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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

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Lo scopo del presente articolo è analizzare come le diverse religioni possono influire sui diversi modelli di stato assistenziale.
Occorre premettere una osservazione: a prima vista, non sembra che sia così determinante la componente derivante dalle varie fedi per spiegare le diverse forme di welfare state, oggi. Ad esempio, la cattolica Italia e la cattolica, certamente più secola-rizzata, Francia hanno modelli assistenziali profondamente diversi, sia qualitativamente che quantitativamente. Stesso risultato lo possiamo avere confrontando gli USA e il Canada, dove le tradizioni religiose originarie non sono così dissimili, ma dove, ad esempio, i modelli sanitari e universitari sono lonta-nissimi tra di loro. Ancora più marcate sono le differenze nei paesi dove esiste una maggio-ranza islamica nella popolazione.
Senza contare come, all'interno di un medesimo Stato, le situazioni riscontrabili sono spesso lontanissime tra di loro.
I fattori che differenziano, quindi, i vari modelli possono essere più facilmente riscontrabili nella concreta storia del paese, nella sua evoluzione politica, nello specifico pensiero costituzionale1, nel modo in cui si sono vissuti determinati shock economici, politici e di superamento o inasprimento delle diseguaglianze.
In ogni caso, è interessante far emergere le dimensioni tendenziali attraverso cui si può declinare il rapporto tra religioni e sistema di sicurezza sociale, studiare come le confessioni religiose influenzino la definizione e l'implementazione delle politiche sociali. Andrea Bassi propone cinque punti di analisi:
1. i principi e le norme (precetti) morali della dottrina religiosa
2. le opere e i servizi, gestiti direttamente da istituzioni religiose
3. i partiti politici di ispirazione religiosa
4. l'opinione pubblica della popolazione (cittadinanza)
5. i rapporti tra la chiesa e le istituzioni statali
In questo contributo mi propongo di presentare alcune linee riguardanti il cristianesimo e l'islam, soprattutto per ampliare il primo dei cinque punti proposti.


Il cristianesimo e il welfare
Cosa dice il Vangelo per delineare le linee guida per il welfare?
Tre pagine sono altamente significative nei detti di Gesù per rispondere a tale domanda. La prima è Matteo 20,1-16, la parabola degli operai inviati a lavorare nella vigna. Ci sono moltissimi elementi da tenere profondamente monitorati, leggendo nel vignaiolo una rappresentazione dello stato:
a) il vignaiolo è come ossessionato nell’offrire a tutti coloro che incontra la possibilità di lavorare nella sua vigna.
b) Il suo agire ha, quindi, come finalità il coinvolgimento del più alto numero possibili di persone nella sua attività per una vita dignitosa.
c) A tutti è dato un denaro, cifra sufficiente e necessaria per una vita lontana dalla povertà, indipendente-mente dal numero di ore lavorate.
d) Il dipendente, che ha lavorato tutta la giornata e va a ricevere la paga, ha il problema di non capire la felicità che si è creata. Non riesce a condividere il bene ed è roso dall’invidia.
e) E così non capisce la bontà del padrone, il bene che il padrone crea e desidera creare.
La seconda pagina è Lc 16, 1-13, intitolata spesso come La parabola del manager disonesto. Questi versetti hanno avuto moltissime letture; il loro nucleo interpretativo è da cercare nel motivo per cui il padrone loda il suo amministratore: approva la prudenza con cui fa uso dei beni che amministrava per far fronte al suo futuro, nel quale si sta aprendo una gravissima crisi, cioè il restare senza lavoro con l’incapacità di trovarne altri. L’amministratore insegna ai cristiani che è una grazia poter gestire dei beni, perché consente di garantirsi il futuro, il pieno rapporto con Dio. Questa parabola ci mostra che il fine delle ricchezze non è la loro crescita, ma il loro essere a servizio della felicità più piena dell’uomo e dei più poveri.
La terza pagina è ancora in Luca, in 16,19-31, la celeberrima parabola del povero Lazzaro e del ricco epulone. Uno dei temi centrali della parabola è la conversione, la metanoia. La dannazione dei ricchi non è inevitabile. Occorre un cambiamento di vita, possibile grazie all’ascolto della Parola rivelata, compiutasi nella persona di Gesù. Il contesto di tutto il capitolo 16 ci porta a capire che la vera conversione non sta solo nello sbarazzarsi dei beni, ma nel non avere amore per il denaro, come i farisei. Occorre amare, occorre praticare la carità, nel desiderio di mitigare le sofferenze dei poveri. Occorre farseli amici, perché essi introducano altri nelle dimore eterne. Qui ha fallito il ricco, ora escluso dall’abbraccio di Abramo. Occorre tener insieme, nella vita presente, l’ascolto di Dio, la prospettiva finale della nostra vita e la presenza dei poveri come persone da amare. Il fine delle ricchezze appare, in questi versetti evangelici, come il poter mostrare che davvero la comunità dei credenti in Gesù è la comunità escatologica, quella della fine dei tempi: l’Antico Testamento, infatti, aveva profetizzato che, all’arrivo del Messia, non ci sarebbero stati più i poveri e che tutti si sarebbero riconosciuti figli di Abramo, cioè fratelli amati da Dio.
E’ il senso di pagine molto significative che troviamo in Atti che parlano dell'uso delle ricchezze e dell'assenza dei poveri: in particolare i sommari dei capitoli 2 e 4 non sono esposizione di un ideale o di una utopia, ma il desiderio di annunciare il compimento di alcune promesse bibliche.
Il ruolo, quindi, che può giocare la Chiesa nel mondo è ricordare che ogni potere non può mai assolutizzare se stesso perché c'è un unico Signore che ha vinto tutte le potestà e le potenze del mondo e che chiede di ricordarsi dei poveri.
In particolare in ambito cattolico, “l’opera e l’annuncio del vangelo, che nella liturgia eucaristica pretendono di avere piena attualità, confortano, ampliano o inseriscono senza sconti nella forma della città una dinamica che sconfigge le pretese assolute di ciascun potere. L’opera e la parola che prorompono nella celebrazione eucaristica radicalizzano e pretendono di conferire forza ulteriore e incommensurabile a un carattere – pluriforme o meglio ancora: poliarchico ed eterarchico – che Agostino aveva già colto presente nella civitas romana e, concretamente, in Roma”.


