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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

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pdfSommario: In questo saggio intendo proporre un’analisi della letteratura scientifica di business e management per capire come gli studi di impresa si immaginano la ripresa economico sociale dopo la pandemia di COVID-19. A differenza delle discipline economiche, gli studiosi di management riconoscono un elevato valore al contesto socio-culturale che consente alle imprese di operare. Grazie ai vari gradi di sovrapposizione con la sociologia e la psicologia sociale che caratterizzano gli approcci al management, è possibile individuare due elementi su cui fondare la ripartenza. Il primo elemento corrisponde a un’autentica presa di coscienza che le imprese sono un attore sociale che interagisce con gli altri attori sociali anche al di là degli scambi economici. Il secondo elemento definisce un possibile fattore di sviluppo futuro nel riconoscimento della responsabilità e sostenibilità sociale e ambientale come irrinunciabile e come particolarmente presente nell’attenzione di manager, consumatori e politici proprio in conseguenza dello shock determinato dalla pandemia.

 

1. Introduzione

Molte riviste di business e management stanno proponendo (o hanno già proposto) call for paper di edizioni speciali sugli effetti del Covid-19. In un articolo di giugno 2020 Verma & Gustafsson (2020) hanno fatto un primo punto sulla situazione dei trend di ricerca sulla base di 107 articoli a tema. Gli autori hanno identificato alcune direttrici, fra le quali l’impatto complessivo del COVID-19 sul business (impatto economico, sulla catena del valore, sulle start up, sul commercio, sul lavoro, comunicazione del rischio); l’impatto sulla tecnologia (big data analytics e data-driven decision making, tecnologie emergenti, assistenza digitale alla salute, infodemic, transizioni socio-tecniche); l’impatto sulle catene di fornitura (catene di produzione e distribuzione); e l’impatto sulle industrie di servizio (turismo, istruzione, servizi essenziali).

Una ricerca bibliometrica (marzo 2021) restituisce almeno trentamila articoli scientifici che contengono la parola covid e, rispettivamente, marketing, strategy, business, management, organization, accounting, banking e finance, e un numero più ristretto di articoli di human resource management. Questi numeri sono determinati, oltre che da un interesse specifico nel Covid-19, da menzioni strumentali o giustapposte per incrementare la visibilità del “prodotto della ricerca” e dal fatto che quei termini vengono utilizzati anche in altri ambiti disciplinari, seppur con diversa accezione – così, ad esempio, un articolo dell’area medica o epidemiologica si può riferire a strategy o management senza mobilitare specifici contesti culturali delle discipline aziendali. Tuttavia, questi numeri segnalano una certa complessità del tema.

Crick e Crick (2020) osservano che alcune imprese hanno riconvertito parte della produzione per contribuire allo sforzo globale contro il Covid-19, altre si sono impegnate nello scambio e nella condivisione di informazioni, innovazioni e soluzioni. Ciò suggerisce un crescente orientamento alla cosiddetta “coopetition”, ovvero ad un approccio strategico che prevede comportamenti collaborativi anche all’interno del contesto competitivo (sia in termini orizzontali, ovvero fra imprese che competono nello stesso mercato; sia in termini verticali, ovvero fra clienti e fornitori, o più in generale lungo i canali verticali). Chesbrough (2020) apre il suo articolo affermando che il Covid-19 ha messo significativamente alla prova i sistemi di sanità pubblica e che riprendersi dal Covid-19 significherà mettere alla prova anche i sistemi economici. Partendo dall’esempio della sequenziazione dei virus, prototipo della open innovation nelle scienze mediche, Chesbrough considera la libera circolazione della conoscenza scientifica e tecnica – sia per scopi pubblici che privati – come una premessa indispensabile per uscire dalla crisi. Sheth (2020) si chiede se le imprese debbano ancora focalizzarsi sul proprio interesse egoistico – come prescritto dalla teoria economica della scuola di Chicago (e.g.: Friedman, 1962; 1970) o se sia giunto il momento di uno scatto in avanti verso la condivisione delle proprie conoscenze per salvare l’umanità, anche se ciò potrebbe significare un mancato incremento dei propri introiti – almeno nel breve termine. “Is the business of business only business or is it more than that?”, si chiede l’autore: sembra risuonare, nelle sue parole, il dibattito sulla privatizzazione del vaccino che, per unanime decisione dei paesi occidentali è stato affidato a imprese private e alle loro interazioni di mercato.

