore dei problemi che il destino umano presenta, ci si riduce vilmente a non pensarci più.

Uno stato simile non può mancare di infiacchire gli animi; allenta le molle della volontà e prepara i cittadini alla servitù. Così succede che non solo essi si lascino portare via la libertà, ma che spesso la cedano.pdf

Quando non esiste più autorità in fatto di religione, così come in fatto di politica, gli uomini fanno presto a spaventarsi di fronte a questa indipendenza sconfinata. Il mettere continuamente in discussione tutte le cose li preoccupa e li stanca: siccome tutto si muove nel mondo spirituale, vogliono almeno che tutto sia fermo e stabile nell’ordine materiale e, non potendo più ritrovare le loro antiche credenze, si dànno a un padrone.

Dal canto mio, dubito che l’uomo possa mai sopportare contemporaneamente una completa indipendenza religiosa e una totale libertà politica; e sono incline a pensare che, se non ha fede, bisogna che serva e, se è libero, che creda. (…)

 

 

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