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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

pdfL’opera di Emmanuel Mounier è una delle più originali e discusse del pensiero politico cat- tolico del ‘900. Non solo per i temi trattati e per le novità che essi presentano, ma soprattutto per l’apertura che essi mostrano nei confronti di ogni umanesimo non cristiano che, pur non essendo mai completamente accettato, è comunque valorizzato in tutti quei punti che costituiscono un autentico miglioramento dell’uomo. Mounier1 può così essere definito come ‹‹l’uomo del dialogo››, qualità questa, presente in molti studiosi cattolici del nostro secolo che hanno sorretto ed ispirato il Pontificato di Paolo VI.

1. I crimini contro la persona

Mounier operò come pensatore cristiano negli anni forse più tormentati di questo secolo: gli anni trenta e quaranta. Furono momenti difficili nei quali moltissimi smarrirono la strada che avevano intrapreso spesso senza molte possibilità di recupe rarla, mentre altri lo fecero a seguito di disillusioni o di drammatici eventi storici. Si pensi ad esempio a filosofi come Heidegger che accolsero persino il nazismo quando era in fase ascendente. Moltissimi altri esempi, in varie parti del mondo, non mancano ma Mounier non può decisamente accostarsi a costoro. Rimase sempre fedele alle sue idee per le quali lottò anche all’interno della Chiesa senza però uscirne. Segno questo che era sorretto da una fede ferma ed in nessun modo tentennante e che non si lasciò mai travolgere da nessuna infatuazione, ma segno pure che le sue idee avevano solide radici anche dal punto di vista filosofico ed erano capaci di reggere alle varie mode culturali.

Il motivo di fondo della riflessione di Mounier ha radici molto antiche in quanto i problemi della persona e della comunità, dal punto di vista politico, sono stati presi in esame in ogni momento nella cultura occidentale, particolarmente quella antica. Mounier si pone proprio in questo filone che trova un punto obbligato soprattutto in S. Tommaso, costante riferimento (non l’unico però) dei cattolici francesi di quegli anni, i quali ritro- vavano nel pensiero antico e medioevale molte risposte ai loro interrogativi. Lo stesso vale per Mounier. Ecco perché si può dire che ‹‹tentativi di armonizzare la duplice vocazione individuale e comunitaria dell’uomo sono per Mounier quelli dell’antichità classica e del Cristianesimo››2, ten- tativi che l’età moderna è venuta via via ridi- mensionando (si pensi che l’epoca di Mounier è quella dei grandi totalitarismi). Col Rinascimento infatti comincia un nuovo momento nel quale Mounier coglie il sorgere di un ‹‹umanesimo as- tratto›› il quale pur nella ‹‹legittima rivolta contro un apparato spirituale pesante e cristallizzato de- viava in una mistica dell’individuo››3.

Il XX secolo aveva complicato enor- memente le cose perché aveva raggiunto un altro pericolo quello cioè di opporre alla ‹‹mistica dell’individuo›› un’altra mistica: quella del ‹‹col- lettivismo››. Da queste due aberrazioni l’uomo con- creto, la persona, ne era uscito stritolato, avvilito, sommerso da realtà mostruose ed onnipresenti che lo avevano ridotto ad un puro e semplice accessorio della storia, ad un pezzo semplicemente materiale del meccanismo storico - politico che poteva essere usato, sfruttato ed anche cambiato secondo i piaceri degli attuali ‹‹Leviatani››.

