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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

pdf1. (Limiti delle riflessioni che seguono). Il documento della Commissione teologica internazionale pubblicato nel giugno 2009 e intitolato Alla ricerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale (d’ora in poi: il Documento) ha una rilevanza pastorale ed una rilevanza teoretica (non entro nel merito della sua eventuale rilevanza magisteriale): comunque, a mio avviso, e la prima, la rilevanza pastorale, che ha -e non potrebbe non avere- una preminenza sulla seconda. Date le mie competenze, pero, sulla rilevanza pastorale del Documento non mi soffermero analiticamente; nel mio discorso comunque emergeranno qua e la alcune riflessioni in merito. Mi limitero, nei paragrafi seguenti, a valutare il Documento come un testo accademico, nel senso migliore del termine: cioe come un testo elaborato da studiosi della ragion pratica (per usare l’ espressione kantiana, che e attualmente la piu onnicomprensiva) e offerto come tale e prioritariamente esclusivamente alla riflessione della comunita degli studiosi.

2. (Elogio del Documento). Nella prospettiva di analisi che ho scelto, il Documento si raccomanda sotto diversi profili. Il suo linguaggio e piano e allo stesso tempo molto preciso; le argomentazioni sono consistenti; la coerenza del suo impianto e notevole; la materia e trattata in modo esauriente. Sono inoltre di grande importanza, in particolare nel momento storico attuale, due richiami, da parte del Documento: quello sul carattere oggettivo e non confessionale dell’etica e quello, strettamente connesso al precedente, ma dotato di una sua autonomia, sull’esigenza che l’etica sia percepita e tematizzata come universale. Il rischio che si perda la consapevolezza che l’etica non ha un fondamento volontaristico e soprattutto che e una, e altissimo nel nostro tempo e non e percepito in tutta la sua rilevanza. Gia solo per questa ragione il Documento merita non solo ogni elogio, ma di essere portato all’attenzione di tutti coloro che studiano, sotto qualsiasi profilo, i temi etici e di diventare oggetto di dibattiti sempre piu allargati.

3. (Alcune prime critiche, di limitato rilievo). Sotto altri profili, invece, il Documento suscita in me perplessita di diversa natura e di diversa rilevanza. Comincio col sottolineare quelle perplessita, che forse potrebbero essere risolte rapidamente, se si dimostrasse che concernono, piu che la sostanza del documento, le sue modalita espressive.

3.1. Il Documento non pone in esplicita discussione, come pur avrebbe potuto fare, la difficile questione se la pretesa di postulare l’oggettivita e quindi l’unicita dell’etica (o, se si vuole, del bene) coincida o no con la pretesa di postulare la verita stessa dell’etica. Se tale coincidenza si desse, il modo ottimale per elaborare un’etica universale sarebbe quello di elaborare un’etica il piu possibile vera (esattamente come, per analogia, si dovrebbero impegnare tutti i partecipanti ai dialoghi interreligiosi o ecumenici a mettersi alla ricerca della vera religio): un’ idea, questa, implicitamente presupposta da tutti i grandi moralisti e teologi “classici”, ma entrata in una crisi tormentosa nell’eta moderna (a partire soprattutto da Montaigne). Il Documento, pero, preferisce muoversi su un piano diverso da questo e forse non senza ragione, poiche da una parte le sue pagine avrebbero perso forza comunicativa e dall’altra esso avrebbe dovuto inoltrarsi in due complesse tematiche teoretiche, eccedenti la misura di un testo come quello che si voleva produrre e che in effetti e stato prodotto:

3.1.1. la questione dell’etica senza verita e della sua possibile universalizzabilita;

3.1.2. la questione inerente alla possibilita, da parte del logos umano e delle sue capacita espressivo-linguistiche, di giungere alla formulazione di affermazioni etiche vere, nel senso di riducibili a precetti assoluti e inderogabili.

