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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

 

 

Sempre più spesso i giornali ci riferiscono di sbarchi di navi cariche di clandestini sulle nostre coste, di persone disperatepdf che affrontano un viaggio nel quale rischiano la vita ed hanno investito tutti i loro averi, in balia di veri “trafficanti di esseri umani”. Molti di loro non sono semplici migranti economici, ma rifugiati, che hanno dovuto lasciare la loro terra, la loro casa per fuggire gravi pericoli, quali persecuzioni, violazioni dei diritti umani, situazioni di emergenze umanitarie, e sperano di potere tornare un giorno nelle loro case, vicino ai loro cari. Spesso temiamo che siano tanti, troppi perché il nostro Paese possa accoglierli. Ma in realtà in Italia i richiedenti asilo nell’anno 2003 sono stati 13.455 contro i 94.000 del Regno Unito, i 106.194 della Francia e i 67.848 della Germania1. Il fenomeno dei rifugiati non è legato solo al nostro secolo, ma ha sempre fatto parte della storia. Oggi, i rifugiati sono tutelati dal diritto internazionale, in particolare dalla Convenzione di Ginevra del 1951. Ma, oltre le leggi e le Convenzioni, occorre anche scorgere dietro lo straniero sbarcato, la Persona, nei cui confronti paura e sospetto vanno superati ed in cui la comunità cristiana deve saper vedere il volto del Redentore2. In Europa, fino alla metà degli anni Ottanta, i rifugiati hanno ricevuto una buona accoglienza, e, solo negli anni Ottanta e Novanta, si è affermata una tendenza restrittiva. Con il Trattato di Amsterdam del 1997, la competenza in materia di asilo ed immigrazione è diventata comunitaria. In Italia, unico Paese in Europa, non esiste una legge organica che regolamenti il diritto di asilo. L’ultimo disegno di legge che sembrava avere qualche chance di venire approvato è naufragato nel dicembre 2004. Forse la prossima legislatura approverà finalmente una tanto attesa legge sul diritto di asilo. Invece, il regolamento di attuazione della Legge Bossi-Fini riguardante il diritto di asilo è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 23 dicembre scorso. Nel frattempo, i richiedenti asilo in Italia, che non possono lavorare e devono attendere lunghi mesi prima che venga deciso il loro status, versano in gravi condizioni.

Il problema dei rifugiati e la loro tutela internazionale

Fino al finire degli anni Settanta, circa, prevalse il sistema di tutela dei rifugiati istituito dopo la Seconda Guerra Mondiale. L’accesso alla protezione era possibile soltanto dopo l’attraversamento delle frontiere nazionali, ed in genere non sussistevano ostacoli come visti di ingresso o sanzioni ai vettori per raggiungere il Paese di accoglienza. Nel Paese di asilo, era possibile presentare immediatamente domanda di asilo, ed era anche possibile chiedere successivamente asilo in un altro Paese europeo3. In Europa, i richiedenti asilo erano considerati alla stregua di futuri rifugiati e ottenevano una serie di agevolazioni, con un primo programma di integrazione. Anche quando accedevano ad un altro status, nel caso non rientrassero nelle condizioni stabilite dalla Conven-zione di Ginevra, la protezione del rifugiato non cambiava molto. A fine anni Ottanta, il numero dei possibili richiedenti asilo crebbe molto. I conflitti etnici provocarono un grande movimento di rifugiati in Europa; i paesi di accoglienza risposero con una maggiore tendenza protezionistica, e con l’introduzione di misure di controllo dei richiedenti asilo al loro arrivo e per il loro accoglimento. Nel decennio successivo si è affermata una tendenza decisamente restrittiva del diritto di asilo, con l’adozione di misure volte a ridurre il numero di richiedenti asilo e rifugiati.

Risulta spesso difficile discernere tra immigrati volontari ed immigrati non volontari, tra lavoratori immigrati, casi di ricongiungimento familiare, e i rifugiati, che costituiscono una categoria speciale di immigrati, particolarmente fragili e bisognosi di tutela.

La protezione dei rifugiati, oltre che dalle convenzioni di tutela dei diritti umani è garantita dalla Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati e dal protocollo del 1967 aggiuntivo alla Convenzione. La Convenzione regola lo status dei rifugiati, prevede determinati diritti in loro favore, e in particolare la garanzia di non essere costretti a tornare in un Paese nel quale rischiano la persecuzione. Di particolare importanza sono la definizione del termine di rifugiato e il divieto di espulsione o respingimento (principio di non - refoulement) del rifugiato in un Paese dove rischia la persecuzione. Con il Protocollo aggiuntivo del 1967, venne eliminato il limite temporale che restringeva la tutela ai rifugiati divenuti tali “a seguito di avvenimenti verificatisi prima del 1° gennaio 1951”, ma all’atto di adesione gli Stati ebbero la facoltà di dichiarare che i loro obblighi erano limitati ai rifugiati vittime di eventi avvenuti in Europa. L’Italia fu uno degli Stati che si avvallarono della c.d. riserva geografica, che limitava l’applicazione della Convenzione di Ginevra ai rifugiati europei, e demandava all’UNHCR (Alto Commissariato ONU per i rifugiati)4 la tutela e l’assistenza economica dei rifugiati extraeuropei, con la conseguente diversità di trattamento giuridico e materiale in funzione della provenienza geografica dei richiedenti asilo.