Islam e welfare
Nella rivelazione islamica l'elemosina costituisce uno dei pilastri della vita di fede. “Nel sistema ridistributivo proposto dall'Islam, la zakât, gestita a livello statale o di associazioni caritative locali, è considerata da sempre come il principale strumento operativo. L'Islam considera la società un sistema cooperativo in cui l'individuo, agente responsabile, una volta soddisfatti i propri bisogni, si prende cura di quelli degli altri, secondo le proprie capacità. Storicamente istituti come la zakât (elemosina legale), la sadaqa (elemosina volontaria), il waqf (fondazione pia) hanno contribuito in maniera considerevole alla conservazione della religione e al benessere economico della comunità”.
I testi del Corano che parlano di elemosina sono molti e gli studiosi amano ordinarli secondo la loro datazione cronologica (ipotetica). Li elencherò, invece, secondo l'ordine in cui compaiono nel testo rivelato.
II, 219 E ti chiedono: “cosa dobbiamo dare in elemosina?” Dì: “Il sovrappiù”.
II, 271 Se lasciate vedere le vostre elargizioni, è un bene; ma è ancora meglio per voi se segretamente date ai bisognosi; ciò espierà una parte dei vostri peccati.
IX, 60 Le elemosine sono per i bisognosi, per i poveri, per quelli incaricati di raccoglierle, per quelli di cui bisogna conquistarsi i cuori, per il riscatto degli schiavi, per quelli pesantemente indebitati, per la lotta sul sentiero di Allah e per il viandante.
XIII, 22 coloro che perseverano nella ricerca del Volto del loro Signore, assolvono l'orazione, danno pubblicamente o in segreto di ciò di cui li abbiamo provvisti e respingono il male col bene.
XVI, 75 loda l'uomo con notevoli risorse che fa elemosine in pubblico o in privato (così come XXXV, 29).
XXII, 41 Essi sono coloro che quando diamo loro potere sulla terra, assolvono l'orazione, versano la decima, raccomandano le buone consuetudini e proibiscono ciò che è riprovevole.
XCIII, 6-11 si spinge i fedeli a donare ai poveri, agli orfani e ai derelitti.
La valutazione di questi brani del Corano non può che avvenire dentro una cornice complessiva che tenga conto della cosiddetta economia islamica. L'Islam racchiude principi economici in grado di influenzare la vita degli individui e degli stati, anche se al suo interno non vi sono che principi generici. “Essi vietano ogni tipo di guadagno smodato, l'usura, raccomandano di consacrare parte del gettito fiscale raccolto al soccorso degli indigenti, al riscatto dei prigionieri e adpdf altri fini caritatevoli. L'ideale di giustizia sociale proposto non contempla affatto l'eliminazione delle differenze sociali, percepite come naturali e volute da Dio. Si tratta di reciproci aiuti all'interno della comunità a cui ciascuno contribuisce in proporzione al proprio reddito. Nei testi dell'Islam classico il massimo esempio di giustizia sociale aveva le caratteristiche di uno stato diretto dai principi rivelati da Dio, in cui i più fortunati donavano parte dei propri beni a beneficio dei più poveri”.


Piccola conclusione
Il contributo che le religioni possono dare allo Stato e al welfare è l'attenzione alla persona, in particolare ai più poveri, suscitando strutture concrete e responsabilità sia individuale che collettiva, smascherando i poteri che soggiogano e tengono schiavi.

 

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