3.2. Il Documento utilizza come fonti dottrinali quasi esclusivamente i Padri e i piu recenti pronunciamenti del Magistero (e in particolare di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI): oltre ad Hobbes, a Grozio, a Hume e a Moore (autori peraltro ne cattolici ne formalmente teologi) l’unica citazione di un autore moderno mi sembra che sia riservata a Romano Guardini. Potremmo spiegare questo dato, sottolineando che il Documento ha una valenza prevalentemente, se non esclusivamente, teologica: ma si tratterebbe di un’affermazione che una pur rapida lettura del Documento stesso e in grado di smentire facilmente, dato che in esso riflessione teologica e riflessione filosofica si sostengono e si nutrono a vicenda. Insomma, non puo che destare qualche meraviglia, oltre all’esclusione dei nomi di alcuni pensatori cristiani viventi come Finnis, Hervada, Marion, Spaemann, Taylor, MacIntyre (ed altri nomi potrebbero aggiungersi a questi), il fatto che non si sia fatto ricorso (con la sola eccezione gia rilevata di Romano Guardini) nemmeno a teologi e filosofi cristiani del Novecento, come Hans Urs von Balthasar, Jean Guitton, Michel Villey, Jacques Maritain o –per far riferimento all’Italia- Giuseppe Capograssi e Sergio Cotta. L’obiettiva assenza, nel Documento, di un dialogo o di un confronto con la filosofia cristiana lo rende particolarmente fragile, in specie in alcuni suoi punti.

3.3. Ancora. Una meditazione specificamente cristiana (a parte alcuni accenni nel § 24) appare nel Documento solo nel capitolo V, nel quale Cristo e presentato come compimento della legge naturale. Una scelta di questo genere e pienamente coerente con l’impostazione generale del Documento, con la pretesa di rivendicare il carattere universale e non confessionale dell’etica e piu in generale con l’antica tradizione che continua a pretendere che la philosophia sia l’ancilla theologiae. E’ pur vero, pero, che una simile scelta, da un punto di vista sociologico-culturale, sembra creare nuovi e spinosi problemi, di cui il Documento avrebbe dovuto manifestare consapevolezza. Nell’esperienza religiosa che caratterizza il presente (ma che, sotto certi profili, puo dirsi caratterizzante la fede cristiana fin dal primo annuncio del Vangelo), Cristo non giunge alla fine del percorso di maturazione morale della persona, ma assolutamente all’inizio: quello con Cristo e un incontro che, quando si verifica, determina o ridetermina l’ identita della persona. Questo dato, assolutamente obiettivo, questo nodo, assolutamente complesso esistenzialmente e teoreticamente, rende ragione di un dato di fatto conturbante, ma ineludibile, e cioe che oggi e solo la tradizione cattolica a rivendicare le buone ragioni della teoria della legge morale naturale. Il paradosso e evidente e imbarazzante: quanto piu i cattolici, attraverso le loro istituzioni culturali piu significative (quale appunto la Commissione teologica internazionale) insistono sul carattere non confessionale dell’etica di cui si fanno paladini, tanto piu quest’etica, pur considerata degna del massimo rispetto, viene etichettata confessionalmente da chi si trovi al di fuori della Chiesa: basti pensare a temi eticamente essenziali, come quelli del divorzio (e piu in generale della famiglia) o dell’aborto (e piu in generale della bioetica).

4. (E’ davvero “nuovo” lo sguardo che ci viene proposto?). Alle perplessita che abbiamo appena richiamato, probabilmente superabili senza troppe difficolta, se ne aggiungono altre piu consistenti, perche coinvolgono non solo alcuni punti nodali del Documento, ma le ragioni stesse per le quali esso e stato elaborato. Per esprimere la prima di queste perplessita si puo fare diretto riferimento al suo sottotitolo: “Nuovo” sguardo sulla legge naturale. E’ nuovo lo sguardo che emerge dalle sue pagine? Riterrei proprio di no. Il Documento torna a proporre, con molto garbo espositivo e con una rispettabilissima argomentazione, il modello tradizionale di legge morale naturale -sia pur “in termini che manifestino meglio la dimensione personale ed esistenziale della vita morale” (§ 10)- in contrapposizione al paradigma del giusnaturalismo moderno, i cui limiti sono efficacemente delineati nel § 33. A mio avviso non e corretto qualificare una migliore manifestazione di una dottrina tradizionale come un nuovo sguardo: questa espressione induce a ipotizzare proposte teoretiche fresche, capaci di aprire nuovi orizzonti, il che non sembra darsi nel nostro caso.