Presa coscienza di questa progressiva sper- sonalizzazione dell’uomo, si tratta ora per Mounier di riproporre un nuovo Rinascimento che sappia superare non solo la crisi contemporanea, ma sappia altresì recepire quei germi vitali che da quattrocento anni a questa parte hanno prodotto il mondo oc- cidentale. Ecco quindi che, pur sostenendo che il mondo moderno è contro la persona, essendo irremovibili e ferme le sue critiche contro i tota- litarismi di vario tipo, ciò non toglie che occorra altresì esaminare le radici culturali dell’umanesimo borghese, del capitalismo, delle teorie fasciste e dell’uomo ‹‹nuovo›› marxista. Una simile analisi si rende necessaria ed urgente se si vuole capire perché tali idee raccolgono tanto successo. Questo compito Mounier lo assolse nella prima parte del suo famoso ‹‹Manifesto›› nel quale, sin dalle prime battute, cercò di essere chiaro nel definire l’impostazione personalista così come egli stesso la vedeva per poterla poi confrontare con le ideologie esaminate. ‹‹Chiamiamo personalista ogni dottrina, ogni civiltà che affermi il primato della persona umana sulle necessità materiali e sulle strutture collettive che sostengono il suo sviluppo››4. Come si vede non si tratta di una definizione rigida e dogmatica, al contrario si vuole presentare un pun- to di incontro tra più prospettive che si presta ad ‹‹una convergenza di più volontà, e si pone al ser- vizio di esse senza toccare le loro diversità per domandare loro i mezzi per incidere in modo efficace nella storia. Dovremmo allora parlare al plurale, cioè di personalismi … (ma) … Persona- lismo è per noi solo una parola di intesa signi- ficativa, una designazione comune a dottrine diver- se, ma che, nella situazione storica in cui ci tro- viamo, possono essere d’accordo sulle condizioni elementari, fisiche e metafisiche di una nuova civiltà››5. Però, per far sì che questo scopo fosse realmente realizzato, occorreva chiarezza iniziale ed intenti comuni. Da qui la necessità di esaminare i vari modi di intendere la società per rigettare certi errori ma anche per valorizzare certi contenuti.

L’esame doveva partire per Mounier dalla ‹‹civiltà borghese ed individualista›› non solo per- ché in ordine di tempo è la prima ma soprattutto perché certi suoi pregiudizi permangono persino all’interno di quei sistemi che ufficialmente la com- battono e cercano si cancellarla. Si può dire infatti che, malgrado tutto, l’intero mondo occidentale è ancora impregnato di principi borghesi e non in- tende in nessun modo rinunciarvi. Certamente nel suo sorgere questa mentalità ha avuto una fase eroica nella quale l’uomo per emergere faceva affidamento ad una serie di virtù come l’audacia, la fierezza, l’abilità, l’indipendenza, virtù però che col tempo andarono sempre più decadendo trasfor- mando così l’eroe in un individuo puro e semplice con le sue grettezze ed i suoi egoismi. In questa seconda fase al senso della virtù si sostituisce il senso chiaro del denaro. E’ proprio questo il vero male della società borghese perché accentua l’individualismo e frantuma la società. Il danaro infatti separa e rende avversari. Separa soprattutto ‹‹dagli uomini, commercializzando ogni scambio, falsando le parole e i costumi, isolando nel ripie- gamento su sé stesso, lontano dai vivi rimproveri della miseria dei suoi quartieri, delle sue scuole, dei suoi costumi, dei suoi vagoni, dei suoi alberghi, delle sue relazioni, delle sue messe … Siamo ben lontani dall’eroe. Anche il ricco dell’epoca nobile è in via di scomparire. Non c’è più sull’altare di questa triste chiesa che un Dio sorridente e mostruo- samente simpatico: il Borghese››6. Non è più un eroe, non ha più virtù per questo non suscita più ammirazione ma disprezzo e spesso odio. Da questa situazione, che Mounier definisce tipica di una ‹‹comunità scompaginata››, scaturiscono le pre- messe che portano al fascismo. Il fascismo (con questo nome Mounier non si riferisce al fascismo italiano, ma i vari sistemi che da esso traggono origine o ispirazione) ama superare ogni contenuto logico per ragionare in termini di potenza. Pro- paganda che l’uomo è fatto per impegnarsi ‹‹to- talmente›› e cerca così di recuperare certi miti eroici della nascente società borghese per rinvigorirli proprio nel momento della sua crisi. Questo spiega il successo che, almeno allora, il fascismo rac- coglieva tra i giovani. ‹‹Chiunque abbia visitato senza partito preso i fascisti, preso contatti con le loro organizzazioni, con i loro giovani, è rimasto impressionato, in effetti, dall’autentico slancio spirituale che sorregge questi uomini violentemente strappati alla decadenza borghese, carichi di tutto l’entusiasmo che procura il fatto di avere trovato una fede e un senso della vita››7. Una società appiattita come quella borghese, incapace ormai di entusiasmare la gioventù non poteva fare altro che spingerla verso gli ‹‹pseudovalori›› del fascismo8 che riproponeva il bisogno dell’autorità e quello dell’impegno personale. Il fascismo paradossalmente pro- poneva, riconoscendo anche la teoria del merito, una specie di personalismo sia pure oppresso e costretto. La mentalità fascista evidenziava inoltre una delle ne- cessità del suo tempo: un pri- mato del collettivo - nazionale sulle esasperazioni dell’indivi- dualismo9.

