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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

pdfIl prezioso contributo, “Fondare la responsabilita sociale d’impresa”, edito da Citta Nuova e curato da Helen Alford e Francesco Compagnoni, affronta un tema di grande attualita che negli ultimi anni sta assumendo gradualmente centralita in diversi ambiti di studio, non ultimo quello del settore dello sport nel quale chi scrive porta avanti con convinzione i principi della corporate social responsibility. Il volume raccoglie alcuni contributi sull'argomento, fornendo feconde piste di indagine.

In particolare, Yuliya Shcherbinina e Barbara Sena, con le loro “Riflessioni su Strumenti concettuali per una riformulazione della RSI”, affrontano il tema della responsabilita sociale d’impresa evidenziando la problematica del proliferare di termini che, ormai troppo di frequente, vengono usati in modo improprio pur avendo ciascuno proprie e peculiari connotazioni. In particolare, le Autrici focalizzano la loro attenzioni su quattro termini-chiave – RSI, Stakeholder, Cittadinanza e Sostenibilita – attraverso i quali si puo esprimere in cosa debba consistere il progetto umano imprenditoriale verso il conseguimento del cosiddetto “bene comune”, ovvero lo sviluppo e il benessere dell’umanita nel suo insieme e in ogni sua forma.

In tal senso, la societa deve essere capace di offrire orientamenti in vista del bene della persona nelle sue valenze individuali e collettive, senza esimersi dal richiamare l’impresa a muoversi come “cittadina attiva” nell’ottica del concetto di “cittadinanza d’impresa”. Tale nozione, nella sua concezione liberale, indica un’insieme di diritti e doveri del soggetto, nonche la presenza di attori incaricati di garantire che questi diritti e doveri vengano rispettati.

La “cittadinanza d’impresa” e dunque propedeutica al concetto di sostenibilita. Quest’ultima, per altro, e difficile da far penetrare nella mentalita manageriale, poiche descrive una politica d’impresa1 volta alla salvaguardia di aspetti economici, sociali e ambientali senza definire contestualmente obiettivi misurabili, lasciando cosi all’organizzazione ampi spazi d’interpretazione (e di azione) che cadono il piu delle volte in comportamenti vaghi o formali.

L’ulteriore scritto di Barbara Sena, “Verso una operativizzazione del bene comune realizzato dall’impresa”, riprendendo la classificazione che Alford e Naughton fanno dei beni prodotti da un’impresa in relazione al loro contributo al bene comune, sottolinea l’importanza di orientare la produzione dell’impresa verso tipologie di beni “sostenibili”.

Molto interessanti, in questo senso, appaiono i concetti di foundational goods ed excellent goods, nonche l’importanza del necessario perseguimento di entrambi. Essi rappresentano le prime due categorie di beni2 che un’impresa dovrebbe perseguire attraverso lo svolgimento delle proprie attivita: i “beni di base” (come il profitto, il capitale, lo sviluppo tecnologico, ecc.) e i “beni eccellenti” (che consistono, in sintesi, nello sviluppo umano in tutte le sue forme e nello sviluppo della societa nel suo complesso).

Inoltre si parla di common goods e particolar goods per distinguere tra beni che esistono solo tra i membri dell’impresa e beni che, al contrario, vengono “divisi” in parti e distribuiti singolarmente. I primi rappresentano beni interni all’organizzazione, come le politiche economiche adottate, o esterni, come i rapporti personali che creano la comunita di persone che e dietro ad ogni operazione dell’azienda.

Ma cio che maggiormente ci richiama all’attenzione e la distinzione tra real goods e apparent goods. Questa classificazione pone la questione del rapporto tra utilita e disutilita sociale che il prodotto aziendale ha insito nella sua natura, stimolando l’adozione di un consumo “critico” e “consapevole”, cioe capace di distinguere tra una produzione “buona” e una “cattiva” (beni reali e beni apparenti). Da questo passaggio, a nostro avviso, e possibile prendere spunto per ridisegnare la produzione contemporanea di questa nostra economia capitalistica oggi in crisi.

L’emblematico caso dell’automobile riportato nel “contributo” dimostra come talvolta alcuni beni, ad una attenta valutazione, presentino elementi di “disutilita” (ad esempio l’inquinamento ed il consumo di risorse limitate ed indispensabili per l’equilibrio eco-sistemico) decisamente maggioritari rispetto alle proprie caratteristiche di “utilita” (muoversi piu facilmente, velocemente, con comfort, ecc.). Investire in automobili che funzionano con carburanti non inquinanti, o costruite con materiali riciclati o non esauribili, nonche l’incentivazione di mezzi di trasporto alternativi come treni e metropolitane, rappresentano concreti provvedimenti volti a limitare la disutilita del bene, aumentandone i benefici sociali in termini di bene comune e sostenibilita.

