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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

pdfDa dicembre a questa parte non è stato un periodo facile per il mondo delle cooperazione italiana, sbalzata sulle prime pagine dei giornali in contesti che poco hanno a che fare con i suoi valori fondanti e che ne hanno profondamente minato la reputazione. L’apice si è toccato con la vicenda Consorte-Unipol, cui sono seguite varie, pesanti dichiarazioni dell’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, sul sistema cooperativo.

Tra il 28 marzo e il 1 aprile 2006 l’Angelicum ha ospitato varie voci del mondo cooperativo italiano. Il 28 e 29 marzo la Fai- Cisl, federazione sindacale del settore agro-alimentare, ha organizzato un convegno internazionale dal titolo “European cooperative enterprises: internationalisation processes and employers involvement. Practical cases. L’impresa al sociale: valorizzare l’impresa cooperativa quale vettore di responsabilità sociale”. Mi è stato richiesto di intervenire come relatore, per parlare delle buone pratiche di responsabilità sociale nelle imprese cooperative. Il I aprile come coordinatore del Master ho organizzato un seminario con Sr Helen, invitando ad una lezione ad hoc responsabili della comunicazione della Federazione Italiana Banche di Credito Cooperativo.

Mi sono trovato dunque personalmente impegnato in questo dialogo con un comparto variegato e vasto dell’economia nostrana, che poco conoscevo e con cui mi sono confrontato su parametri di responsabilità sociale d’impresa e di una più ampia sostenibilità socio-economica. Confronti che mi hanno fatto profondamente riflettere sulla natura stessa del sistema cooperativo e sul suo contributo ad un sistema economico più sostenibile e sano.

Il caso Unipol-Consorte a mio modo di vedere non ha mostrato particolari falle del sistema cooperativistico (che pur ne ha sopportato i costi in termini di reputazione), ma l’ennesima dimostrazione che capitalismo estremo e finanziarizzazione dell’economia cozzano con qualunque Valore morale e sono il terreno fertile per lo sviluppo dell’avidità umana. E hai voglia a dire che pucunia non olet. Qui la pecunia olet eccome e arriva nei salotti “buoni” di tanti politici ed imprenditori, che in questo olezzo ci sguazzano a meraviglia.

Il «barone rosso» come era stato ribattezzato Consorte, ha reso grande Unipol, la compagnia assicurativa della Lega delle Cooperative. Negli anni novanta ha ristrutturato il pianeta delle coop rosse, evitando un crack finanziario. Da quel punto, saranno state le terribili regole del mercato e del capitalismo più estremo (crescere o morire), saranno state mire personalistiche di grandezza e avidità, l’ingegnere abruzzese ha avviato un processo di sviluppo senza fermate. Con acquisti, fusioni ed operazioni finanziarie varie (tra cui l’entrata in borsa), Unipol è diventata in breve la quarta compagnia italiana nelle assicurazioni.

Non soddisfatto, Consorte pianifica la crescita nell’attiguo settore bancario, per fare della compagnia assicurativa un grande gruppo di bancassurance; la mira è molto ambiziosa: la BNL. Ma il passo, troppo più lungo della gamba, renderà questa scalata la fine della corsa: Consorte infatti è travolto dalla vicenda più ampia che ha riguardato Bankitalia, i “furbetti”, l’appoggio di politici di primo piano ed è costretto alle dimissioni, sfiduciato dal Cda di Unipol.

Accusato di “insider trading” sulle obbligazioni Unipol fin dal 2002, la magistratura indaga ora sui conti personali, su assegni da capogiro, su plusvalenze milionarie. Ma dov’è a questo punto il legame con le coop? Il mondo cooperativo è lontano anni luce dagli uffici e dai salotti dove si allacciano gli intrighi tra banche, politici e management senza scrupoli.