Non sfuggiva certo a Mounier la teoria secondo la quale il fascismo sarebbe stato un’appendice del liberalismo borghese per com- battere il marxismo, ma era fermamente convinto che un tale mezzo fosse del tutto inefficace. C’era infatti in lui la netta convinzione che ‹‹il blocco antimarxista, come noi l’abbiamo visto costituito fin qui, è un organo di difesa del capitalismo. Non si combatte un errore col disordine che lo genera››10. Il metodo migliore per combattere il marxismo può essere uno solo e deve essere intrapreso con de- cisione. Si tratta di rinunciare totalmente ai pregiudizi dell’individualismo borghese ed ai suoi egoismi riscoprendo il vero senso, non solo dell’- amore cristiano, ma anche del servizio della co- munità sociale. Solo così si potrà combattere l’errore marxista combattendo gli errori che lo hanno generato e reso forte. Per attuare questo intento occorre un lavoro serio che sappia vedere l’uomo al di là della sua semplice entità materiale o del mondo della produzione, pur non minimizzando affatto i problemi ad esso legati. Si tratta in altre parole di recuperare all’uomo la sua dimensione trascendente non sottovalutando però la sua con- dizione concreta nel mondo. Il marxismo si ferma solo a quest’ultima e non sa e non vuole andare oltre; invece ‹‹noi affermiamo contro il marxismo che non vi è civiltà e cultura umana che non sia orientata metafisicamente … con una vita personale tesa da parte di ciascuno ad una realtà spirituale, che lo porti al di là di se stesso››11.

Il bilancio su quelli che Maritain avrebbe definito ‹‹umanesimi contemporanei›› era perciò pieno di perplessità. Essi potevano essere ammirati per taluni aspetti, giustificati per altri, ma non po- tevano essere comunque pienamente approvati. In fondo la persona umana nel loro contesto veniva stravolta perché circoscritta e valutata solo per certi aspetti. Non solo, l’uomo nella sua singolarità, nell’esplicare le sue doti non è in tali umanesimi neppure aiutato perché schiacciato dalle macchine del sistema. ‹‹Il gigantismo nelle istituzioni, l’ano- nimato, l’impersonale che copre le responsabilità sin- golari sono peccato grave contro la persona. Ed è peccato grave contro la persona ridurre un uomo vivente a una sola delle sue funzioni, considerare gli operai come elementi della produzione e la loro salute ed i loro impegni familiari come settore di perdita, spesa inutile, infruttuosa››12.