E’ dunque necessario, in linea con il modello teorico tramandato dai nostri maestri, un profondo ripensamento delle finalita stesse dell’impresa, ormai divenuta irresponsabile e quasi esclusivamente volta ad accrescere sempre piu il valore delle azioni nel breve periodo (specialmente nelle imprese quotate in borsa).

Questo stato nasce quando i grandi investitori istituzionali condizionano troppo politica e governi, e quando l’economia e sovrastata dalla finanza, intesa come mercato senza regole morali e sociali di condotta, non sensibile a istanze etiche, in cui gli interessi economici si rendono impermeabili alla vita reale, portando gli operatori alla ricerca della “pura” speculazione.

Manager e azionisti, e in particolare gli investitori istituzionali (fondi pensione, fondi d’investimento, compagni d’assicurazione), ricercano nell’impresa la massimizzazione del suo valore di mercato in borsa attraverso strategie finanziarie “d’assalto”. L’attuale modello d'impresa ha cosi generato un capitalismo insostenibile che, nell’attuale momento storico, pone la politica in una posizione strettamente interdipendente con gli interessi delle lobby economiche. Quello che troppo spesso accade e che si crea un circolo vizioso in cui imprese che agiscono irresponsabilmente, cioe in modo non etico, creano delle lobby che esercitano forti pressioni su Governi nazionali e Istituzioni sopranazionali (come per es. WTO, Banca mondiale, Fondo monetario internazionale, Comunita europea, Federazioni di governi, etc.) affinche istituiscano o consentano modelli di governance che avallino il loro comportamento irresponsabile.

In particolare, la grande impresa e divenuta uno strumento di valore speculativo per il mondo finanziario, con una proprieta assente e irresponsabile che delega i manager ad operare nel prevalente interesse degli investitori/speculatori, proprietari "pro-tempore" manchevoli di alcun interesse volto alla costruzione di un vero sviluppo sostenibile e nei quali e assente una visone di medio-lungo periodo.

Ci soffermiamo a riflettere sulla necessita di ripensare ad un sistema di governo dell'economia diverso, che integri il valore dell'etica nel sistema politico della societa e delle istituzioni a livello mondiale, passando per una ridefinizione del modelli di corporate governance (intesa come sistema di governo e controllo finalizzato alla conduzione e alla gestione organizzativa ottimale). Questi ultimi devono cosi evolversi in modelli multi-stakeholder, ove chi governa l’impresa ha delle responsabilita che si estendo dall’osservanza dei doveri fiduciari nei riguardi della proprieta a quelli verso tutti i portatori d’interessi dell’impresa. Il rispetto dei diritti umani e civili, economici e culturali sono infatti l'orizzonte verso il quale dirigere oggi la nostra attenzione e investire quanta piu energia perche vengano tutelati.

Riflettiamo come siano i Governi e le Istituzioni internazionali a dover porre al centro dei loro obbiettivi incisive azioni volte a contemperare il bene dell’impresa nella sua capacita di reddito, sopravvivenza e sviluppo (foundational goods ed excellent goods), con le legittime aspettative della societa e dell’ambiente globale. Solo riconoscendo l'immenso valore di questa “mediazione”, il dialogo tra i soggetti che operano nel sistema socioeconomico potra essere veramente realizzato in modo costruttivo, volto cioe a promuovere e assicurare uno sviluppo sostenibile a livello mondiale.

Spesso nella storia dell’economia nuove regole e nuovi comportamenti sociali si sono affermati in risposta ad eventi negativi di eccezionale portata. Pertanto la difficolta del momento attuale, colpito da una forte pdfrecessione, puo rappresentare una cruciale occasione per chiederci quali siano i davvero i beni reali, ripensando ad una diversa distribuzione della ricchezza e cercando un modello di un capitalismo volto a comportamenti piu virtuosi che evitino conseguenze, in termini economici, sociali e ambientali, addirittura drammatiche. Un capitalismo che passi da una ideologia di crescita senza termini a un’economia dell’equilibrio entro un nuovo progetto di societa.

 

NOTE

1 Per rendere piu concreto il termine di sostenibilita, Elkington ha introdotto lo strumento della triple bottom line, indicando tre principali sfere di azione per l’impresa (ove questa deve far fronte ai propri diritti e doveri): prosperita economica, equita sociale, protezione ambientale. In questo senso l’impresa nell’ambito della sua funzione primaria, quella produttiva, dovrebbe ricavare la sua legittimazione ad esistere contribuendo allo sviluppo economico e al progresso di una societa sostenibile.
2 Ci pare utile sottolineare come nella dottrina economico-aziendale italiana ci si riferisca maggiormente al concetto di prodotto col quale si individua, a secondo dei caratteri di tangibilita ed intangibilita, rispettivamente un bene o un servizio. Nella dottrina anglosassone, al contrario, si utilizza il termine goods, tradotto con la il sostantivo “beni”, per intendere generalmente beni sia materiali che immateriali.

 

 

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