1. Putin sostiene che in Ucraina difende gli interessi nazionali russi di fronte alla Nato e all’UE. Per lo stesso motivo ha annesso la Crimea. La Germania di Angela Merkel fa comprendere che non rigetta a priori questo punto di vista. Si potrebbe allora parlare di Realpolitik? Comunque ci troviamo di fronte a situazioni storiche che difficilmente sono ‘accettabili’ per i teorici dei diritti umani e del diritto pubblico internazionale.
Chi scrive è professionalmente un etico, anche se si è occupato più volte ed a lungo di etica applicata. Questa sua posizione di par-tenza implica però che comunque ha poca tendenza ad analizzare i dettagli di una situa-zione concreta, oppure, possiamo dire, non ha consuetudine costante con l’analisi di casestudies.
Eppure gli ‘interessi nazionali’ sono quanto di più contingente si possa immaginare ed in realtà anche le nazioni non sono entità soprastoriche. In Europa molti la pensavano nel XIX e XX secolo, la nazione come entità ‘metastorica’, ma oggi vediamo bene che stiamo andando verso uno sgretolamento della sovranità nazionale, sia attraverso i trattati internazionali che attraverso la nascita di associazioni politiche di stati.
Queste entità sovranazionali nascono a causa di necessità che gli stati nazionali non riescono ad affrontare. Così a causa della guerra/pace è nata l’Onu, in favore della salute mondiale l’OMS, o di interessi più estesi come l’Unione Europea. Lo statuto giuridico di questa sovranazionalità è molto diverso: si va dalla limitazione minima imposta da un trattato internazionale specifico a vere integrazioni politiche con un diritto comune ed una giurisdizione obbligante (l’UE è il miglior modello disponibile attualmente).
2. Ma se vogliamo andare alle radice del fenomeno ‘nazione’ (senza interessarci solo degli aspetti giuridici, pur evidentemente rilevanti) dovremmo concentrarci su di esso con estrema accuratezza. Oggi è in voga la dottrina dell’etnonazionalismo. Secondo questa dottrina l’etnicità costituisce il criterio fondante della nazione. Il termine nativo, ci dicono, è la parola dalla quale deriva etimo-logicamente il termine stesso di nazione.
Il termine Etnia indica una comunità caratterizzata da omogeneità di lingua, cultura, tradizioni e memorie storiche, stanziata tradizionalmente su un determinato territorio (F. Toso, Le minoranze linguistiche in Italia, Il Mulino 2008)
Se dunque il concetto di etnia è un insieme di persone che condividono in modo omogeneo la stessa cultura, lingua e tradizioni, nazione ha invece una caratterizzazione maggiormente politica.
La differenza principale fra il concetto di etnia e quello di razza è che l’etnia si basa sulla storia comune di una determinata po-polazione, resa più forte dall’avere una stessa religione, una stessa lingua e cultura, mentre le catalogazioni razziali sostengono di basarsi su comuni tratti fisici e genetici. Il fatto che tutte le ‘razze’ umane siano interfeconde e generino discendenza feconda è un segno della irrilevanza delle ‘razze’ umane per un discorso globale.
L’etnia ha spesso a che fare anche con la razza, o meglio con un insieme di caratteri razziali, cioè ereditariamente biologici. Ma questi stessi sono il frutto di avvenimenti storici. Fondamentalmente dell’isolamento di una popolazione, la quale costruisce anche la propria cultura particolare, la lingua in primo piano. Se questo processo dura a lungo abbiamo le grandi culture, come quella han/cinese, grande sia per numero di individui (attualmente quasi il 20% della popolazione mondiale), di durata nel tempo e per costruzione di un identità storica forte.
3. L’organizzazione di società sempre più complesse – a causa di sempre maggiori interessi e necessità comuni – necessita di simboli che attirino le convergenze dei suoi membri e dei suoi sottogruppi. Si sacralizza la persona del capo e ancor più si crea una figura collettiva che è molto più astratta della tribù. Quest’ultima ha spesso origine dalla grande famiglia allargata, o si rifà comunque ad un antenato comune, il totem. Non di rado la struttura di comando (essenzialmente funzione organizzativa) è supportata da quella religiosa. Quanto più la società si organizza e si estende tanto più prendono piede le ritualizzazioni e le forme giuridiche.
Ma da un punto di vista antropologico che senso hanno queste ‘sovrastrutture’? L’in-dividuo ha bisogno degli altri, i quali gli possono fornire bene e servizi all’infinito, ma egli gode anche di una naturale socialità. Testimoniano per quest’ultima l’alto valore morale presso i popoli primitivi ed antichi dell’ospitalità ed anche in tutte le culture dell’amicizia.
Ora è chiaro che gli interessi di un gruppo possono venir a collidere con quelli di un altro gruppo. E nasce la lotta, spesso continua, e quella forma di lotta collettiva organizzata che è la guerra. Anche questa figura di interazione sociale, la guerra, è radicata in una profonda tendenza naturale dell’individuo: la protezione della propria vita, della quale fa parte l’identità culturale. Da qui, dal fatto che l’identità culturale è collettiva, si giunge facilmente alla difesa della identità nazionale od etnica.
