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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

La progettazione è un fenomeno tipico della nostra specie. Esso richiama la struttura intenzionale dell’essere umano, la sua capacità di relazionarsi in modo cosciente e responsabile con il mondo.pdf
Gli oggetti e gli ambienti costruiti, frutto della cultura e del processo di civilizzazione, assumono in sé stessi il lascito dinamico dell’intenzionalità del progettista. Il modo di vedere, considerare e avere cura del mondo, degli esseri umani e delle loro relazioni – siano esse politiche, economiche, sociali – è scritto negli oggetti e nell’organizzazione dello spazio che la mano dell’uomo ha posto in esistenza.
Ciò significa che una volta lanciato, un progetto diviene a sua volta autonomo attore di intenzionalità.


Nella prima fase della progettazione l’oggetto, lo spazio, il servizio ricevono, per così dire, una formalizzazione che deriva da scopi, interessi, regole, calcoli, ideologie più o meno consapevoli, e da essi vengono plasmati nei limiti determinati dalle leggi della fisica e dalla fattibilità tecnica, economica e sociopolitica. Dal momento in cui sono stati realizzati, tuttavia, incorporando l’intenzione dell’autore, la sua consapevolezza, la sua cura, la sua capacità o incapacità di discernimento, divengono essi stessi elementi causali, interferendo sul contesto, l’ambiente, la società. 1 Il progetto di una via di trasporto che colleghi il luogo A con il luogo B passando per il luogo C, piuttosto che per il luogo D o E o F, una volta posto in essere determinerà una coazione dei flussi di traffico che inevitabilmente influenzerà, gerarchizzandola in termini socio-politico-economici (per non parlare degli effetti sul sistema ecologico), un’intera area geografica. Ad es. la costruzione della stazione transiberiana di Novosibirsk, produsse sul finire dell’Ottocento il declino economico, lo spopolamento, ed eventualmente l’accentuazione del ruolo di città di confino della vicina Tomsk, il cui porto fluviale perdette ogni rilevanza per i commerci che ne avevano sostenuto l’economia e la vita sociale. 2


Come la polvere di un vecchio tappeto che venga sbattuto, a seguito dell’annuncio dato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite un paio di anni fa, si è levata e continua a depositarsi molta retorica sul fatto che per la prima volta nella storia la quantità della popolazione urbanizzata mondiale ha superato quella rurale. 3 In realtà il processo di trasformazione dell’ambiente naturale a immagine e somiglianza dell’uomo ha di gran lunga e da molto tempo raggiunto, come un innalzamento dei mari ante Global Warming, la grandissima parte del pianeta ancora non urbanizzata. Non ce ne accorgiamo perché tendiamo a ricadere nell’illuministica visione del mondo – ampiamente ripresa dall’Idealismo, del quale siamo figli – secondo la quale natura e cultura sarebbero reami che non si compenetrano, ma anzi si contrappongono in una lotta che vede i filosofi e la mentalità popolare sostenere alternativamente la bontà dell’uno contro l’altro. Si pensi al mito proto-borghese dello “stato di natura” in Thomas Hobbes, John Locke e Jean Jacques Rousseau; alla gelida Natura nel famoso “Dialogo della Natura e di un Islandese” di Giacomo Leopardi; 4 e, mutatis mutandis, all’ecologismo contemporaneo che sostanzialmente giunge a considerare la civiltà per se come un virus pernicioso il quale affliggerebbe l’incantevole, verde e incolpevole Gaja. 5

In realtà risulta difficile – anche senza essere un evoluzionista convinto – sostenere che l’uomo sia apparso nel mondo naturale come Atena armata dalla testa di Giove, o negare che la maggior parte di ciò che consideriamo “natura” conosca profondamente l’intenzione umana nel suo stesso corpo di terra, verzure ed ecosistemi. Persino la Wilderness, oggetto di un importante principio giuridico di protezione federale negli Stati Uniti, 6 può oramai esistere unicamente in quanto circoscritta e gestita da un complesso apparato culturale, normativo e organizzativo.


