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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

 

 

Le crisi 1  sviluppatesi nell’Oriente medio e nella regione confinaria 2 nel corso di questo decennio, si vanno manifestando attraverso i seguenti fenomeni:pdf

  •     espansione dell’influenza dell’islam militante sui regimi politici 3
  •     perdurare dei fattori di arretratezza sociale, economica, e culturale
  •     crescenti dosi di violenza nei conflitti interni, con numeri elevati di vittime 4.

Lo scatenarsi delle tensioni attraverso scontri violenti in Egitto e la guerra in Siria, si è innestato sulla cosiddetta primavera araba 5 in un contesto che, già scosso dalla lunga instabilità irakena, ha sullo sfondo lo stallo delle questioni libanese e palestinese. A preoccupare sono quattro fattori:

  • i conflitti rinviano la soluzione delle arretratezze culturali, sociali ed economiche della regione
  • l’uso della forza, in particolare in Siria ed Egitto, genererà ulteriore violenza e forse l’indurimento dei regimi politici verso forme ancora più autoritarie
  • l’esplodere di guerre e conflitti civili, come nel caso siriano, può generare interventi internazionali e ipotecare per decenni l’autonomia politica dei governi della regione
  • il fondamentalismo religioso e l’estremismo politico che esso è in grado di generare possono trovare ulteriore spazio di espansione.

Non viene dimenticato, in questo scenario, il convitato di pietra al tavolo della sicurezza regionale, l’ordigno nucleare che l’Iran starebbe approntando per la sperimentazione entro il 2014.

 

Le relazioni euro-mediterranee 

Nonostante si sia nel frattempo dotata del meccanismo Pesc, politica estera e di sicurezza comune, e abbia proceduto all’attivazione della figura di Vice presidente della Commissione e Alto rappresentante Ue per la Pesc nella persona di Catherine Ashton, l’Ue, verso il quadro mediorientale e mediterraneo, continua a giocare di rimessa come in passato. L’Ue continua anche a mescolare l’azione multilaterale con quelle bilaterali che taluni governi assumono in proprio. Anzi, codificando nel trattato di Lisbona il ruolo della cooperazione intergovernativa, istituzionalizza un dualismo di competenze e ruoli che rende complessa la reductio ad unum dell’azione Ue, soprattutto nella percezione dei paesi terzi. Peraltro, nel 2008 su precisa volontà della presidenza francese del Consiglio, nasce, come cooperazione intergovernativa con paesi del Mediterraneo meridionale, l’”Unione per il Mediterraneo”, UpM, stabilendone il segretariato a Barcellona 6. E’ il tentativo di mitigare l’abbandono europeo della politica mediterranea, che va a confluire nella generica politica di “vicinato”. L’UpM resterà carente di capacità istituzionale e di fondi per agire, e sarà vissuta dal sistema Ue come una sorta di imposizione alla Commissione da parte del Consiglio o meglio della cooperazione intergovernativa dei 27 al tempo della presidenza Sarkozy.

Il fatto è che, benché Ue e paesi mediterranei costituiscano un insieme di 39 stati con più di 750 milioni d’abitanti e una ricchezza annua prodotta che supera i 10.000 miliardi di euro, benché la regione sia area di primaria rilevanza per l’economia e la sicurezza mondiale e in  particolare europea, in quanto terminale di produzioni di gas e petrolio e di molte voci commerciali in particolare agricole 7, né le istituzioni di Bruxelles né la gran parte degli stati membri hanno inteso far progredire un processo politico che suonasse come un’alleanza, almeno sul piano economico e sociale tra le due sponde del Mediterraneo. E questo nonostante la zona si presenti come la culla dei tre grandi monoteismi, documenti fecondi intrecci culturali economici e politici, esprima attraverso le correnti migratorie il melting euro-mediterraneo di scambi umani e famigliari. Se gli ancora esistenti o appena dissolti legami coloniali consigliano alla nascente Comunità europea degli anni ’50 e ’60 di mantenere relazioni privilegiate con i paesi mediterranei di nuova indipendenza, il tentativo di transitare ad una politica multi-bilaterale a carattere “globale” 8, si scontra con la questione israeliana e si arresta. Si potrà procedere su certi dossier, energia e commercio ad esempio, e alla conseguente sottoscrizione di accordi preferenziali bilaterali, ma non alla politica euro-mediterranea multi-bilaterale, sollecitata da molte voci, particolarmente in Francia, Spagna e Italia, come carta anche politica che le istituzioni dovrebbero giocare per stabilizzare la tormentata regione del suo sud. L’accordo di Schengen 9 del 1985, benché estraneo in senso stretto alla questione mediterranea dell’Europa, offre intanto qualche soluzione al problema della libera circolazione dei lavoratori arabi migranti in territorio comunitario. 

