É necessario intendersi sui termini, prima di entrare in argomento.
“Sviluppo” è una parola che indica una possibilità del nostro sistema socio-economico.
“Sviluppo sostenibile” indica inoltre che tale sviluppo deve tener conto dell’ambiente naturale, del sistema sociale, delle possibilità economiche e delle future generazioni.
Ricordiamo tutti il Rapporto Brundtland del 1997: “Lo sviluppo sostenibile, lungi dall’essere una definitiva condizione di armonia, è piuttosto processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali “.
“Decrescita” indica invece un modello di società che riduce i propri bisogni, ridistribuisce i carichi e i vantaggi finanziari, alloca diversamente le risorse. Si tratta essenzialmente di ridurre i modelli dei bisogni.
Massimo Cacciari nel marzo 2011 ha affermato che la decrescita la vogliamo per vivere meglio, per migliorare le condizioni materiali e psichiche. Quindi non è “rinuncia” a nulla che ci serve, anzi, è nuove acquisizioni. Non è impoverimento, ma arricchimento personale e collettivo. Non è conservazione, ma cambiamento e innovazione, rifinalizzazione della scienza e della tecnica per “economizzare il tempo di lavoro e il dispendio di energie necessarie al fiorire della vita” (André Gorz). Ed ha continuato: “In attesa e in preparazione di
questo grande processo di trasformazione, dobbiamo quindi essere non solo indulgenti, ma capaci di capire che quella cultura consumistica - che giustamente critichiamo - in realtà copre bisogni profondi. E’ ad essi che noi dovremmo riuscire ad offrire una alternativa, se non vogliamo che la decrescita sia un modo di vita valido solo per esseri umani perfetti, per asceti, per i “dodicimila santi per ciascuna generazione” (il massimo numero possibile di seguaci di Cristo che Dostoevskij fa dire al Grande Inquisitore, in un passo de I fratelli Karamazov)”.
Abbiamo voluto chiedere ad un gruppo di esperti – docenti o amici della Facoltà di Scienze Sociali dell’Angelicum – la loro posizione su questo dilemma di fondo: la ‘nostra’ crescita è un ideale senza futuro ?
Edoardo Patriarca, che proviene da una lunga militanza nel terzo settore, ci offre la descrizione di una situazione dello sviluppo italiano tutt’altro che sostenibile. Chiede quindi che ci si concentri su tre direttrici: il lavoro, il nuovo welfare, una riforma della politica che deve ritrovare le sue fonti di spiritualità. Senza dimenticare la necessità di rilanciare le agenzie di educazione alle virtù civiche.
Paolo Boschini, filosofo attento alle vicende sociali, inizia così la sua analisi della ‘decrescita’: “Praticando uno stile quotidiano di vita ispirato a valori di sobrietà affini agli ideali etici della decrescita, mi sono reso conto che questo pensiero presenta anche alcuni rischi intellettuali, connessi alle ambiguità contenute in alcuni suoi concetti-chiave, sui quali ora vorrei soffermarmi.”
“Decostruendo dell'uomo occidentale e del suo smisurato orgoglio narcisista, il pensiero della decrescita proclama la fine di un modello antropocentrico, per fare spazio a visioni altre del mondo che vecchi e nuovi colonialismi hanno sempre disconosciuto.”Ma questo non è sufficiente: come aveva intuito La Pira, il pensiero del XXI sec. è chiamato a riconfigurare l'uomo occidentale a partire dalle sue radici mediterranee bibliche e elleniche, sviluppandone quella dimensione relazionale che può essere la struttura portante del prossimo millennio.
Boschini tra quindi le conseguenze: “A ben vedere, le «otto erre» programmatiche della decrescita («rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare») si riassumono in una modalità ontologica, prima ancora che etica e politica, di resistenza, che suona come voler a tutti i costi restare al di qua del limite. Considero questa prospettiva ambigua e pericolosa.”
Matteo Prodi, economista esperto in Dottrina Sociale della Chiesa, parte dall’accusa alla Dottrina Sociale della Chiesa di sostenere lo sviluppo per nulla sostenibile che il mondo attuale persegue. Benedetto XVII ha affermato che “la religione cristiana e le altre religioni possono dare il loro apporto allo sviluppo solo se Dio trova posto anche nella sfera pubblica”. Infatti l’uomo non si può dare un fine ultimo da se stesso. In concreto questa posizione porterà la società a concentrarsi su alcuni punti della convivenza umana, particolarmente significativi. Innanzi tutto la necessità di dare un lavoro ad ogni persona, poi il rapporto uomo-ambiente. “Lo sviluppo dei popoli dipende soprattutto dal riconoscimento di essere una sola famiglia, che collabora in piena comunione”. Conseguentemente il dono assurge a protagonista della riflessione della Caritas in Veritate sullo sviluppo economico.