Chi non ha colto questa distanza siderale, è stato l’onorevole Berlusconi che, cavalcando il caso Unipol e le intercettazioni con politici del centro sinistra, ha attaccato duramente il mondo cooperativo. Le accuse sono state varie e di diversa gravità. Mi sono sembrate fuori luogo il generalizzare un caso in Campania per parlare di collusione con la camorra ed il parlare di continuità con il regime sovietico nel finanziare i partiti comunisti, suo incubo ricorrente. Vorrei invece soffermarmi su due dichiarazioni. La prima durante la trasmissione Otto e mezzo "Quello delle cooperative è un sistema non sano, che non fa parte del libero mercato e su cui credo si debba intervenire con provvedimenti legislativi". E ancora, più in là nel tempo “Il sistema delle coop rosse è in connessione con le giunte regionali, provinciali e comunali da cui hanno continuativamente appalti. Questo sistema non può essere più tollerato perché le coop non pagano le tasse”. Qui la critica è forte e radicale. Secondo l’allora premier, il sistema cooperativo cozza con il sistema di mercato: le cooperative si sottraggono alle regole e fanno dunque concorrenza sleale, godendo di privilegi fiscali e di canali privilegiati.

Non voglio qui soffermarmi sui principi del liberismo economico, né aprire un dibattito su quali siano o dovrebbero essere le regole del mercato. Vorrei solo capire se la concorrenza delle cooperative (o di alcune di esse) sul mercato è sleale e, a più ampio raggio, la loro presenza è dannosa per il sistema economico.

Nel mio intervento al convegno della Fai Cisl mi era chiesto di parlare di casi positivi per quanto riguarda la responsabilità sociale d’impresa provenienti dal mondo cooperativo. Affronto ora il tema in modo più ampio, incentrando il mio contributo sull’analisi strategico-organizzativa delle tre aziende presentate, Granarolo, Coop e BCC, che, emanazioni del mondo Cooperativo, fanno della responsabilità sociale d’impresa uno dei loro cavalli di battaglia.

Granarolo, nata nel 1959, nelle vesti di una piccola cooperativa situata alle porte di Bologna, è oggi di proprietà del Consorzio Granlatte, direttamente partecipata da produttori agricoli associati in cooperativa. Granarolo è il non plus ultra della Responsabilità sociale d’impresa: certificata SA 8000, con una politica incentrata sulla qualità e sul controllo di filiera, con un attenta politica ambientale e un’equilibrata gestione delle risorse umane rientra a pieno merito nella categorie di aziende modello. La sua strategia aziendale di crescita del fatturato e di riduzione dei costi, infatti si coniuga a tutti i livelli della sua catena del valore con i principi della sostenibilità. La funzione “ricerca e sviluppo” ha sì migliorato e ampliato l’offerta al consumo, ma ha anche massimizzato l’efficienza energetica e ottimizzato packaging e logistica; la politica di ascolto di dipendenti (laboratori di Archimede) e degli altri stakeholders (stakeholder engagement) ha permesso utili correzioni alla propria strategia e una più ampia condivisione delle responsabilità; il sistema di incentivazione degli allevatori ha mantenuto alta la qualità della materia prima.

Con una crescita lenta ma costante, incentrata sul suo core business, Granarolo ha saputo diventare leader di settore in Italia. Nel settore lattiero caseario ha scavalcato quella Parmalat che, come tutti sanno, è stata al centro del più grave scandalo finanziario italiano, frutto di una strategia aziendale improntata alla massiccia diversificazione, all’eccessiva finanziarizzazione e guidata da un’asse proprietà-management più orientato ad avidi interessi personali che non a quelli dell’azienda. Alla luce anche di questo confronto, non possiamo che annotare Granarolo come una ricchezza del nostro sistema economico. Che dire poi del suo modo di far concorrenza? Certo non potremmo definirlo sleale, ma piuttosto improntato su fattori positivi e virtuosi. Una tale gestione aziendale dovrebbe essere presa ad esempio non solo dagli operatori del settore, ma da tutto il management del manifatturiero italiano per la sua capacità di coniugare competitività e sostenibilità.