4.1. Esempio concreto di quanto poco “nuovo” sia l’orizzonte del Documento e quello che ci viene fornito dal cap. 4, La legge naturale e la citta. L’impostazione classica del discorso impedisce agli autori del Documento di elaborare una riflessione sul nesso problematico esistente tra il paradigma giusnaturalistico da una parte (un paradigma essenzialmente “classico”) e quello democratico-contrattualistico (un paradigma essenzialmente “moderno”) dall’altra. Il riferimento ai diritti naturali (§ 92) e corretto, ma insufficiente, perche elude tutta una serie di questioni: quella della sovrapponibilita dei diritti naturali ai diritti umani e/o fondamentali, quella della loro riduzione all’ orizzonte delle preferenze soggettive, quella della dialettica tra la teoria dei diritti, la teoria della separazione dei poteri e la teoria della sovranità (tanto vivacemente e convincentemente criticata da Maritain). E’ molto ardita, nonostante il riferimento esplicito al magistero di Pio XI, l’affermazione secondo la quale “la legge naturale contiene l’idea dello Stato di diritto” e che questa forma di Stato si strutturi secondo il principio di sussidiarieta (§ 99); l’espressione Stato di diritto puo avere accezioni strettamente formalistiche, come ben sa chiunque abbia letto Kelsen; raccordare il tema dello Stato di diritto col tema dello Stato di giustizia implica grandi fatiche teoretiche.

5. (Sono superabili le difficolta teoretiche del giusnaturalismo?). Peraltro, “nuovo” o “non nuovo”, si puo sostenere che lo sguardo sulla legge naturale proposto dal Documento sia soddisfacente? Purtroppo no o almeno non del tutto. E’ che il Documento –al di la degli elogi che indubbiamente merita- rivela purtroppo da un punto di vista teoretico alcune significativi punti deboli: esso non si confronta adeguatamente con le ragioni storiche e teoretiche che hanno portato storicamente alla crisi del paradigma giusnaturalistico (crisi che alcuni ritengono irreversibile) e non offre di conseguenza indicazioni convincenti su come la dottrina della legge naturale, al di la della buona volonta dei suoi sostenitori, possa superarla. Mi soffermo, a mero titolo di esempio, su alcuni di questi punti.

5.1. Il Documento evita un serio confronto con la storia. E’ pur vero che affiorano continuamente nel Documento volenterose affermazioni di apertura alla storicita: si pensi all’ affermazione del § 27, secondo cui la legge naturale “non e un insieme chiuso e completo di norme morali” o a quella del § 90, secondo la quale “il diritto naturale non e mai una misura fissata una volta per tutte” o ancora a quella del § 113: “la legge naturale non ha niente di statico…non consiste in una lista di precetti definitivi e immutabili”. Il tema pero e piu suggerito che argomentato. L’impostazione tomistica del problema, espressamente richiamata nel punto 2.5 (§§ 53-54), sembra poter aprire la riflessione all’utile distinzione concettuale tra principi e norme morali, ma anche questo spunto viene poi lasciato cadere o comunque non viene posto a confronto con il problema della storicita nel senso posthegeliano in cui esso viene esso oggi avvertito (potremmo riassumerlo nella formula heideggeriana della “mutazione del Dasein”). E’ indispensabile che il pensiero giusnaturalista riconosca di essere uscito molto ammaccato dagli aspri confronti teoretici ottocenteschi con le diverse varianti dello storicismo, da quello hegeliano a quello marxista, e nel Novecento con il paradigma etnologico, il cui relativismo continua a rappresentare una ruvida sfida al pensiero cristiano1. Il ricorso alla formula, generosa, ma ormai stantia, della dinamicita della legge naturale appare teoreticamente insufficiente e insoddisfacente.