Questo significa mettere in campo un dilemma caro agli studiosi di business ethics (ad esempio: Emerson, 2003; Porter, 2006) relativo alla contrapposizione fra doing well and doing good, ovvero fra fare bene inteso come massimizzazione del risultato d’impresa in senso economico e fare del bene inteso come contributo dell’impresa al benessere dell’uomo. Dal punto di vista pratico ciò significa, almeno temporaneamente, mettere da parte l’ossessione del valore per gli azionisti (o per i detentori del capitale in senso più ampio) ritardando i piani per incrementare i dividendi per dedicarsi invece a una ripresa complessiva del sistema socio-economico. Infatti, l’effetto immediato e più evidente del Covid-19 è stato di mostrare la fragilità del business, l’interdipendenza fra business, governi e comunità locali e la stretta relazione fra ambiente e impresa. In particolare, i lunghi e ripetuti blocchi generalizzati delle attività e dei movimenti (i cosiddetti lock down) hanno mostrato che l’inquinamento è reversibile, almeno in parte, e che business, natura e società sono mutuamente interdipendenti per la loro reciproca interdipendenza.

Credo che il risultato complessivo di questa riflessione sia che la pandemia ha mostrato a tutti l’esistenza dell’altro, mettendo in crisi il modello relazionale che nasce dal contrattualismo e dall’illuminismo, basato sull’interdipendenza competitiva di individui e imprese, per avviarci verso un modello relazionale in cui si lavora con gli altri e per gli altri, come insegnava già Giovanni Paolo II nella Centesimus Annus (§31).

 

2. Gli elementi all’attenzione della ricerca accademica di management

Il management ha iniziato già da subito a interessarsi del fenomeno Covid-19 da vari punti di vista. Da una prospettiva organizzativa (e.g.: Christianson & Barton, 2020), la pandemia offre un contesto di analisi inatteso ed estremamente interessante per indagare il modo con cui le imprese (e le organizzazioni in generale) riescono a rappresentare l’ambiente incerto (sensemaking), per conferire senso alle proprie azioni (sensegiving) in modo da poter sopravvivere o agire in modo proattivo per affrontare la crisi. Alcuni ricercatori (Brammer, Branicki, & Linnenluecke, 2020) hanno adottato un approccio sociologico per comprendere in che modo la reazione dell’ambiente socio-economico reagisce alla crisi per affrontare il futuro, delineando possibili scenari di 1) ritorno al business as usual; 2) nuovi modelli di business e di convivenza fra imprese e società. In particolare, si riconosce come la società debba riferirsi alla sua natura collettiva per poter affrontare una situazione come quella della pandemia in opposizione alla visione di un aggregato di individui che agiscono, anche in risposta ad una crisi, sulla base dei confini di ciò che viene considerato socialmente accettabile. Altri (De Massis & Rondi, 2020) stanno utilizzando la pandemia come contesto empirico per approfondire gli effetti di una crisi sulla comprensione del ruolo delle relazioni formali e informali fra attori economici e non economici nella possibilità di adattamento e ripresa. Da una prospettiva di marketing (He & Harris, 2020) viene messa in discussione la tradizionale filosofia di marketing (rivolta all’individuazione, all’analisi e alla risposta dei bisogni degli individui) verso obiettivi più di lungo termine (il benessere degli individui, più che il soddisfacimento dei bisogni). In particolare, si riconosce come le aspettative degli individui verso il ruolo delle grandi corporate nel superamento della crisi, richieda alle imprese una maggior attenzione al legame di fiducia fra il brand e i propri clienti. Molti (e.g.: Crick & Crick, 2020; Chesbrough, 2020; Sheth, 2020) osservano che i rapporti fra imprese e fra impresa e società debbano uscire dalla contrapposizione fra cooperazione e competizione per unirsi in uno sforzo comune. Anche la finanza si interroga sul momento presente (e.g.: Corbet et al., 2020) ma purtroppo non riesce ad ampliare il proprio orizzonte di senso al di fuori del profitto, con analisi bizzarre sulle conseguenze del lemma “corona” nel brand o nel nome del prodotto o come l’analisi – finanziaria, appunto – delle conseguenze del Covid-19 sul costo del capitale, sui piani pensionistici e sulle assicurazioni, sulle politiche pubbliche di protezione dei sistemi finanziari (Goodell, 2020). Insomma, presi alla sprovvista e per lo più incapaci di pensare ad altro, questi studiosi eludono il doing well e si concentrano ancor più sul doing good.

Nel complesso, dalla nascente riflessione scientifica sulla relazione fra i vari ambiti di management e la pandemia, emerge complessivamente che alcuni processi già in atto si sono intensificati e alcune tendenze sono cambiate, creando la possibilità di nuovi fenomeni.

