Select your language

Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

pdfÈ ormai un argomento condiviso da politologi ed esperti di relazioni internazionali che la principale causa delle guerre che accadranno nei prossimi decenni sarà l'acqua, in alcune zone del globo più che in altre. Il Medio Oriente, da questo punto di vista, ha precorso i tempi, dal momento che l'acqua è già ora una delle ragioni delle tensioni e dei conflitti esistenti.

In riferimento al conflitto arabo-israeliano, la spartizione e l'uso delle risorse idriche è fra le questioni chiave, ancora irrisolte, che ostacolano da decenni la pace nella regione: da un lato, la gestione del bacino del Giordano1 e delle sue sorgenti, che interessa Israele e gli Stati arabi vicini, cioè la Giordania, con cui Israele ha firmato un trattato di pace nel 1994, e il Libano e la Siria, con cui, invece, c'è solo una situazione di armistizio (tanto che i due paesi arabi non hanno ancora riconosciuto l'esistenza di Israele); dall'altro, quella relativa allo sfruttamento delle falde acquifere che si trovano nei TOP (i territori occupati palestinesi, cioè la Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, e la striscia di Gaza, che Israele ha occupato a seguito della Guerra dei Sei Giorni del giugno 1967) e che interessa israeliani e palestinesi.

Il Giordano nasce dal monte Hermon, così come tre dei suoi quattro affluenti, l'Hasbani, il Dan e il Banias, che vi confluiscono nel suo primo tratto. Dopo aver attraversato il lago di Tiberiade - cioè "il mare di Galilea" dei Vangeli - confluisce nel Giordano il suo quarto affluente, lo Yarmuk, che nasce invece in  Giordania2. Affrontare la questione delle sorgenti del Giordano significa parlare delle alture del Golan, dove si trova il monte Hermon, da cui nascono, come detto, il Giordano e tre dei suoi affluenti. Mentre, però, l'Hasbani nasce dal versante ovest del monte, in territorio libanese, il Dan e il Banias nascono dai versanti meridionali, nel Golan, cioè in quella parte di territorio siriano che Israele ha occupato nel giugno del 1967. Al momento, dunque, con l'eccezione dell'Hasbani, Israele controlla totalmente il tratto superiore del Giordano. Ciò è molto importante perché, in questo modo, Israele dispone completamente dell'acqua che il Giordano porta al lago di Tiberiade, e che da qui viene trasportata - tramite il cosiddetto National Water Carrier, un acquedotto completato nel 1964 - alle città della costa mediterranea e da qui fino al Negev, la parte meridionale del paese, in gran parte desertica. E' chiaro, dunque, come oltre alle questioni di sicurezza anche l'acqua svolga un ruolo fondamentale nelle trattative con la Siria per una possibile restituzione del Golan in cambio del riconoscimento da parte di Damasco dell'esistenza dello Stato di Israele. Con la firma del trattato di pace con la Giordania, si è, invece, parzialmente appianata - alcune divergenze rimangono tuttora - la questione del controllo del tratto inferiore del Giordano, dopo che questo, lasciato il lago di Tiberiade, procede verso sud sfociando nel Mar Morto. Uno degli elementi affrontati dal trattato di pace con la Giordania riguardava proprio la gestione delle acque del Giordano, il cui corso delimita il confine tra Israele e la Giordania, più a nord, e tra Cisgiordania e Giordania, più a sud.

Per quanto concerne la questione dello sfruttamento delle falde acquifere presenti nei TOP, la situazione è, invece, ancora molto controversa. Quando Israele, come detto, conquistò la Cisgiordania e la striscia di Gaza, lo Stato ebraico si trovò a controllare le due falde acquifere che si trovavano in quei territori e che tra la guerra del 1948 e quella del 1967 erano rimaste sotto il controllo rispettivamente della Giordania e dell'Egitto. Si trattava delle cosiddette "falde acquifere di montagna", in Cisgiordania, e della "falda acquifera costiera", a Gaza3. A partire da quel momento e fino alla firma degli accordi di Oslo, in particolare del cosiddetto Oslo II (settembre 1995), la gestione dell'acqua nei TOP è stata completamente nelle mani di Israele, che ne ha disposto interamente sia per aumentare i consumi interni, vale a dire della popolazione residente nel territorio dello Stato come definito dalla guerra del '48, sia per soddisfare le richieste del crescente numero di coloni israeliani che hanno deciso di risiedere nei TOP. Vale la pena ricordare che entrambi questi comportamenti sono illegali dal punto di vista del diritto internazionale, sulla base della Quarta Convenzione di Ginevra, che disciplina il comportamento che la potenza occupante è tenuta ad avere nei territori sottoposti ad occupazione militare, come è nel caso dei TOP4. È infatti illegittimo, secondo la Convenzione, sottrarre risorse dal territorio occupato in modo tale che queste vengano consumate dalla popolazione della potenza occupante.