La definizione di rifugiato più largamente accolta, anche se non esaustiva, è enunciata nella Convenzione di Ginevra del 1951 che definisce, all’art.1, rifugiato “[chiunque]…avendo fondato timore di persecuzione per motivi di razza, di religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale od opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese; oppure che non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori dal Paese in cui risiedeva abitualmente…, non può o non vuole tornarvi a causa di tale timore…”

Questa definizione viene interpretata in modo estensivo da gran parte degli Stati al fine di poter tutelare persone fuggite dai loro Paesi a causa di conflitti armati, violenza generalizzata, aggressioni esterne, o altre situazioni che richiedono la protezione internazionale. In effetti, la Convenzione di Ginevra è nata dopo la seconda guerra mondiale, e i suoi redattori avevano in mente determinate violazioni dei diritti umani, compiute in modo organizzato, da strutture statali; oggi le situazioni di emergenza che si presentano sono cambiate, e molti auspicano una rivisitazione della Convenzione di Ginevra. Soprattutto la suddetta definizione di rifugiato merita di essere aggiornata.

Oltre ai problemi dei rifugiati, persone che necessariamente varcano una frontiera per cercare asilo in un altro Paese, si fa sempre più pressante il problema degli sfollati, esuli che rimangono nel proprio Paese. Negli anni ’90 la questione degli sfollati ha assunto dimensioni preoccupanti, all’indomani dei nuovi conflitti interni in Africa, in Asia, e in Europa, in particolare nell’ex Jugoslavia.

Negli anni ‘50, quando fu creato il regime giuridico e istituzionale di protezione dei rifugiati, gli sfollati non furono compresi, perché di competenza dello stato interessato, sulla base del tradizionale principio di sovranità nazionale. Di conseguenza, la comunità internazionale ha dato una risposta incoerente alla questione degli esodi interni di popolazione e grandi masse di sfollati non hanno potuto beneficiare di un’adeguata protezione e assistenza.

La definizione della Convenzione di Ginevra tutela la persona che fugge da una persecuzione ma non da un conflitto generalizzato. Al riguardo, uno sforzo interessante è stato svolto dall’OUA (Organizzazione dell’Unità Africana)5 che nel 1969 ha adottato la “Convenzione che disciplina determinati aspetti del problema dei rifugiati in Africa”, nel contesto dei movimenti forzati che hanno accompagnato il processo di decolonizzazione. Essa amplia la definizione di rifugiato della Convenzione di Ginevra e racchiude altre importanti disposizioni riguardo il divieto di respingimento alla frontiera, l’asilo, l’ubicazione degli insediamenti di rifugiati, il divieto per i rifugiati di svolgere attività sovversive, ed il rimpatrio volontario6.

L’applicazione della Convenzione OUA, è limitata agli Stati africani, con il risultato che un rifugiato in un paese africano potrebbe non esserlo in un Paese che fa riferimento al “fondato timore di persecuzione” contenuto nella definizione della Convenzione di Ginevra7.

Ad ogni modo, la maggior parte dei Paesi europei ha affiancato allo status di rifugiato una varietà di status umanitari, diversamente denominati, con l’obiettivo di estendere un certo livello di protezione a persone considerate non coperte dalla Convenzione di Ginevra.

Anche il degrado ambientale e le catastrofi naturali provocano dei migranti forzati, che, a differenza dei rifugiati, non fuggono guerre, persecuzioni o violazioni dei diritti umani, ma, come i rifugiati, non possono rimanere nelle loro comunità perché non più vivibili. Gran parte degli immigrati ambientali non escono dal territorio dello Stato di appartenenza, stabilizzandosi temporaneamente in aree sicure, nell’attesa di ritornare nella loro terra di origine. Altri cercano una nuova sistemazione definitiva. Ad ogni modo sono molti a cercare comunque rifugio in un altro Stato.

L’asilo in Europa

Dagli anni Novanta molti Paesi europei hanno regolamentato il diritto di asilo, tenendo conto dei problemi legati all’ingresso ed al soggiorno dei richiedenti asilo. Il diritto di asilo in Europa attende una vera formulazione comune, che il Trattato di Amsterdam aveva programmato per il 2004, benché sia difficile trattare su scala comunitaria un argomento che vede nei Paesi membri sensibili differenze giuridiche sulla sua interpretazione e sui criteri che danno diritto allo status di rifugiato. Oggi l’integrazione dei rifugiati è obbiettivamente più difficile.

Molte persone vittime di guerre civili, negli anni Novanta, ma che non hanno subito persecuzioni personali, non hanno potuto godere della protezione presente negli strumenti di armonizzazione europea e nella Convenzione di Ginevra. Si è così creata una categoria di persone che non ottengono lo status di rifugiati, ma che non possono nemmeno essere espulse, persone che non possono provare l’esistenza di minacce personale nei loro confronti, essendo vittime di un pericolo generato non dallo Stato di provenienza, ma da una parte della società civile. E’ così comparsa la figura dei rifugiati umanitari, con soggiorno temporaneo, beneficiari di un asilo territoriale a discrezione dello Stato di accoglienza, oggetti di provvedimenti caratterizzati da provvisorietà e discrezionalità.

