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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

Cogliandro 1

pdfPunto di partenza del liberalismo politico è considerare la società come un mosaico composto di soggetti che alternano diverse forme di agire orientato alla soddisfazione dei propri interessi, alla condivisione di un ideale di giustizia regolativa, in alcuni casi alla ricerca di una forma di perfezionamento della persona sostenibile da parte delle istituzioni e del legislatore statale: in particolare su questo tema è possibile vedere una intersezione tra aspirazione e realismo, per come recentemente è stato trattato da Matthew Kramer che instaura una contrapposizione tra perfezionismo edificatorio e perfezionismo aspirazionale, sulla quale non possiamo soffermarci in questa sede1.

Nelle sue diverse declinazioni il liberalismo ha cercato dei meccanismi giuridici e plasmato delle convinzioni in tema di giustizia distributiva che consentono di fare a meno delle buone o cattive inclinazioni e delle virtù dei singoli, in particolare sterilizzando la necessità di una condivisa centralità della felicità e della fioritura della persona. In questo trovo importante ripensare alcune proposte rawlsiane, incentrate su una diversa angolatura prospettica dalla quale viene esaminata l’idea di ragione pubblica tematizzata in Liberalismo Politico, e sulla necessità che i cittadini di una società bene ordinata, se non giusta, posseggano alcune minime virtù intese per rendere efficace e sostenibile l’agire degli stessi officials, i funzionari dello stato, tra cui anche i giudici, nel lasciar guidare la propria condotta da parte delle leggi, con una minima adesione interna al contenuto di queste stesse leggi, per distinguere l’imposizione legale da quella derivante dalla semplice minaccia2. In questo si può osservare come recentemente si è avuto un intenso dibattito in tema di Perfezionismo Liberale e sulle sue intersezioni con il paternalismo liberale.

Oggi in particolare è possibile presentare diverse modalità per stabilire connessioni filosofiche tra idee di eccellenza e di perfezione mondana nel contesto di una società liberale, teorie della virtù, paternalismo e possibilità di pensare e perseguire ideali di vita buona in contesti comunitari segnati dalla secolarizzazione, a partire dalle prospettive degli autori che hanno dato a questo complesso di problematiche il maggior rilievo del panorama filosofico mondiale degli ultimi anni, nella transizione tra XX. e XXI. secolo e in particolare Taylor, Habermas e Rawls.

L’universalizzazione contemporanea del principio di separazione dei poteri richiede un parlamento, un governo e una magistratura sempre più aperta al confronto con la conflittualità nelle sue diverse forme e declinazioni recenti. Il tentativo condotto da Habermas negli ultimi anni ha una significativa e inaspettata affinità con alcune legittime pretese dei teorici del diritto naturale: egli parte negli anni ’90 dello scorso secolo dal tentativo di comprensione filosofica della Geltung, la vigenza e il valore delle norme, esplicitato nel titolo originale della sua opera Fatti e Norme3. Egli più in generale tenta di mostrare come la filosofia possa mantenere una pretesa di descrivere la totalità e nello stesso tempo di non esprimere una specifica autocomprensione etica. In questo abbiamo un’opzione ulteriore rispetto al paradigma delineato dagli autori cui sopra si faceva riferimento, nel quadro di definizione di un orizzonte comune con le investigazioni di Rawls precedenti al paradigma della ragione pubblica e forse più ambiziose. L’idea di perfezione della persona e del soggetto politico è fatta propria dal perfezionismo liberale, recentemente rilanciato proprio a causa delle aspre critiche ricevute da alcuni esponenti del liberalismo politico esclusivista, analogo del positivismo giuridico esclusivista nel rimuovere qualunque ideale regolativo di perfezione dal discorso pubblico in cui tutti i presupposti devono essere esplicitati in termini di ragione pubblica. Il più coerente in questa operazione è stato Jonathan Quong4. Alcuni altri pensatori analoghi per l’impostazione filosofica hanno sviluppato un paradigma di liberalismo perfezionista, come il già menzionato Kramer, che nel libro citato sopra si pone l’obiettivo di rispondere nel dettaglio alle critiche di Quong, ma anche il recentemente scomparso (proprio a causa del Covid-19) filosofo americano Gerald Gaus, che ha negli ultimi anni sviluppato una nozione fortemente normativa e perfezionista dell’ideale liberale della ragione pubblica e più recentemente ancora in termini di teoria ideale in cui la normatività non può essere mitigata dal realismo sconsolato e dall’accettazione della realtà così com’è5. In questo è stato recentemente seguito e sviluppato da David Estlund6, che lega il raggiungimento della conoscenza della normatività ideale con la virtù della giustizia. Estlund insiste sul fatto che il tipo di conoscenza e la comprensione dell'ideale di giustizia necessario per la virtù non richiede il pieno successo come filosofo politico filosofo, che può essere anche il successo solo parziale della sua teoria descrittiva e insieme normativa. Estlund si impegna in un serrato confronto critico con importanti linee di ricerca della filosofia politica tradizionale e contemporanea che presumono che una convincente teoria della giustizia abbia il compito prioritario e definitivo di fornire una guida pratica verso una maggiore giustizia sociale, un tema di scottante attualità oggi che le diverse forme di diseguaglianza sembrano irrimediabilmente portate ad amplificarsi, a cominciare dall’accesso alle cure fino alla qualità dell’istruzione come chance di conseguire una soddisfacente garanzia di poter sviluppare le proprie capabilities.

