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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

pdf1. Gli atteggiamenti verso la morte della persona anziana

Per la persona anziana1 l’imminenza della morte è percezione avvalorata anche dalla morte del coniuge2 e dei suoi coetanei. Ciò contribuisce a determinare quell’atteggiamento di “distacco” che caratterizza le persone più anziane e le porta a vivere proiettate non verso il futuro, ma prevalentemente verso il passato. Questo processo di ”reminiscenza” è inoltre fondamentale per continuare ad affermare il proprio valore di persona in situazioni di emarginazione e di malattia.

La principale speranza per la persona anziana è quella di stare bene in salute, la paura fondamentale quella di perdere l’autosufficienza; la persona anziana vede nella malattia il primo nemico, avverte dolorosamente di esservi più esposta che in qualunque altro periodo della vita, anzi, con il passare del tempo finisce per considerare la malattia come parte integrante di se stessa.

In tale ambito una questione fondamentale da porsi è che cosa l’anziano crede o pensa dell’evento morte. Un dato sembra certo: molti anziani sono disposti a parlare della morte più liberamente di quanto si creda e mostrano di non temere questo evento presentando un sentimento di paura della morte apparentemente meno evidente che nel giovane3. Si può dire che le concezioni sulla morte vanno dal vederla come nemica, straniera, come un fallimento, ad una riunione a parenti già defunti, una concezione questa molto diffusa.

La persona molto anziana prepara la sua morte, essa è sempre presente nella sua testa; racconta quella degli altri, tenta di addomesticare la sua, ne parla indirettamente (la sua solitudine, le sue sofferenze) o in termini generali, impersonali che esprimono il tentativo di “porre a distanza” la morte, ma allo stesso tempo il riconoscerne la fatalità.

A volte poi non è tanto l’evento morte che preoccupa, quanto piuttosto la paura collegata al processo del morire nel dolore, nella solitudine, nella perdita del controllo del proprio corpo. Per questo molti anziani affermano che è preferibile morire piuttosto che vivere una lenta, dolorosa agonia solitaria.

Le persone anziane poi ricoverate in istituzioni geriatriche possono assumere spesso atteggiamenti di tanatofilia: l’anziano molto vecchio, solo, prostrato dagli anni, sembra invocare con frequenza la morte, che viene anticipata e quasi cullata in tanti attimi di vuoto esistenziale. Sono, queste, affermazioni molto importanti, perché possono esprimere il desiderio di parlare della morte, di condividere con altri le proprie paure, ma molte volte, sono appelli inascoltati.

In conclusione, le necessità peculiari della persona anziana morente nascono da un triplice ordine di fattori:

•    le persone anziane sono più soggette a cause di morte derivanti da patologie croniche, specialmente cardiovascolari e malattie oncologiche;
•    particolare è lo stesso supporto familiare affettivo che l’anziano può ricevere: per gli uomini è affidato prevalentemente alle mogli; per le donne, spesso già vedove, è affidato ai figli già adulti;
•    gli anziani tendono a vedere la morte imminente come un qualcosa che è stato anticipato, in molte separazioni, lungo tutto l’arco della vita.


2. Il luogo della morte
Oggi si muore molto in ospedale, si va spesso a morire in ospedale. Ci si può chiedere dove gli ultimi giorni della vita dovrebbero essere trascorsi: in ospedale, in una istituzione geriatrica, a casa propria ? E’ una domanda che non può avere una risposta univoca. Si devono considerare le condizioni cliniche, le necessità assistenziali, la dignità, il conforto, i desideri, la tranquillità del morente. Se queste condizioni possono essere ottenute in casa, questo sicuramente è il posto nel quale morire e nel quale la persona anziana vuol morire.

Una persona su quattro di età superiore ai 65 anni ha la probabilità di passare una parte della sua vita in una situazione di assistenza continuativa che, se nel mondo anglosassone è la Nursing Home, in Italia è la Casa di Riposo o, nel caso di disabilità fisica o cognitiva, la Residenza Sanitaria Assistenziale, ove l’obiettivo prioritario è il raggiungimento o il mantenimento del miglior livello possibile di qualità di vita. Ma un corretto concetto si salute non può limitarsi alla dimensione biofisica. La salute della persona, ed in particolare quella dell’anziano, è caratterizzata infatti da fattori ben più complessi che non la sola assenza di malattia, include affetti, amore, stima di sé e degli altri, bisogno di contatti interpersonali, ruolo, senso di autonomia, spiritualità e religiosità..

Certo la morte è un visitatore peculiare nelle istituzioni geriatriche, ma spesso nessuno ne parla. La morte resta a livello del non detto, in una illusoria preoccupazione di protezione della persona anziana ma anche degli operatori sanitari.       
 