 

2.1. Alcuni processi si sono intensificati

Ambiente digitale: L’ambiente digitale vede ormai da tempo la proliferazione di contenuti ingannevoli (deceptive), di fake news e bufale (hoaks) e di teorie cospirazioniste. Per molti, la condivisione di questi contenuti è strumentale all’affermazione delle proprie convinzioni all’interno della propria comunità online, alla ricerca di legittimazione e riconoscimento. Il fenomeno non necessariamente investe soltanto le persone poco istruite o poco informate su un fatto specifico, ad esempio i vaccini. In questi casi è inutile l’evidenza di un dato oggettivo o di una fonte certa: infatti, se la verità non è riconosciuta come tale o se la sua importanza è inferiore alla volontà di usare la notizia per affermare il proprio punto di vista, essa diventa irrilevante se non controproducente; nel secondo caso, invece, molte persone considerano le fonti ufficiali come manipolate, per definizione, da enti superiori e, di conseguenza, fuorvianti. Sottoposti allo stress pandemico, molti sono precipitati in una condizione di ipervigilanza che ha aumentato i dubbi sulla capacità dei governi e delle istituzioni di far fronte alla pandemia. Di fronte a questa situazione è necessario identificare nuovi modi per salvaguardare la libertà di espressione impedendo a contenuti falsi di circolare in rete. Anche l’introduzione delle tecnologie di tracciamento ha avuto l’effetto di un risveglio delle preoccupazioni sulla sicurezza delle informazioni, assopito da tempo sui social media per motivi edonistici.

Innovazione: Come a seguito del 11/9 si è assistito ad una spinta innovativa notevole sulla sicurezza dei voli, così il COVID-19 sembra aver determinato l’esasperazione dell’adozione di nuove tecnologie e dello sviluppo di tecnologie esistenti. Segmenti della popolazione tradizionalmente ai margini dei social media (ad esempio fasce di età avanzata) ne hanno avuto accesso, ma permane un problema significativo di digital divide – ovvero di differenze, per motivi di reddito o di posizione geografica non solo fra Paesi economicamente avanzati e Paesi in via di sviluppo, ma anche fra fasce e/o zone all’interno dei Paesi evoluti. Inoltre, l’uso massiccio dell’e-commerce ha comportato la complessificazione di alcuni processi distributivi (ad esempio l’home delivery che ha incluso anche la spesa; ristoranti che hanno dovuto convertirsi al take away) e l’esacerbazione di altri (ad esempio il ricorso massiccio ai rider, con condizioni di sfruttamento note).

Attenzione alla BE e CSR: Non tutto è negativo in questo scenario. Si osserva infatti un incremento dell’impegno delle imprese e un interesse maggiore da parte dei consumatori alla business ethics (BE) e alla corporate social responsibility (CSR). Qualcosa di analogo era accaduto, anche in misura minore, a seguito della crisi del 2008 che aveva richiesto il ripensamento dei principi della business ethics e un impegno della ricerca nelle varie discipline di management per riequilibrare il rapporto fra imprese e società. Da un lato, infatti, ci si potrebbe aspettare che le imprese, focalizzandosi su obiettivi di breve termine (il profitto, a esempio) decidano di sacrificare obiettivi di medio-lungo termine, che sono proprio quelli che investono il dominio della BE e della CSR. Così come a seguito della crisi del 2008, la gestione di alcune imprese si orienta maggiormente verso gli stakeholder (e.g.: Freeman, 2020) invece che verso gli shareholder (e.g.: Friedman, 1970). Il fenomeno interessa anche le istituzioni laddove, ad esempio, i limiti imposti al trasporto pubblico dal distanziamento, possono incrementare l’impatto del trasporto privato in modo anche critico.

 

2.2. Alcune tendenze sono cambiate (anche radicalmente)

Lavoro: Sul fronte del lavoro si osserva la crescita del divario economico e salariale che, ancora una volta, ha provocato un maggior impoverimento di chi già aveva difficoltà. Settori specifici (commercio al dettaglio, ristorazione, turismo) sono a rischio di disoccupazione o sotto occupazione (He & Herris, 2020).

Alcuni osservatori notano come la crescente alienazione dei lavoratori (nell’accezione del disagio psicologico) e la generalizzata sfiducia nella capacità del business di contribuire al progresso e al benessere, possano essere elementi problematici (Freeman, 2020). Altri, osservano che nelle democrazie neo-liberali si assiste ad un dibattito inusuale fra salute dell’economia e salute degli individui (Brammer et al., 2020).
Si osserva inoltre che, a differenza del passato, il grande ricorso allo smartworking ha colpito maggiormente le donne per numerosi motivi. Esse, infatti, sono spesso i soggetti che, all’interno del contesto familiare, continuano a occuparsi della gestione domestica. Quando poi sono presenti in famiglia soggetti deboli o figli, sono le donne a doversene occupare. Il ricorso al lavoro agile non ha semplificato la situazione. Infatti, le donne sono state le prime a risentire della chiusura delle attività non necessarie soprattutto in caso di lavoro in nero, e la chiusura di scuole, asili, e centri di aggregazione giovanile ha caricato su di loro il peso della gestione dei figli e dei soggetti fragili, sommandolo all’eventuale lavoro da remoto.

