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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

  

 

pdfIl recente dibattito, che ha interessato l'intera Europa, sulla necessità o meno di inserire nella Carta fondamentale del vecchio continente un riferimento alle radici cristiane non costituisce una novità nel dibattito politico occidentale. Solo menti sprovvedute o volutamente di parte possono ignorare il contributo dato dalla religione alla affermazione e poi alla formulazione dei diritti inalienabili della persona. Per uscire poi dall'equivoca parola religione, è il caso di affermare che, non solo il cristianesimo in senso generico, ma in particolare lo stesso cattolicesimo hanno contribuito alla codificazione dei diritti fondamentali. Non si dimentichi che, il primo esempio di costituzione scritta del mondo moderno ci viene dalla cattolica Irlanda negli anni sessanta del Seicento. Molti di quei cattolici irlandesi, costretti ad immigrare nei futuri Stati Uniti, dove fonderanno Stati come il Maryland (uno dei primi 13 Stati dell'Unione), avranno nei loro discendenti esponenti che daranno un contributo fondamentale alla stesura della ancora vigente costituzione degli Stati Uniti.

Ciò conferma un incontrovertibile dato di fatto: Malgrado negli ultimi secoli si sia assistito ad un crescente fenomeno di secolarizzazione, non sono pochi i documenti ufficiali e le stesse costituzioni nei quali le problematiche religiose sono state pienamente considerate tanto da costituire i presupposti dei diritti fondamentali per interi popoli. Basterebbe ricordare l'articolo conclusivo della Dichiarazione dei diritti della Virginia che così recita: "La religione e il culto che dobbiamo verso il Creatore e la maniera di assolverlo deve essere guidato unicamente dalla ragione e dalla convinzione, mai dalla forza e dalla violenza, dal che discende che ogni uomo deve godere la più completa libertà di coscienza e la più completa libertà nella forma di culto che la sua coscienza gli detta; e che egli non deve essere punito dal magistrato a meno che, sotto pretesti religiosi, egli non disturbi la pace, la felicità o la sicurezza della società. É un dovere reciproco di tutti i cittadini di praticare la tolleranza cristiana, l'amore e la carità gli uni verso gli altri".

Lo stesso si può dire per la prima esperienza costituzionale dell'Europa continentale: quella del Belgio, costituzione che, al pari di quella statunitense, è tutt'ora vigente e alla quale notevole fu il contributo dato dai cattolici belgi e dalla stessa Santa Sede.

Tutto ciò vale anche per la nostra prima Carta fondamentale che, nel Proclama costituzionale del Re Carlo Alberto che anticipa l'omonimo Statuto, fa all'inizio un chiaro richiamo alla Divina Provvidenza per volontà della quale il re governa, per passare poi al primo articolo ad affermare la precipuità della religione cattolica e nello stesso tempo la tolleranza verso gli altri culti. L'art.1 così recita: "La Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi".

Per arrivare ai nostri giorni, come dimenticare il Preambolo della attuale Legge fondamentale per la Repubblica Federale Germanica che così dice: "Conscio della sua responsabilità davanti a Dio e agli uomini, animato dalla volontà di salvaguardare la sua unità nazionale e statale e di servire la pace nel mondo, quale membro dotato di parità di diritti, in un'Europa unita, il popolo tedesco ( ... ) ha deliberato la presente Legge fondamentale della Repubblica Federale Germanica". Giova forse ricordare che i costituenti tedeschi, sempre nello stesso Preambolo, dicono di agire "anche per quei tedeschi, cui non era dato partecipare", quasi a preconizzare una riunificazione verso coloro che furono costretti a restare "oltre cortina".

Questo rapido itinerario lascia intendere che, oltre al dibattito giuridico, anche quello filosofico politico non ha potuto fare a meno di considerare il ruolo svolto dalla religione nel generare i presupposti delle "moderne libertà". Basti ricordare quello che hanno scritto i più grandi spiriti della modernità. Locke, ad esempio, illustra in modo chiarissimo che, se il lavoro dei politic e dei magistrati non trovasse un terreno fertile nella natura umana e nella coscienza, il loro impegno sarebbe difficile e forse vano. Risulta infatti «evidente che il magistrato comanda la pratica delle virtù, non perché esse sono comportamenti virtuosi e obbligano le coscienze, o perché sono i doveri dell'uomo verso Dio e la via per ottenere il suo perdono e il suo favore, ma perché esse sono vantaggiose ai rapporti dell'uomo con l'uomo». Ad una analisi troppo affrettata tutto ciò apparirebbe come una riduzione della religiosità ad una morale utilitaristica mentre per Locke la religione è molto di più che un semplice presupposto utilitaristico della società. Anche qui le sue parole sono chiarissime: «la credenza in una divinità non deve essere annoverata fra le opinioni puramente speculative, perché è il fondamento di tutta la moralità». Se è vero quindi che Locke propone con forza la realtà di uno Stato laico, con gli ideali di tolleranza propone un effettivo rispetto verso quelle tematiche religiose che costituiscono la premessa della vita civile. Anche questo aspetto mi sembra recuperare uno di quei punti cruciali della tradizione occidentale che rifiutavano compromessi o, comunque, legami troppo stretti tra politica e religione perché finivano per dare alla politica quelle pretese di perfezione che la seconda, quando rimaneva nei suoi autentici insegnamenti, collocava in una dimensione ultraterrena. In tale prospettiva la religione, rifiutando tutte le tentazioni utopistiche, finiva per essere un costante elemento critico e, quindi, liberale, della politica stessa. Per questo vi deve essere tolleranza. L'adesione ad un credo religioso è frutto di un'adesione intima e spontanea. «La cura delle anime non può appartenere al magistrato civile, perché tutto il suo potere consiste nella costrizione. Ma la religione vera e salutare consiste nella fede interna dell'anima, senza la quale nulla ha valore presso Dio. La natura dell'intelligenza umana è tale che non può essere costretta da nessuna forza esterna». Si capisce ora perché Locke rifiutasse comunque posizioni ateistiche perché, al pani di altri liberali come Constant e Tocqueville, reputava la religione non solo il fondamento, ma anche un baluardo per la difesa della libertà.

