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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

pdf1. L’Ordine esiste da 800 anni. Ha avuto dei picchi numerici di 10.000 membri nel Settecento quando la popolazione mondiale non raggiungeva il miliardo ed i frati erano sostanzialmente provenienti dall’Europa.
A metà del Novecento tale cifra assoluta è stata di nuovo raggiunta ma su una popolazione mondiale di 2,5 miliardi di popolazione ed oggi è di 6000 membri di fronte ad una popolazione mondiale di sette miliardi.
Cito questi dati solo come esempio di come in otto secoli le situazioni storico-geografiche siano mutate. E non solo per l’Ordine ma per tutta la Chiesa cattolica all’interno della quale esso si sviluppa e vive.
Per non andare troppo indietro nel tempo, possiamo dire che dopo la bufera delle soppressioni delle congregazioni religiose, iniziate nel Settecento dai regimi cesaropapisti e finite dopo le seconda guerra mondiale con i regimi comunisti, la rinascita dell’Ordine a livello intellettuale avvenne in parallelo all’assunzione della dottrina tomista da parte della Chiesa cattolica alla fine del XIX secolo. Sono conscio che tale affermazione è ambigua, ma nel contesto di questo discorso mi sembra sufficientemente significativa.
Nel momento della rifondazione (anche intellettuale) dell’Ordine alla fine dell’Ottocento, tramite i francesi Lacordaire, Jandel e Cormier, il tomismo divenne il labaro dell’identità intellettuale dell’Ordine. In ciò supportato potentemente dalla fondamentale proclamazione di Leone XIII del tomismo come dottrina “ufficiale” della Chiesa Cattolica.
Tale ‘epoca d’oro’ finì (con tutte le cautele e i distinguo) con il Concilio Vaticano II. Da allora di fatto i domenicani nella Chiesa non sono più i corifei della dottrina accettata ‘ufficiamente’ dalla maggioranza delle istanze cattoliche, e di conseguenza sentono messa in discussione la loro identificazione culturale con una ben precisa tradizione filosofico-teologica.
Attualmente solo pochi intellettuali domenicani si sentono tomisti come lo erano stati, almeno nella loro giovinezza, Chenu, Congar o Schillebeeckx.
Si pone pertanto il problema del ri-orientamento della situazione intellettuale che, pur se non omogenea in ogni regione del mondo, si può definire come mancante di un preciso orientamento o per lo meno come debolmente orientata.
È negativo in questo contesto che il tomismo sia di fatto legato, presso molti gruppi, al conservatorismo politico, liturgico e sociale in genere, all’interno della Chiesa e della società, e che il distaccarsi da esso sia valutato come un’affermazione di liberazione e progressismo globale.
Eppure nella prima metà del scolo XX un tomista come Jacques Maritain non poteva essere considerato socialmente un conservatore. Si pensi alla sua presa di posizione contro Franco durante la guerra civile spagnola, al suo contributo dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ed ai suoi scritti politici che contribuirono alla nascita e allo sviluppo della Democrazia Cristiana in Europa ed in America.
La questione prima è quindi il chiedersi se la domanda stessa abbia un senso, e se quindi sia possibile darle una risposta.
Cosa dovrebbe fare oggi l’Ordine per garantire la propria identità intellettuale? E’ utile fare questa operazione? A chi o a che cosa è utile?

2. Forse ci si deve chiedere in prima istanza cosa è l’identità intellettuale di un gruppo ben definito di persone.
Nel caso di un gruppo linguistico essa indica la lingua comune, di un gruppo religioso la religione comune, di un gruppo di tifosi il club sportivo di riferimento. Insomma, sembrerebbe che il riferimento ad una realtà comune sia essenziale per l’identità.
Nel caso di una identità intellettuale sembrerebbe che tale riferimento sia ad un insieme di principi interpretativi della realtà ed conseguentemente indirizzanti all’azione. Forse designa anche un metodo di conoscenza.
Mentre una comunanza di origine può essere quella di derivare dagli stessi antenati o luoghi, quella intellettuale sembrerebbe quindi strettamente legata al pensiero, sia quello interpretativo della realtà che quello di guida dell’azione.