A partire dal 1967, Israele ha sostanzialmente vietato ai palestinesi che vivono nei TOP - ma non ai coloni israeliani - di scavare nuovi pozzi e di effettuare lavori di riparazione o mantenimento a quelli già esistenti. L'obiettivo principale era evitare l'aumento del consumo d'acqua da parte della popolazione palestinese - che dal 1967 è cresciuta sensibilmente, da circa un milione a quasi quattro milioni - in modo tale che solo i cittadini israeliani potessero beneficiare della possibilità di attingere alle nuove fonti d'acqua, le falde acquifere di cui si è detto. Soltanto a seguito degli Accordi di Oslo, Israele ha accettato il principio che anche i palestinesi avessero diritto ad una parte delle acque delle falde acquifere. Con l'accordo del 1995, è stato dunque previsto un aumento di consumo da parte dei palestinesi, a patto, però, che questo non inficiasse i consumi israeliani. E' stata pertanto prevista la costruzione di nuovi pozzi e di nuovi acquedotti, all'interno di un meccanismo di controllo congiunto israelo-palestinese, il cosiddetto Joint Water Committee, che avrebbe supervisionato qualsiasi lavoro. In questa maniera, Israele continuava ad aver diritto di veto su qualsiasi questione riguardante l'acqua. In più, con tale accordo, non venivano prese decisioni a lungo termine, perché l'intera cornice negoziale di Oslo prevedeva che le questioni principali - il futuro degli insediamenti, i confini di un possibile futuro Stato palestinese (Oslo non prevedeva la creazione di uno Stato, ma solo di un autogoverno), lo status di Gerusalemme, la questione dei profughi, e l'acqua - fossero rimandate alla fase finale delle trattative, cui non si giunse mai a causa della continua posticipazione e dello scoppio della Seconda Intifada. Pertanto, nonostante l'accordo raggiunto nel 1995, la situazione in termini di utilizzo delle falde acquifere non è cambiata in maniera considerevole.

Con la costruzione della barriera di separazione da parte dello Stato d'Israele5, iniziata nell'aprile del 2002, la situazione in termini di consumo d'acqua è chiaramente peggiorata, perché la barriera - tuttora in costruzione - ha permesso a Israele di annettere de facto una parte considerevole di territorio della Cisgiordania, circa il 16,6%. Una ONG palestinese, il Palestinian Hydrology Group, e una ONG israeliana, B'tselem, stanno monitorando la situazione sul terreno, e hanno messo in luce come il percorso della barriera abbia inciso negativamente sui consumi idrici palestinesi. Numerosi, infatti, sono stati i pozzi parzialmente danneggiati o interamente distrutti, il che ha chiaramente portato ad una diminuzione dei consumi d'acqua della popolazione palestinese, sia domestici, sia agricoli. Alcuni dati sono, a tale proposito, significativi. Sebbene le falde acquifere di montagna siano per la maggior parte situate in Cisgiordania, Israele utilizza più del 57% dell'acqua sotterranea totale, mentre i palestinesi solo poco più dell'8%. In termini agricoli, sebbene circa il 25% della Cisgiordania sia coltivata, solo meno dell'11% viene irrigata, per mancanza d'acqua. Anche per quanto riguarda i consumi individuali, i dati sono preoccupanti. Il consumo domestico pro-capite per gli israeliani è di 98 metri cubi di acqua al giorno; per i palestinesi di soli 34 metri cubi.

È alla luce di questa situazione di chiara discriminazione che vanno lette le negoziazioni israelo-palestinesi in vista di un accordo di pace. Una pace tra israeliani e palestinesi, perché abbia possibilità di successo, infatti, non può non affrontare anche la questione di una distribuzione più egualitaria dei consumi d'acqua tra israeliani e palestinesi. Così come una gestione comune delle sorgenti del Giordano, che porti ad una distribuzione equa delle sue acque, è indispensabile perché le trattative trapdf Israele e Siria possano avere margini di successo.

In un periodo in cui sono ripartiti i negoziati diretti tra israeliani e palestinesi, ci si augura, perciò, che le parti in causa riescano a trasformare l'acqua da un elemento di conflitto in strumento di dialogo, cosicché possa essere un bene comune da cui trarre beneficio in maniera equa e responsabile.

1 Si fa notare come la portata del Giordano - sottoposta peraltro a forti variazioni tra l'inverno e l'estate - sia molto esigua. Per fare un confronto con altri fiumi del contesto medio orientale, si pensi che la portata d'acqua del Giordano è pari al 2% di quella del Nilo e al 6% di quella dell'Eufrate.

2 Per una mappa delle risorse acquifere che riguardano il conflitto arabo-israeliano, cfr. http://www.passia.org/publications/bulletins/water-eng/pages/water04.pdf, accesso del 27.08.2010.

3 Si rimanda alla cartina indicata nella nota n. 2.

4 Vale la pena ricordare che Israele, a differenza di quanto non faccia la comunità internazionale, non definisce tali territori "occupati", ma "contestati" e ritiene, dunque, che le Convenzioni di Ginevra non si possano applicare al caso specifico dei TOP.

5 Per una mappa del percorso che segue la barriera, cfr: http://www.btselem.org/Download/Separation_Barrier_Map_ Eng.pdf, accesso del 27.08.2010.

 

 

BORSE DI STUDIO FASS ADJ

B01 cop homo page 0001Progetto senza titolo

 

 PCSTiP FASS

foto Oik 2

Albino Barrera OP  -  Stefano Menghinello  -  Sabina Alkire

Introduction of Piotr Janas OP