Sulla stessa lunghezza d'onda si pone Vico. Proprio il filosofo napoletano, come evidenziano assai bene gli scritti giuridici, coglie lo strettissimo legame tra moralità e religione entrambe fonte di libertà e di responsabilità. Si badi bene però che non si tratta di una religiosità astratta partorita dalla mente dei filosofi. Per Vico la religione si tramuta in vita pratica, per questo è strettamente legata alla morale. Per questo critica alcune impostazioni giuridiche del suo tempo. Perché il diritto, senza fondamenti religiosi e quindi morali, diventa puro e semplice utilitarismo nel quale cadono non solo alcuni teorici della ragion di Stato, come Machiavelli, Hobbes ed altri, ma anche gli stessi Grozio e Pufendorf. Del resto le civiltà e le repubbliche sono state messe in piedi e tenute dalla religione e dalla morale e non certo dalla filosofia che, seppure è riuscita a fare grandi congetture, non è mai riuscita ad edificare una polis e neppure a tenerla in vita. Ha fatto più il mos maiorum per la Repubblica romana che gli scritti di Platone per la polis greca. Come dimenticare poi Montesquieu? A parere del francese la finezza degli animi umani dipende anche dal modo come essi sono stati educati e dalla religiosità che manifestano perché è proprio nelle coscienze che si manifesta tale religiosità. Ora la religione, come mostrerà assai chiaramente Lord Acton, pur avendo manifestato a volte il contrario, è il fondamento della coscienza e della libertà. Chi non la pensasse così, oltre a raccogliere ed enumerare quello che di male ha fatto la religione nella sua lunga storia, dovrebbe altrettanto onestamente enumerare quello che di bene ha fatto; anche se è utile che le leggi esigano che le religioni non rechino turbamenti di alcun tipo allo Stato. Questo è possibile qualora le leggi divine ed umane si limitino reciprocamente non invadendo l'una il campo dell'altra.

In questa breve panoramica merita un posto anche Tocqueville. A suo parere soprattutto in America si sintetizzavano due elementi che l'Europa moderna aveva finito per mettere in contrasto: spirito di religione e spirito di libertà. La religione, liberata dalle strettezze della politica, sente di essere tanto più stabile quando può contare sulle sue sole forze. La libertà finisce così per vedere nella religione la compagna di tutte le sue lotte e dei suoi trionfi nonché la fonte divina di tutti i suoi diritti. Questo rapporto tra religione e libertà è cruciale perché, nelle democrazie, si finisce per amare l'eguaglianza senza misura: a tratti nei confronti della libertà si può anche essere rassegnati a subire sconfitte, mentre si preferisce morire pur di perdere l'eguaglianza. Lo spirito religioso rende così un grande servizio alla causa democratica. Tutte le confessioni religiose sostengono le istituzioni democratiche. Gli stessi cattolici, sostiene ammirato Tocqueville, sono in continuo aumento negli Stati Uniti perché riescono a essere i fedeli più sottomessi e i cittadini più indipendenti. Va però detto che, pur nella diversità di religione, ogni confessione si ritrova nella grande unità cristiana, la morale del Cristianesimo è ovunque la stessa.

All'inizio accennavano però come queste idee abbiano dovuto farsi strada tra un crescente spirito di secolarizzazione che ha cercato di chiudere sempre più la religione nell'ambito privatistico o, peggio ancora, di combatterla per farla sparire. Oltre alle dichiarazioni delle costituzioni prima riportate ve ne sono perciò altre che volutamente non fanno alcun richiamo ai valori religiosi o a religioni particolari. L'attuale Costituzione francese ricorda esplicitamente che “la Francia è una Repubblica indivisibile, laica, democratica e sociale". Lo stesso possiamo dire della Costituzione italiana che definisce "l'Italia una repubblica democratica, fondata sul lavoro". Certo, un articolo di questo genere fu frutto delpdf compromesso espresso dalle diverse forze della costituente. I cattolici abdicarono alle loro posizioni di principio per garantire alla religione, tramite il Concordato, la possibilità di esprimersi liberamente nella vita sociale dal mondo dell'educazione a quello dell'assistenza. Forse il vero problema attuale sta proprio qui. Importante non è che esistano solo dichiarazioni di principio che poi, se disattese, restano lettera morta. Importante è che, nei fatti, alla religione vengano garantiti tutti quei diritti che essa, in modo precipuo, ha contribuito a sviluppare e anche a fare affermare. 

 

 

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