3. C’è da tener presente che non tutti nell’Ordine sono degli intellettuali nel senso comune del termine.
Per costoro la identità intellettuale è stata trasmessa essenzialmente durante il periodo di formazione attraverso dei membri più anziani che hanno avuto la funzione di modelli e di portatori di un patrimonio ideale specifico da trasmettere.
La ricerca della verità - tipica dei domenicani, tanto da avere come motto ufficiale “Veritas” - li spingerà comunque a seguire il progresso delle scienze (non solo di quelle naturali) poiché per avere una sintesi filosofica e teologica non è più possibile oggi partire solo dall’esperienza quotidiana, diretta della realtà.
Questo pone un problema ulteriore per l’identità intellettuale, perché le scienze (e soprattutto il loro metodo) si evolvono continuamente, costringendo la Weltanschauung filosofico-teologica ad adeguarsi di volta in volta: fondamentalmente alla ricerca di una sintesi di un’astrazione più alta e quindi più formale.

4. Un problema parallelo a quello posto è quanto pluralismo filosofico-teologico l’Ordine può accettare al suo interno senza perdere di unità, almeno quella minima per essere efficiente sul piano dell’apostolato intellettuale.
A questo riguardo può essere interessante leggere ed ascoltare i contributi al congresso “Dominicans and the Challenge of Thomism” tenuto a Varsavia nel luglio 2010 ed ai quali si può accedere attraverso il sito web http://www.it.dominikanie.pl/warsawconference/. A tale incontro hanno partecipato decine di giovani membri dell’Ordine provenienti da diversi paesi ed aree culturali.

5. Leggendo i contributi presenti in questo fascicolo di OIKONOMIA si noterà grosso modo una distinzione ben netta, anche se un po’ rozza, sia tra le posizioni degli autori che delle figure presentate. I progressisti da una parte e i conservatori dall’altra.
Fanno parte di quest’ultimi i contributi di Barzaghi e Neves, mentre quelli di Callebaut e Barwasser si possono classificare tra i primi. Il testo di Garuti mantiene una sua originalità d’impostazione, per cui è di difficile collocazione; lo stesso vale per Hedvig Deák.
Il testo di Giuseppe Barzaghi è un ottimo esempio di ‘rinnovamento nella continuità’ del pensiero tomista. È un'elaborazione teoretica che mantiene il passo con la filosofia sia laica che teologica contemporanea.
Neves invece ci aiuta a seguire lo sviluppo del pensiero ufficiale dell’ordine, rappresentato dai Capitoli Generali e dai Maestri dell’Ordine stesso. Indubbiamente ci si pone anche qui sulla linea del rinnovamento nella continuità.
Il testo di Barwasser invece propone senza ambiguità il cammino di Schillebeeckx come allontanamento dal tomismo di scuola verso l’accettazione dell’istanza ermeneutica proprio di tanto pensiero filosofico e teologico anche all’interno della Chiesa Cattolica.pdf
Originale è poi la posizione assunta dal contributo del sociologo della religione Bennie Callebaut il quale ci presenta uno schizzo interpretativo di tutta la storia della Chiesa, all’interno della quale è posto anche l’Ordine domenicano. Egli però, coerentemente con la posizione del movimento cui appartiene, quello dei Focolari, assume come ‘fine della storia’ un modello di progressivo avvicinarsi all’Unità universale di tutte le istanze religiose, più o meno esplicite.
Credo pertanto che i contributi che offriamo ai lettori siano di una qualche utilità per rispondere alla domanda iniziale: ha un senso porsi questo problema?
Visto che sono state possibili diverse (e diversificate) risposte sensate, sembrerebbe che si possa rispondere affermativamente a tale quesito.
La preferenza dell’estensore di questo editoriale va però, sul piano teoretico, alle posizioni vicine a quella di Barzaghi, e, sul piano storico, a quella di Hedvig Deák.

 

 

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