3. Il processo assistenziale
Parlare degli aspetti etici di questa assistenza significa primariamente evocare tre principi. Il primo è che l’anziano morente è una persona che deve essere aiutata ad affrontare un momento drammatico della vita, nella convinzione che la vita umana conserva integralmente il suo valore anche quando le condizioni fisiche tendono a deteriorarsi. In questo cammino il paziente è ancora vivo, soffre, esperisce emozioni e paure, ha bisogni reali, materiali, relazionali, religiosi. Il secondo principio è la formazione professionale degli operatori sanitari. Le facoltà mediche e tutte le altre scuole per operatori professionali destinati ad operare in ambito sanitario danno ancora oggi limitata importanza alla necessità di preparare i loro studenti ad un lavoro assistenziale a contatto quotidiano con la sofferenza e la morte. Il terzo principio è che le stesse cure assistenziali e terapeutiche possono presentare degli aspetti ambivalenti, ricordando che già la domanda della scienza medica di fronte alla morte rimane segnata anch’essa dal limite.

Rispettare l’uomo nella sua fase finale vuol dire rispettare l’incontro dell’uomo con Dio, “nel suo ritorno a casa” sia escludendo ogni altro potere da parte dell’uomo di anticipare questa morte (eutanasia), sia escludendo il potere di impedire questo incontro con una forma di tirannia biologica (accanimento terapeutico)4. Infatti, consapevole di non essere né il “Signore della vita, né il conquistatore della morte” l’operatore sanitario, nella valutazione dei mezzi terapeutici, deve fare le opportune scelte, cioè rapportarsi al paziente e lasciarsi determinare dalle sue reali condizioni cliniche5.

C’è dunque un diritto a morire con dignità. E tale diritto va inteso nel senso che devono essere evitate tutte quelle situazioni che impediscono ad una persona di morire con serenità, senza essere sottoposta a trattamenti troppo dolorosi o troppo umilianti che, con lo scopo di prolungare per qualche tempo la vita, portano a gravi mutilazioni o a cure estremamente dolorose, oppure riducono il corpo a una “cosa”, o più precisamente, ad una selva di tubi e fili. Il malato ha il diritto di morire in un clima di serenità e di raccoglimento, circondato dalle persone che lo amano e non segregato da esse, a motivo di trattamenti eccezionali e sproporzionati che esigono un isolamento assoluto6.
La dignità del morire è allora il vero obiettivo terapeutico nell’ambito del malato nella fase terminale della malattia, una fase che vedrà un progressivo e inarrestabile declino delle funzioni fisiologiche.

E’ poi importante che il paziente e i suoi familiari partecipino al processo di cura e per questo è necessario, per quanto possibile, che ricevano adeguate informazioni. E’ questo il concetto di consenso informato: è necessario informare del trattamento programmato, dei suoi effetti, garantendo che non sarà iniziato senza il consenso del paziente.

La maggior parte dei morenti sente l’approssimarsi della morte. Il malato lo avverte dai segnali che gli vengono dal corpo e dalle fonti informative che sono intorno a lui, alle quali chiede, in assenza di una corretta informazione, la conferma dei suoi dubbi e delle sue angosce.

Ma il dire la verità al malato interessa anche la sfera emotiva di chi sta accanto al morente, poiché  rivelare la verità al morente che la chiede è l’atto più ingrato, quello che esige più speranza nella vita; la stessa consapevolezza delle propria morte deve dettare i sentimenti di compassione, di comprensione, di partecipazione, che sono il presupposto di una relazione di aiuto.

Propedeutica ad ogni intervento assistenziale, è la lotta al dolore fisico. Tra le cure da somministrare vanno annoverate quelle analgesiche, che favorendo un decorso meno drammatico, concorrono all’umanizzazione e all’accettazione della morte.

E’ stato il crescere sempre più aggressivo e manifesto della patologia oncologica a esigere una vera e propria terapia del dolore; nessuna altra patologia si era conquistata così tanti motivi per rivendicare, con una funzione terapeutica, un presidio sistematico alla sofferenza fisica e, di conseguenza, anche psicologica e religiosa. E la patologia oncologica è frequente nella persona anziana.

Nella Lettera Enciclica Evangelium Vitae si afferma che “se infatti può essere considerato degno di lode chi accetta volontariamente di soffrire rinunciando a interventi antidolorifici per conservare la pienа lucidità e partecipare, se credente, in maniera consapevole alla passione del Signore, tale comportamento “eroico” non può essere ritenuto doveroso per tutti” (n. 65).

In tale ambito nella medicina moderna vanno acquistando rilievo particolare le cosiddette “cure palliative”. Nel linguaggio comune quando si parla di palliativo si intende “un rimedio che attenua il male senza guarirlo”, ma le cure palliative hanno la loro etimologia nel latino pallium, letteralmente mantello, e vogliono evocare l’immagine di un mantello che avvolge, a simbolizzare un senso di protezione totale della persona morente. Infatti l’assistenza è finalizzata al controllo di tutti i sintomi dolorosi sia quelli fisici (dolore, nausea, vomito, dispnea, ecc.) sia quelli psicologici e spirituali (solitudine, ansia, depressione, paura della morte) e religiosi.