Comprendere e mettere a confronto le diverse concezioni di natura umana presupposte da queste diverse concezioni della vita politica è impresa ardua e comporta anche il prendere posizione sulle concezioni di persona elaborate in questi ultimi anni da pensatori come Derek Parfit, Theodore Sider, David Chalmers, che mettono al centro le possibilità offerte dalle nuove tecnologie e da nuove forme di filosofia le spingono fino alle loro estreme conseguenze.
Intersecare metafisica, epistemologica, antropologica con le visioni dell’uomo che risultano da queste indagini può tuttavia portare molto frutto, in quanto può costituire il banco di prova per verificare le nostre più raffinate concezioni di ciò che è virtù, giustizia, ragione e bene.

Come ho cercato brevemente di suggerire, un pensiero in grado di aprirsi alla nozione di persona rinnova l’antropologia tipica della filosofia morale utilizzando gli strumenti forniti dall’etica delle virtù e oltrepassando i paradigmi normativista e consequenzialista che si sono sviluppati concentrandosi negli ultimi secoli sulla nozione moderna di soggettività e individualità.

Lo scopo è più ampiamente quello della realizzazione della persona intesa come sua graduale sempre maggiore attualizzazione delle proprie potenzialità: in questo si può pensare a prendere spunto da quanto suggerito dalla Nussbaum e da Sen in tema di capabilities, ma non limitandosi al sistema dei bisogni e al collegato contesto sistematico e ambientale del lavoro. Si può infatti andare ben oltre, includendo forme di realizzazione intellettuale, artistica, visionaria, andando anche oltre se il telos è quindi quello della fioritura latamente intesa ottenuta attraverso l’attualizzazione delle virtù nel vivere concreto. In questo è possibile trovare armonia con un liberalismo aperto alla nozione di eccellenza o perfezione nelle sue diverse declinazioni possibili, formulando un dover essere che dia giustificazione teleologica ai precetti propri della società liberale progredendo in una relazionalità improntata alla mutua dipendenza come si mostra in modo eminente nella pratica anche sociale dell’amicizia.

Riflettere sulla socialità originaria è un più affidabile e realistico metodo di valutazione inclusivo dei temi propri della virtue ethics e della virtue theory più recente, nonché la possibilità di offrire una interpretazione non rivolta semplicemente alla riconsiderazione di modelli antichi ma propositiva e aperta al confronto con le dottrine filosofiche che si sono confrontate più a fondo con i temi della secolarizzazione e del multiculturalismo e con la dottrina della legge naturale. Infatti l’idea di inclusione e l’apertura al dialogo con l’alterità, anche la più remota, sono costitutive del paradigma multiculturale e pluralista (anche iperpluralista secondo filosofi della politica come Ferrara7) proprio della contemporaneità degli anni ’10 del XXI secolo.

Questa constatazione e questa costruttiva prescrizione implica la considerazione della potenzialità della relazione originaria, del dono che viene prima della valutazione, dell’anteriorità dell’etica sulle diverse forme di esistenza. Le forme di esistenza comportano il riconoscimento di scopi che sono anche dei beni, verso i quali si volgono le inclinazioni. Finnis8 individua sette beni fondamentali: la conoscenza, la vita, il gioco, l’esperienza estetica, l’amicizia, la religione e la ragionevolezza pratica. Questi, indeducibili e indimostrabili, sono le condizioni per lo sviluppo e la realizzazione, in una parola per conseguire la fioritura (flourishing) delle persone.