La dipendenza dagli altri, l’apertura ad essi, come la difesa da eccessi altrui nei nostri confronti sono tendenze giustificate dalle strutture bio-fisiche dell’uomo. Ma, quanto più ci si allontana dall’istintualità prima (quella quasi automatica e reattiva, che esiste pur sempre anche nell’uomo più civilizzato) tanto più è necessaria una regolazione di tutte queste azioni che, tra l’altro spesso si intrecciano. Tale regolazione non può essere solo giuridica, cioè in definitiva convenzionale e funzionale ad interessi e poteri magari contingenti. Deve essere anche morale.
Anche l’aspetto giuridico, almeno nella mentalità del cittadino comune ed in quella di non pochi filosofi del diritto, deve avere una qualche base morale.
Quando noi però parliamo e di nazione e di interessi nazionali oggi siamo molto lontani dalle nozioni di base di una qualsiasi antropologia sia esse filosofica che culturale. La storia millenaria delle civiltà complesse e la diversificazione delle civiltà complicano infatti enormemente i fenomeni collettivi attuali.
Si potrebbe ipotizzare allora, che se nel passato recente, gli ultimi da due secoli, la nazione ha rappresentato almeno parzialmente il superamento degli egoismi privati, di tribù, locali, aprendo la collettività ad interessi più vasti, oggi invece la nazione della ‘sovranità nazionale’, degli ‘interessi nazionali’ è una struttura che troppo spesso copre egoismi divenuti locali di fronte all’interesse generale globalizzato.
4. Nel suo contributo J. Ellul afferma significativamente:
Also, it is ironic that the fervour for nationalism that arose in Europe in the aftermath of the 1789 and 1848 revolutions was transmitted through Western colonialism to the Arab World. The First World War triggered the Arab revolt against the Otto-man Empire and laid the foundations for the establishment of Arab identity and Arab nationalism.
However, another more recent theory proposed by Adeed Dawisha contends among other things that the Arab revolt against the Ottomans was not inspired by nationalism, but by Islam.
Questo ci permette di vedere almeno in un caso la nascita dei nazionalismi che sono ancor oggi operanti e che si combinano con una rinascita dell’Islam, diremmo, politico.
Gabriella Colao, che lavora in una grande organizzazione internazionale, è esplicita nella sua analisi storica:
The main role of military power is to protect a state’s territory, citizens, and institutions within the constitutional mandate of the armed forces. However, states also use military power beyond its natural scope of defence and security. The notion of defence and security has changed and its sphere of influence and action has expanded.
Though the protection of national interests and security is mostly legitimate, when it operates in opposition to inter-national or common interests it contradicts the principles set out by the UN Charter and by all the norms of international law derived from it.
Morgenthau assumed that at the very heart of foreign policy each state pursues its national interests and acts in terms of power.
Over the XVI and XVII centuries some drastic changes took place in the paradigm of universality. New seeds of individualism, rationalism and liberalism, products of the French Revolution and of Enlightenment theories, started to take root in political and social life. God was no longer the centre of this universe; Reason was rather the new source and test of knowledge. The “politics of Reason” was developed within utilitarianism, secularism and anticlericalism. This break from metaphysical universalism was reflected in a new ideological paradigm and framework which legitimized individual empowerment.
This was indeed a Copernican revolution. While in the past the individual was at the service of the community, in this new paradigm the community was meant to serve and advance the individual
At the beginning of the XVIII century for the first time Adam Smith wrote of the individual interest as the engine to improve not only the personal conditions of life but also those of the nation as well. Smith gave precedence to the egoistical interest of each individual as the driving force for progress, but his level of analysis was the state, the wealth of the nation.
Luigi Troiani, docente di relazioni internazionali, arriva ad una sintesi, politica ma anche etica:
E’ nella natura dello stato perseguire, nelle azioni di politica estera e di difesa, l’interesse nazionale. Che questo possa contrastare con l’interesse di altri stati o del sistema internazionale, risulta irrilevante nella visione classica dello stato. Si ritiene che i governi siano espressione di una constituency nazionale: ad essa rispondono e nel suo esclusivo interesse devono operare. La teoria sistemica contesta una posizione così radicale, obiettando che uno stato è parte del sistema di rapporti interstatuali che generano l’interesse sistemico (ad esempio alla sopravvivenza del pianeta) e che l’interesse sistemico può coincidere con l’interesse nazionale.
Il contributo di Girolamo Rossi illustra chiaramente le radici e le strutture di quel-l’aspetto imprescindibile della comunicazione per i nazionalismi:
Del resto la cultura letteraria e lo stesso sistema d’istruzione scolastica e universitaria hanno funzionato come una leva potente per costruire prima l’idea di nazione e poi l’ideologia nazionalista. La rappresentazione di un popolo, delle sue radici mitologiche e delle sue aspirazioni, del territorio in cui vive con le caratteristiche e i confini suoi “naturali”, era congeniale a un certo romanticismo germanico, e a quel decadentismo estetizzante italiano che ha come grande protagonista Gabriele D’Annunzio.