            La politica disegnata dalla Carta di Barcellona 10 segna il punto più alto della vicenda, pur risultando negli anni scarsa di risultati, sull’esempio delle iniziative che l’avevano preceduta. Barcellona punta allo sviluppo socio-economico del sud del Mediterraneo attraverso progetti di partenariato, tali da ridurre gli eccessi di differenze tra nord e sud, ed elevare stabilità e sicurezza nell’intera regione. 

            Il segnale evidente della rinuncia al progetto di Barcellona viene dal varo, dopo l’ampliamento del 2004 a diversi Peco, Paesi dell’Europa centro orientale, della Politica di Vicinato, PdV, che ha come risultato non solo la scelta dell’opzione bilaterale rispetto alla multilaterale, ma la diluizione della specificità euro-mediterranea nel calderone delle politiche verso gli stati di confine. La “Comunicazione su un'Europa piùampia”, del marzo 2003, stabilisce che la politica di vicinato garantisca la strutturale stabilità dell'area a ridosso delle nuove frontiere offrendo ai paesi confinanti "la prospettiva di una partecipazione al mercato interno dell'Ue, nonché un'ulteriore integrazione e liberalizzazione per favorire la libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali", a condizione che partano con successo riforme politiche, sociali ed economiche. Destinatari dieci partner mediterranei (Marocco, Tunisia, Algeria, Egitto, Israele 11, Autorità Palestinese, Giordania, Libano, Siria e Turchia, e possibile inserimento di Libia e Mauritania), sei tra Peco e caucasici (Ucraina, Bielorussia, Moldavia, Armenia, Azerbaijan, Georgia). 

            Nel maggio 2004, la Commissione pubblica il Documento di strategia, sulle politiche di vicinato. L’Enp, European Neighbourhood Policy, avrebbe operato attraverso Piani d'azione, articolati su tre livelli: riforme politiche, diritti umani e scambi culturali, sicurezza e integrazione economico-commerciale. 

            La PdV viene rivista nel 2011 12, stabilendo strumenti che provvedano maggiore appoggio ai paesi partner che stanno costruendo sistemi democratici sostenibili, anche attraverso lo sviluppo economico. Una buona pratica che viene stabilita dal meccanismo di cooperazione rafforzata tra “vicini” è quella del “more for more”, che rende implicitamente praticabile anche il contrario “less for less”. Maggiori sono i progressi di un paese sul piano della democrazia, dell’equità, delle riforme di struttura, maggiori diventano gli aiuti finanziari, sotto forma di prestiti o sovvenzioni, che l’Ue  si impegna ad erogare 13. Al tempo stesso la cooperazione regredisce quando regrediscono i tassi di democrazia e di rispetto della società civile. 

             Nel rapporto sulla politica di vicinato per il 2012 che Commissione e Alto rappresentante dell’Ue per la Pesc presentano il 20 marzo 2013 a Parlamento europeo, Pe, e Consiglio 14, risaltano i limiti della PdV 15. L’Ue si propone come osservatore esterno non come attore interessato, e l’approccio caso per caso è la norma: “I rapporti che illustrano i diversi paesi forniscono un’immagine contrastata dei progressi del vicinato meridionale in materia di riforme democratiche.16. Altrettanto distaccato il commento sulle repressioni di cui soffrono organizzazioni non governative, Ong che agiscono a favore della crescita della società civile e dell’opinione pubblica: ”… in certi paesi partner, le Ong continuano a soffrire l’ingerenza delle autorità. L’Ue continua a sostenerle attraverso il suo meccanismo in favore della società civile”. Non una parola sulla repressione di talune identità religiose, segnatamente quelle cristiane documentate nella fase di cambiamento politico in tutti i paesi del vicinato meridionale. Esemplare, in quest’ambito, la dichiarazione rilasciata dal commissario responsabile dell’allargamento e del vicinato, Štefan Füle: “Attribuisco grande importanza al partenariato con la società civile… Conseguentemente, è con dispiacere che noto … ostacoli alla libertà di movimento, azioni giudiziarie contro i responsabili Ong, pesantezza delle procedure amministrative, accettazione di sostegno finanziario dietro autorizzazione, etc.”. 