In questo tentativo di meglio comprendere la concretezza della situazione storica e politica ha una possibile fecondità una delle nozioni classiche della tradizione dell’etica delle virtù, le inclinationes. Ripensare la concretezza della misericordia e della compassione a partire dalle inclinationes potrebbe portare a uno stadio del pensiero attrezzato per fronteggiare il razionalismo e l’universalismo formalizzato che portò il giusnaturalismo moderno a un livello di astrazione che lo trasformò e snaturò rispetto alla sua vitale tradizione agostiniano-tomista, facendolo finire sotto le critiche di Hegel e dei più noti esponenti del positivismo giuridico da Bentham a Kelsen. Il diritto deve garantire la realizzazione dei piani di vita degli uomini ispirati a questi sette beni e può fare questo traducendo in norme giuridiche positive alcune norme morali che poggiano su una tradizione che ha base nella ragione umana e difendono l’ideale perfezionistico di una vita buona, valido per tutti, ripreso con diverse sfumature negli ultimi anni anche da Taylor o MacIntyre. Possono di converso seguire anche un ideale antiperfezionista nei confronti della manipolazione della vita quale quella più volte recentemente proposta da Sandel.

In questo vedo inoltre la fecondità che non esiterei a definire terapeutica dell’approccio perseguito dai seguaci della filosofia delle virtù sviluppata nella Secunda Pars della Summa Theologiae da Tommaso d’Aquino: tra questi mi limito a ricordare le filosofe inglesi e americane che perseguono questa ricerca in modo sistematico e originale quali Hursthouse, Murdoch, Snow, Zagzebski. Questa antropologia relazionale preserva efficacemente una concezione liberale e repubblicana della politica in quanto preserva efficacemente la dignità degli individui osservando le dinamiche delle inclinazioni e la possibilità che esse diventino abiti virtuosi e quindi vie verso l’autorealizzazione e la felicità conseguente. Per questo ritengo che abbia ancora tanto da offrire al dibattito contemporaneo in particolare per la franca riflessione portata avanti sulle inclinationes: questo tema fa da contraltare al normativismo che considera poco il rapporto tra i motivi dell’agire e l’ideale regolativo. In questo è possibile incrociare la tematica del paternalismo liberale, moderato o meno, con la ricerca contemporanea in tema di esemplarismo morale. Quest’ultima potrebbe fornire alcune linee di condotta fondate su psicologia morale e pedagogia non oppressiva ma promozionale che potrebbe utilmente integrare la riflessione con una concezione di flourishing come scopo della società repubblicana che voglia concretamente sottrarsi a logiche di dominio. Zagzebski ad esempio nel suo ultimo volume9 sviluppa la sua teoria morale a partire dall’emozione dell’ammirazione usando esempi che mostrano una linea di condotta da seguire, sfuggendo alle logiche di dominio.

Le inclinazioni sono possibilità di realizzare degli abiti, quindi di far crescere mature disposizioni al bene quali sono le virtù o al contrario di edificare abiti molto diversi dalle virtù, che però secondo quanto riscontrato sperimentalmente, non portano alla realizzazione di esseri felici e relazionalmente maturi.

Il legislatore democratico decide quanto spendere in istruzione e quanto in sanità, determinando in tal modo il grado di soddisfazione che si potrà dare ai diritti delle persone all’istruzione e alla sanità. Il legislatore democratico traccia il perimetro di protezione della nostra intimità e in questo modo esprime un modo, tra quelli possibili, in cui in una società viene reso compatibile il flusso delle informazioni, delle idee e delle opinioni con la riservatezza di ciascuno. Scegliere un modo o l’altro ha comunque un grande valore espressivo, mostra che tipo di società, dal punto di vista linguistico, si vuole realizzare.

Compassione dal punto di vista dei sentimenti, misericordia dal punto di vista delle virtù, sono quindi strumenti politici normativamente di alto valore. La misericordia in particolare se coltivata nello spazio politico e prima ancora da parte della persona che osserva esempi attuosi di misericordioso agire individuale potrebbe aprire nuovi spazi di libertà concrete e derivanti da una concezione caratterizzata dal riconoscimento della continua possibilità di formazione del carattere. Connettere tale risultato con una considerazione della forza pubblica e privata degli esemplari virtuosi, secondo quanto proposto da Zagzebski nella tripartizione di eroi, saggi e santi è uno strumento potentissimo per massimizzare la felicità e per compiere il proprio dovere, quindi valevole comunque sia che il proprio stile teorico sia più incline al consequenzialismo e alla priorità del bene o che si diriga verso il normativismo e quindi alla priorità del giusto. È un modo di declinare concretamente quanto Olivetti intendeva esprimere descrivendo l’etica come “la filosofia prima, anzi anteriore”, che informa la visione del mondo oltre che la propria autorealizzazione come persone originariamente in comunità e in comunione10.

