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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

pdfCircolare può essere definito qualunque fenomeno basato sul principio del ritorno. Inevitabile che l’aggettivo, utilizzato in ogni sfera dell’attività umana, incluse filosofia e religione1, venisse applicato alle attività di produzione e servizi. Qui il riferimento va all’uso dell’aggettivo in associazione al termine “economia”, iniziato negli anni ‘70, quando la crisi energetica del ’73 mise le nazioni industrializzate di fronte all’imprevista situazione della scarsità delle risorse e cancellò il sogno dello sviluppo continuo ed “eterno”2. Nel decennio precedente l’economista, pacifista e poeta inglese naturalizzato statunitense Kenneth Ewart Boulding aveva prodotto un saggio profetico, presentato al sesto Forum per le risorse del futuro3. Benché non contenesse neppure una volta il termine “circolare”, sarebbe stato considerato il punto di partenza del movimento che avrebbe portato all'elaborazione della teoria e dei modelli sulla circolarizzazione dell’economia.
Nel saggio, si distingueva tra l’epoca (terminata) della vita umana spesa nel “virtually illimitabile plane” e l’attuale collocata nella “closed sphere”4. Dalla premessa il pensatore costruiva il ricettario per l’uomo dell’industrializzazione, destinato a pensare non più con la mentalità del cow-boy nell’ ”open earth” della prateria (Boulding scrive di “cowboy economy”), ma come elemento responsabile della “econosphere”, della “closed earth” che chiede all’essere umano le consapevolezze della “closed economy”. Boulding anticipava ciò che dalla fine del XX secolo sarebbe diventato ovvio per molti, purtroppo non per i gruppi dominanti: “The closed economy … (is) the ‘spaceman’ economy, in which the earth has become a single spaceship, without unlimited reservoirs of anything … (where) man must find his place in a cyclical ecological system which is capable of continuous reproduction…”.
Il termine “economia circolare” nascerà con il fine di disporre della qualificazione ombrello sotto la quale raccogliere ogni e qualunque attività fosse disposta a portare alle estreme conseguenze, in termini di organizzazione dell’economia e della società, le acquisizioni maturate a livello morale e confermate dalla scienza, sull’inabilità del pianeta Terra a reggere i ritmi, gli attuali e quelli previsti per i prossimi decenni, dello sviluppo umano.

Un modello radicale e sistemico di lungo periodo
Se si guarda alle teorie sulla “circolarità” in economia, si ha l’impressione che il modello di organizzazione socio-economica atteso dalla loro applicazione sarebbe fortemente innovativo, e potrebbe andare a regime solo nel lungo periodo, necessitando di tappe intermedie che demoliscano i presupposti sui quali è stato edificato il capitalismo speculativo nel quale viviamo. La prima tappa non può che riguardare i rifiuti e la loro “lavorazione”, sapendo che uno dei presupposti del circolare è la società a rifiuto zero. Altra tappa è la rinuncia a prodotti e servizi “monodose”, da sostituirsi con servizi condivisi: dall’auto a quattro posti utilizzata da un singolo al servizio automobilistico “affittato” per minuti od ore o shared, da seconde case con qualche giornata annua d’utilizzo a scambi d’uso per soggiorni o vacanze, da pc con funzioni sottoutilizzate a tastiere e video collegati con computer multiservizio, da miliardi di lampadine e bulbi privati a illuminazione diffusa da centrali5.
È il transito dal principio dell’economia lineare “produci, usa, getta (al più, smaltisci)6” al principio dell’economia non lineare (circolare) “fa durare i prodotti quanto più puoi, sostituiscili solo se indispensabile, riparali invece di rimpiazzarli”. Vale per i prodotti materiali e tecnici, come per quelli biologici. Per i primi si tratta di concepire beni che incorporino il minimo di risorse (specie se irriciclabili/non biodegradabili, v. i 300 milioni di tonnellate di plastica prodotta annualmente), e siano facilmente riparabili/scomponibili, scalando la produzione di innecessario e rifiuti, in particolare i tossici e di complesso smaltimento. I secondi vanno risospinti nella biosfera, arrestando spreco e scarti, ampliando lo spazio del concime biologico (compost)7.
Di particolare interesse i processi di rigenerazione, con la revisione del concetto di “ciclo di vita del prodotto”. Il modello di produzione circolare chiede che i beni siano progettati, realizzati e commercializzati, ponendo mente al riuso continuato delle componenti tal che queste contribuiscano a generare nuovi prodotti in fasi successive del ciclo di produzione e uso, senza spreco di materie prime ed eliminando i rifiuti. Pretende anche che infrastrutture e logistica adatte al fine. Al trinomio “crea, usa, getta” si sostituisce il quadrinomio “crea, usa, ricrea col riuso, riutilizza”8.
A conti fatti conviene anche sotto il profilo finanziario e difatti diverse multinazionali stanno adottando, in collaborazione con la fondazione Ellen MacArthur9, comportamenti conseguenti. Si parla di 30 miliardi di euro annui di “mercato circolare” europeo realizzato, destinato a triplicare entro il 2030, con la creazione di 250.000 posti di lavoro. In prospettiva MacArthur e McKinsey fissano a $600 miliardi l’anno la ricchezza mondiale estraibile dalla circolarità del riuso e riadattamento. Tagliare i costi dei materiali e cancellare il rifiuto frutterebbe €1 trilione l’anno10.
È il colpo più basso possibile a principi sui quali si fonda il nostro modo di vivere, come la crescita inarrestabile della curva della produzione e dei consumi. Si tratta, di fatto, del rivoltamento della cultura e della politica dominanti. Attuare l’economia circolare significa ripensare il rapporto con la natura, l’etica, la politica: non si tratta di ristrutturare solo la catena del valore economico, ma del valore umano, guardando al sistema di relazioni politiche ed economiche necessarie in un mondo che, da qui a 15 anni sarà fatto di 9 miliardi di persone 3 con consumi da classe media, da qui a 10 incrementerà i rifiuti solidi da 1,3 a 2,2 miliardi di tonnellate l’anno specie nei pvs, mentre l’80% del valore pdfglobale dei beni di consumo sarà (se non si cambia registro) ogni anno immolato sul modello (sbagliato) dell’economia vigente11.