Si pone così il problema di arricchire questi umanesimi e questo per Mounier è possibile solo recuperando (assieme a tutte le conquiste dell’epoca moderna) tutti contributi specifici che il cristia- nesimo ha portato al patrimonio spirituale dell’- Occidente. Si tratta perciò prima di tutto di valutare ‹‹l’affermazione di un certo assoluto d’esistenza, di un certo valore di singolarità e di una certa in- dipendenza inalienabile nei confronti di ogni col- lettività››13. Questo discorso è da rivolgersi, nell’- ottica cristiana, ad ogni uomo. Non solo ai dotti come si faceva nell’antichità classica o ai capitalisti, ai camerati o ai proletari come fa il mondo contemporaneo ma a tutti indistintamente. Tale discorso però può rischiare di restare una illusione come tante altre, per questo Mounier propone strumenti capaci di realizzarlo al fine di creare quello che egli stesso chiama un ‹‹sistema politico personalista››.

2. Una nuova epoca storica

Mounier è estremamente convinto che per il ‹‹personalismo›› (teoria presentata da molti spesso erroneamente) è giunto il momento della verità di prendere cioè concretamente coscienza della sua missione storica abbandonando quella specie di spiritualismi inconsistenti che molti gli hanno opportunamente rimproverato. Far questo significa che il personalismo deve proporre concretamente un nuovo modello di educazione, di cultura, di eco- nomia, di lavoro, di vita familiare, di servizi sociali e di pluralismo democratico, il personalismo deve insomma proporre un nuovo ‹‹stile e metodo di vita››.

Fra tutti questi aspetti quello che doveva stare più a cuore a Mounier era il problema edu- cativo fino ad allora effettuato in modo non certo adeguato per la dignità umana. Infatti ‹‹l’edu- cazione non ha per scopo di foggiare il fanciullo al conformismo di un ambiente sociale o di una dottrina dello stato … L’educazione non riguarda essenzialmente il cittadino, né il mestiere, né la figura sociale… Essa ha la missione di promuovere delle persone capaci di vivere e di impegnarsi come persone››14. L’educazione quindi interessa l’uomo totale, per questo deve cercare di prospettare dei fini cercando poi di far scaturire una vera e propria fede per il perseguimento di tali finalità. Prospettare però non significa obbligare. Neppure lo Stato ha quindi il diritto di imporre la propria ‹‹teoria›› o ‹‹dottrina›› sulla vita degli uomini. Si potrebbe perciò affermare che l’educazione, secondo Mou- nier, deve essere neutrale. Nell’accezione di un concetto di neutralità intesa ‹‹in quanto non pro- pone, implicitamente o no, preferenza per alcun sistema di valori oggettivi››15; fermo restando, però, che l’unico valore che deve essere mantenuto saldo è la possibilità di formare e far sviluppare la persona. Questo aspetto non potrà mai essere trascurato perché un sistema educativo che voglia essere neutrale fino a questo punto rischierebbe invece di essere indifferente verso un problema così importante. Importante, come ce lo ricordano gli Stati totalitari che fondano il loro presente ed il loro futuro sull’educazione di Stato, che considerano il principale compito per la stabilità del loro sistema. Ma ugualmente importante deve essere per la democrazia che può solo crescere e svilupparsi se permette il libero esplicarsi delle doti di ciascuna persona. Per realizzare questo intento occorre permettere alle varie ‹‹collettività›› spirituali, familiari, professionali, ecc., di portare il loro contributo di vita, di tradizioni, di esperienza, di originalità e di innovazioni per la formazione delle future persone. ‹‹Tutto sia messo in opera per assicurare il contatto tra le diverse famiglie spiri- tuali della società, per affermare non un’unità dogmatica, impossibile se non con la coercizione spirituale, ma l’unità fraterna ed organica della città. E’ ancora là il ruolo dello Stato personalista e si potrà studiare con le diverse collettività naturali i mezzi materiali per realizzare questo contatto, nella scuola così come nella professione››16, è questo l’unico modo per preparare l’avvento di una nuova epoca storica.