La profonda analogia morfologica che è stata riscontrata in tutti i linguaggi umani – dallo Arabela degli Indios peruviani, al Cinese antico, all’Italiano – dimostra che proprio là dove la specificità culturale è più evidente essa è correlata a una specifica struttura naturale, il nostro buon vecchio cervello. 7


D’altro canto i meravigliosi paesaggi toscani, tanto cari ai turisti occidentali ed occidentalizzanti in cerca di ambienti naturali, la forma dei loro colli, la selezione di piante e, di conseguenza, insetti e animali, derivano da secoli di lavoro umano. Non a caso una delle esperienze più gradite dai viaggiatori stranieri in terra toscana è quella enogastronomica, dove le proprietà “naturali” dei prodotti della terra e le arti culinarie e vinicole compongono un continuum selettivo, derivato da un’interazione dinamica fra popolo e ambiente che si dispiega da tempi immemorabili.


Se il segno della progettualità umana si trova perciò quasi ovunque sul pianeta, non vi è tuttavia dubbio che esso sia esposto al massimo grado dai processi urbanistici, per ovvie ragioni di scala e di complessità. La densità, l’economia, l’accumulo tecnocratico e il ritmo velocissimo della città esprimono la potenza causale della progettazione su un livello pressoché totalitario.


Anche lo spazio naturale è sempre performativo, giacché la sua organizzazione determina i modi e i tempi di interazione dei corpi. Lo spazio urbano ha tuttavia una ulteriore dimensione, che definiremo politica in senso generale (ma che più precisamente è pre-politica e bio-politica). Essa infatti deriva da ed è effettuale su una comunità concentrata e connessa che di principio possiede la potenzialità di cambiare e anche sovvertire l’ordine sociale delle cose. Da qui l’ossessione moderna per l’urbanistica del controllo e dell’ordine pubblico, dai boulevard alle telecamere stradali ad alta definizione, brillantemente analizzato nelle sue fasi trasformative dal famoso saggio di Michel Foucault Sorvegliare e punire. 8


Tale valore politico dello spazio si declinava nella bidimensionalità dell’agorà e dell’acropoli ai tempi della polis greca, la quale contava poche migliaia di cittadini titolari (con l’eccezione straordinaria di Atene che comunque non raggiunse mai un’effettività di aventi diritto al voto superiore a 60000 persone), per poi oscillare fra il foro e le macchine urbane del teatro e dello stadio in epoca romana, e tornare alla dinamica piazza/palazzo/curia fin dall’inizio dell’era cittadina dell’XI secolo. Fu in epoca moderna, con l’accelerazione che l’industrialismo diede allo sviluppo dell’inurbata classe borghese uscita vittoriosa dalla fine dell’Ancien Régime che si accentuò l’esigenza di vigilare sulla popolazione, divenuta ormai concentrazione di “folle”. Come Haussmann aveva ben compreso nei suoi radicali interventi di trasformazione urbanistica di Parigi (1853-1870), chi controlla lo spazio urbano attraverso la sua progettazione ne controlla le masse che lo abitano; 9 ma anche concerta la ricchezza della città, la sua economia, ad es. mediante la manipolazione della rendita dei terreni, il favore verso una determinata parte della popolazione anziché un’altra, e non ultimo, la creazione di mimetici desideri generali a diffusione velocissima, o mode, ovvero la progettazione delle misure delle relazioni fra persone, prodotti e servizi mediante la comunicazione di massa. 10


Tale ultimo aspetto del controllo tramite progettazione di rapporti – fenomeno cittadino per eccellenza, soprattutto oggi, quando la condizione urbana riguarda il nostro abitare l’infosfera adimensionale e globale piuttosto che un luogo geografico – riporta alle macchine spettacolari dell’urbs latina. I luoghi del circo, dei gladiatori e delle corse sui carri, solitamente costruiti nelle vicinanze dei palazzi del potere, sopravvissero al declino del foro, cioè all’ultimo spazio deputato alla politica pubblica, nel loro ruolo di amministrazione delle energie delle folle almeno fino alla caduta di Costantinopoli, per poi riemergere in epoca moderna e contemporanea in forma di giornali, radio, cinema, televisione e infine Internet, cioè i media che modulano il totalitarismo capitalistico delle relazioni sociali –lo “spettacolare” di Guy Debord. 11


