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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

 

I flussi migratori provenienti dall’Italia e diretti all’estero hanno attirato nel primo scorcio del XXI secolopdf l’attenzione crescente dell’opinione pubblica e del mondo scientifico. In coincidenza con gli anni della crisi economica internazionale, a partire dal 2007, tali flussi sono stati messi continuamente in relazione all’affaticamento del mercato del lavoro nazionale, ai suoi limiti di assorbimento, alla stagnazione del sistema universitario e della ricerca e, più in generale, alla difficoltà di garantire all’interno dell’Italia uno sbocco occupazionale alle nuove generazioni, compresi i soggetti più qualificati sul piano della formazione e della specializzazione. Tale attenzione crescente ha generato una generale sovraesposizione mediatica del fenomeno del cosiddetto “brain drain”, che a ben guardare rappresenta solo una parte della più recente emigrazione italiana, a scapito di quel flusso consistente formato da lavoratori e lavoratrici, spesso precari e molto giovani, impiegati nei settori più differenti del mercato del lavoro internazionale, dalla ristorazione ai servizi alla manifattura fino all’agricoltura.

Guardando ai dati forniti dall’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero) e aggiornati al 1 gennaio 2013 i dieci paesi dove si concentra maggiormente la presenza di italiani sono: Argentina (691.481 persone), Germania (651.852), Svizzera (558.545), Francia (373.145), Brasile (316.699), Belgio (254.741), Usa (223.429), Regno Unito (209.720), Canada (137.045), Australia (133.123). I dati Aire sono in realtà capaci di restituire solo una parte dell’attuale esperienza migratoria italiana, perché non tutti coloro che si trasferiscono all’estero si iscrivono

all’anagrafe e perché una parte consistente degli iscritti è da annoverare tra i cittadini italiani nati all’estero che hanno acquisito la cittadinanza solo perché discendenti di italiani e quindi non sono computabili nello scenario migratorio propriamente detto rispetto all’ultimo decennio. L’anagrafe dell’Aire è comunque in continuo aumento. Nel 2006 contava 3.106.251 iscritti, diventati nel 2007 3.568.532, nel 2008 3.734.428, nel 2009 3.915.767, nel 2010 4.028.370, nel 2011 4.115.23 e infine nel 2012 4.208.977. Una crescita davvero significativa, che in soli 6 anni ha visto un aumento di più di un milione di unità1.

Addentrarci nelle differenti tipologie migratorie che caratterizzano oggi gli italiani non è semplice. In sintesi, possiamo individuare 6 gruppi di soggetti che a vario titolo possono essere considerati italiani migranti.
Il primo gruppo è quello degli emigranti che potremmo definire “classici”, lavoratori e lavoratrici che partono dall’Italia in genere con un contratto di lavoro e che sono impegnati nel lavoro dipendente, soprattutto industria e servizi, prevalentemente nei paesi europei. Si tratta di persone che spesso tornano nei fine settimana nei rispettivi luoghi di partenza e che mantengono viva una tradizione migratoria di lunga durata, spesso legata a catene migratorie con i luoghi di lavoro di Germania e Svizzera, paesi in cui questa mobilità è ancora molto forte.

Il secondo gruppo è quello dei giovani, laureati o meno, che partono senza avere necessariamente in mente una precisa destinazione occupazionale e che trovano impiego prevalentemente nel settore del commercio e della ristorazione, avviando esperienze di mobilità che possono durare pochi mesi o protrarsi anche per lunghissimo tempo. Anche questa tipologia è legata ai paesi europei ma non mancano esperienze tipiche di paesi transoceanici, come l’Australia, dove grazie al particolare visto vacanza-lavoro è cresciuto negli ultimi anni il numero di ragazzi italiani impegnati prevalentemente in agricoltura, come primo impiego.

La terza tipologia è quella dei lavoratori altamente qualificati, reclutati in ambiti selezionati e diretti verso tutti i tipi di destinazione, sia in Europa che fuori dall’Europa. In questa tipologia ritroviamo personale dipendente sia da imprese italiane attive all’estero sia da imprese straniere sia da multinazionali. E’ una fetta di mercato del lavoro ad altissima mobilità, che in realtà non rappresenta una novità degli ultimi anni ma si può individuare seppure in forme diverse fin dalla seconda metà del Novecento.

La quarta tipologia è quella legata alla ricerca e alla formazione. Dagli studenti Erasmus ai dottorandi di ricerca dai ricercatori ai dirigenti di ricerca fino ai professori ordinari. E’ un universo in cui rientrano sia i dipendenti del settore pubblico sia del settore privato e anche questo universo è diffuso in tutto il mondo, con punte particolarmente alte in Europa e Nord America. I dati relativi al cosiddetto “brain drain” o alla “fuga dei cervelli” in realtà non sono semplici da ricavare2. Un buon punto di partenza relativo è una ricerca condotta nel 2010 dall’Istat sui dottori di ricerca che avevano conseguito tale titolo tra il 2004 e il 2006. Secondo tale rilevazione ben il 7% di questi studiosi si è trasferito all’estero dopo il conseguimento del titolo. Tendono a spostarsi di più gli uomini e tendono a spostarsi di più coloro che vengono da famiglie istruite (con almeno uno dei due genitori laureati) e che conseguono in età giovane (sotto il 32 anni) il dottorato di ricerca. Sembrano peraltro falliti i differenti programmi portati avanti dai governi italiani per facilitare il cosiddetto “rientro dei cervelli”. I dati del 2005 raccolti dall’Oecd sui movimenti migratori dei laureati già segnalavano la tendenza a un saldo negativo dell’Italia3.