Non basta però soltanto il cambiamento del sistema educativo per aprire una nuova fase storica, occorre anche presentare una nuova immagine della vita privata sia per la donna sia per l’uomo. Senza soffermarci sui particolari di questa prospettiva (meriterebbero certamente un commento almeno le pagine relative alla ‹‹persona›› della donna) occorre comunque tenere presente che per Mounier la vita privata è uno ‹‹spazio di preparazione della persona, nell’incontro della vita interiore con la vita collettiva, lo spazio confuso ma vitale in cui l’una e l’altra mettono radice››17. Si tratta di una vita privata vista in modo nuovo che esce da un chiuso egoismo fatto, molto spesso, di molte belle appa- renze che nascondono il marciume di tanti ignobili compromessi. La vita privata è stata purtroppo fino ad oggi intesa come sinonimo di vita familiare borghese. Sovente infatti appare come una vita farisaica, espressione di varie falsità che mirano a far apparire, per convenienza sociale, certi aspetti completamente differenti da quella che è poi l’autenticità dell’esistenza.

Anche per quel che concerne la vita privata ritorna così, sia pur larvatamente, la polemica contro il capitalismo e il marxismo i quali defor- mano entrambi la vita privata dell’individuo il primo potenziandola eccessivamente, il secondo annullandola. Solo la concezione personalista ‹‹non si oppone né alla vita interiore, né alla vita pubblica, essa prepara l’una e l’altra a comunicarsi recipro- camente le loro virtù››18. Ed è solo in questa osmosi reciproca tra pubblico e privato che la persona scopre realmente la sua vocazione ed è capace di realizzarla.

3. Il problema economico

Nell’opera di Mounier una notevole parte è dedicata all’economia. Le sue conclusioni riguardo al mondo economico destarono in molti una serie di perplessità e di preoccupazioni perché, nella sua irremovibile critica contro il capitalismo, sembrò a molti che Mounier appoggiasse tacitamente un tipo di economia collettivista19 In realtà però era suo fermo proposito creare un sistema economico che superasse le due realtà economiche in conflitto: capitalismo e comunismo. E’ comunque soprattutto verso la mentalità capitalista che Mounier riversa le sue critiche maggiori. Il capitalismo ha avuto infatti il torto di aver falsato la natura umana conferendo alla sfera economica delle dimensioni esorbitanti deformando così la visione naturale della vita. Tutto è ormai visto secondo un’ottica economica e tutto ciò che dovrebbe normalmente rientrare secondo ogni elementare logica in un ordine esclusivamente umano è invece considerato ed affrontato con la legge del profitto. Il capitalismo presenta così al primo posto l’economia violando, in nome di vantaggi materiali, i più elementari diritti della persona. Per questo Mounier, che vedeva finalmente sorgere serie di alternative al capitalismo, si mostrava sod- disfatto che si andasse sempre più estendendo un crescente clima di insoddisfazioni che potessero modificare realmente la struttura economica e sociale esistente. Questo però non sig- nificava né schierarsi dalla parte dei comunisti né tanto meno provare nostalgia per un passato ormai lontano per sempre e quindi non più riproponibile. Le espressioni di Mounier a questo proposito non lasciano dubbi: ‹‹La nostra opposizione al capitalismo deve dis- tinguersi radicalmente da … critiche … falsate alla base. Essa (inoltre) non parte affatto da un rimpianto del passato ma da un desiderio di inventare l’avvenire con tutte le conquiste autentiche del presente››20.

