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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

pdf“Basta perdere tempo su internet!”.

Potrebbe essere il “grido di guerra” dei genitori preoccupati per i loro figli “lobotomizzati”, di mogli stanche di preparare i pasti e vederli mangiare freddi perché si “deve” rispondere a qualche messaggio su WhatsApp.

Invece, questa frase è una delle forme di azione educativa più comuni di genitori, mogli o mariti, preoccupati giustamente per la precarietà (e la sempre più maggiore fuggevolezza) delle loro relazioni interpersonali: tanto legittima – verrebbe da dire – la preoccupazione, tanto sbagliata (e per nulla educativa) la forma dell’intervento.

Cosa c’è di sbagliato in questa frase? Direi: tutto. Soprattutto ciò che a livello di “metodo educativo” essa di fatto trasmette. Dire al proprio figlio di non perdere tempo su internet di fatto equivale a definire questo luogo, nel quale lui realizza gran parte delle sue relazioni (e che ormai non è più considerato qualche cosa di virtuale separato dalla realtà), come un luogo tendenzialmente inutile, fuori da qualsiasi concretezza dal punto di vista sociale, e quindi – di fatto – nel quale qualsiasi presenza ed intervento educativo risultano inutili (o neppure considerati).

Se l’oggetto è posto di fronte a noi come qualcosa che “fa perdere tempo”, è chiaro che nel momento stesso in cui lo definiamo tale, ne stiamo anche dichiarando l’ineducabilità; lo stiamo di fatto escludendo dai luoghi che meritano non solo un nostro singolo intervento educativo (spesso quanto mai necessario) ma di essere considerati, quali essi di fatto invece sono, luoghi educativi.1

Ecco quindi la prima e fondamentale urgenza che dovremmo sentire nel momento in cui riflettiamo sul rapporto tra mondo digitale ed educazione famigliare.

Scongiurato il primo pericolo, avendo così riportato l’oggetto “mondo digitale” tra i luoghi che meritano (meglio che necessitano) di essere vissuti in modo “educato”, occorre compiere un secondo fondamentale passo. Spesso noi consideriamo il mondo digitale come una serie di strumenti attraverso i quali si “fanno cose”, si compiono azioni utili a raggiungere risultati specifici. Di fatto non è così. E ce ne accorgiamo benissimo come educatori in ambito famigliare nel momento in cui la nostra percezione è proprio quella della “perdita di tempo”, della inconsistenza di ciò che di fatto stiamo compiendo attraverso i media digitali.

I media digitali non sono semplici strumenti atti a compiere azioni o a produrre un determinato effetto quantificabile, razionalizzabile. Essi, al contrario sono luoghi, all’interno dei quali si realizzano esperienze di relazione, si vivono percorsi di esperienza e di conoscenza, si sperimentano emozioni, coinvolgimento… sentimenti.

In ambito famigliare e di coppia, paradossalmente, è proprio il non accorgersi di questa realtà di fatto (e di conseguenza il sottovalutarla), che porta al considerare irrilevanti le relazioni affettive che hanno nel web il loro spazio di incubazione: esse sono invece totalmente “nella” realtà (e non virtuali come spesso le si considera) e di fatto ri-definiscono i confini della nostra affettività e a volte della nostra coppia.

Ciò che avviene perciò attraverso i media digitali, in effetti avviene “nei” media digitali, in luoghi che non sono “altro mondo” rispetto alle nostre relazioni ed alla nostra famiglia. I media digitali sono costituiti certamente in luoghi specifici, con linguaggi e dinamiche di relazione proprie, ma non possono essere considerati un mondo a parte: essi fanno parte del nostro mondo complesso, fatto di relazioni, di luoghi abitati, nei quali occorre essere “viventi responsabili”.

Anche internet richiede questa stessa responsabilità; Richiede una nostra presenza viva, vera e quindi consapevole dello spessore delle relazioni (e quindi anche della loro significatività) a livello affettivo e famigliare che nei “suoi” luoghi si sperimenta.2

Considerati questi due momenti fondamentali della nostra comprensione dei mondi digitali, sui quali invito a procedere in una vostra riflessione personale, quali possono essere le urgenze educative che si impongono? Quali le azioni da compiere (o non compiere)?