La quinta tipologia è strettamente legata alla realtà dell’immigrazione straniera. Tra coloro che infatti partono dall’Italia per dirigersi all’estero ci sono numerosi immigrati di nazionalità straniera, che dopo l’arrivo in Italia scelgono altre destinazioni o immigrati di seconda generazione nati in Italia. Le reti internazionali delle tante comunità presenti nel nostro paese, la mobilità determinata dalla recente crisi economica, le potenzialità della libera circolazione europea per i cittadini dei paesi membri dell’Unione Europea hanno incentivato lo sviluppo delle migrazioni internazionali di persone già immigrate in Italia o figlie di immigrati.

La sesta tipologia è legata al pendolarismo, ed è tipica di coloro che varcano ogni giorno la frontiera per recarsi a lavorare all’estero e magari alla sera stessa rientrare in Italia. Sono i cosiddetti lavoratori frontalieri, presenti sul confine francese ma soprattutto su quello svizzero. Si calcola che ogni giorno circa sessantamila persone attraversano il confine svizzero per recarsi nel Canton Ticino. Negli anni compresi tra il 2008 e il 2012 in Ticino si sono tra l’altro moltiplicate le campagne politiche improntate alla xenofobia contro i lavoratori frontalieri italiani, tanto che il tema del lavoro migrante degli italiani è stato uno dei temi caldi della campagna elettorale del 20114.

Finora ci siamo dedicati all’analisi della mobilità in uscita dall’Italia, ma se pensiamo alle nuove migrazioni italiane dobbiamo anche guardare a chi si muove dentro il paese. Secondo le rilevazioni più recenti della Svimez5, negli anni della crisi è cresciuto in modo notevole il volume di persone che per ragioni di ricerca di lavoro si spostano dalle regioni meridionali verso le aree centrali e settentrionali del paese. Naturalmente i flussi non solo diretti da sud a nord, ma questa è una delle linee principali. La composizione sociale di tali movimenti è molto varia: si muovono insegnanti, liberi professionisti, operai, lavoratori stagionali in agricoltura. Un segnale molto chiaro di quanto sia importante questo movimento è venuto alla luce nel 2011, ed è legato dell’abolizione dei cosiddetti “treni-notte”, varata da Trenitalia in occasione dell’aggiornamento dell’orario ferroviario introdotto a dicembre 2011. La principale società di gestione del trasporto ferroviario decise, nell’ambito dei suoi piani di “razionalizzazione”, di sopprimere alcune tratte, in particolare quelle che collegavano direttamente le regioni meridionali con le principali città del nord e alcune – quelle notturne – che collegavano la città di Roma con Torino. Oltre ad avere alcune ripercussioni di tipo occupazionale (riduzione del personale impiegato nei treni notturni), il provvedimento era destinato a incidere in modo determinante sugli orari, le tariffe, i percorsi dei tantissimi lavoratori e studenti che utilizzavano copiosamente tali tratte. Le proteste messe in piedi per ripristinare questi collegamenti (che solo in parte sono stati poi effettivamente riattivati) hanno visto la partecipazione – oltre al personale ferroviario coinvolto - di migliaia di persone, utenti di un servizio che ancora nel 2011 risultava essenziale e indispensabile, a dimostrazione di quanto la presenza degli spostamenti interni rappresenti un elemento strutturale nel tessuto economico e sociale del paese.

 


NOTES:

1 Per i dati annuali tratti dall’Aire si veda il Rapporto italiani nel mondo, pubblicato ogni anno dalla Fondazione Migrantes.

2 M. C. Brandi, Evoluzione degli studi sulle skilled migration: brain drain e mobilità, in «Studi Emigrazione», 141, pp. 75-93; S. Avveduto, M. C. Brandi, Le migrazioni qualificate in Italia, in «Studi Emigrazione», 156, pp. 797-827.

3 i dati sono stati pubblicati in: Lorenzo Beltrame, Realtà e retorica del Brain drain in Italia. Stime statistiche, definizioni pubbliche e interventi politici, Dipartimento di sociologia e ricerca sociale Università di Trento, quaderno 35, 2007.

4 Anna De Bernardi, Sul confine del lavoro. I frontalieri italiani in Ticino nel secondo dopoguerra, in “Studi Emigrazione”, 180, pp. 812-827; le statistiche svizzere trimestrali sui lavoratori frontalieri sono disponibili sul sito http://www.bfs.admin.ch/

5 Si veda la pubblicazione annuale Rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno edita dal Mulino. Per un’analisi sulle migrazioni interne con un taglio interdisciplinare si veda il n. 75-2012 della rivista “Meridiana”, intitolato proprio Migrazioni interne (editore Viella).pdf

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