Da oltre dieci anni si è assistito ad un processo, piuttosto complesso, di comunitarizzazione delle politiche migratorie nei Paesi dell’Unione europea8. L’istituzione delle prime Comunità europee9 portò alla realizzazione di un grande “mercato comune”; l’Atto Unico Europeo del 1986, prevedeva la realizzazione del “mercato unico” entro il 31 dicembre 1992 e la libera circolazione di beni, persone, sevizi, capitali e nuove politiche comuni orientate alla coesione economica. L’Accordo di Schengen, prima sottoscritto da Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo nel 1985, vide poi l’adesione degli altri Paesi dell’Unione (l’Italia nel 1990) ad eccezione di Regno Unito ed Irlanda. Esso intendeva rafforzare i controlli alle frontiere esterne, per consentire la libera circolazione delle merci all’interno degli Stati partecipanti, prevedeva una maggiore collaborazione di polizia e cooperazione giudiziaria e una politica comune in materia di visti. Dopo il primo accordo del 1985, è stata elaborata una convenzione, firmata il 19 gennaio 1990, ed entrata in vigore nel 1995, che consentì l’abolizione delle frontiere interne tra gli Stati firmatari e la creazione di una frontiera esterna unica lungo la quale i controlli all’ingresso dello Spazio Schengen avvengono secondo identiche procedure. Furono adottate norme comuni in materia di visti, diritto d’asilo e controllo alle frontiere esterne10.

Nel 1990 fu firmata la Convenzione di Dublino, entrata in vigore il 1° settembre 1997 (ma già applicata precedentemente), che fissava i criteri comuni per la determinazione dello Stato competente per l'esame della domanda di asilo e definiva le norme sulla responsabilità delle domande di asilo. Il cosiddetto “regolamento Dublino II” è stato adottato nel mese di febbraio 200311 e sostituisce la precedente Convenzione di Dublino. Con l’entrata in vigore del regolamento, le regole fissate per la determinazione dello Stato competente per istruire la domanda di asilo fanno parte integrante della legislazione comunitaria.

Il Trattato di Amsterdam del 1997, in vigore dal 1° maggio 1999, prevedeva l’impegno degli Stati membri ad elaborare entro cinque anni una politica comune in materia di asilo e immigrazione, e stabiliva per la prima volta la competenza della Comunità Europea in materia.

La “comunitarizzazione” della politica di asilo e immigrazione dopo il Trattato di Amsterdam rimaneva imperfetta. Il Consiglio europeo di Tampere del mese di ottobre 1999, determinò per la prima volta le basi di una politica comune dell’Ue in materia di immigrazione che considera “gli aspetti separati, ma strettamente connessi, dell’asilo e della migrazione”. Gli orientamenti politici sono stati definiti in occasione del suddetto Consiglio di Tampere. I punti cardini sono: il partenariato con i paesi d’origine; l’instaurazione di un regime europeo comune in materia di asilo; la garanzia di un equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente nel territorio degli Stati membri; la gestione dei flussi migratori.

Dopo il periodo transitorio di passaggio dalla fase intergovernativa a quella comunitaria di cinque anni, previsto dal Trattato di Amsterdam, in cui le decisioni dovevano essere prese all’unanimità degli Stati membri, il 1° maggio 2004, data in cui scadeva il termine per l’adozione di misure legislative in materia di asilo previste dal Trattato, ha preso il via la seconda fase del processo di armonizzazione. Nella nuova Unione europea a 25 le decisioni in materia di asilo dovranno essere adottate a maggioranza e con la procedura di codecisione.

Nel mese di dicembre 2000, in occasione del vertice di Nizza, fu proclamata la Carta Fondamentale dei diritti dell’Unione europea. Essa tutela espressamente il diritto di asilo, vieta le espulsioni collettive e l’estradizione verso uno Stato in cui esiste un serio rischio di essere sottoposti alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti. La Carta di Nizza è stata trasfusa nella nuova Costituzione europea sottoscritta dagli Stati membri il 29 ottobre 2004 e in corso di ratifica.

Negli ultimi anni il Consiglio europeo ha adottato diversi provvedimenti riguardanti i rifugiati e i richiedenti asilo. Solo la Danimarca e l’Irlanda, in alcuni casi, non si sono vincolati alla normativa in questione. Una direttiva del mese di luglio 2001 ha fissato le norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di rifugiati e sfollati12, che è stata recepita in Italia con decreto legislativo nell’aprile 2003. La direttiva che definisce le norme minime di accoglienza che gli Stati membri devono rispettare per i richiedenti asilo sul loro territorio è stata approvata il 27 gennaio 200313; dovrà essere recepita dai Paesi membri entro il 6 febbraio 2005 (ad eccezione di Danimarca e Irlanda).

