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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

 

 

L’antropologo Claude Lévi-Strauss parla degli animali totemici come simboli che catturano l’attenzione nonpdf perché rappresentino un qualcosa di “buono da mangiare” ma perché rappresentano un qualcosa di “buono da pensare”. Colpiscono l’immaginazione perché sono raffigurazioni di creature concrete alle quali è tuttavia possibile associare un concetto astratto. Questo processo di significazione del segno totemico ha una sua componente razionale, che riguarda il “discorso” che il gruppo sociale può sviluppare intorno al simbolo, e una componente istintiva o irrazionale, che riguarda la risonanza che il simbolo stesso può avere nella psicologia profonda di ciascuna persona. Se un simbolo ha successo in ragione di quanto è “buono da pensare”, allora anche i contrassegni politici hanno maggiore o minore fortuna in ragione dei significati che in essi possiamo leggere, dei concetti che sanno evocare, delle risonanze emotive che possono avere in noi. Lo scudo crociato è senza dubbio – in questa prospettiva – un segno buono da pensare, perché presenta una fenomenologia straordinaria: ha retto come simbolo del partito dei cattolici italiani per quasi un secolo, ha segnato grandi affermazioni elettorali già dal suo esordio nel 1919 come contrassegno del neonato Partito Popolare di Luigi Sturzo, e si è confermato ancora vincente nelle consultazioni politiche del 1946 e poi in quelle del 1948 come simbolo della nuova Democrazia Cristiana. Ha funzionato come emblema della lotta contro le truppe nazifasciste (impresso sui fazzoletti delle brigate partigiane cattoliche), e ha funzionato altrettanto bene come contrassegno del partito di governo, per certi aspetti simbolo stesso delle istituzioni, negli anni della ricostruzione. Ma soprattutto è stato riconosciuto come la sintesi efficace, l’essenza stessa, del partito d’ispirazione cattolica da una base elettorale molto vasta, presente in ogni regione del Paese e composta da persone di diversa cultura e classe sociale. Simbolo dunque “buono”, ma anche “facile da pensare” per la sua immediatezza e la sua forza espressiva. Nello scudo crociato confluiscono le antiche simbologie della croce e dello scudo che, molto prima del cristianesimo, hanno rappresentato dei punti di riferimento fondamentali proprio sul piano antropologico-culturale. Antica quanto la civiltà stessa (un sigillo con la croce in pietra ritrovato a Susa risale al terzo millennio avanti Cristo, altri simboli di croce, vedi ad esempio quelli rinvenuti a Creta, risalgono al XV secolo avanti Cristo) la croce simboleggia in molte culture la terra e il cielo, in quanto sistema di orientamento spaziale, e simboleggia la coesistenza nell’uomo della natura terrena data dall’elemento orizzontale e di quella spirituale data dall’elemento verticale. Per parte sua anche lo scudo costituisce un elemento di alto valore simbolico: arma di difesa per eccellenza, lo scudo è infatti uno schermo di protezione ma anche la superficie sulla quale è possibile rappresentare le figure che magicamente amplificano la forza del guerriero, e i concetti che ne ispirano l’azione (lo scudo di Achille presentava una raffigurazione dei campi coltivati, degli animali e del cielo, insomma dell’intero universo cui l’eroe sente di appartenere e che promette di difendere). Con l’avvento del cristianesimo la croce, nelle sue diverse forme, si arricchisce di un significato straordinario, tale da riassorbire l’intera simbologia precedente e da consentire un’interpretazione in chiave cristiana di tutti quei segni che in qualche modo possono essere accostati alla croce di Cristo (Giustino enumera le cosiddette “cruces dissimulatae” come l’aratro, l’albero della nave o l’ancora; ed Agostino parla di croci “ante litteram”,  che in qualche modo portano in sé la profezia dell’avvento del Cristo e quindi della croce per eccellenza). Anche lo scudo viene interpretato in chiave cristiana come allegoria della fede, ad esempio in San Paolo, che lo inserisce come parte dell’armatura del cristiano contro i dardi infuocati del peccato. Prima di essere simbolo politico, dunque, lo scudo crociato è un segno di guerra, il più perfetto fra i segni di guerra perché unisce all’efficacia militare la più alta valenza morale, quella della lotta in nome di Dio e della fede. Con la battaglia nel 312 di Costantino contro Massenzio - e la rivelazione “in hoc signo vinces” che aveva contrassegnato la campagna militare del futuro imperatore cristiano – la croce diviene per la Chiesa un simbolo anche di guerra, atto a celebrare la supremazia del Dio cristiano su qualsiasi altra divinità. Nell’Europa centrale, del resto, la difesa della cristianità diverrà necessariamente difesa militare, contro le minacce provenienti dalle regioni settentrionali e orientali del continente ad opera delle popolazioni barbare, e dalle regioni del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale ad opera dei musulmani. In occasione del Concilio di Clermont del 1095, Papa Urbano II promuove la prima crociata e raccomanda alle truppe in partenza per la Terra Santa di disegnare la croce sulle vesti e sulle armi così da sancire la natura santa dell’impresa (disegnata sugli scudi, la croce rappresenterà la figura stilizzata del guerriero stesso, disposto ad accettare nella sua “imitatio christi” il proprio destino di martirio e insieme di trionfo sul male); mentre la tradizione del colore rosso in campo bianco nascerà appena tre anni dopo con le vicende militari legate all’assedio di Antiochia (1098). Due storiografi, il primo dei quali è l’anonimo autore delle “Gesta Francorum”, testimone diretto della campagna militare di Antiochia, e il secondo dei quali è Jacopo da Varagine, un monaco domenicano vissuto nel 1200, autore della “Legenda Aurea”, riportano l’apparizione alle truppe dei crociati di San Giorgio in persona, alla testa di un esercito mandato dal cielo per aiutare i cristiani. Molti soldati avrebbero visto l’apparizione, e avrebbero visto il Santo portare la bianca armatura con una croce rossa disegnata sopra. La croce rossa in campo bianco, che già esisteva nel patrimonio iconico europeo (nel 1066 Papa Alessandro II aveva inviato a Guglielmo il Conquistatore prima della battaglia di Hastings la croce di San Giorgio denominata “Vexillum Sancti Petri”), si rafforza dunque nelle vicende delle crociate, per divenire nel 1118-19 il simbolo dell’Ordine dei Cavalieri Templari, e poi nel 1277 il vessillo ufficiale del Regno d’Inghilterra.