Coop rientra nella categoria di azienda “sensibile”. Coop infatti è molto attenta nella sua strategia e nella sua comunicazione alle sollecitazioni dell’opinione pubblica e dei suoi stakeholders. Per quanto riguarda le tematiche ambientali, Coop ha da anni portato avanti una strategia di riduzione e reciclaggio degli imballaggi, impegnandosi anche nella sfortunata iniziativa del sacchetto biodegradabile (che in realtà non lo è completamente); è stato tra i promotori di molte battaglie vinte come quella contro il cfc negli spray, contro gli abusi nei pesticidi, contro gli Ogm. Oggi i prodotti a marchio Coop sono tutti biologici, ma negli anni Coop ha saputo eliminare dal suo assortimento tutti i prodotti dannosi per l’ambiente. Quando scoppiò lo scandalo dei palloni in cuoio prodotti dai bambini, iniziò a vendere palloni certificati come non cuciti a mano da minori. Il discorso si è allargato nel tempo allo sfruttamento del Sud del mondo e alle tematiche del commercio equo e solidale ed oggi molti prodotti a “rischio” come il caffè, il cacao, i frutti esotici sono certificati Transfair, marchio internazionale dell’equo e solidale. Il settore tessile mostra tutte le sue crepe riguardo lo sfruttamento dei lavoratori? Ecco la polo e la camicia equosolidali. L’abbattimento illegale degli alberi diventa d’attualità? Ecco la partership con Forest Stewardship Counsil per controllare la filiera della carta. C’è un cartello dei produttori del latte in polvere che mantiene il prezzo a costi proibitivi per gli utenti? Ecco il latte in polvere Coop, ad un prezzo in linea con quelli europei. Anche i costi dei farmaci diventano eccessivi? Coop lancia la campagna per vendere farmaci generici.

La politica attenta di Coop non si limita alle strategie di assortimento. Negli ultimi anni un movimento statunitense condanna apertamente la gestione delle risorse umane da parte di Wal Mart, azienda leader nel mondo nel settore grande distribuzione. Sotto l’occhio del ciclone finiscono soprattutto orari massacranti, senza pause. Coop negli stessi anni lancia il progetto “Orari ad isole” con l’obiettivo di conciliare le esigenze individuali dei lavoratori e di agevolare le persone a costituire un proprio orario di lavoro, flessibile nella giornata e nella settimana.

Coop inoltre è da sempre attiva nella sensibilizzazione dei consumatori e nell’educazione al consumo, contro l’esasperazione del consumismo, anche forse a suo discapito. Che giudizio dare? Non vorrei essere ripetitivo, ma mi sembra di essere in presenza di un altra azienda che non solo opta per delle scelte strategiche orientate alla sostenibilità socio-ambientali, ma che spinge alla maggiore competitività anche settori attigui come i casi descritti del latte in polvere e della farmacia.

Le Banche di Credito Cooperativo sono una realtà molto particolare; mi aiuterò in questa breve descrizione anche con le informazioni avute nell’ambito del seminario del master dai disponibilissimi Sergio Gatti, Claudia Benedetti e Claudia Gonnella dell’ufficio comunicazione di Federcasse.

Innanzitutto le Banche di Credito Cooperativo non sono un gruppo bancario tradizionale ma 446 realtà indipendenti associate tra loro a vari livelli (provinciale, regionale e nazionale). Vi sono poi due organismi comuni che sono proprietà delle banche cooperative socie, Federcasse e Iccrea Holding. La prima, svolge un ruolo di coordinamento e di offerta di servizi alle banche associate: rapporti coi sindacati, consulenza legale e fiscale, ricerca e statistiche, formazione professionale ed organizzazione della banca, ed appunto comunicazione. La seconda si occupa di offrire tutti quei servizi e prodotti finanziari ai clienti che una piccola banca non potrebbe offrire (Private Equity, Securities, Loan Pooling, Merchant Banking, Leasing, Asset Management, Assicurazione, Capital Market, Payment System & Clearing). Dunque a tutti gli effetti un cliente potenziale di una Bcc riceve esattamente gli stessi servizi di una banca normale e ha la netta percezione di trovarsi in rapporti con un gruppo bancario simile agli altri big. Le Bcc sono a tutti gli effetti concorrenti delle altre banche. Ma come competono? In un mercato in cui la domanda è fortemente condizionata dal prezzo (costo e retribuzione del denaro) infatti un imposizione fiscale ridotta rischia di creare un vantaggio competitivo notevole.

Anche il contratto dei dipendenti è proprio del sistema cooperativo. Ma se vogliamo confrontare i costi a livello di gestione delle risorse umane per esempio, le Bcc hanno costi mediamente più alti delle banche normali. I livelli retributivi sono gli stessi ma i dipendenti Bcc hanno "benefits" ulteriori come Cassa Mutua Nazionale per il Personale delle BCC e Fondo Pensione Nazionale per il Personale BCC.