Il personalismo non deve deridere ed osta- colare nessun progresso. Persino la ‹‹tecnica›› usata dal capitalismo non deve essere cancellata e boicottata, si tratta solo di vivificarla con un’etica della persona che è sinora mancata. Nessuno può essere tanto pazzo da negare i vantaggi che il progresso tecnico ha portato, e che potrebbe ancora portare all’uomo. Molti hanno accusato la tecnica di aver fatto da supporto al capitalismo e di non aver affatto considerato i problemi vitali che si nas- condevano dietro molte delle sue conquiste. ‹‹Ciò che si deve rimproverare alla civiltà della tecnica, non è d’essere disumana in sé, ma di non essere ancora umanizzata e di servire pertanto un sistema disumano››21. Per umanizzare la tecnica ed il cor- rispettivo sistema economico che essa sostiene occorre stabilire alcuni principi per una economia al servizio della persona. Tali principi dovranno sta- bilire un primato del lavoro sul capitale, della responsabilità personale sull’apparato economico, del servizio sociale sul profitto e degli organismi sui meccanismi. L’attuazione di questi presupposti mi- ra, secondo Mounier, a creare una economia plu- ralista che costituisce una logica sintesi tra li- beralismo e collettivismo. Tale sintesi non distrugge i presupposti ed i metodi dei due sistemi in lotta tra loro, ma ne valorizzava i meriti e li armonizza tra loro. ‹‹Il personalismo difende la collettivizzazione e salva la libertà, appoggiandola a una economia autonoma ed agile invece di addossarla allo statalismo››22. Salvare soltanto la libertà economica era infatti agli occhi di Mounier un vero e proprio scandalo perché non salvaguardava la moltitudine dei lavoratori dall’incertez- za e dalla miseria. Per uscire da questa oscura si- tuazione occorreva smet- terla col salvaguardare l’es- clusivo rischio del capita- lista. ‹‹Come – si chiedeva infatti Mounier – parlare ancora di rischio, dopo che le imprese capitaliste fal- limentari, per il ricorso allo Stato, si sono abituate ad una regola che si è felicemente formulata: indi- viduazione dei profitti, collettivizzazione delle per- dite?››23 il che equivaleva a dire che il sistema capitalista divideva scarsamente i vantaggi, ma distribuiva con rapidità e certezza le perdite.

Non meno serie erano le riserve di Mounier nei confronti del comunismo che a parer suo, con la scusa di cercare un dialogo col cristianesimo, voleva esaurirlo totalmente nella dimensione sto- rica. Aspetto questo che poteva certamente essere valido per una ideologia collettivista, ma non certo per una religione che resta tale solo se conserva la sua prospettiva ultraterrena. Eppure un dialogo con il comunismo appariva a Mounier inevitabile in quanto il cristiano, pur non esaurendosi nella sua dimensione sociale, non poteva certo ignorarla. Ecco perciò che in questo dialogo occorre subito ribadire che i cristiani non ritengono ‹‹che il solo impegno rivoluzionario appartenga al partito comunista, né che la sola azione rivoluzionaria sia un’azione politica. Il comunismo totalizza e pone l’asse del problema umano sulla storia economico-politica, come un cerchio intorno al suo centro. Il realismo cristiano descrive la storia umana attorno a due poli, come una ellisse, un polo naturale e un polo soprannaturale, il primo subordinato al secondo, benché il secondo sia strettamente legato alle posizioni del primo››24. Capire questa dif- ferenza è però difficile anche perché sul terreno pratico comunismo e cristianesimo sembrano in un primo momento avere gli stessi intenti. Ma forse ‹‹il mezzo migliore per allontanare il pericolo (di una confusione) è di essere più totalmente cristia- ni››25 diceva Mounier riportando una frase di Dubois-Dumée. Recuperando e vivendo una tale autenticità è possibile anche aiutare capitalisti e comunisti a dialogare con una maggiore chiarezza ed evitare così quei conflitti che spesso trascinano gli uomini sull’orlo della guerra.