   E’ con tale retroterra che l’Ue arriva ai giorni della cosiddetta primavera araba, con la cacciata di Ben Ali in Tunisia, la presa del potere in Egitto dei Fratelli Musulmani, l’affirmative action della Turchia verso i vicini, le guerre libica e siriana.

 

Le risposte europee alle crisi mediorie 

             Il dibattito al Parlamento europeo nel marzo 2013 su Egitto e Siria, fornisce un riferimento aggiornato su risultati e limiti dell’Ue in Medio Oriente. Le posizioni della baronessa Ashton e del commissario Füle,  appaiono distanti dall’urgenza manifestata dai parlamentari 17. Füle giunge ad esaltare il ruolo Ue nella crisi siriana, perché l’ha resa “manageable” 18.

               E’ evidente che, il “diritto/dovere a proteggere” le popolazioni civili, si scontra con il timore di favorire il militantismo islamista. La considerazione porta al cuore della questione: il rapporto tra fondamentalismo islamico e nuovi assetti di potere regionale. Due annotazioni sul tema.

               La prima riguarda la percezione esterna del modello europeo, che sta subendo un consistente slittamento non tanto per la sua crisi finanziaria quanto per i limiti che gli “European values” documentano. Nei limiti, popolazioni religiose come le arabe, includono la caduta del senso religioso in Europa. Scrive Benoit Vitkine: “Abbiamo creduto che i nuovi poteri nati nei paesi delle ‘primavere arabe’, avrebbero guardato a un modello democratico vicino agli standard europei. Su questo capitolo, il 2012 ha marcato una disillusione. Lo charme appare così ben frantumato che non opera più all’andatura del continente. La Turchia non fa neppure più finta di battersi per la sua adesione…L’Europa non attira più.19. A sentire Vivien Pertusot, responsabile a Bruxelles d’Ifri (Institut français des relations internationales): “La politica estera dell’Ue è in crisi. L’Europa si smilitarizza e dipende dalla Nato quando deve condurre operazioni di rilievo. In termini di soft power l’Ue ha perso la sua aura, una cosa che è diventata evidente osservando la Primavera araba20. Se il 48% degli intervistati dalla BBC in 22 paesi target giudica positivamente la Ue, va notato che un anno prima lo stesso gruppo di intervistati offriva il 56% di giudizi positivi.

              La seconda riguarda il fatto che la questione arabo-islamica diviene interna all’Ue. L’Europa aveva quasi 30 milioni di musulmani nel 1990, 4,1% della popolazione, cresciuto a 44,1 milioni nel 2010, 6% del totale 21.pdf Si prevede che per il 2030 gli islamici supereranno in Europa 58 milioni, l’8% della popolazione. Circa il 42% avrà meno di 30 anni, generando un forte impatto su cultura e welfare europei. Su come gestirlo il dibattito è aperto. Resta il fatto che, dal prossimo decennio, la politica mediorientale dell’Ue e più in generale quella per il mondo islamico ed arabo, passerà anche per vie interne. Costituirà un issue di politica interna e non più solo di politica estera.

 


NOTE:

1 Il termine è utilizzato nel significato di periodi di passaggio di un assetto di potere politico tra l’una e l’altra posizione di equilibrio. Include fenomeni come anomalo uso della forza, instabilità, dosi di anarchia, conflitti interni, catastrofi umanitarie. La crisi termina quando un potere ristabilisce il controllo pieno e acquisisce l’uso esclusivo della forza legale.

2 L’Oriente Medio qui include: Egitto, Siria, Israele, Giordania, Territori palestinesi, Libano. Territori viciniori considerati, perché coinvolti nelle dinamiche regionali considerate: Turchia, Iraq, Iran. Estraneo all’analisi qui condotta, il termine “grande Medio-Oriente”, dal significato fluido e indefinito, utilizzato dagli Stati Uniti nel tentativo di stabilizzare la grande infiltrazione quaedista del dopo 11 settembre. In quell’ambito concettuale essenzialmente geostrategico (in quanto legato al teatro delle guerre contro l’insorgenza islamica estrema) sono stati inclusi, con l’Oriente Medio storico, Afghanistan, Corno d’Africa, Pakistan, e financo il Maghreb sino all’Atlantico.