5.2. Il Documento, con i suoi continui richiami alla metafisica (§ 76), alla teoria dell’unita analogica dell’essere e alla creazione come partecipazione, evita il confronto col pensiero naturalistico post-metafisico (anche di impronta cristiana) e con le religioni e le culture non creazionistiche. La rilevanza di questa questione e probabilmente epocale e non si puo rimproverare al Documento, considerando i suoi espliciti limiti strutturali, di non averla affrontata come essa meritava. Bisogna pero essere consapevoli che l’affermazione secondo la quale il pensiero e entrato in una irreversibile fase post-metafisica (ripetuta anche da Habermas nel celebre dialogo col Card. Ratzinger) sta esattamente al centro della cultura oggi dominante e non solo di quella strettamente filosofica, poiche caratterizza tutte le scienze umane.

5.3. Il Documento utilizza per la lettura della natura un paradigma teleologico, in quanto tale assolutamente premoderno. Il carattere unitario del sapere classico consentiva a tutte le forme del sapere (da quelle “umanistiche” a quelle “scientifiche”) l’uso di questo paradigma. La frantumazione delle forme moderne del sapere ci fa percepire benissimo come esso oggi non possa che essere ritenuto un paradigma strettamente filosofico, per non dire metafisico. Lo mostra il fatto che esso e ritenuto irrilevante per la conoscenza scientifica della realta naturale. Questo punto ha un rilievo teoretico epocale. In particolare:

5.3.1. Il Documento accetta la teoria delle inclinazioni naturali, ma non si confronta con la psicologia moderna e sembra non avvertire che nel generico concetto di inclinazione possono rientrare a pari titoli i concetti di istinto (riferibile a tutte le forme superiori di vita animale) e di pulsione (esclusivo della psiche umana) ;

5.3.2. Il Documento non prende posizione in merito alla teoria dell’evoluzione (in particolare nella sua variante darwiniana);

5.3.3. ne prende posizione in merito alle filosofie che, vedendo nella tecnica una capacita illimitata di manipolazione di una natura, ne deducono che per cio stesso essa sia priva di ogni telos e che conseguentemente sia impossibile fondare qualsiasi ethos a partire da essa;

5.3.4. ne si fa parola nel Documento dei problemi etici suscitati da discipline di nuova frontiera, come le neuroscienze;

5.3.5. ne si fanno seriamente i conti col kantismo, che non riesce a trovare nella natura –intesa modernamente, come priva di ogni finalismo intrinseco- il fondamento dell’ etica, perche in tal modo si arriva ad appiattire indebitamente l’etica sulla fisica. Per questo l’unica possibilita residua, per Kant, di parlare di etica e quella di tematizzare non una metafisica della natura (espressione contraddittoria, perche equivalente in buona sostanza all’ossimoro metafisica della fisica), ma una metafisica dei costumi (che, come e noto, e depurata da ogni riferimento naturalistico).