Nella Germania di Hitler sarà Karl Haushofer, un geografo di formazione mili-tare svincolato dalle metodiche del mondo accademico, a sviluppare la visione geo-politica del regime intorno al concetto dello “spazio vitale”. Ma tutto questo sarà possibile solo mediante una rappresentazione convincente e suggestiva della nazione e del suo destino, una grande costruzione simbolica che possa rendere il concetto visibile e corposo.
Infine Matteo de Bellis, che lavora a Londra per Amnesty International, attraverso alcuni esempi significativi presenta l’equi-valenza tra interessi nazionali e diritti umani. O meglio, presenta la suggestiva tesi che la difesa degli interessi nazionali si identifica con al difesa dei diritti umani ali vello globale. Il che equivale ad affermare che eticamente sono accettabili solo gli interessi nazionali che sono compatibile con i diritti umani anche in altri stati.
5. La convinzione profonda di chi scrive è quella che nei “Promessi Sposi” di Alessan-dro Manzoni frà Cristoforo sostiene davanti a Don Rodrigo ed ai suoi invitati a proposito di codici cavallereschi e dei relativi atti di violenza. Ricordate?
“Quand’è così – riprese il frate – il mio debole parere è che non vi fossero né sfide, né portatori, né bastonate. I commensali si guardarono l’un con l’altro maravigliati. Oh questa è grossa – disse il conte Attilio – Mi perdoni padre, ma è grossa. Si vede che lei non conosce il mondo.”
Certo che bisogna conoscere ‘il mondo’ per poter orientarsi anche eticamente in esso. Ma qui sta la difficoltà della conoscenza: nel distinguere ciò che è naturale (come l’ag-gressità umana innata) inevitabile, da ciò che non lo è (come l’educazione e l’orientamento a tale aggressività). Inoltre la visione antro-pologica complessiva che soggiace ai sistemi etici influenzano ulteriormente il nostro giu-dizio attraverso la gerarchia dei valori che si ritiene da dover perseguire perché buoni.
Ma ciò che è condivisibile da tutti è comunque una solidarietà internazionale che parte proprio dalla non violenza di fondo, di principio, per poter avviare processi di dia-logo ragionevoli con lo scopo di arrivare a soluzioni il più possibile condivise. Qui ci viene certo in aiuto sia la Dichiarazione Universale dei diritti umani del 1948 che gli Statuti stessi delle Nazioni Unite.
La via del dialogo/compromesso non va comunque trascurata proprio perché la via da percorrere per giungere a realizzare la convivenza pacifica e giusta passa attraverso l’appropriazione progressiva da parte di intere comunità umane di valori sociali di condi-visione, rispetto, giustizia sociale ed anche di generosità.
In questo senso le scienze sociali ci possono aiutare seriamente, attraverso lo studio dei fenomeni singoli e storici e la progettazione di soluzioni, magari parziali e transitorie, ma pur sempre utili per il rispetto delle persone comunque coinvolto.
Il testo storico (XVI secolo) di Giovanni Botero sulla Ragion di Stato e la Religione vuol essere una preziosa pezza d’appoggio a questa nostra posizione: si può essere anti-machiavellici eppure avere il senso della concretezza storica. Leggere per credere!
6. La tesi che, a livello ipotetico, emerge dagli studi che presentiamo è che oggi il nazionalismo, la ‘nazione sovrana’ classica, deve essere gradualmente superata in favore e sotto la spinta di aggregazioni comunitarie più ampie, come l’Unione Europea. Ma può anche essere ‘limitata’ ed integrata attraverso accordi multilaterali di tipi economico, giuridico, culturale, militare. L’ONU, pur con tutte le sue difficoltà ed in tutte le sue diverse ramificazioni, è un esempio di questo prevedibile futuro.
Questo non significa rinunciare alla patria, all’Heimat, alla propria tradizione ‘etnica’. Tutto questo si può mantenere attraverso il riconoscimento di autonomie regionali, sul piano linguistico, culturale, religioso, semplicemente storico-culturale.
Questa nuova, nascente e multiforme, aggregazione, sia eventualmente continentale che globale, ha certamente carattere utopico, o meglio ideale. Come le finalità delle Nazioni Unite, per esempio. Le finalità sono quelle indicate dai Diritti Umani, non più a livello solo interstatale, ma anche intrastatale.
Su questa via le ONG, grandi e piccole, specialmente quelle indirizzare alla coope-razione internazionale, hanno una funzione di apripista insostituibile.
Come anche indubbiamente le grandi religioni, in modo particolare quelle monoteistiche che tendenzialmente non sono tribali.
Quello comunque che i movimenti internazionalisti, di volontariato che religiosi, debbono evitare è di farsi strumentalizzare dai nazionalismi particolaristi.
Ultima osservazione. Come i nazionalismo storici erano spesso solo delle élites, e come solo esse ne approfittavano, lo stesso deve accuratamente essere evitato nel movimento verso una nazionalità globale. Non possiamo diventare preda di una nuova élite multinazionale, spesso economica. Od almeno cerchiamo di limitare i danni in questa direzione, dal momento che le strutture sociali e giuridiche possono incanalare (nel bene come nel male) le tendenze umane profonde.