Il Consiglio Giustizia e Affari Interni (GAI) del 29 – 30 aprile 2004 è giunto ad un accordo sugli standard minimi comuni nelle procedure per la concessione del diritto di asilo14. La direttiva dovrà definire le norme minime per le procedure di riconoscimento e di revoca dello status di rifugiato nei singoli Paesi, e, in particolare, l’accesso alla procedura, l’esame della domanda, l’assistenza di un interprete, di un legale e dell’UNHCR, le garanzie per i minori non accompagnati, il possibile trattenimento e le modalità di ricorso avverso la decisione. Il Consiglio GAI, in quell’occasione, ha anche formalmente adottato la direttiva sull’attribuzione della qualifica di rifugiato o di persona bisognosa di una forma sussidiaria di protezione umanitaria; essa stabilisce dei criteri - basati sulla Convenzione di Ginevra e altri strumenti internazionali e regionali per la difesa dei diritti umani - per concedere o fare cessare lo status di rifugiato e di persona beneficiaria di protezione sussidiaria, ed ha fissato degli standard minimi rispetto a queste due forme di tutela internazionale. Si è così conclusa la prima fase del processo di armonizzazione come prevista dal Consiglio europeo di Tampere del 199915.

E’ stata molto criticata dalle associazioni di tutela dei rifugiati, in particolare dall’UNHCR, la previsione adottata in occasione del suddetto Consiglio GAI, che i Paesi europei si accordino su una lista di Stati terzi di origine “sicuri”. I rifugiati provenienti da tali paesi non potranno chiedere asilo se non in casi del tutto eccezionali. E’ stata soprattutto criticata la previsione di parametri europei per consentire ai Governi di fissare una lista di Paesi di transito “sicuri”, nei quali i rifugiati possono essere rinviati se vi erano transitati prima di entrare in Europa, perché questo potrebbe esporre i rifugiati al rischio di possibili allontanamenti forzati a catena da uno Stato europeo attraverso una serie di altri Stati e anche fino a quello di origine16.

Il Consiglio europeo di Bruxelles del 4 - 5 novembre 2004, ha stabilito che, nella seconda fase di sviluppo di una politica comune di asilo e immigrazione occorre adottare una procedura di asilo comune ed uno status comune per i rifugiati e le persone che godono di una forma sussidiaria di protezione umanitaria. Ha anche chiesto che la direttiva sulla procedura di asilo fosse adottata il prima possibile, e che gli Stati membri concludessero la prima fase al più presto. Il 2010 dovrebbe essere l’anno in cui l’Europa avrà effettivamente adottato gli strumenti e le misure necessari ad una politica comune di asilo ed immigrazione, e il 1° maggio 2005 dovrebbe vedere il passaggio alla decisione a maggioranza in materia. Il Consiglio ha anche adottato il “Programma dell’Aja”, che fissa gli obbiettivi dei prossimi cinque anni, nella prosecuzione del programma stabilito a Tampere nel 199917.

Alcuni lamentano che la Commissione e il Consiglio, dal 2001, tendono a privilegiare la lotta all’immigrazione illegale, con un sostanziale rallentamento del processo di armonizzazione in materia di asilo e immigrazione, tradendo in parte lo spirito e la lettera delle conclusioni del Consiglio di Tampere. Sono preoccupati dalla pratica della detenzione dei richiedenti asilo in molti Paesi europei, senza la garanzia di condizioni dignitose, ed evidenziano che altri Paesi, sebbene non ricorrano alla detenzione, offrono condizioni di vita ai richiedenti asilo al di sotto degli standard minimi sanciti dalle direttive18.

Il diritto di asilo in Italia

In Italia, fino al 1990, quando entrò in vigore la legge Martelli (L.n.39/1990), vigeva la cosiddetta “limitazione geografica”, con la conseguenza che esistevano due categorie di rifugiati: i rifugiati riconosciuti, che godevano del diritto al soggiorno, al lavoro, all’assistenza (come i cittadini italiani), ricevevano un documento di viaggio, e potevano scegliere se emigrare o rimanere nel Paese; i rifugiati non riconosciuti, sotto Mandato dell’UNHCR, anch’essi assistiti in campi come i rifugiati riconosciuti, ma senza il diritto di lavorare, ottenevano un titolo di viaggio per stranieri per poter emigrare in un altro Paese. In realtà, fino alla fine degli anni ’80, l’Italia è stata prevalentemente un paese di transito e non un Paese di asilo permanente.

Con l’emanazione della Legge Martelli, l’Italia ha ritirato la “limitazione geografica” e molti rifugiati sotto Mandato hanno potuto convertire il loro status in quello di rifugiato sotto la Convenzione di Ginevra, acquisendo in tal modo la piena protezione del Governo italiano. Negli anni Novanta, l’Europa ha visto un significativo incremento di richiedenti asilo, che ha interessato anche l’Italia, pur in misura molto contenuta rispetto agli altri Paesi europei.