5.3.5.1. Sappiamo, dai frammenti del c.d. Opus postumum, come Kant fosse consapevole dei limiti di una metafisica dei costumi e come, per andare al di la di essa, con quanta fatica egli abbia riflettuto sulla possibilita di dare un valore di scienza (cioe di conoscenza rigorosa) ai caratteri particolari della nostra natura, cioe come egli abbia intensamente cercato le vie che potessero garantire un passaggio dalla metafisica alla fisica. Se gli fosse stato possibile portare a termine questo lavoro (e soprattutto se gli fosse stato possibile mostrarne la possibilita), Kant avrebbe tematizzato (e ci avrebbe insegnato a tematizzare) un giusnaturalismo rigoroso. Cosi non e stato e fino ad oggi a nessuno e stato (ancora?) concesso di elaborare una fisica della nostra natura specifica. L’unico orizzonte che sembra aperto davanti a noi e quello del giudizio che noi diamo sulla finalita della natura, che pero, come ben sanno i conoscitori di Kant, e un giudizio che si fonda su di un’esigenza universalmente condivisa, ma soggettiva (inadeguata quindi a costituire un fondamento per l’etica, che dovrebbe avere invece, per Kant, carattere scientifico, cioe oggettivo). Il finalismo –malgrado quel che possono pensare i sostenitori del disegno intelligente- non puo nemmeno assurgere al rango di una mera ipotesi (dato che un’ipotesi va pur dimostrata e qualsiasi dimostrazione del teleologismo suscita le proteste della scienza). Kantianamente esso possiede il rango di un postulato necessario dell’etica, in merito al quale la scienza non ha alcuna competenza a intervenire. Questa e una pista affascinante, ma non sembra che il percorrerla abbia portato a risultati accettabili.

5.3.6. Il Documento, individuando nella natura il fondamento dell’etica, sembra che pensi che per difenderla (per dir cosi) da ogni critica sia sufficiente affermare che, essendo la natura opera del Logos (§ 78), non e lecito elaborarne una visione riduttiva. E’ un po‘ poco. E’ pur vero che poi il discorso si amplia: il Documento insiste nel sottolineare che e indispensabile elaborare una filosofia della natura nell’orizzonte di una metafisica della creazione (§ 78) e arriva a parlare dei fini superiori dello spirito come principi di unificazione delle tendenze naturali (§ 79), insistendo nella critica di ogni teoria della natura ridotta a pura componente fisica o biologica (§ 81). Ritornano qui le difficolta cui sopra si e fatto cenno: parliamo davvero di natura, o non parliamo piuttosto di qualcosa di diverso, quando ci vediamo costretti a protestare contro la riduzione della natura alla fisica o alla biologia? Nel teleologismo classico una protesta del genere non era pensabile, per la semplice ragione che non era possibile immaginare una distinzione tra fisiologia (nel senso etimologico del termine), fisica e biologia: distinzione del genere nascono e si rivelano indispensabili solo con la deteleologicizzazione delle moderne scienze naturali.

5.3.6.1. Formule come quella del § 79, in cui si sostiene che nei dinamismi della natura umana sia inscritta una promessa, o come quella della nota 74, in cui si sottolinea l’esigenza di umanizzare la natura dell’uomo, sono notevolmente suggestive, ma corrono il rischio di restare tutte all’interno di quel paradigma teleologico, che rende scolastica la riflessione proposta nel Documento, piu ancora che antiquata. E’ evidente che usando termini cosi suggestivi, ma metafisici, come promessa o come umanizzazione, ogni possibile convergenza linguistica con il lessico delle moderne scienze della natura e precluso a priori2. Ma la questione non e evidentemente solo linguistica. L’uso di questi termini puo portare a nascondere la ragione ultima per la quale la fisica non basta a se stessa, ma esige una metafisica. Se la natura fosse intrinsecamente sana, non ci sarebbe bisogno di una metafisica per leggere le sue dinamiche etiche intrinseche. Questa si impone solo perche a causa del peccato la natura e irrimediabilmente malata! Se si percepisce la presenza nella natura di una piaga, o se, kantianamente, la vediamo come un legno irrimediabilmente storto, e conseguente riconoscere che non la scienza, ma solo l’ etica e in grado di sanarla. Questo e un tema, che pero non ha legittimazione alcuna nel dibattito contemporaneo e il solo proporlo produce ostilita teoretiche e fraintendimenti culturali.