La fioritura, riproposta oggi in diverse declinazioni attraverso il lemma inglese flourishing è concetto che attraversa i secoli dalla classica eudaimonia aristotelica, è concetto comune a molti filosofi inglesi e americani contemporanei. La fioritura può essere intesa in modo riduzionista se è interpretata come uno stato di piacevolezza o di benessere, come risultato delle mie azioni. Dovrebbe essere inteso invece in un modo più ampio come il modo migliore in cui dovrei e potrei vivere la mia vita, o il modo migliore, lo stile da imprimere e attraverso il quale ricalibrare il mio agire come una persona virtuosa. Le virtù, quindi, non sono solo eventi che semplicemente hanno determinati effetti, ma sono inserite in una tessitura di senso. Sono opzioni procedurali che operano nel deliberare pratico dell'agente, costruito a partire da una decisione singolare ed esprimendo a poco a poco nelle successive decisioni e scelte che riflettono l'aumento (o la diminuzione nel caso di vizi) di un atteggiamento deliberativo consapevole dell'agente. Quanto maggiore è l'atteggiamento deliberante, migliore è la qualità della libertà e la responsabilità normativa: questo è un passaggio rilevante nel panorama metaetico tra la normatività post-kantiana e la concezione costituzionale della persona (una conoscenza del punto di vista costituzionale delle persone umane).

MacIntyre descrive come le richieste in competizione sulla scelta umana implicano un'ampia risposta a domande quali: "cos’è il mio bene?" "come si può ottenere?" L'agente umano affronta queste domande in modo condizionato dalle abitudini acquisite, dall'esperienza e dall'apprendimento; considerando cosa è bene fare ora con riferimento a ciò che è meglio ottenere per tutta la sua vita. I desideri in competizione sollecitano le decisioni tra fini prossimi e l'opposizione delle responsabilità da ruoli diversi richiedono la considerazione della parte che ciascuno dovrebbe avere nella sua vita. Queste decisioni possono costituire presupposti impliciti per le attività e le intenzioni che caratterizzano come lei viene a vivere la sua vita per inclinazione. Tuttavia, il controfattuale è sempre pertinente per valutare la sua azione. Cosa avrebbe fatto se fosse stata meglio informata del suo bene generale e del suo significato per le sue azioni immediate? In altre parole, la sua capacità di istanziare una maggiore capacità di raggiungere il suo bene generale è sempre rilevante. L'articolazione e l'esperienza di questa unità narrativa possono mancare, ma è necessario affinché l'agente umano possa prosperare e conseguire unitamente la descrizione di un significato che sia anche scopo nella sua vita.

Questa nozione ha avuto influenza profonda anche sull’odierno dibattito in tema di diritto naturale, ad esempio nel dibattito tra Finnis e Hart. “Il diritto dev’essere descritto in termini di regole per la guida di funzionari e cittadini”11. Scrive Finnis, descrivendo le regole come binario da seguire sia per chi governa sia per chi è governato, in quanto sono proprio tali; regole che permettono di partecipare ai beni fondamentali dell’esistenza.

Il diritto è dunque tale non in quanto costruito, frutto di convenzione, ma in quanto trovato, scoperto, disvelato come già inscritto nei cuoi e nelle menti. Il diritto dischiude la possibilità di fiorire, di realizzarsi, non di conseguire un bene uno stato di benessere ma di vivere bene.

Il diritto così concepito come armonizzantesi dinamicamente con la normatività morale apre alla possibilità di accedere alla piena fioritura di sé stessi nel consesso civile. Questa tipologia di norme che assumono connotati chiaramente etici allora verranno fatte proprie più facilmente dal cittadino.

Simili articolati concettuali in merito al contenuto del diritto sono rinvenibili anche nelle tesi di Raz, che non ha caso è insieme il teorico più coerente del positivismo giuridico esclusivista e il teorico del perfezionismo liberale12, recuperando nel contenuto morale della normatività politica quel contenuto stesso espunto come contenuto possibile delle leggi. Per il punto di vista di Raz il diritto è una serie di direttive dell’autorità che entrano a far parte delle ragioni pratiche del soggetto agente13.