Oggi, la materia dell’asilo è tuttora regolamentata dalla Legge Martelli - che ha introdotto norme procedurali senza entrare nei dettagli del meccanismo e che non regolamenta esplicitamente i diritti dei rifugiati in seguito al riconoscimento dello status - e da un decreto sulla procedura19. In effetti, questa legge disciplina la materia degli immigrati e dei richiedenti asilo, situazioni in realtà diverse, e dedica solo il primo articolo al tema dei rifugiati, in attesa di una legge organica sul diritto di asilo che regolamenti meglio la procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato, l’assistenza ai richiedenti asilo e agli stessi rifugiati, e che definisca la figura del rifugiato. La Legge Martelli fa riferimento alla definizione di rifugiato adottata dalla Convenzione di Ginevra, che non corrisponde al concetto costituzionale di rifugiato. In effetti, la Costituzione italiana del 1948 prevede espressamente il diritto di asilo. L’art.10 comma 3 della Costituzione sancisce che “lo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l'effettivo esercizio delle libertà garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Il riferimento alle condizioni stabilite dalla legge è comprensivo delle norme della Convenzione di Ginevra del '51, di cui l'Italia è firmataria, e in generale dell'adesione alle norme e alle convenzioni internazionali20, ma essa è più ampia. Per godere della tutela della Convenzione di Ginevra, lo straniero deve temere a ragione di essere perseguitato nel suo Paese di origine per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, e deve a) trovarsi fuori del proprio paese di origine o di residenza se privo di cittadinanza; b) non potere o non voler avvalersi della protezione delle autorità del suo Paese; c) avere ragionevole timore di persecuzione, insorta prima o dopo la partenza per i suddetti motivi. Secondo la Costituzione italiana, invece, lo straniero deve vedersi impedire nel suo Paese l’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione. Il concetto costituzionale di asilo politico è più ampio, e non richiede il requisito della persecuzione in concreto.

Il dettato costituzionale, che implica l’adozione di una legge sull’asilo, non è mai stato attuato e, benché nel corso degli anni siano stati presentati diversi disegni di legge in Parlamento, una legge organica che regolamenti la materia deve ancora essere approvata. Nel frattempo, la giurisprudenza, in un primo tempo contraria, ha poi riconosciuto la natura direttamente precettiva e perciò direttamente applicabile dell’art. 10 comma 3 della Costituzione. Nel 1997 la Corte di Cassazione21, ha riconosciuto che la Costituzione attribuisce direttamente un vero diritto soggettivo all’ottenimento dell’asilo allo straniero che si trovi nella situazione descritta, anche senza una legge che ne specifichi condizioni di esercizio e modalità di godimento. Però, in mancanza di una legge di attuazione del dettato costituzionale, viene garantito soltanto l’ingresso nello Stato e null’altro.

Nel 1998 la Legge Turco-Napolitano22 modificò la disciplina dell’immigrazione, ma una legge sull’asilo non fu mai adottata. La Legge Bossi-Fini23, regolamenta la materia dell’asilo con due soli articoli24, nell’attesa di una più organica legislazione in materia, prestando sopratutto attenzione agli abusi e agli usi strumentali del diritti di asilo. Essa introduce alcune modifiche restrittive dell’art.1 della legge Martelli, in particolare: il trattenimento forzato di tutti i richiedenti asilo in appositi centri fino alla conclusione del procedimento; il ricorso avverso il diniego della Commissione centrale di concedere lo status di rifugiato non sospende l’esecuzione dell’espulsione: il richiedente asilo dovrebbe presentare il ricorso dopo avere lasciato il territorio nazionale, il che rende alquanto difficile un effettivo esercizio del ricorso. Essa prevede anche l’istituzione di Commissioni territoriali in sostituzione della Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato che viene trasformata in Commissione nazionale per il diritto di asilo con compiti di formazione e aggiornamento dei componenti delle Commissioni, di indirizzo e coordinamento, di raccolta di dati statistici, e con poteri decisionali in tema di revoche e cessazione degli status concessi. I due articoli verranno applicati con l’entrata in vigore del Regolamento di attuazione “relativo alle procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato”25 nel 2005.

Dovrebbero entrare in funzione, probabilmente prima dell’estate 2005, le Commissioni Territoriali per il Riconoscimento dello Status di Rifugiato. Non è invece chiaro quando verranno avviati i Centri di Identificazione previsti dalla legge, e dove verranno realizzati. Alcune organizzazioni temono che verranno utilizzati spazi interni ai centri di permanenza temporanea. Rimane immediatamente esecutivo il diniego dello status di rifugiato: è così negato l’effetto sospensivo della decisione e della conseguente espulsione durante il ricorso avverso la decisione, precludendo una reale possibilità di ricorso allorché, nell’Unione europea, la percentuale di rifugiati che ottiene il riconoscimento dello status di rifugiato in seconda istanza oscilla tra il 30 % e il 60 %.