Fare educativamente di questi mondi, il nostro mondo: la fondamentale emergenza educativa.

Nell’ultimo mio volume sull’utilizzo dei social network in ambito di formazione religiosa,3 parlavo del rischio di considerare internet come la “terra di nessuno” dell’educazione.

I luoghi di internet, i cosiddetti mondi digitali, non appaiono nei fatti e ad nostro studio come luoghi disabitati. Al contrario essi si definiscono come luoghi nei quali avvengono comunicazioni significative in contesti altrettanto significativi nei quali si realizza non solo un passaggio di informazione, bensì una esperienza di comunicazione e di relazione.

Se questo è ciò che avviene nei mondi digitali, appare chiaro come essi si configurino quindi come luoghi significativi anche per la nostra esperienza famigliare ed affettiva, come nostri luoghi abitati da noi stessi e dalle nostre relazioni.

Essendo tali, essi necessariamente contribuiscono a plasmare necessariamente anche la nostra qualità relazionale, attraverso ciò che li contraddistingue in termini di linguaggi e di dinamiche comunicative.

In essi noi passiamo tempo, viviamo il nostro spazio di relazione, modificandone essenzialmente la fisionomia.

Così come in ogni altro luogo sociale, ciò che si scrive all’interno dei social network in particolare e dei mondi digitali in generale, crea un suo peculiare spazio comunicativo e si realizza attraverso e “dentro” un tempo specifico. Spazio e tempo non sono semplici coordinate all’interno delle quali si colloca la comunicazione, ma vere e proprie “dimensioni esperienziali”; esse sono l’humus, l’ambiente vitale, della comunicazione, anzi, a ben guardare, la comunicazione stessa.

Quella che si vive all’interno dello spazio e del tempo - che diventano così luoghi comunicativi - è una vera e propria esperienza, di cui gli utenti fanno parte, nella quale vivono.

Anche qui occorre fare ribadire una precisazione; quando parliamo di esperienza in riferimento ai mondi digitali (come per qualsiasi altro mezzo di comunicazione) non intendiamo dire semplicemente che in essa si “fa qualcosa”. Se portassimo avanti questo – per altro banale – pensiero cadremmo in diversi errori. Sicuramente in un primo (quasi…primordiale) errore di metodo: l’errore del considerare i mondi digitali come strumenti che servono per comunicare dei dati, per navigare su internet, per scaricare una determinata applicazione mobile.

Appare ovvio come, considerando i mondi digitali in questo modo, venga tradito il principio teorico-pratico fondamentale che dovrebbe regolare ogni nostro corretto agire educativo separando la dimensione teorica (le cose che si devono trasmettere nella comunicazione) da quella pratica (lo strumento utile per comunicare).

Oltre a questi due “peccati originali”, ne possiamo individuare un terzo: quello di con- siderare la comunicazione che avviene nei mondi digitali come un semplice passaggio di informazioni attraverso un canale.

Appare scontato come questa interpretazione della comunicazione abbia fatto decisamente il suo tempo, e che molto oltre venga a trovarsi attualmente la discussione in merito alla concezione della comunicazione stessa. Non essendo la comunicazione semplice passaggio di informazioni, appare chiaro che, al contrario, essa realizzi all’interno di uno strumento specifico un vero incontro tra persone che attivavo processi comunicativi; processi attraverso i quali non solo vengono trasmessi dei dati contenutistici ma, soprattutto, viene creata una situazione di “comunicazione-comunione”.

Permettetemi una ultima considerazione. Quello che appare chiaro da quello che abbiamo fin qui espresso, e che non dobbiamo sottovalutare, è che quando viviamo in un luogo nuovo, necessariamente il nostro “corpo sociale” assume un carattere differente, peculiare, in qualche modo modificato (anche se non deterministicamente) dalle strutture, dai livelli di interazione, dalla fisionomia reticolare della comunicazione, tipica dei luoghi stessi.

Per concretizzare ulteriormente possiamo dire che una famiglia che non vive anche su internet, è diversa (in termini di realizzazione delle relazioni e della socialità) dalla stessa famiglia che utilizza internet come luogo di esperienza sociale.