La comprensione e l’indagine sulle possibilità di sviluppo ulteriori a partire da questa nozione richiede analisi delle condizioni concrete, dei mondi vitali in cui essa si dispiega, come è stato fatto da autori molto diversi tra di loro come recentemente da Foot14 con la sua indagine sulla bontà naturale e da Alfano che ha studiato la nozione finzionale di carattere15. Taylor rileva nella sua opera sull’età secolare una precondizione di questa è stato lo sfaldarsi delle comunità e il rafforzarsi di gruppi identitari, nella politica e nella Chiesa, una tendenza ancora oggi attuale e derivante dal fatto che anche nel contesto laicale i suoi membri continuano a volersi raccogliere in denominazioni, movimenti, gruppi costituiti a partire dalle proprie affinità. Questa tendenza probabilmente irrinunciabile dell’umano porta a un bacino di possibili ostilità pur nella fraternità impedendo un sereno confronto tra persone che anche se condividono la fede nell’Incarnazione hanno punti di vista diversi. Pur non avendo nulla contro questi gruppi che si riuniscono in base alla loro sensibilità, per Taylor è necessario che si creino organismi che spingano quanti hanno prospettive diverse ad incontrarsi regolarmente, portando armonia tra prospettive diverse.

Per migliorare l’analisi critica della realtà contemporanea e creare forme di aggregazione più gratificanti si potrebbe incentivare la realizzazione di gruppi trasversali ai corpi amministrativi e politici. Con questa opzione semplice ma rivoluzionaria si potrebbe forse realmente affrontare con serenità la crisi antropologica che caratterizza la contemporaneità e anzi considerarla come una opportunità. Nella pratica politica si può di conseguenza agire concretamente contro una deriva culturale caratterizzata da rassegnazione e accettazione di una presunta ineluttabile tendenza del nostro tempo e riconoscere in nuove buone prassi cristiane sia l’azione di grazie che la lode.

Questa idea sembra far da contraltare alla proposta liberale di istituzioni basate sulla Ragione Pubblica, in particolare in seguito a quanto proposto da Rawls in Liberalismo Politico16. Tali questioni odierne appaiono al confronto ben più delimitate, sempre più “urbanizzate” sulla scorta di una metafora ben nota relativa al rapporto tra Böckenförde e Carl Schmitt, in cui il primo avrebbe appunto “urbanizzato” il secondo. In questo quadro più ristretto, in cui la trascendenza viene neutralizzata si colloca Habermas che nei confronti del contenuto ritiene opportuno, in maniera analoga a quanto realizzato da John McDowell nei riguardi del contenuto concettuale17, rimeditare i risultati kantiani alla luce della elaborazione di Hegel. Con tale strumentario concettuale la struttura e i postulati della sua teoria del diritto oltrepassano come ampiezza problematica il modello elaborato da Kelsen fino a considerare le contemporanee istanze irrisolte relative alla fatticità e alle radici della normatività.

Il sistema sociale del diritto si propone di garantire la realizzazione dei piani di vita degli uomini traducendo in norme giuridiche positive alcune stipulazioni che poggiano su un ideale perfezionistico di una vita buona, oppure possono di converso seguire anche un ideale antiperfezionista nei confronti della manipolazione della vita. In Verbalizzare il sacro Habermas tenta una sintesi dell’epistemologia e della filosofia politica e sociale muovendo come in Teoria dell’Agire Comunicativo dal concetto di Lebenswelt inteso quale luogo delle ragioni, differente dalle immagini del mondo prodotte per i soggetti e descrivibile come sfondo di esperienze da cui non può prescindere alcuna esistenza situata, incarnata e socializzata. Il pensiero post-metafisico si vuole identificare come risposta alla de-trascendentalizzazione, all’eliminazione di una realtà fondativa comune in grado di tenere insieme scienza e religione.

La questione dell’origine del soggetto e del suo radicamento in una rete relazionale pre-comunicativa può essere affrontata come struttura portante dell’intera riflessione sul soggetto stesso. Il soggetto viene pensato come comunitario prima ancora di essere soggettivato, quindi viene ipotizzata una serie di figure graduali del suo sviluppo che ha come suo fuoco la possibilità di parlare, quindi di farlo dopo avere osservato altri parlare. Il soggetto è parlato prima di parlare, alloquisce in quanto viene alloquito e in questo riproduce lo svilupparsi della capacità di amare che può sorgere solo dopo averla osservata.