3 Con le differenziazioni del caso, movimenti politici che, nella conduzione degli affari pubblici si richiamano  alla tradizione e alla legge islamica sono al potere in Turchia, Egitto, Iran, e sono protagoniste del confronto di potere in Tunisia, Algeria, Palestina, Libano. Nella guerra civile siriana, gruppi di insorti sono fondamentalisti islamici. In Iraq il governo è di ispirazione sciita e guarda con simpatia alla teocrazia islamica iraniana.

4 In Irak da marzo 2003 a dicembre 2011 si contano 117.000 uccisioni. In Siria da marzo 2011 a marzo 2013, 60.000. Ma in Siria il conflitto ha fatto 2.500 morti al mese mentre in Irak 1.114. Nemmeno nelle guerra nella ex Jugoslavia, tra marzo 1991 e novembre 1995, e quindi tra febbraio 1998 e giugno 1999, si è raggiunto un tasso così elevato di mortalità: nonostante il totale di 140.000 uccisioni, si sono avute 1.972 vittime al mese.  Dati da: Syrianshuhada, Ocha, Le Monde.

5 Tra dicembre 2010 e febbraio 2011, sommosse e scontri di piazza, con repressione armata disposta dai governi, avvengono in Tunisia, Algeria, Egitto. Il 17 febbraio inizia la rivolta contro Gheddafi in Libia. Il 15 marzo iniziano in Siria le manifestazioni contro Bashar el Assad. In Tunisia, Egitto e Libia, attraverso vicende totalmente diverse, il potere passa di mano. Commentatori chiamano quella stagione politica “primavera araba”.

6 V. Gilles Mentré, L’Union  pour la Méditerranée, une proposition de la France à l’Europe, in Troiani L. (a cura), A Sud dell’Europa: dalla carta di Barcellona all’Unione per il Mediterraneo, Agrilavoro ed., 2011, pagg. 24-26.

7 Nel 2011 l’interscambio tra oriente arabo-mediterraneo (Mashreq) e Ue  era l’1,19% del commercio totale Ue, e l’interscambio tra Ue e l’insieme arabo-mediterraneo era il 4,32%.

8 Lanciata nel 1976, questa politica è frutto delle grandi difficoltà patite dal 1973 sul fronte dei costi energetici da parte dei paesi membri. L’uso politico delle risorse petrolifere da parte dei paesi arabi aveva costretto i paesi membri a ricercare contromisure efficaci. La politica “globale” verso il Mediterraneo, guardava in particolare agli aspetti commerciali ed economici del rapporto nord sud nel Mediterraneo, come preparazione a soluzioni politiche.

9 A Schengen viene firmata la Convenzione intergovernativa che fissa le regole che consentiranno la libera circolazione nei paesi dell’accordo, una volta effettuato positivamente, in uno dei paesi aderenti il controllo del passaporto.

10 A Barcellona, nel novembre 1995, viene stabilito il Partenariato euro-mediterraneo, con una dichiarazione che guarda non solo agli aspetti economici e commerciali, ma anche a quelli degli scambi umani e culturali.

11 Si è detto di come Israele costituisca de facto un caso a sé nella complessa ragnatela del rapporto tra Europa e Mediterraneo, specie quando esso ambisca a caratterizzazioni “globali”. Nel Rapporto 2013 sulla Pdv, che sarà esaminato avanti, si scrive di Israele: “La maggior parte delle raccomandazioni chiave ancora abbisognano di essere attuate. Nessun significativo cambiamento è stato osservato nelle aree di preoccupazione”. Commissione e rappresentante Pesc, Comunicazione congiunta del 20 marzo 2013, JOIN(2013) 4 final, pag. 4. Originale inglese.