È stata la riduzione della città a spazio meramente economico, produttivo e di consumo a uccidere la politica, poiché non v’è politica senza polis, la comunità dialettica dei valori che muovono i desideri condivisi. La civiltà contemporanea individualista, liquida, apolide rivela molto bene la propria inimicizia alla politica con la propria refrattarietà ai luoghi. La strutturano iper-connessioni virtuali la cui gerarchia si determina dalla concentrazione di nodi simbolici in uno spazio e in un tempo azzerati. Il panorama della società globale è quello della Rete, e il suo paradossale rovescio urbano si distende nelle regioni orientali del pianeta che al ritmo accelerato del capitale finanziario hanno ammassato in pochi anni decine di milioni di abitanti in periferie informi e sconfinate. L’immaterialità finanziaria disloca e destruttura culture, risorse e mezzi di produzione sullo scacchiere mondiale con velocità nuova e soffocante.


È perciò la citta contemporanea, molto più di quella moderna, a distinguersi dal proprio contesto rurale sia in termini fisici che simbolici. Nell’immaginario collettivo la città bandisce la terra – lo “sporco” secondo l’omonimia della lingua inglese fra “suolo” e “sporcare” (soil / to soil). La neo-città ad altissima espansione orizzontale, verticale ed iperspaziale – la cosiddetta smart city – addirittura si dematerializza 12 (viviamo immersi in un’estetica della dematerializzazione di cui il primo a parlare seriamente fu Jean Baudrillard) 13 e la sua relazione con la necessaria sussistenza biologica – dalla produzione di cibo alla gestione degli scarti – passa attraverso un processo di distanziamento che porta alle estreme conseguenze ciò che Norbert Elias aveva osservato a riguardo del “processo di civilizzazione”. 14 Le immense quantità di cibo e materiali che entrano nelle città convogliate da continui flussi energetici sono oggetto di studio del cosiddetto metabolismo urbano, 15 ma sono occultate in forma ed origine non meno di quanto lo siano gli scarti nel sistema fognario e le loro destinazioni. Da qui le fantasie dei bambini che credono che il latte e le uova siano prodotti in fabbrica, o addirittura la proibizione per legge di rivelare al pubblico immagini dei processi industrializzati di macellazione che avvengono all’interno dei mattatoi in Iowa e in Florida. 16 Nell’immaginario collettivo nulla esiste né deve esistere al di fuori dell’urbano – e l’urbano, si badi, coincide con l’orizzonte capitalistico, oggi iperreale, oltre il quale sunt leones. 17