Per questo, conclude Prodi: “Se l’uomo e la sua storia sono al centro, le distanze tra le varie soluzioni alla crisi sono molto più piccole di quello che sembra”.
Simone Morandini, teologo che si interessa particolarmente delle posizioni cristiane nel dibattito ecologico, ci fornisce un rapporto di prima mano sulla posizione delle chiese riguardo a sviluppo/decrescita. Già nel 1974 il Consiglio Ecumenico delle Chiesa elabora teologicamente la nozione di ‘società sostenibile’. In seguito i testi ufficiali parlano piuttosto di ‘comunità sostenibili’, ad accentuare lo stretto legame tra le società umane e l’ambiente in cui esse si collocano, ma anche per ridurre il peso conferito alla nozione di sviluppo. Per giungere molto recentemente alla denuncia della violenza di un sistema economico iniquo e conflittuale che va di pari passo con quella di uno sfruttamento senza limiti della natura, di fronte alla quale si delinea soprattutto una spiritualità della resistenza. Da parte sua il Concilio dei Vescovi della Chiesa Ortodossa Russa nel 2008 ha pubblicato i “Fondamenti della dottrina sociale della Chiesa Ortodossa Russa sulla dignità, la libertà e i diritti dell’uomo”: vi si afferma che “l’illimitato desiderio di soddisfare i bisogni materiali, specialmente quelli eccessivi e artificiali, è peccaminoso nella sua essenza, perché porta all’impoverimento sia dell’anima che dell’ambiente circostante”.
Roberto Bongianni, economista e francescano impegnato personalmente sul ‘fronte della povertà’, parte dalla contrapposizione classica tra povertà assoluta (di qualsiasi persona in qualsiasi situazione sociale) e povertà relativa (commisurata ad un dato contesto umano), ma si interessa soprattutto al confronto di alcune soluzioni del dilemma della povertà presentate da visione alternative di sostenibilità ambientale.
Infine Marco Aquini, attivo per lungo tempo nell’ambito della cooperazione internazionale e docente della medesima disciplina, mette in risalto il rapporto della necessità antropologica di sviluppo dell’individuo e della imprescindibilità sociale di quello dei popoli. E’ una connessione da illuminare se si vuole avere una visione globale dello sviluppo, cioè tenendo presenti i lunghi tempi della storia umana. Lunghi soprattutto per coloro che soffrono, specialmente in epoca di transizione e di insicurezza di identità individuale e sociale.
Nella sezione ‘Open Space’ ospitiamo uno studio sula pensiero di S. Latouche scritto da una promettente studentessa africana.
Personalmente sono rimasto colpito da quanto affermato da Cacciari: “…se non vogliamo che la decrescita sia un modo di vita valido solo per esseri umani perfetti, per asceti, per i “dodicimila santi per ciascuna generazione”. Mi sembra che in questo modo si metta ben in chiaro che il tema della ‘decrescita’ non è tanto (o solo) un problema teoretico, bensì uno eminentemente pratico, per intere popolazione e generazioni. Direi cioè che è quindi un tipico problema politico.
Ne segue, nella mia visione della politica, che esso possa essere impostato ed avviano a parziale soluzione solo attraverso tentativi, in vivo, cioè attraverso la metodologia del trial and error. Il che comporta molte sofferenze per molte persone. D’altra parte, solo politici illuminati da una visione solidaristica, potranno sviluppare e ed indirizzare tali tentativi.
In una visione più astratta, come quella dell’etica, ritengo quindi che i modelli dello sviluppo sostenibile e della decrescita ripropongano, in forma concreta, l’eterno problema della giustizia sociale. Del bilanciamento del mio e dell’altrui interesse. Ma questa volta l’ “altrui” non è il vicino di casa e neppure qualcuno della mia città, bensì quello di tutti i membri della mia nazione, di quelli di tutte le altre nazioni, e persino le generazioni future. Questo significa che prima e parallelamente di ogni soluzione ‘tecnica’ sarà necessario porre attenzione sull’attitudine interiore di tutti i soggetti interagenti, poiché solo in una crescita di umanità ( cioè di virtù) è possibile vedere una luce alla fine del tunnel.