Di qui la possibilità feconda di incrociare la riflessione sulla genesi del soggetto con il contemporaneo dibattito sull’esemplarismo morale nello sviluppo del carattere18. Zagzebski in particolare sviluppa la sua teoria morale a partire dall’emozione dell’ammirazione usando esempi che mostrano una linea di condotta da seguire, sfuggendo alle logiche di dominio, tale dinamica mi sembra molto feconda per riflettere sul passaggio dallo stato di società ristretta dalle nuove tecniche di dominio e di governamentalità sviluppatesi nel contesto della pandemia a quello di società liberata dalla pandemia.

Questa antropologia relazionale preserva efficacemente una concezione della persona intesa come geneticamente autonoma e dipendente, come mostrato da MacIntyre nell’opera che più ha portato progressi nella direzione di una filosofia della persona rispetto a quanto proposto nel 1981 in Dopo la virtù, cioè nel più recente Animali razionali dipendenti19. Una tale antropologia potrebbe essere intesa come rappresentativa della posteriorità della politica rispetto all’etica, ma forse anche della loro irriducibile coappartenenza genetica. L’azione politica in quanto preserva efficacemente la dignità delle persone osservando le dinamiche delle inclinazioni e la possibilità che esse diventino abiti virtuosi e quindi vie verso l’autorealizzazione e la felicità conseguente.

L'agente umano impara a cercare il bene comune di per sé, con base motivazionale attraverso un'identità con il bene comune. Questo secondo MacIntyre spiega perché gli esseri umani hanno bisogno delle virtù. Le virtù umane non sono semplicemente strumentali all'efficacia basata sui ruoli. Il suo resoconto delle virtù come standard interni alle pratiche fornisce solo una definizione parziale; completato dall'ordinamento di quelle inclinazioni umane a un bene generale, vissuto in comunità. Le virtù acquisiscono tratti caratteriali che dispongono gli esseri umani per giudicare e agire bene per il fiorire umano, e il bene comune che è costitutivo di quella fiorente. Ma non dovrebbero essere visti come puramente strumentali a una concezione esternalizzata di eudaimonia. La pratica delle virtù è preziosa in se stessa e costitutiva della prosperità umana. Secondo MacIntyre, lo standard primario cui applicare il giudizio è la possibilità di caratterizzare e valutare la persona in quanto agente virtuoso, persona che, attraverso la sua vita e azioni, incarna ciò che significa per gli esseri umani vivere bene in comunità.

L'agente virtuoso ha bisogno di possedere non solo le virtù proprie del ragionamento pratico indipendente, ma anche le virtù della dipendenza che sostengono le sue motivazioni cooperative e sostengono la concordia necessaria per la prosperità umana. In particolare, ha bisogno di essere ben disposta ad apprezzare la sua dipendenza dalle reti comunitarie di dare e ricevere, così da poter perseguire il bene comune di quelle reti come il proprio bene. Di conseguenza ha bisogno di gratitudine e umiltà per permetterle di riconoscere il suo debito, quindi è pronta a dare. Fondamentalmente, questa generosità è connessa alla virtù della giustizia. Dato il minimo di ciò che è dovuto ai bisognosi dalle reti di dare e ricevere all'interno di una comunità, la disposizione a dare liberamente in base alle necessità diventa una questione di giustizia e di generosità insieme. L'agente virtuoso deve essere sufficientemente sensibile ai bisogni degli altri, capace di riconoscere delle persone come suoi analoghi20, per agire aderendo interiormente a una norma interiorizzata che diventa realmente normativa per il proprio agire sociale.

La persona si riconosce sempre posteriore, sempre dipendente dagli altri, mentre il soggetto si assoggetta a un padrone che lo può utilizzare come entità generatrice di violenza. La ricostruzione della genesi prelinguistica e protologica dell’etica giunge fino alla ipotesi della costituzione del linguaggio stesso a partire dalla relazione affettiva prelinguistica instaurata dall’infante con la madre, che solo tramite questa relazione diviene capace di diventare fante, rispondendo al primo invito preverbale cioè alla prima allocuzione implicita nella carezza, nella nutrizione, nel calore trasmesso: «tu sei amato, tu sei protetto». La relazione non è un legame che mira al raggiungimento di un’identità, non si volge alla realizzazione di un processo d’identificazione. La relazione intesa nel suo carattere di verità, non comporta il superamento hegeliano o meno del diverso, annullando in tal modo anche la platonica metaxu, oppure in un contesto dinamico-relazionale il compito di stabilire un medio tra le differenze. Il fenomeno della relazione esprime l’instaurarsi attivo di un legame, e il suo mantenimento, proprio attraverso le differenze che per suo tramite vengono incontrate tra esseri umani di ogni carattere o classe21.