In epoca moderna furono proprio Marx e Engels a denunciare la bruttezza della città. Le osservazioni di Engels su Londra, macchina capitalistica che spezza le relazioni umane secondo la logica di una fabbrica allargata, 18 indicano chiaramente che l’assenza di bellezza nella città moderna è il sintomo di un brutto sociale. 19 La nostalgia romantica per l’estetica urbana che ancora oggi vige – sebbene su basi funzionalistiche e con valide osservazioni tecniche di ingegneria sociale dei servizi – ad es. nel movimento del New Urbanism 20 è già smascherata come sovrastrutturale o ingenua da queste prime osservazioni. Naturalmente la stessa accusa è ancor più azzeccata a riguardo dei vari movimenti modernisti che hanno devastato le periferie europee e in particolare italiane negli ultimi settant’anni, giustificandosi con ideologie pseudo-socialistiche che uniscono il puzzo dell’ipocrisia a un’orrida idolatria per l’ego di troppi incapaci. 21 Non è possibile rammendare (o “ricucire”, come ha usato dire Renzo Piano delle periferie italiane) un tessuto sociale lacerato usando il filo dell’estetica e della forma degli edifici. Il problema riguarda la polis (i viventi e le loro relazioni all’interno della città), non l’urbs (il corpo delle infrastrutture fisiche della città), sebbene il modo in cui la urbs è costruita sia senz’altro un efficiente strumento e una concausa della neutralizzazione della polis. Occorre intervenire sull’organismo sociale, e quindi sul valore di realtà che a tale organismo dà vita, perché eventualmente la cattiva urbanistica (e la cattiva architettura che ne è il continuo) perdano il proprio piedistallo ideologico. 22
Molteplici forme di resistenza al modello di città capitalistica e alle sue diverse declinazioni quali la città mercantile, la città industriale, e la città “intelligente” vanno tuttavia sorgendo, defilate dal piano dello spettacolare e della rappresentanza. Nulla di più lontano dalle idee di architetti e pianificatori urbani alla rincorsa della propria carriera. Esse crescono come erbe selvatiche nelle crepe del sistema, ai margini del mondo, nelle immense periferie di un urbano senza più centro né nazionalità. 23 Studiando tali fenomeni si ha come l’impressione che un umile e inavvertito processo di “ruralizzazione delle città” (quella che Marx negava potesse esistere ai tempi della prima industrializzazione) 24 abbia negli ultimi decenni cominciato a corrodere l’urbano svuotato della politica, aprendo la strada alla “città di terza generazione”, dove il vivente torna ad abitare lo spazio col suo corpo autonomo dalle false segnaletiche di valore. 25


La biourbanistica si appella a un modo di progettare che dissolva la distanza fra il segno e il vivente. Il segno vivente – l’equivalente progettuale della verità teorica e dell’autentico morale – è il corpo di chi vive o vivrà lo spazio che viene realizzandosi. Christopher Alexander ha definito “un modo di costruire al di là del tempo” la capacità di includere nei propri edifici una “qualità senza nome”. 26 Tale inesprimibile qualità produce nei fruitori e nell’ambiente un senso di bellezza e pace che muove di pari passo con una duttile funzionalità. 27 Il dilemma del rapporto tra forma e contenuto, dell’opposizione fra natura e cultura, viene risolto riferendosi a un tertium quid dal quale bellezza ed efficacia derivano inscindibili. In termini fisici si tratta di proprietà emergenti di un oggetto complesso, di una complessità particolarmente fine, tale da potersi definire “organica” e “viva”, fondata su sub-codici leganti e centripeti. Alexander – che ha dedicato l’intera sua vita a studiare tale caratteristica dello spazio costruito – ha analizzato e categorizzato quindici caratteri del design “vivo”, e soprattutto un metodo che permetta di “dispiegare” l’embriologia del costruire per proseguire l’opera della Creazione, piuttosto che per cercare di riscriverla e insultarla. La sua opera, volutamente controcorrente rispetto alle scuole di architettura ed urbanistica moderne, è assai più simile, soprattutto nella logica giuridica, a quella che Besim Hakim ha definito “urbanistica mediterranea”, cioè l’insieme di norme scritte e orali che hanno generato nel corso di oltre 1500 anni il fascino e la meravigliosa funzionalità degli insediamenti umani attorno al bacino mediterraneo, fino all’avvento della modernità e della Carta di Atene. 28


La definizione della disciplina biourbanistica è stata redatta nel 2010 dal sottoscritto e dal biostatistico ed esperto di sistemi complessi Alessandro Giuliani con l’architetto Antonio Caperna e il matematico e studioso di urbanistica Nikos A. Salingaros. 29 Essa determina l’oggetto e il metodo di una nuova disciplina che vede la città come un organismo, intendendo tuttavia per “organismo” qualcosa di totalmente diverso dalla visione ad es. di Patrick Geddes 30 il quale, coerentemente con la fisica del proprio tempo (i cui strascichi continuano a lambirci), riteneva “l’organismo” essere una sorta di complicata macchina a struttura lineare. La biourbanistica osserva invece la complessità integrata dell’organismo urbano come un carattere intrinseco della sua morfologia, e si concentra sulle dinamiche e sugli effetti emergenti. Ma soprattutto, la biologia – e con essa la progettazione organica – viene da essa ricondotta nell’alveo della continuità con la fisica e la chimica e con lo studio delle forme, secondo l’insegnamento del grande Lima-de-Faria 31 e la scoperta della legge costruttale di Adrian Bejan. 32