6. (Quale strategia adottare?). Le filosofie, sosteneva Hegel, tramontano non quando vengono confutate, ma quando si prende atto che con esse non si riesce ad andare piu avanti. Questa e l’ essenza del problema teoretico che devono affrontare i sostenitori della teoria della legge naturale: l’epoca moderna si e convinta, a torto o a ragione, che questo paradigma abbia una splendida storia alle proprie spalle, ma non abbia futuro: l’idea della legge morale naturale sarebbe ormai teoreticamente improponibile. Che questo sia un dato di fatto e indubbio, ne, per contrastarlo, e lecito tanto peggio per i fatti! Sostenere che il paradigma giusnaturalistico sia insostituibile e azzardato: bisognerebbe ipotizzare o che non esistano altri paradigmi di fondazione dell’ etica consistenti al di fuori di questo3, o sostenere che tra diversi paradigmi plausibili questo sia quello ottimale. Questa ipotesi e naturalmente possibile -e quella sostenuta nel Documento-, ma l’onere della prova grava su chi la avanza e purtroppo, gli argomenti a favore di una perdurante validita di questo paradigma non sembrano risolutive. E allora? Bisogna accontentarsi di utilizzare il paradigma della legge morale naturale in contesti filosoficamente protetti? Oppure bisogna abbandonarlo? O bisogna risemantizzarlo? O bisogna utilizzarlo –come pensava Stuart Mill- solo come fonte, pressoche inesauribile, di “argomenti morali”4? Quale strategia e conveniente che assuma il pensiero cristianamente orientato? Ne ipotizzo due, in tutta rapidita.

6.1. Una prima strategia esige che ci si ponga alla ricerca di un possibile concetto postmoderno di legge naturale. Per giungere a tanto, bisogna operare su di un duplice piano. Da una parte bisogna prendere atto del trionfo del moderno riduzionismo fisicistico: questo comporta la necessita di abbandonare ogni lettura teleologica della natura (dal che consegue anche l’abbandono del lessico giusnaturalistico tradizionale). Dall’altra, contestualmente, e necessario impegnarsi per decostruire l’ideologia soggettivistica della modernita (il vero e proprio paradigma alternativo a quello giusnaturalistico), mostrandone –anche grazie all’aiuto dell’ ermeneutica, che potrebbe rivelarsi prezioso- limiti e fallimenti (e un lavoro, questo, che viene fatto, in maniera molto sintetica, ma tutto sommato precisa, nel Documento). Alla fine di questo processo si potrebbe riproporre tentare di risemantizzare l’ espressione legge naturale, per mostrare come con essa non ci si voglia immediatamente riferire ad una dimensione trascendente dell’etica, ma ad uno strumento concettuale, un Medium, per la comprensione piu adeguata di questa5.

6.2. Dubito pero che la strategia appena esposta possa avere oggi come oggi una possibilita di successo, almeno fino a quando l’ipoteca che grava sull’idea di natura ad opera del paradigma scientistico non si dissolva (ipotesi al momento attuale non verosimile). Si dovrebbe quindi ipotizzare un’ ulteriore strategia, ben piu complessa della precedente, che potrebbe essere quella di riformulare la dottrina della legge naturale come antropologia, senza far gravare su questo termine un’ipoteca metafisica, dato che ad un’adeguata antropologia si puo giungere anche attraverso vie diverse, come quelle coltivate dalle scienze umane. La formula, alla quale sopra si e fatto riferimento, umanizzare la natura dell’uomo, non perderebbe nulla della sua efficacia se venisse riproposta nella forma, piu asciutta, umanizzare l’ uomo, in quanto l’uomo e l’unico centro adeguato di interesse del pensiero in generale e dell’impegno sociale in particolare (faccio qui mia un’ intuizione centrale nel pensiero di Sofia Vanni Rovighi, quando definiva la filosofia come la ricerca della giustificazione razionale delle valutazioni morali). La misura dell’agire umano, che, nella dottrina tradizionale, era individuata nella legge naturale, andrebbe quindi individuata nel bene umano e riferita alla oggettivabilita di questo. Perche questa ipotesi appaia oggi consistente, bisogna postulare che questa oggettivabilita possa avere un carattere premetafisico, che essa cioe possa essere mostrata, a la Levinas, facendo riferimento al volto dell’altro, alla prassi prima che alla teoresi. Un impegno teoretico del genere e indubbiamente gravosissimo ed e stato gia tentato diverse volte in passato, con esiti non decisivi. Per questo a molti apparira indubbiamente fragile; sicuramente pero non e banale e merita di essere esperito.