Per questo motivo il linguaggio comune distingue gli animali che hanno cuccioli dagli uomini che generano infanti, perché si generano all’autopercezione attraverso la comprensione della loro posteriorità rispetto al loro dover imitare e quindi dover essere. L’anteriorità dell’ethos sul subjectum è l’antidoto contro la possibilità anche solo concettuale della distruzione delle altre persone. Per questo nella tradizione cattolica la nozione di persona viene preferita e trapassa dalla dinamica intra-trinitaria alla dinamica intersoggettiva. La persona è nozione intrinsecamente feconda in quanto aperta alla possibilità di fiorire in un contesto virtuoso, declinazione di una concezione dinamica della dignità.

La persona si fa insieme all’etica, si autopone nel soggetto prima che questo inizi a parlare. Questa dinamica viene analizzata da Olivetti con originalità in diversi contributi, connessa con l’accezione di persona e di soggetto, e viene declinata in connessione con lo sviluppo dell’infante prima e dopo la cesura che avviene con l’acquisizione del linguaggio. La distinzione che risalta è la dinamica della personificazione, la trasformazione dell’inanimato in persona, questione originaria che concretizza l’anteriorità dell’analogia come originario duale prima di ogni univocazione possibile dal punto di vista della metafisica, se l’oggetto osservato è il soggetto, ancora di più se è persona parlante22.

Dire la persona è più che dire il soggetto, è soggezione che si esprime in quanto azione reciproca solo parzialmente identificabile, che dice la propria relazionalità e si costituisce come persona in quanto si dice.
Le peculiarità relazionali, emozionali e le inclinazioni che si scoprono con un’analisi della persona nel processo di perfezionarsi portano a una espansione della considerazione del bene comune quando la contemporanea esangue nozione di società si espande a includere l’alterità nella comunità, con un movimento che abbiamo provato sinteticamente ad analizzare nelle dinamiche dell’inclusione necessaria dell’alterità che accomuna autori diversi tra loro quali Raz, Gaus, MacIntyre, Habermas, Olivetti.

Tendere alla propria fioritura equivale a cercare di vivere la propria vita virtuosamente. Le teorie etiche moderne, anche quando si differenziano grandemente fra loro sotto l’aspetto formale, condividono spesso la presupposizione che la mia felicità, la mia piena realizzazione, e la felicità e gli interessi degli altri si possano esaminare in sfere di ragionamento pratico del tutto distinte. Un aspetto caratterizzante dell’etica delle virtù è invece la declinazione peculiare della regola aurea (altresì nota come regola di platino) per la quale il bene degli altri deve importare a me proprio perché è il bene degli altri, non perché faccia parte del mio bene o perché si riduca al mio bene.

Come abbiamo cercato di mostrare, un pensiero più ampio della persona rinnova l’antropologia tipica della filosofia politica e dell’etica sociale oltrepassando i paradigmi normativista e consequenzialista tipici della nozione moderna di soggettività e individualità. La stessa nozione di persona è diversa: non si tratta del soggetto della filosofia liberale compreso solo nei termini della gratificazione che si ottiene col raggiungimento di vantaggi. Se lo scopo è più ampiamente quello della realizzazione e il telos è quindi quello della fioritura ottenuta attraverso l’attualizzazione delle virtù nel vivere concreto, allora adempirò anche ai precetti propri della società liberale progredendo in una relazionalità improntata al riconoscimento della mutua dipendenza. Questo paradigma conduce al riconoscimento della necessaria inclusione nel paradigma della decisione pubblica delle voci di chi non ha ancora o non ha più sufficiente forza e voce, in questi tempi di prova e di amplificazione delle disuguaglianze dovute alle risposte alla pandemia che sono state troppo incentrate sulle procedure tipiche dell’ipertrofia della governamentalità e della finta neutralizzazione della burocrazia esecutiva e poco sulla capacità di elaborazione politica delle norme che devono essere esito di un confronto tra forze politiche secondo l’ideale regolativo della ragione pubblica, arricchita da una considerazione più ampia della centralità della persona e della sua essenziale struttura relazionale.