La vita come criterio di progettazione biourbanistica ha una duplice valenza: metodologica, poiché la progettazione biourbanistica si ispira alle scienze della vita nel trattare il proprio oggetto dall’ottica della complessità, sia analizzandolo, sia costruendolo; 33 e contenutistica, in quanto rileva a diverse scale di definizione misurate in termini fisiologici, neurologici, sociologici ed ecologici i processi capaci di produrre efficienza sistemica e qualità di vita degli abitanti.
Il riferimento al bios ha naturalmente – come si sarà compreso dalla trattazione sopra esposta – anche una forte valenza politica ed esistenziale. La dimensione del corpo vivente (quella che Jaap Dawson definisce “anima e corpo”) 34 è compresa come l’ultima frontiera di resistenza alla sussunzione capitalistica e alla desertificazione di senso della nostra vita come specie sociale, e come punto di appoggio sul quale far leva per ridisegnare uno spazio che aiuti a creare un mondo più bello, giusto e felice perché più autentico e connesso al centro o al cuore. 35 “Una struttura con un cuore ci definisce mentre costruiamo e pensiamo… ci pone in contatto con il nostro proprio cuore: i nostri mondi interiori, i mondi che ci han donato la vita con la quale cominciare, i mondi che ci donano la vita adesso.” 36


Il vivente diviene il principio epistemologico del fare progettazione, con verifica oggettiva negli indici fisiologici, sociali ed economici dei risultati (da cui la stretta connessione della biourbanistica con la neuroergonomia, lo evidence based design, e la sociologia urbana), e con verifica intersoggettiva nel benessere percepito e comunicato dai fruitori/attori dell’opera costruttiva. 37


È importante sottolineare che le figure del progettista e del pianificatore urbano proposte dalla biourbanistica sottostanno a una decostruzione radicale: da figure al servizio del mercato (decoratori del sistema, amo definirli) a facilitatori di un processo dal basso che vede gli stessi cittadini assumere la responsabilità di definire la forma del proprio spazio con una progettazione pari-a-pari (P2P Urbanism) intrinsecamente refrattaria alle leggi di mercato, all’immaterialità simbolica e al controllo biopolitico esattamente perché basata sul corpo vivo, sulle sensazioni primarie e sui bisogni concreti espressi senza l’interfaccia rappresentativa del tecnico o dell’amministratore. 38 Ciò è già avvenuto (per questo durante un recente convegno Sergio Los ha definito i centri storici italiani “incompatibili al sistema”) 39 e avviene – e la biourbanistica non fa che riprendere tale aderenza all’humus – in innumerevoli contesti di margine quali gli slum sudamericani, le periferie delle megalopoli cinesi, e gli antichi borghi mediterranei abbandonati, dove la figura del pianificatore o dell’architetto è provvidenzialmente assente.


In particolare l’uso di un criterio epistemico “forte” si oppone all’opinione ideologica quale fondamento nichilista del fare architettura e urbanistica, come ad es. molto chiaramente espresso da Rem Koolhaas. 40 Si badi che Koolhaas ha colto esattamente il punto: l’opinione dell’artista architetto non è nichilistica perché nichilistica è la sua ideologia, ma perché opinione.