La Croce di San Giorgio assume, in sostanza, la funzione di legittimare in senso religioso il potere politico, e riveste grande importanza anche nei contesti comunali e delle signorie locali. Lo storico Jir Lourda definisce un’ampia area compresa fra il Rodano e l’Istria come la “fascia delle croci”, proprio per l’alto numero di città in essa comprese che adottano la croce come simbolo comunale e che si differenziano in epoca medievale per l’appartenenza guelfa – i Comuni fedeli al Papa, come ad esempio Milano, Genova, Alessandria, contrassegnati dalla croce di San Giorgio rossa in campo bianco – o l’appartenenza ghibellina - i Comuni fedeli all’Imperatore germanico come Como, Pisa ed altri contrassegnati, all’opposto, da una croce bianca in campo rosso-. La battaglia di Legnano, combattuta nel 1176 tra la Lega Lombarda appoggiata dal Papa e l’Imperatore Federico Barbarossa, assumerà nella cultura diffusa e nell’immaginario collettivo anche dei secoli successivi la connotazione di uno scontro di simboli (la croce di San Giorgio campeggia sul Carroccio), uno scontro nel quale il sodalizio fra l’esercito dei comuni italiani, mossi da un’istanza di autonomia e di libertà, e la Chiesa di Roma, la fusione di una motivazione politica con una spinta religiosa, risulteranno vittoriosi. Quando Luigi Sturzo costituisce il Partito Popolare nel 1919, la Croce di San Giorgio è dunque da secoli associata ai gonfaloni di molte città, è lo stesso simbolo che nel 1848 aveva accompagnato la rivolta delle Cinque Giornate a Milano non meno di quanto avesse fatto il Tricolore. La croce rossa in campo bianco, e in modo più specifico lo scudo crociato, resterà costantemente un simbolo guelfo, non soltanto per la sua tradizione storica ma anche per il contenuto che intrinsecamente continuerà ad esprimere, insieme confessionale e civile. Del resto la duplice valenza religiosa e insieme politica che questo simbolo racchiude è fonte d’ispirazione per una classe intellettuale che già dall’800 aveva idealizzato il medioevo (si pensi alla riscoperta del pensiero di San Tommaso e alle sue applicazioni in Leone XIII e nel pensiero sociale cristiano, si pensi a correnti culturali come quella animata da Agostino Gemelli agli inizi del ‘900 intorno alla “Rivista di filosofia neoscolastica”, o al pensiero di Giuseppe Toniolo in ordine a quegli aspetti che fanno del medioevo un modello interessante sotto il profilo economico e sociale). Nel primo dopoguerra, terminata l’esperienza della Democrazia Cristiana di Romolo Murri, sperimentati i limiti politici di una partecipazione indiretta come quella realizzata con il Patto Gentiloni e di fronte alla crisi sociale che alimenta l’ascesa dei socialisti, si rende necessario un ritorno organizzato dei cattolici sulla scena politica.