Previsioni
Esperti affermano che abbiamo sinora esplorato circa il 2% delle possibilità offerte dall’economia circolare. Alcuni grandi soggetti di mercato e la Commissione europea mostrano di volersi muovere sul terreno “circolare”. Il rischio è che ci si fermi alle misure per il riciclo di rifiuti e imballaggi, consegnando al regno d’utopia il progetto sistemico di “economia circolare”.
Bisognerà anche che la gente si informi, che il consumatore accetti di educarsi e si schieri contro gli eccessi di consumo, che le autorità si responsabilizzino.


NOTE
1. Basti il Benedetto Croce della circolarità dello spirito, che identifica il perenne trapasso dell’attività spirituale da una forma all’altra, nello stretto collegamento di unità-distinzione. Su un altro piano, dall’antichità molte culture hanno interpretato il tempo come fenomeno ciclico, all’interno della concezione circolare che pone l'universo in continuo prodursi e disfarsi. La ciclicità/circolarità è anche nei neoplatonici, in Polibio, nei corsi e ricorsi di Vico, nel principio del ritorno/circolarità delle filosofie indiane e buddhiste. Il principio di Lavoisier, per il quale nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma, sta dentro la circolarità, e può essere preso come ispiratore dei modelli di produzione/riproduzione proposti dall’economia circolare, dei quali si dirà più avanti.
2. Nel 1976, Walter Stahel e Geneviève Reday presentavano alla Commissione delle Comunità europee “The Potential for Substituting Manpower for Energy”. Stahel scriverà anni dopo: “The impact of a circular economy on economics and society … was first demonstrated in a 1976 report to the Commission of the European Communities, Brussels by W.R. Stahel and G. Reday-Mulvey entitled The Potential for Substituting Manpower for Energy …”. The Geneva Association, Life and Pensions n. 52/March 2013, Walter R. Stahel, The Fourth Pillar: Applying the Principles of the Circular Economy – Stock Management and Caring to People as a Resource, www.genevaassociation.org, estratto il 19 04 16.
3. Il Sixt Resources for the Future Forum on Environmental Quality in a Growing Economy si tenne a Washington, D.C. l’8 marzo 1966. Il contributo al quale si fa riferimento fu pubblicato come Kenneth E. Boulding, The Economics of the Coming Spaceship Earth, in H. Jarret (a cura), Environmental Quality in a Growing Economy, pp. 3-14, Resources for the Future e John Hopkins Un. Press, 1966.
4. Nel contrasto tra piano e sfera, si vede in nuce quello, illustrato più avanti, tra lineare e non-lineare, ovvero tra lineare e circolare.
5. È da qui che nasce, per svilupparsi, la nuova socievolezza, che può assumere forme infinite di espressione, basata com’è sul rifiuto dell’individualismo esasperato e delle sue manifestazioni proprietarie/possessorie.
6. Take, make, waste, sintetizzano in inglese.
7. Papa Francesco, uomo dei nostri tempi, insiste sul termine “scarto”, e sulla cultura che lo promuove. Si riferisce all’essere umano “scartato”, ma si pone comunque nel discorso circolare. Lo scarto, sia biologico, tecnologico o umano, è tale solo perché lo si vuole. Nella realtà può divenire risorsa: il rifiuto, lo scarto di qualcuno è per altri risorsa.
8. In inglese, l’eloquenza di tre “re”: reduce, reuse, recycle.
9. Lanciata nel 2010, è considerata il riferimento più autorevole dell’economia circolare. Nella pagina iniziale del sito scrive: “Our Mission is to Accelerate the Transition to A Circular Economy”.
www.ellenmacarthurfoundation.org.
10. Lauren Hepler, GreenBiz 101: Defining the Circular Economy, in www.greenbitz.com, estratto il 20 04 16.
11.  Dati da Banca Mondiale e fondazione Ellen Mac Arthur. La fondazione calcola il valore globale annuo dei beni di consumo in €3,2 trilioni.

 

 

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