Nel luglio 2004 sembrava che la tanto attesa legge sull’asilo politico fosse vicina all’approvazione. Si sperava che sarebbe finalmente stato attuato il diritto di asilo costituzionale. Un disegno di legge “bipartisan”, di iniziativa di un parlamentare della maggioranza e con relatore un parlamentare dell’opposizione, veniva sottoposto all’esame dell’Assemblea parlamentare il 12 luglio. Il testo unificava sei testi di diversi gruppi parlamentari26. Alcuni elementi della proposta di legge approvata in Commissione venivano accolti con favore da molte organizzazioni, in particolare: la definizione di persona avente diritto di asilo; il decentramento della procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato; le norme sul ricongiungimento famigliare; il diritto al lavoro per il richiedente asilo, anche se solo dopo un termine di sei mesi. Destavano invece perplessità alcuni elementi riguardanti le garanzie procedurali. In particolare: che i richiedenti asilo privi di passaporto, visto o di altri requisiti per l’ingresso regolare – situazione nella quale versa la stragrande maggioranza dei rifugiati, per ovvi motivi pur presentando spontaneamente la richiesta di asilo alle autorità competenti, vengano trattenuti in centri speciali e sottoposti ad una procedura semplificata con un minor livello di garanzie procedurali rispetto alla procedura ordinaria; l’immediato allontanamento dello straniero dal territorio nazionale senza che il ricorso avverso il diniego di concessione dello status di rifugiato innanzi l’autorità giudiziaria competente abbia effetto sospensivo dell’espulsione (la decisione dovrebbe ad ogni modo arrivare in termini brevi), con potenziali gravi rischi per l’incolumità e la vita della persona. Esse auspicavano che, per le misure di assistenza ed accoglienza, il testo recepisse adeguatamente la Direttiva dell’Unione europea sulle condizioni minime di accoglienza27.

Purtroppo, sono sorte nuove difficoltà e il disegno di legge si è fermato. Nel mese di dicembre 2004 il relatore della legge in discussione alla Camera si è dimesso dall'incarico, dopo gli emendamenti presentati da alcune forze politiche che stravolgevano il testo unico condordato da maggioranza e opposizione. Oggetto di contesa sono stati in particolare le modifiche volte a tutelare la libertà del richiedente asilo, ed a sospendere l’espulsione dei richiedenti asilo in attesa di ricorso28. Ormai sarà sicuramente difficile che questa legislatura riesca a varare una legge organica sul diritto di asilo.

La condizione dei richiedenti asilo in Italia

Molti richiedenti asilo arrivano in Italia via mare, sulle coste meridionali, dopo un lungo viaggio che comporta anche varie soste in paesi di confine, per lavorare, al fine di procurarsi il denaro necessario per la traversata e prima di avere l’opportunità di partire. In questi paesi il rifugiato subisce solitamente soprusi, si trova ai margini della società, senza nessun status legale, lavorando nell’attesa di partire per l’Europa, l’ultima tratta, ma anche la più difficile del viaggio. Spesso sono diretti non in Italia, ma verso un altro Paese dell’Unione europea, dove hanno familiari o connazionali radicati da più tempo sul territorio. Molti di loro passano le loro prime notti all’aperto, in stazioni, in strada o in qualche parco. Altri sono trattenuti nei centri di accoglienza, in attesa dell’espletamento della procedura, la cui denominazione è variabile, ma in molti casi si tratta di veri Centri di Permanenza Temporanea o, ad ogni modo, di centri “chiusi” controllati dalle forze dell’ordine. Qualcuno viene aiutato da connazionali o conoscenti, o trova riparo nei centri di accoglienza del privato sociale.

Manca, come già detto, una normativa ad hoc che regolamenti tutti gli aspetti del percorso del richiedente asilo, comprese le difficoltà di soddisfare i bisogni primari all’arrivo e di chiedere protezione con la presentazione della domanda di asilo. Finora, il richiedente asilo poteva chiedere che gli venisse concesso un contributo di 17 Euro (34.000 Lire) giornalieri per una durata di 45 giorni, allorché il permesso di soggiorno viene in genere rilasciato dopo circa cinque mesi, e la fase di richiedente asilo (che precede la decisione della Commissione per il diritto di asilo sull’accoglimento o il rigetto della domanda di asilo) può durare anche un anno e mezzo, senza che il richiedente asilo abbia il diritto di lavorare. Una delle proposte importanti del disegno di legge in discussione in Parlamento è proprio il diritto di lavorare per i richiedenti asilo che siano ancora in attesa della decisione sul loro status dopo sei mesi.

Le condizioni di accoglienza e assistenza sono piuttosto carenti e spesso spingono il richiedente asilo sulla strada del lavoro in nero, senza il quale o, a volte, anche nonostante il quale, egli entra in un circuito di povertà ed emarginazione sociale, diventando senza fissa dimora, ospite di mense e dormitori, lavavetri, raccoglitore di pomodori29.

Per fare fronte a questa situazione è nato il Piano Nazionale Asilo (PNA)30, un programma di rete territoriale di accoglienza in più di 150 comuni su tutto il territorio nazionale, che ha fornito ai richiedenti asilo vitto ed alloggio, informazione, assistenza sulla procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato, e la realizzazione di attività di accompagnamento sociale. La legge Bossi - Fini ha recepito tale esperienza con l’istituzione del Sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati, ed ha istituito il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo.

Nel 2001 è nato il progetto INTEG.RA (Integrazione richiedenti Asilo), che si inserisce nell’ambito dell’iniziativa comunitaria EQUAL, finanziata dal Fondo Sociale Europeo ed è gestita in Italia dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali31, e che prevede progetti locali di accompagnamento all’autonomia lavorativa, abitativa e sociale di richiedenti asilo e rifugiati in otto comuni. Esso ha come obbiettivo principale l’integrazione socio-lavorativa e socio-abitativa dei richiedenti asilo e rifugiati, e vuole dare una risposta ai loro problemi principali con l’impegno dei Comuni a fare nascere un sistema di accompagnamento e l’individuazione di un percorso all’autonomia.