4. I cristiani e la guerra

Problemi come quelli della pace e della guerra non potevano certo essere trascurati da Mounier sia per il momento storico che viveva e sia perché secondo lui tali problemi scaturivano da un dato di fatto che stava a monte: la giustizia. E’ solo intatti alla luce della giustizia che si può parlare di pace o di guerra. Ecco perché cercare di attuare la pace non significa affatto improvvisare dei discorsi o creare situazioni. La pace, soprattutto quella cristiana, è frutto di un ordine interiore e di una giustizia visibile che opera efficacemente nella realtà. Mounier ci suggerisce a questo proposito uno dei temi fondamentali del pensiero politico cristiano classico: il concetto di ordine. La riflessione è della massima importanza perché l’ordine sembra essere divenuto nella difficile vita politica del nostro secolo una prerogativa degli Stati autoritari e totalitari. Ma così non è in quanto l’ordine socio-politico, espressione dell’ordine interiore degli uomini, deve essere il presupposto essenziale delle democrazie, poiché è da un ordine ricercato, voluto e difeso che può nascere la giustizia. Per questo c’è bisogno di recuperare la pace cristiana poiché, scaturendo essa dalla virtù di fortezza, è realmente capace di operare nel concreto, superando le astrazioni di cui sono vittime le ideologie.

Che questa impostazione non fosse un puro sogno ce lo confermano le seguenti parole: ‹‹La nostra condizione temporale anzitutto ci impone di agire come se la forza brutale fosse assente dal giuoco degli uomini, mentre non ne sarà mai totalmente espulsa prima della riconciliazione fi- nale››26. E’ quindi questo realismo che richiede la virtù di fortezza senza la quale non solo mancherà la giustizia, ma anche la pace. Del resto anche coloro che biasimano una simile virtù indiret- tamente la richiedono. ‹‹Checché ne dica l’ide- alismo, non esiste un diritto che non sia stato tagliato da una forza e neppure che si regga senza una forza››27. Ecco perché occorre la fortezza cristiana perché essa diviene un’utile garanzia contro il sopravvento delle forze brute, contro i falsi pacifismi e contro le debolezze di vario genere che permettono all’ingiustizia ed al male di trionfare sul bene. Pace che genera giustizia quindi, ma giustizia che sopravvive grazie alla fortezza alimentata continuamente da una silenziosa e fattiva carità: ecco l’insegnamento migliore di Mounier, testi- moniato da una vita piena di incomprensioni e di battaglie.