Definire i mondi digitali come luoghi di esperienza sociale, ha chiaramente conseguenze importanti, soprattutto in termini pedagogici. Come punto di partenza ci basti lasciarci sollecitare dall’imperativo categorico di “esserci con responsabilità” che deriva dalla consapevolezza dello spessore sociale e relazionale dei mondi digitali.

Esserci con responsabilità poi richiede particolari attenzioni, alcune condivisibili con altri ambiti educativi (ad esempio quello scolastico), altre peculiari all’ambiente famigliare.
Non potendo soffermarci su tutti i dettagli (per i quali vi rimando a letture ed approfondimenti specifici) ci basti ribadire la necessità del fondamento educativo sul quale dobbiamo poggiare tutte la nostra vita famigliare, vita vissuta sia “off” che “on line”.

In questi spazi vitali, che abbiamo delineato “luogo dell’esistenza” più che come luogo di comunicazione, i soggetti comunicativi ritrovano una possibilità di crescita personale e sociale. Essi diventano così luoghi pedagoghi, capace di specifiche potenzialità educative anche all’interno del contesto famigliare.pdf

Non solo nel senso della palese emergenza educative che questi nuovi mondi digitali richiedono nei confronti dell’educazione dei figli, ma anche – e soprattutto –in riferimento alla “vita educate”, matura dal punto di vista umano e religioso che ogni famiglia è chiamata a sperimentare.

Volenti o nolenti, tale vita non è separate dalle sue espressioni digitali all’interno dei mondi neomediali, ma è la stessa vita. Una vita che chiede di essere vissuta in modo significativo, pedagogicamente “pesante” e soprattutto consapevole delle nuove frontiere nelle quali si trova a sperimentare la “gioia” della vita umana, anche quella religiosa.


NOTE

1. «In questo mondo, i media possono aiutare a farci sentire più prossimi gli uni agli altri; a farci percepire un rinnovato senso di unità della famiglia umana che spinge alla solidarietà e all’impegno serio per una vita più dignitosa. Comunicare bene ci aiuta ad essere più vicini e a conoscerci meglio tra di noi, ad essere più uniti. I muri che ci dividono possono essere superati

solamente se siamo pronti ad ascoltarci e ad imparare gli uni dagli altri. Abbiamo bisogno di comporre le differenze attraverso forme di dialogo che ci permettano di crescere nella comprensione e nel rispetto. La cultura dell’incontro richiede che siamo

disposti non soltanto a dare, ma anche a ricevere dagli altri. I media possono aiutarci in questo, particolarmente oggi, quando le reti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi. In particolare internet può offrire maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti, e questa è una cosa buona, è un dono di Dio.» (Francesco, 48° G.M. delle Comunicazioni Sociali, 24.1.2014).

2. «Oggi i media più moderni, che soprattutto per i più giovani sono ormai irrinunciabili, possono sia ostacolare che aiutare la comunicazione in famiglia e tra famiglie. La possono ostacolare se diventano un modo di sottrarsi all’ascolto, di isolarsi dalla compresenza fisica, con la saturazione di ogni momento di silenzio e di attesa disimparando che «il silenzio è parte integrante

della comunicazione e senza di esso non esistono parole dense di contenuto» (Benedetto XVI, Messaggio per la 46ª G.M. delle Comunicazioni Sociali, 24.1.2012). La possono favorire se aiutano a raccontare e condividere, a restare in contatto con i lontani, a ringraziare e chiedere perdono, a rendere sempre di nuovo possibile l’incontro. Riscoprendo quotidianamente questo centro vitale che è l’incontro, questo “inizio vivo”, noi sapremo orientare il nostro rapporto con le tecnologie, invece che farci guidare da esse. Anche in questo campo, i genitori sono i primi educatori. Ma non vanno lasciati soli; la comunità cristiana è chiamata ad affiancarli perché sappiano insegnare ai figli a vivere nell’ambiente comunicativo secondo i criteri della dignità della persona umana e del bene comune.» (Francesco, Messaggio per la 49° G.M. delle Comunicazioni Sociali, 23.1.2015).

3. Social network e formazione religiosa. Una guida pratica, San Paolo ed, 2014.

 

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