Benché esista, come abbiamo visto, un regime di assistenza in denaro con un contributo per 45 giorni ed un sistema di accoglienza attraverso piccoli e medi Centri sul territorio, molti richiedenti asilo versano in gravi difficoltà, perché il numero di posti disponibili è di gran lunga inferiore ai posti necessari32, e molti di loro non trovano posto nei Centri di accoglienza, o trovano posto per un periodo limitato. Questa situazione ha anche comportato a volte l’impossibilità per le Questure di notificare la convocazione per il colloquio con la Commissione centrale. Il richiedente asilo che non aveva ricevuto la convocazione non si presentava per il colloquio, e la domanda veniva respinta.

Conclusione

La Santa Sede, nel documento “I rifugiati: una sfida alla solidarietà”33, indica la via per una soluzione e scelte pratiche per la comunità internazionale e per la Chiesa locale. Il dramma dei rifugiati, riguarda non solo persone oggetto di persecuzioni e tutelate dalla Convenzione di Ginevra, ma anche molte altre persone i cui diritti umani non sono adeguatamente tutelati, come le vittime di conflitti armati, di politiche economiche sbagliate o di disastri naturali, che vanno considerate rifugiati de facto, perché la loro migrazione è involontaria; anche i profughi che non escono dai confini nazionali, per motivi umanitari, andrebbero equiparati ai rifugiati riconosciuti dalla Convenzione di Ginevra. Benché sia sempre esistito nel corso della storia, il dramma dell’esilio forzato continua a crescere nel mondo. Il problema andrebbe affrontato partendo dalle cause dell’esilio; il primo punto di riferimento deve essere la persona umana. Alcuni paesi dimostrano una tendenza a ridurre gli ingressi e a scoraggiare le richieste di asilo; il diritto di asilo, proclamato dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dovrebbe invece essere riconosciuto ovunque e non ostacolato. Il rifugiato è un soggetto di diritti e doveri, che ogni paese ha la responsabilità di rispettare e di fare rispettare come quelli dei suoi cittadini; la sua protezione non è una concessione: la persona in pericolo ha diritto alla protezione. La volontà di aiutare i rifugiati a volte si scontra con la paura di un loro numero eccessivo e del confronto con altre culture, invece di vedere in loro uno stimolo a camminare insieme in un processo di formazione di un popolo che celebra la sua unità nella diversità. La mancata risposta al problema dei rifugiati dimostra lapdf noncuranza di diritti individuali e sociali, definiti una conquista del nostro tempo. La Chiesa locale deve offrire assistenza e accoglienza ai rifugiati, assistenza che offre prospettive e nuove possibilità anche all’azione ecumenica; la solidarietà della comunità che accoglie il rifugiato dà speranza nella possibilità di vivere nella fraternità e nella pace, e il progresso nella capacità di convivenza degli uomini è legato ad una crescente mentalità dell’accoglienza.

Molta strada deve ancora essere fatta. Sarebbe importante che a livello sia internazionale che degli Stati nazionali non fossero mai dimenticati i diritti fondamentali di ogni essere umano, e mai persa di vista la centralità della persona umana. E’ auspicabile che nel dibattito internazionale venga accolta una definizione di rifugiato più appropriata alle emergenze e alle problematiche dei nostri giorni, ben diverse di quelle che i redattori della Convenzione del 1951 potevano avere in mente. Per quanto attiene alla legislazione nazionale è da sperare che il grande passo in avanti compiuto con il disegno di legge sull’asilo politico in discussione in Parlamento possa concludersi con il varo di una buona legge sull’asilo politico, tanto attesa, e non con un nuovo nulla di fatto.

 