Il Partito Popolare di Luigi Sturzo rappresenta un fenomeno di grande portata, un fattore di rigenerazione del sistema che deve essere sottolineato anche simbolicamente. Già la denominazione di Partito Popolare rappresenta un elemento semantico importante, che vuole marcare la natura non confessionale del partito e la distanza dall’esperienza politica di Murri, inviso alla Gerarchia ecclesiastica e quindi bruciato dal punto di vista politico. Nell’estate del 1919 l’approssimarsi delle elezioni politiche rende urgente la definizione di una strategia elettorale e quindi anche l’adozione di elementi grafici che possano favorire l’identificazione del partito e suscitare negli aderenti un sentimento d’appartenenza; ma soprattutto è la nuova legge elettorale proporzionale, che prevede il voto di lista, a rendere necessario che ogni partito abbia un proprio simbolo stampato sulla scheda elettorale. Il 9 agosto del 1919 Filippo Meda, uno degli esponenti politici cattolici di maggior prestigio, scrive a Luigi Sturzo per aggiornarlo su questioni organizzative, e in quella circostanza pone la questione del contrassegno del partito. Filippo Meda informa il leader siciliano che il senatore Micheli, altro esponente cattolico di prestigio e già stretto collaboratore di Romolo Murri, aveva suggerito che il simbolo dovesse essere la “croce rossa”, fatto che non vede d’accordo lo stesso Meda, convinto che il contrassegno non debba riportare alcun elemento di tipo confessionale. Come ulteriore contributo, Filippo Meda acclude alla lettera il disegno di una stella, che propone come simbolo per il nuovo partito cattolico. Coerenza avrebbe voluto che Luigi Sturzo, preoccupato anch’egli di dare alla nuova formazione politica una connotazione laica, facesse proprie le considerazioni di Meda adottando comunque – se non la stella, che identifica un’area semantica troppo ampia, sicuramente contaminata da valenze risorgimentali ed anche massoniche - un simbolo non confessionale. La scelta sarà invece sorprendente, quella appunto dello scudo crociato, con sopra scritta la parola “libertas”, posta sul braccio orizzontale della croce probabilmente proprio per stemperare le valenze eccessivamente confessionali e guelfe che il simbolo di San Giorgio da solo avrebbe avuto. La scelta avrà successo, e il Partito avrà subito un’affermazione elettorale importante con ben cento seggi conquistati nelle consultazioni del novembre del 1919, imponendosi come la seconda forza politica del Paese dopo il Partito Socialista. Fin dai suoi esordi il simbolo viene gestito da Sturzo e dalla direzione del Partito con particolare sagacia. Al popolo degli elettori deve comunicare nello stesso tempo la fedeltà ai valori della Chiesa, un forte sentimento civico, uno spirito battagliero che richiama ad una certa purezza medievale. Gli stessi elementi - in sostanza – che caratterizzano il percorso politico e l’esperienza personale di Luigi Sturzo, sacerdote fedele alla Chiesa e rispettoso della Gerarchia ecclesiastica, sostenitore del ruolo dei Comuni italiani come luoghi privilegiati della politica e interpreti di un’autonomia decisionale rispetto al potere centralizzato, legato infine proprio a quelle suggestioni medievali di forza, purezza e militanza che emergono con evidenza nella sua attività editoriale degli anni precedenti la costituzione del Partito (vedi in particolare la pubblicazione de “La croce di Costantino”, periodico di carattere politico-sociale nel quale Sturzo firma gli editoriali con lo pseudonimo di “Il crociato” e dove si parla con enfasi della condizione del cristiano come di un milite che combatte agli ordini del Papa, unica guida per il popolo dei fedeli). Nel presentare lo Scudo Crociato ai propri elettori Luigi Sturzo – d’accordo con la Santa Sede che la nuova formazione politica non debba assumere un carattere confessionale - terrà a specificare che non si tratta del simbolo dei crociati ma del simbolo degli antichi Comuni d’Italia, quelli che difesero la libertà nella Battaglia di Legnano (contro l’Imperatore) e nella battaglia di Lepanto (contro la flotta musulmana). In modo più esplicito e trasparente Stefano Jacini, primo storico del partito e testimone diretto dei fatti, scriverà che il simbolo prescelto altro non era se non quello degli “antichi comuni guelfi”.