12 Com (2011) 303 del 25 maggio 2011.

13 Si tratta di 6,5 miliardi di euro totali, comprensivi degli aggiornamenti del 2012 di quasi 1 miliardo, per il triennio 2011-2013. Vanno a finanziarie progetti di sviluppo sociale, culturale ed economico che possono dare risultati anche sotto il profilo territoriale e settoriale. La PdV nel 2012 ha accordato 3.250 borse di studio e di ricerca; ha finanziato progetti di sicurezza stradale, gestione dell’acqua, energie durevoli, sostenibilità ambientale. Nel 2012, con provvedimento finanziario aggiuntivo superiore al mezzo miliardo di euro è stato lanciato il programma Spring, Support for Partnership Reform and Inclusive Growth, tutto rivolto al fianco meridionale. Prestiti sono anche resi disponibili presso la Banca europea, Bei, e la Banca europea per la ricostruzione e sviluppo, Bers.

14 European Commission, High Representative of the European Union for Foreign Affairs and Security Policy,  “Joint Communication to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions”, Brussels 20.3.2013, JOIN(2013) 4 final.

15 Basti guardare al titolo “difensivo” del comunicato stampa che in medesima data viene rilasciato dalla Commissione: “La politica europea di vicinato nel 2012: mantenimento dell’impegno a favore d’una cooperazione rafforzata con i paesi vicini a dispetto dell’instabilità politica ed economica”.

16 Qui e successiva: Commissione europea, Comunicato stampa, Bruxelles 20 marzo 2013, IP/13/245, pag. 2-4. Originale francese.

17 La risoluzione del Parlamento europeo del 14 marzo 2013, 2013/2542(RSP, “invita le autorità egiziane a garantire il pieno rispetto dei diritti umani… comprese…la libertà di religione, di coscienza e di pensiero”, “comunica la sua inquietudine per ciò che riguarda le restrizioni imposte alla libertà di fede, di coscienza e di religione; saluta, in detto contesto, la creazione il 18 febbraio 2013, d’un consiglio egiziano delle Chiese, composto dalle cinque più importanti comunità cristiane del paese e incaricato specialmente di promuovere il dialogo tra musulmani e cristiani; stima che sforzi dovrebbero essere dispiegati al fine di invertire la tendenza per quanto riguarda l’emigrazione dei cristiani dall’Egitto, che non soltanto minaccia l’esistenza di una delle più antiche comunità dell’Egitto ma al tempo stesso nuoce all’economia egiziana, atteso che lasciano il paese professionisti qualificati”.
Anche nel testo adottato il 17 gennaio sull’accordo di partenariato e di cooperazione Ue-Iraq, il Parlamento guarda “alla difesa dei diritti di tutte le minoranze religiose ed etniche...” e “resta nel frattempo particolarmente inquieto degli atti di violenza continui che hanno come bersaglio la popolazione civile, gruppi vulnerabili e tutte le comunità religiose, tra le quali le minoranze cristiane, e che instillano nella popolazione paura e incertezza profonde quanto al loro avvenire e a quello del loro paese…”. PE, P7 TA-PROV(2013)0022 e B7-0006/2013.
Nel dibattito sulla Siria, che ha luogo nell’emiciclo di Strasburgo il 13 marzo, la Ashton definisce raccapricciante (“appalling”) la situazione in Siria, ma non offre ricette risolutive e non soddisfa il Parlamento.

18 Alla data la Siria ha 4 milioni di rifugiati, il 70% del patrimonio immobiliare distrutto, nessun soluzione   all’orizzonte, il rischio di un futuro regime islamico.

19 B. Vitkine, La fin du rêve européen, Bilan Géostratégie, édition 2013, Le Monde, pagina 102.

20 V. Pertusot, When the Crisis Threatens the Foreign Policy of the EU, in “Politique étrangère”, 77, 2, summer 2012.

21 Nel 2011 il totale dei visti Schengen rilasciati dai paesi membri include i 249.640 emessi per immigrati e visitatori provenienti dal Mashreq (1,93% del totale), contro i 687.523 (5,3% del totale) emessi per gli arabi dell’Occidente mediterraneo (Maghreb). Ad eccezione di Algeria e Libano, tutti i paesi arabi sud mediterranei manifestano la tendenza a rallentare la richiesta di visti verso l’Europa di Schengen. Il Maghreb registra -0,14% tra il 2003 e il 2011, e -0,23% tra il 2009 e il 2011. Il Mashreq rispettivamente +20% e +5%.

 

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