Un elemento che è interessante ricordare è il riconoscimento nelle cure palliative di molti elementi affini, dal punto di vista culturale e assistenziale, alla geriatria. Infatti, la valutazione multidimensionale del paziente, il lavoro di èquipe, il riconoscimento del ruolo paritario intra-équipe di alcune figure professionali non sanitarie (quali l’assistente sociale, l’assistente spirituale, il coordinatore del gruppo di volontari), il considerare la famiglia come oggetto di possibili obiettivi terapeutici e educazionali e come insostituibile risorsa per il paziente, il bilancio continuo tra i vantaggi e gli svantaggi delle opzioni terapeutiche nell’ottica del miglioramento della qualità di vita del paziente, la elevata flessibilità degli interventi e la rimodulazione dei piani di cura anche attraverso l’adozione sistematica di  strumenti di valutazione, sono altrettanti elementi che contraddistinguono sia l’attività assistenziale in ambito geriatrico che nelle cure palliative.

Comprendere che viene il momento nel quale il malato non può più essere guarito dalla scienza medica, significa rispettare i limiti della sua realtà fisica, ma allo stesso tempo, permettere alla persona di esprimere i suoi valori spirituali e religiosi sulla vita e sulla morte. Solo così la cura medica da intervento utilitaristico e meccanicistico diventa preoccupazione globale della persona.
 
Nel 1999 Giovanni Paolo II ha scritto una Lettera agli anziani, nella quale ha affermato che la morte è sullo sfondo della vita umana e nella vecchiaia, attraverso la fragilità della vita fattasi ormai trasparente, si intravede già la vita trasfigurata, pdfdella quale il passaggio in Dio, è la soglia obbligata. Un compimento, un passaggio – egli afferma – che presenta, “nella condizione umana segnata dal peccato, una dimensione di oscurità che necessariamente ci intristisce e ci mette paura”. Un compimento che allora possiamo definire abbandono alla speranza, una speranza fondata sulla fede: “Se così misurata e fragile è l’esistenza di ciascuno di noi, ci conforta il pensiero che, in forza dell’anima spirituale, sopravviviamo alla morte stessa”. La fede apre ad una speranza che non delude (cfr. Rm 5,5)7.

 

Bibliografia

Kertes Weaver N., The Theology of Suffering and Death. An Introduction for Caregivers, Routledge, Abingdon 2013
Loperfido A., Tienimi per mano. La relazione con il paziente terminale nell’esperienza di un hospice, EDB, Bologna 2014
Mongardi M., L’assistenza all’anziano Ospedale, territorio, domicilio, McGraw Hill, Milano 2011
Petrini M., Pastorale dei morenti e Escatologia, in Petrini M,.Salvati G.M., Sapori E., Sgreccia P., Lineamenti di Teologia Pastorale della Salute, Camilliane, Torino 2013, pp. 361-378
Petrini M., La cura alla fine della vita Linee assistenziali etiche pastorali, Aracne/Centro di Promozione e Sviluppo dell’Assistenza Geriatrica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma 2004

 

NOTE:

1 La “nascita sociale” della condizione anziana, cioè la sua identificazione quale categoria sociale separata dall’età adulta, è essenzialmente ancorata alla fuoriuscita della persona dal sistema produttivo, e questo anche se il processo di invecchiamento inizia all’atto del concepimento. Più realisticamente, si dovrebbe parlare di anzianità della persona a partire dai settantacinque anni di età quando questo processo si accentua. Quando poi si parla di anziani occorre considerare che non si parla di una classe omogenea, poiché al suo interno dobbiamo distinguere almeno quattro fasce di età (65-75anni, 85-94, 85-94, 95 e più) che naturalmente hanno diversi bisogni e diverse risposte assistenziali.  
2 Poiché la donna vive generalmente più dell’uomo, dal punto di vista assistenziale si deve considerare, nelle età più elevate, una popolazione largamente femminile.
3 Per una rassegna delle ricerche sugli atteggiamenti della persona anziana verso l’evento morte si rimanda a M. Petrini, F. Caretta, L. Antico, R. Bernabei, L’accompagnamento della persona anziana morente, CEPSAG/Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma 1994, pp.17-42; F. Caretta, Il concetto di morte nelle case di riposo, in G. Lauro Sacchetti, a cura, Residenze Sanitario-Assistenziale, F.Angeli, Milano 1997, pp. 63-69.
4 cfr.Sgreccia E., Bioetica. Manuale per medici e biologi, Vita e Pensiero, Milano 2012, pp. 363-364.
5 Pontificio Consiglio della  Pastorale degli Operatori Sanitari, Carta degli Operatori Sanitari, Città dsel Vaticano 1994, n. 120, p.93.
6 Morte umana, morte cristiana, “Civiltà Cattolica” 3282(1987, pp. 521-533.
7 Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera agli anziani, nn. 14. 2.10.

 

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