 

Giovanni Cogliandro

 

 

NOTE:
1 M. Kramer, Liberalism with Excellence, Oxford University Press 2017.
2 Questa tesi è condivisa da pensatori molto diversi tra loro come Hart e Fuller. Al riguardo rimando alle interessanti proposte contenute in G. Samek Lodovici, La socialità del bene. Riflessioni di etica fondamentale e politica su bene comune, diritti umani e virtù civili, ETS, Pisa 2017.
3 J. Habermas, Fatti e norme. Contributi a una teoria discorsiva del diritto e della democrazia, a cura di L. Ceppa, Laterza 2013.
4 J. Quong, Liberalism without Perfection, Oxford University Press 2011
5 G. Gaus, The Tyranny of the Ideal: Justice in a Diverse Society, Princeton University Press 2016.
6 D. Estlund, Utopophobia: On the Limits (If Any) of Political Philosophy, Princeton University Press 2020.
7 A. Ferrara, The Democratic Horizon. Hyperpluralism and the Renewal of Political Liberalism, New York, Cambridge University Press, 2014.
8 J. Finnis, Natural Law and Natural Rights, Oxford University Press 1980; 2nd ed 2011.
9 L. Zagzebski, Exemplarist Moral Theory, Oxford University Press, 2017.
10 M. M. Olivetti, Analogia del soggetto, Laterza, Roma-Bari 1992; si veda anche M. M. Olivetti, La comunità delle menti come problema della filosofia moderna, in Per una storia del concetto di mente, a cura di Eugenio Canone, Firenze, Olschki, 2005, pp. 343-362.
11 J. M. Finnis, Legge naturale e diritti naturali, Giappichelli, Torino 1996, 7.
12 J. Raz, The Morality of Freedom, Oxford University Press 1986.
13 J. Raz, The Authority of Law: Essay on Law and Morality, Oxford University Press 1979, 16-19.
14 Ph. Foot, Natural Goodness. Oxford University Press 2001.
15 M. Alfano, Character as Moral Fiction, Cambridge University Press 2013.
16 Per una esposizione ampia ed attenta di questa problematica rinvio a P. Weithman, Why Political Liberalism? On John Rawls's Political Turn, Oxford University Press 2011.
17 John McDowell, influenzato da una lettura originale di Hegel condotta alla luce della filosofia del linguaggio, si è dedicato a una approfondita indagine sulla nozione di concetto. Punto di partenza della problematica è il fatto che la rappresentazione non è indipendente dalla capacità di concettualizzare la propria esperienza: questa capacità è la prima forma di spontaneità che viene epistemologicamente sperimentata e si può inferire da quanto McDowell afferma che da essa dipende la nostra capacità di essere coscienti in generale. I suoi lavori più significativi sono J. McDowell, Mente e mondo (ed. orig. 1994), Einaudi, Torino 1999 e J. McDowell, Wittgenstein On Following A Rule (1984), in J. McDowell, Mind, Value, And Reality, Harvard University Press, Cambridge-London 1998.
18 Si veda ad esempio il già citato L. Zagzebski, Exemplarist Moral Theory.
19 A. MacIntyre, Dependent Rational Animals. Why Human Beings Need the Virtues, Duckworth, London 1999, trad. it., Animali razionali dipendenti. Perché gli uomini hanno bisogno delle virtù, Vita e Pensiero, Milano 2001.
20 Mi permetto di rimandare a G. Cogliandro, Fioritura della persona umana e misericordia: alleanza, immaginazione apertura, in Res Publica n. 16 Esperienza, storia e misericordia, 2017, pp. 23-40.
21 Si veda al riguardo A. Fabris, RelAzione. Una filosofia performativa, Morcelliana, Brescia 2016. In questo senso la metafisica come pensiero della relazione è nel contempo un pensiero in relazione.
22 Al riguardo questo passaggio sintetizza molto bene alcuni nodi teorici caratteristici degli ultimissimi scritti di Olivetti: «Il linguaggio ordinario non condiziona al ti esti la sensatezza della domanda ‘chi parla?’. Affermare che le ascrizioni personali sono predicati aggiuntivi rispetto a quelli che competono comunque ai ‘particolari di base’, ovvero agli ‘enti’, ovvero alle ‘cose’, significa ignorare troppi aspetti sia del linguaggio considerato come sistema, sia dell'acquisizione linguistica da parte dell’infans che progressivamente diviene parlante (la recente ‘linguistica cognitiva’ conforta in ciò meno recenti considerazioni filosofiche). Infante o fante (o magari embrione), uomo o altro che uomo, ‘persona’ comunque è ‘chi’ parla. Detto etimologicamente: persona personat.» M. M. Olivetti, Universalità e molteplicità personale, in Universalismo ed etica pubblica, a cura di Francesco Botturi e Franco Totaro, Milano, Vita e Pensiero, 2006, pp. 23-34, p 24.

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