Nei pochi anni di vita del Partito Popolare, lo Scudo Crociato assolve in modo brillante la funzione di identificare un’area politica d’ispirazione cristiana, garante della libertà e della stabilità istituzionale e nello stesso tempo intransigente sulle questioni politiche di fondo, e sul giudizio storico nei confronti di progetti politici eversivi. Sarà tuttavia proprio il dibattito sull’atteggiamento da assumere di fronte al fascismo, che culmina nel congresso di Torino del 1923, ad indebolire il Partito di Sturzo, che patisce anche la presa di distanza della Santa Sede che in questo momento storico sceglie di dialogare con il Governo fascista negoziando il Concordato, utile per la Chiesa ma neccessario anche a Benito Mussolini per radicare il regime nella profonda tradizione religiosa del Paese prefigurando un assetto istituzionale che avrebbe visto nella città di Roma il centro del nuovo impero romano e nello stesso tempo della cristianità. Dopo le dimissioni forzate di Sturzo e dopo lo scioglimento del Partito ad opera del regime fascista nel 1926, il simbolo dello Scudo Crociato viene ostracizzato. La soppressione del contrassegno politico avviene, del resto, in un clima di generale avversione del regime nei confronti dei simboli cristiani ove non usati in contesti prettamente religiosi e liturgici, compresa la croce dell’Azione Cattolica, che malgrado si ponga come organizzazione non politica e malgrado possa beneficiare di impegni formali da parte del Governo per il libero esercizio delle proprie attività (e per l’esposizione dei propri vessilli), viene vista come istituzione rivale del fascismo nell’educazione dei giovani e come rete comunque collegata a quella dell’ormai sciolto Partito Popolare. Ancora più pesante l’ostilità del regime nel momento in cui Mussolini viene arrestato dal Re e poi liberato e nuovamente posto dai tedeschi al governo della Repubblica Sociale, in posizione subordinata rispetto al governo di Berlino e quindi condizionato da un’avversione dei nazisti nei confronti della Chiesa Cattolica sempre più profonda e manifesta. I simboli dello scudo crociato riappariranno dall’autunno del ‘43, esibiti da varie formazioni partigiane d’ispirazione cattolica impegnate sui fronti nordici, a conferma di un legame anche affettivo con la tradizione del Partito Popolare e con l’immaginario medievale che ne aveva accompagnato le fortune politiche. Questo avviene in concomitanza con la fondazione e con l’insediamento a Roma del nuovo partito d’ispirazione cattolica, la Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi, già attivo dal dicembre 1942 ma ancora senza un contrassegno politico che lo possa identificare. Il simbolo dello scudo crociato si diffonderà dunque spontaneamente, per libera iniziativa del popolo dei cattolici, a conferma della carica di significato che ancora porta con sé e che prescinde dalle direttive e dalla funzione esplicativa dei vertici del Partito. Nella disposizione della Giunta Centrale della Democrazia Cristiana del giugno 1944 si legge: “In molte parti lo Scudo Crociato col motto “libertas” è stato spontaneamente assunto dai nostri aderenti come emblema del Partito. Assecondando tale moto spontaneo si è provveduto a coniare i distintivi…”. La decisione, del resto, è consonante con la sensibilità di quella parte guelfa, minoritaria ma comunque influente, di esponenti politici che collabora con De Gasperi alla stesura del programma del nuovo partito e che annovera fra gli altri personalità come quelle di Malvestiti, Malavasi, Carcano Casò, Clerici, Grandi, Migliori, Nebuloni e Pullara. Ed è coerente con la nuova sensibilità presente nella rete dell’Azione Cattolica, ora saldata con le strutture del nuovo partito e che – per singolare concomitanza - sceglierà come simbolo per la campagna di affiliazione del 1943 l’immagine di un’aquila con apposto sul petto un grande scudo crociato. La storia dello scudo crociato, dunque, è la storia di un simbolo di matrice guelfa, espressione di una parte minoritaria del partito dei cattolici eppure in grado di rappresentarne l’intera anima. Un simbolo che assomma valenze politiche e insieme religiose, evocando un immaginario medievale radicato in una larga fascia della popolazione italiana. Un simbolo reso più efficace dalla compresenza di due elementi strutturali, lo scudo con la corce rossa in campo bianco, espressione di quel concetto di “guerra santa” o comunque di “guerra giusta” che costituisce una delle sintesi più forti e suggestive della cultura cristiana, e lo slogan “libertas”, che presenta valenze maggiormente laiche ed immediate. L’elemento meta-storico dello scudo crociato, insomma, con un elemento di attualizzazione politica, quella parola libertà che risuona in tutta la sua urgenza nel primo come nel secondo dopoguerra. Una carica semantica composita e potente, quella dello scudo crociato, che costituisce una delle ragioni fondamentali del suo successo politico. Una carica semantica, però, che proprio per la sua natura esplicita ed evocativa si rivelerà fatale negli anni ’90 quando - in un contesto politico e sociale profondamente trasformato, nel quale l’appello alla libertà suona inpdf qualche modo superato dal crollo del muro di Berlino e nel quale la società risulta ormai incamminata verso una sempre maggiore secolarizzazione - il segno dello scudo crociato costituirà un fardello troppo pesante e inattuale per un’area politica centrista e moderata che ha in parte smarrito la sua originaria vocazione cattolica.

 

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