Processi di consumo: Una menzione particolare va data al fenomeno del consumo domestico (di prodotti e di servizi), particolarmente importante perché si relaziona a una brusca frenata (e a una messa in discussione) dei processi di globalizzazione e internazionalizzazione. Ad esempio, nel mercato turistico, la messa a terra degli aerei di quasi tutte le compagnie e il quasi totale azzeramento del trasporto passeggeri intercontinentale, hanno determinato un “ritorno a casa” di cui, in alcuni casi hanno beneficiato gli operatori domestici del settore. Anche il massiccio uso dei pagamenti digitali a discapito del contante sembra poter modificare in modo permanente il mondo del business.

Il marketing si è concentrato tradizionalmente sul soddisfacimento dei bisogni cercando di intercettare i desideri specifici della domanda. Le critiche a questo approccio hanno portato in passato allo sviluppo di un orientamento relazionale del marketing e di una sua più ampia considerazione dei vari soggetti del contesto socio-economico (gli stakeholder). La pandemia sembra aver insegnato ai consumatori che individui e imprese sono interconnessi e inseparabili, rendendo più responsabili i comportamenti di acquisto e di consumo e aumentando l’attenzione alla costruzione sociale della personalità propria, degli altri e delle marche, su elementi di responsabilità e sostenibilità. Da un lato, ciò suggerisce ad alcuni osservatori che il maggior costo della sostenibilità possa essere la leva per far ripartire il ciclo economico. Dall’altro, è probabile che in futuro le classiche metriche di marketing (come il customer lifetime value) dovranno essere integrate con altre misure che rendano meglio l’idea di valore del e di valore per il cliente.

 

3. Conclusioni

Secondo He e Harris (2020), la lezione che impareremo dalla pandemia è che “we are all in this together”. Questa considerazione non è isolata, visto che altri (Brammer & Linneluecke, 2020) osservano come i sistemi sanitari dei Paesi neo-liberal abbiano mostrato la loro insufficienza nell’affrontare il fenomeno collettivo della pandemia. Per un lettore dell’Europa continentale queste considerazioni potrebbero sembrare quasi ovvie, ma il fatto che vengano espresse da studiosi di cultura anglofona, quindi con un approccio marcatamente individualista, è di grande portata perché mette in discussione la fede nell’economia liberale.

In una situazione nella quale ansia, stress e paura guidano i comportamenti di acquisto si riconosce anche l’insufficienza del modello di razionalità del decisore (consumatore o manager). I comportamenti irrazionali dal punto di vista strettamente tecnico-economico, hanno infatti aiutato le operazioni di confinamento anche in assenza di controlli capillari, hanno provocato l’accaparramento di scorte ingiustificate e l’accumulo di una notevole liquidità privata.

Inoltre, l’attenzione ossessiva a obiettivi di medio breve termine, dovrà essere attenuata dopo la crisi per permettere di ricomprendere nel concetto di business anche elementi economico-sociali che si manifestano nel medio-lungo termine, come la sostenibilità dei processi di produzione e consumo o il benessere non solo materiale degli individui. In particolare, non è auspicabile il ritorno a un new normal che sia la copia conforme di ciò che accadeva prima, proprio perché la pandemia ha portato alla ribalta una concezione di uomo e di società che sembra allontanarsi di diverse misure dall’individualismo degli anni settanta, ottanta e novanta.

In questa riflessione credo che due temi rilevanti e ricorrenti siano libertà e lavoro. La stupefacente convergenza fra l’idea di uomo come lavoratore della tradizione marxista con l’idea di uomo come risorsa dell’impresa della tradizione liberista si è manifestata, fino a febbraio 2020 nell’idea che il lavoro non sia soltanto un mezzo, per l’uomo, ma sia il suo fine. Il vero elemento che emerge dalle discipline scientifiche di business e management – seppure con un’intensità che va diminuendo a mano a mano che ci si allontana dagli ambiti sociologici, come quello di marketing, per avvicinarsi a quelli più tecnici, come quello della finanza – è che l’homo oeconomicus abbia smesso, almeno per un attimo, di contare le banconote e si sia posto la domanda sul proprio ruolo nel mondo. La sfida, ora, è fare in modo che questa presa di consapevolezza di sé e della propria comunità, determinata dal COVID-19 e che suscita tanto interesse da parte degli studiosi di management, possa servire di più agli uomini per ritrovare il proprio fine ultimo che alle imprese per riadattarsi a nuove priorità e ricominciare con il business as usual.

 

Marco Visentin

 

 

Bibliografia
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