6.2.1. Mettiamo alla prova questa strategia argomentativa, usando come riferimento il tema spinosissimo dei peccati contro natura, affrontati nel Documento nel § 80, quando si parla, con molta delicatezza, degli atti contro natura, che vanno qualificati peccati in quanto, contrastando con dinamismi naturali prerazionali, ostacolano lo sviluppo autentico della persona umana. Cosi, il suicidio sarebbe in contraddizione con l’ inclinazione naturale a conservare la propria esistenza e l’omosessualita contraddirebbe alle finalita inscritte nel corpo sessuato dell’uomo. Sono argomenti difficilmente proponibili nella cultura di oggi, che e pronta ad obiettare, particolarmente nel caso dell’omosessualita, che, al di la pdfdell’istinto sessuale, e la natura stessa a porre in alcuni soggetti pulsioni che lo specificano ulteriormente. E’ difficilissimo elaborare suicidio e omosessualita come problemi etici, facendo riferimento a dinamismi naturali prerazionali: o legittimiamo l’una e l’altra pulsione come varianti eticamente neutrali di dinamiche naturalistiche o le riconduciamo a sindromi psicologiche o psicopatologiche (analogabili a quelle che in epoca classica venivano definite le passioni), che divengono moralmente condannabili (indipendentemente dal grado della loro condannabilita morale, che puo anche ritenersi relativamente esiguo), quando si rivelino irriducibili al bene umano oggettivo.

 

NOTE:

1 Per fare un esempio tra mille, limitandoci alla cultura italiana, si pensi al recente libro (2008) di Francesco Remotti, intitolato Contra natura e provocatoriamente sottotitolato Una lettera al Papa, in cui si accusa la dottrina della legge naturale di essere “una concezione univoca, rocciosa, imperiosa dell’essere uomini”. La teoria delle inclinazioni, che viene esposta nei §§ 48 e ss. Avrebbe forse potuto essere posta a confronto con simili istanze.
2 Si puo sostenere che questa preclusione sia necessaria e comunque inevitabile e si potrebbe anche ritenerla benefica: resta il dubbio, pero, se sia proficuo continuare ad usare il lessico giusnaturalistico tomistico, una volta che si sia presa consapevolezza che l’ uso lessicale assolutamente dominante nella modernita non e certamente questo.
3 A questa opinione accedono coloro, come Alasdair MacIntyre, che ritengono che tra Aristotele e Nietzsche non ci siano vie intermedie. Questa opinione, peraltro, prima che di MacIntyre e dello stesso Nietzsche: “Guardiamoci dal dire che esistono leggi nella natura! Non vi sono che necessita…” (La gaia scienza, § 109).
4 “Sebbene non si possa forse oggi trovare alcuno il quale, come gli scrittori istituzionali dei secoli passati, adotti il cosiddetto Diritto Naturale quale fondamento dell’etica,e si sforzi in modo conseguente di ragionare a partire da esso, tale parola e quelle affini vanno annoverate ancora oggi fra i termini che hanno un gran peso nelle argomentazioni morali” (J.Stuart Mill, Saggi sulla religione, tr.it., Milano, Feltrinelli, 1987, p. 18).
5 Questa mi sembra che sia la strategia utilizzata da Joseph Ratzinger in Naturrecht, Evangelium und Ideologie in der katholischen Soziallehre. Katholische Erwagungen zum Thema, in Christlicher Glaube und Ideologie, hrsg. von K. v. Bismarck e W. Dirks, Stuttgart- Berlin 1964, pp. 24-30.

 

 

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