Esistono dunque dei vincoli a questi vantaggi fiscali? Il legislatore li ha costruiti intorno a due dei pilastri del credito cooperativo: mutualità e localismo. La mutualità implica l’assenza dello scopo di lucro e l’obbligo di erogare il credito principalmente ai soci. Il localismo implica l’obbligo di operare esclusivamente in una definita e limitata area, nella quale la Banca concentra l’intera attività e il potere decisionale. L’Istituzioni di vigilanza (Bankitalia) ha infatti definito regole molto severe per ricevere i benefici fiscali: tra queste “i soci debbono risiedere, avere sede o operare con carattere di continuità nel territorio di attività della BCC” e ancora più importante “il 95% almeno del risparmio raccolto nel territorio deve essere impiegato per finanziare famiglie e imprese di quel territorio”.

Quest’ultimo punto è importante per far capire il ruolo delle Bcc nel Sud Italia, che dunque per legge devono reinvestire nel territorio il risparmio del territorio stesso. Le Banche di Credito Cooperativo alla data di giugno 2003 rappresentano il 76% delle banche aventi sede nel Mezzogiorno. Su un totale di 148 aziende insediate in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, ben 113 sono infatti BCC. Tale percentuale aumenta poi al 94,2% se consideriamo le banche non appartenenti a gruppi bancari (che generalmente utilizzano i depositi del Sud in investimenti al Nord, trasferendo la ricchezza).

Il Credito Cooperativo è dunque fortemente legato alla comunità locale. Attraverso la propria attività creditizia e mediante la destinazione annuale di una parte degli utili della gestione promuove il benessere della comunità locale, il suo sviluppo economico, sociale e culturale. Il Credito Cooperativo esplica un’attività imprenditoriale “a responsabilità sociale”, non soltanto finanziaria, ed al servizio dell’economia civile. L’importo medio dei crediti erogati dalle BCC alla fine del 2002 era pari a 42.200 euro, contro i 51.300 delle altre banche, il che significa occuparsi di piccoli crediti.

Le Bcc finanziano inoltre gran parte del Terzo settore, molti progetti di miglioramento ambientale, progetti sociali, talvolta a tassi agevolati, talvolta con contributi a fondo perduto.

Negli ultimi anni il sistema BCC ha rafforzato la partnership con Codesarrollo, banca capofila di centinaia di Casse Rurali in Ecuador, che sta costruendo un sistema finanziario etico alternativo nel Paese andino. Punti cardine dell’attività di Codesarrollo sono: l’erogazione del credito agli strati marginali della popolazione rappresentati dai campesinos; il sostegno al sorgere di attività produttive di trasformazione dei prodotti agricoli; l’impulso a creare imprese comunitarie. In questo modo, si trattiene in loco la ricchezza creata, realizzando un’economia circolare che crea sviluppo nelle campagne e nelle aree marginali della città ed un’alternativa ai “chulqueros”, cioè gli usurai. Il credito cooperativo partecipa a questo progetto sia raccogliendo risorse nella forma di “azioni di donazione” (in sostanza erogazioni a fondo perduto), sia mettendo a disposizione finanziamenti a condizioni di favore, sia infine partecipando all’attività di consulenza e formazione. In pratica contribuisce con le sue competenze “core”, non facendo beneficenza o mecenatismo. Quest’ultimo esempio non fa che confermare l’utilità sociale del credito cooperativo, la sua grande importanza come motore dell’economia sia del nostro Paese, come anche di supporto a realtà del Sud del Mondo.

Mi sono permesso di suggerire in ambito di bilancio sociale di monitorare quest’impatto, misurando la crescita socio-economica delle realtà in cui sono presenti le Bcc. Magari utilizzando indicatori di Pil d’area, rettificati con parametri ambientali e dipdf welfare. Sarebbe un ottimo biglietto da visita per l’ulteriore crescita del sistema Bcc e l’ennesima prova di un sistema creditizio sano, in mezzo a tanti scandali bancari.

Il mondo cooperativo offre degli ottimi esempi di responsabilità sociale al nostro sistema economico, così in crisi di valori e di competitività. Non voglio in questa sede generalizzare e santificare tutto il mondo cooperativo partendo da tre casi positivi. Credo anzi che il sistema della cooperazione debba con forza ed urgenza individuare ed eliminare le mele marce al suo interno. Ma sono fermamente convinto che la cooperazione resta un patrimonio indiscusso e un modello di riferimento per quell’economia sostenibile cui dobbiamo puntare nel futuro.

 

 

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