Note:
1 Cfr. Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes, Roma, 2004.
2 I rifugiati: una sfida alla solidarietà. Documento del Pontificio consiglio “Cor unum” e del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itinerant”, 2 ottobre 1992.
3 Per un ulteriore approfondimento, Danièle Joly, I parametri del nuovo regime di asilo in Europa, La Critica Sociologica, n. 143-144, autunno-inverno 2002.
4 La tutela dei rifugiati avviene molto spesso grazie all'UNHCR (Alto Commissariato ONU per i rifugiati) che opera dal 1950 e ha come principali obiettivi la protezione dei rifugiati e la ricerca di soluzioni ai loro problemi. A fronte di grandi movimenti di persone che necessitavano di protezione e assistenza materiale, le Nazioni Unite, con la risoluzione n. 428 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (14 dicembre 1950) hanno istituito l’UNHCR, che iniziò subito con la promozione della Convenzione di Ginevra firmata il 28 luglio 1951. Oggi l’UNHCR è presente in circa 120 paesi e si occupa di molte categorie di persone, che necessitano anche di protezione diversa dei rifugiati, come gli apolidi, i casi di nazionalità contesa, gli sfollati che vivono in zone senza nessuna autorità competente per la loro protezione. Per ulteriori approfondimenti, vedi, I rifugiati nel mondo, cinquant’anni di azione umanitaria, UNHCR, 2000.
5 L’OUA, nata nel 1963, è stata recentemente sostituita dall’UA (l’Unione Africana), lanciata dopo quattro Summit tenutisi dal 1999 al 2002.
6 La Convenzione OUA del 1969 è entrata in vigore il 20 giugno 1974. Il 31 dicembre 1999, era stata ratificata da 45 dei 53 Stati del continente africano. La definizione più ampia di rifugiato si riferisce a quanti fuggono da con -flitto generalizzato, occupazione straniera e grave turbamento di ordine pubblico, è stata pensata in relazione ai grandi movimenti di massa, e non richiede normalmente una procedura individuale per determinare lo status di rifugiato ma viene applicata all’intero gruppo quando esistono le circostanze obiettive previste dall’art.1.
7 Nel 1984, in relazione alla crisi dei rifugiati in atto in America Centrale, un gruppo di rappresentanti dei governi, di professori universitari e giuristi si riunì a Cartagena, in Colombia, per elaborare quel che divenne la Dichiarazione di Cartagena sui rifugiati. Essa estende la definizione di rifugiato, facendovi rientrare coloro che “fuggono per la minaccia…da violenze generalizzate, aggressione straniera, conflitto interno, massiccie violazione dei diritti umani, altre gravi turbative dell’ordine pubblico”. La Dichiarazione non è giuridicamente vincolante.
8 Vedi anche Dossier Statistico immigrazione Caritas/Migrantes, Roma, 2003 e 2004 e Umberto Melotti, La comunitarizzazione delle politiche di immigrazione a dieci anni da Maastricht (1993-2003), in Affari Sociali Internazionali, n.2, 2003.
9 CECA, 1951, CEE e CEEA, 1957.
10 Con un protocollo allegato al Trattato, il cosiddetto acquis di Schengen venne inserito nel Trattato. Il protocollo non fu sottoscritto da Regno Unito e Irlanda, e la Danimarca, pur aderendovi, si riservò la possibilità di scegliere, nel quadro dell’Ue, se applicare o meno le nuove decisioni prese in base all’acquis di Schengen.
11 GUCE 25-2-2003
12 GUCE del 7-8-2001
13 GUCE del 6-2-2003
14 Cfr. Enrico Brivio, Intesa nella Ue sul diritto di asilo, Il Sole 24 Ore, 30 aprile 2004.
15 Vedi anche Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes, Roma, 2004
16 UNHCR – Inserto Rifugiati, Dossier Immigrazione Caritas 2004, p. 493 ss.
17 Cfr. Conclusioni del Consiglio europeo di Bruxelles, 4/5 novembre 2004 e Enrico Brivio, Su asilo e immigrazione regole Ue entro il 2010, Il Sole 24 Ore, 6 novembre 2004.
18 Francesco De Luccia s.j., Berardino Guarino, Chiara Peri, Asilo politico: un diritto a rischio, Aggiornamenti Sociali, Milano, settembre-ottobre 2004.
19 DPR n. 136/1990.
20 Temistocle Martinez, Diritto Costituzionale, Giuffré editore, 1990, p. 698.
21 Cass. Sezioni Unite Civili, Sent. N. 4674, 26 maggio 1997.
22 Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
23 Legge n. 189 del 30 luglio 2002 “Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo”.
24 Si tratta degli artt. 31 e 32.
25 D.P.R.16 settembre 2004, n. 303, G.U. n. 299 del 23.12.2004, in vigore dai 6.01.2005.
Il varo del Regolamento è stato travagliato: in particolare, il Consiglio di Stato, in due Adunanze, 26 gennaio e 19 aprile 2004, ha mosso una serie di rilievi alla bozza predisposta dal Consiglio dei Ministri.
26 Vedi anche Luca Liverani, Rifugiati, la legge finalmente in arrivo, Avvenire, 19 giugno 2004.
27 http://www.centroastalli.it
28 Cfr. Giovanna Casadio, Diritto d’asilo, legge affondata per la linea dura di Lega e An, La Repubblica, 5 dicembre 2004.
29 Vedi anche Associazione Centro Astalli, Storie di diritti negati, Quaderni/3, Roma, settembre 2003.
30 Il PNA vede la partecipazione del Ministero dell’Interno, dell’UNHCR e dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI) ed è finanziato con i fondi dell’otto per mille e con il Fondo Europeo per i Rifugiati.
31 Il progetto INTEG.RA nasce da un partenariato di sviluppo composto da tre soggetti proponenti, ANCI, UNHCR e CENSIS, da otto comuni italiani, 25 soggetti del mondo del lavoro, della ricerca e del terzo settore, e da referenti di quattro analoghi progetti europei in Germania, Francia, Regno Unito.
32 A confronto di 11.319 domande si asilo presentate in Italia nel 2003, il PNA disponeva di 1.300 posti, i centri di Roma, Milano e altre città fuori dal sistema del PNA
di un migliaio di posti, le parrocchie, centri della Caritas e altre associazioni locali di un altro migliaio, cfr. Cristopher Hein, Richiedenti asilo in Italia tra accoglienza e abbandono, CIR NOTIZIE, mensile del Consiglio Italiano per i Rifugiati, anno XIII, n. 2, Roma, 2004.
33 “I rifugiati: una sfida alla solidarietà”, documento del Pontificio consiglio “Cor unum” e del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, 2.10.1992.

 

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