Note
1 Emmanuel Mounier nasce a Grenoble il 1°aprile del 1905. Si laureò in filosofia con Jacques Chevalier nella sua città natale. Nel 1931 pubblica con G. Izard e M. Péguy: La pensée de Ch. Péguy e nello stesso tempo, abbandonata l’idea di lavorare nell’ambito universitario, si dedica alla preparazione del movimento e della rivista ‹‹Esprit›› il cui primo numero uscirà nell’ottobre del 1932. Nel 1935 si stabilisce a Bruxelles con la moglie per insegnare filosofia al Liceo francese e nello stesso anno pubblica ‹‹Révolution personaliste et comunauaire››. Faranno seguito nel 1936 due testi fondamentali per chiunque voglia capirlo. Si tratta di ‹‹De la proprieté capitaliste à la proprieté humaine›› e ‹‹Manifeste au service du personalisme››. Allo scoppio della guerra è soldato ausiliario e proprio in questo periodo scrive ‹‹Personalisme et Christianisme››. Durante la guerra seguirà varie vicissitudini passando di carcere in carcere dopo che nell’agosto del 1941 la sua rivistapdf era stata censurata dal governo di Vichy. ‹‹Esprit›› riprenderà le pubblicazioni nel 1944 e da allora Mounier pubblicherà altri interessanti studi soprattutto sul marxismo e sulla Cina di Mao. Muore per infarto il 22 marzo 1950. Le opere di Mounier sono state raccolte in Ouvres, 4 volumi, Ed. du Seuil, Paris. Tra le opere nel suo pensiero meritano di essere ricordate: Mounier et sa génération (Lettere, appunti, scritti inediti), Ed. du Seuil, Parigi 1956. Lacroix Jean, Marxisme, existentialisme, personnalisme, Presses Universitaire de France, Parigi 1949. Landersberg Paul-Louis, Problémes du personnalisme, Ed. du Seuil, Parigi 1952. Lestavel Jean, Introduction aux personnalismes, La vie Nouvelle, Parigi 1961. Moix Candide, La pensée d’Emmanuel Mounier, Ed. du Seuil, Parigi 1960. Abbagnano Nicola, Dizionario di filosofia, voce: Personalismo, UTET, Torino. Melchiorre Virgilio, Il metodo di Mounier ed altri saggi, Feltrinelli, Milano 1960. Montani M., Il messaggio personalista di Emmanuel Mounier, Comunità, Milano 1959, Nédoncelle Maurice, Verso una filosofia dell’amore e della persona, Ed.Paoline, Roma 1959; pp.203-206. Piacentini T., Enciclopedia cattolica, voce: Personalismo, Città del Vaticano, 1952, v. IX, col.1228. Prini Pietro, Verso una nuova ontologia, Studium, Roma 1957; c.VI, pp.146-149. Rigobello A., Il contributo filosofico di E.Mounier, Bocca, Roma 1955. Riverso M., Le istanze della pedagogia nel peronalismo di E.Mounier, Libreria scientifica editrice, Napoli 1960, pp.154.
2 A. Lamacchia , Introduzione a ‹‹E.Mounier, Manifesto al servizio del personalismo comunitario››, E.E., Bari 1975, p.XXI.
3 Ibidem, p.XXI.
4 Ibidem, p.5.
5 Ibidem, p.5.
6 Ibidem, p.20. E’ questo forse il motivo per il quale Mounier venne accusato di aver deformato il marxismo inserendolo in una visione spiritualista, inadeguata alla realtà politica concreta. Vedi a questo proposito nel libro citato la nota bibliografica di Ada Lamacchia a p. XLVI.
7 Ibidem, p.32.
8 Cfr. ‹‹Esprit››, Des pseudo valeurs spirituelles fascistes, del gennaio 1934.
9 ‹‹L’individuo vive nella Nazione della quale è l’elemento infinitesimale e passeggero, e di fini dei quali deve considerarsi come l’organo e lo strumento››, Benito Mussolini, discorso del 10 marzo 1929,. Riportato nel citato libro di Mounier a p.37.
10 Ibidem, p.306.
11 Ibidem, p.10.
12 R. Laurenza, Introduzione a ‹‹E.Mounier, I cristiani e la pace››, E.E. Bari, 1978, p.9.
13 E .Mounier, Personalismo e cristianesimo, E.E. Bari 1977, p.39.
14 E .Mounier, Manifesto, cit., pp.195-106.
15 Ibidem, p.309.
16 Ibidem, p.115.
17 Ibidem, p.117.
18 Ibidem, p.120.
19 Non era comunque questa una novità. Mounier fu spesso visto come uno spalleggiatore di alcuni movimenti di sinistra. Gli inconvenienti a questo proposito hanno radici lontane; risalgono ai primi giorni di vita di ‹‹Esprit›› quando certi articoli di Izard indispettirono fortemente Maritain che il 10-XI-1932 scrisse a Mounier: ‹‹Secondo il mio parere è molto importante che si sappia esplicitamente che voi ponete il cristianesimo prima della rivoluzione e che ciò che proponete è di preparare le condizioni per una rivoluzione cristiana e non – il che sarebbe tutto il contrario – un accordo su una ‘rivoluzione’ equivoca presa come fine a se stessa››. Maritain - Mounier, Corrispondenza, Brescia, 1976, p.77. Da allora i rapporti con Izard ed il suo movimento ‹‹Troisiéme›› andarono sempre più complicandosi fino alla definitiva separazione del 1933.
20 E Mounier, Manifesto, cit., p.157.
21 Ibidem, p.159.
22 Ibidem, p. 192
23 Ibidem, p.167.
24 E. Mounier, Cristianità nella storia, Il saggio in que- stione è ‹‹Cristianesimo e comunismo››, E.E., Bari, 1979, p.136.
25 Ibidem, p.137.
26 E. Mounier, I cristiani e la pace, cit., p.29.
27 Ibidem, p.31.

 

 

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