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Se l’obiettivo scientifico della biourbanistica è quello di fornire uno spazio reale all’Ecologia profonda, 41 migliorare l’ecosistema e comprendere meglio il modo in cui i fattori culturali e fisici nella realtà urbanistica (sociogeometria, studio dei flussi e delle reti, ecc.) interagiscono influenzando il benessere dei cittadini, il suo fine politico è quello di ricondurre la progettualità umana al centro di una nuova fioritura della civiltà nel suo senso primigenio, mai come oggi in pericolo di estinguersi.

 


NOTE

 
1 Ho trattato questi argomenti nel corso delle mie Lectures on Epistemology of Design presso il Dipartimento di Architettura del Paesaggio, Facoltà di Biotecnologia dell’Università di Lubliana, Settembre 2014, offrendo un parallello storico fra il concetto di progettazione e quello medievale di intenzionalità che interpreto come esito di un processo astrattivo e razionalizzante del principio di proiezione proprio del pensiero magico.
2 Dmitri Afonin, “Томск и Транссиб”, in: Sergey Sigachev (a cura di), Транссибирская Магистраль Web-Энциклопедия, 1998-2015,
http://www.transsib.ru/ (consultato il 12/08/2016). Si veda anche la seconda parte di AAVV, История железнодорожного транспорта России. Т. I: 1836—1917 гг., Sankt Petersburg, 1994.
3 Department of Economic and Social Affairs, Population Division, World Urbanization Prospects. The 2014 Revision. United Nations, New York, 2015, https://esa.un.org/ (consultato il 10/08/2016).
4 Giacomo Leopardi, Operette morali, edizione critica a cura di F. Moroncini, Bologna, 1928.
5 Vedasi l’ultimo libro di Edward O. Wilson, Half-Earth: Our Planet's Fight for Life, Liveright, New York, 2016 che propone di lasciare a se stesso metà del pianeta, concentrando gli esseri umani nell’altra metà. Uno zoning ambientalista.
6  Cfr. Wilderness Act, Legge Pubblica nr. 88-577 (16 U.S. C. 1131-1136) emanata dall’88° Congresso degli Stati Uniti d’America il 3 Settembre 1964 http://www.wilderness.net/ (consultato il 10 Agosto 2016). La legge contiene una breve e interessante definizione di regione naturale selvaggia: “A wilderness, in contrast with those areas where man and his own works dominate the landscape, is hereby recognized as an area where the earth and its community of life are untrammeled by man, where man himself is a visitor who does not remain. An area of wilderness is further defined to mean in this Act an area of undeveloped Federal land retaining its primeval character and influence, without permanent improvements or human habitation, which is protected and managed so as to preserve its natural conditions and which (1) generally appears to have been affected primarily by the forces of nature, with the imprint of man's work substantially unnoticeable (…)”, Ibidem.
7 Massimo Piattelli-Palmarini, Juan Uriagereka, “Still a bridge too far? Biolinguistic questions for grounding language on brains”, in Physics of Life Reviews, 5 (2008) pp. 207-224.
8 Michel Foucault, Sorvegliare e punire: la nascita della prigione, traduz. italiana, Einaudi Torino, 1976. Vedi anche Giorgio Agamben, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino, 1995.
9 Chris Butler, Henri Lefebvre: Spatial Politics, Everyday Life and the Right to the City, Routledge, London, 2012, p. 51
10 Da qui, ad es., l’importanza tributata da Haussmann al “decoro”. Il nuovo decoro è oggi ben rappresentato dal design thinking, spacciato da una parte importante del mondo della progettazione come una modalità euristica. In realtà si tratta di uno strumento di marketing funzionale a intercettare le potenzialità del desiderio di massa, nonché una procedura per plasmare la propensione al consumo, vera merce primaria della società post-industriale. Si legga con occhio critico Tim Brown, Change by Design, Harper & Collins, New York, 2009. Quando usato cum grano salis e, soprattutto, senza la pressione più o meno gentile di un’azienda, il design thinking può tuttavia servire il bene di una comunità, cfr. Isabella T. Steffan, Angelica Fortuzzi, Stefano Serafini, “SEGNISEED. A service design experiment implemented in the urban context”, in: Isabella Tiziana Steffan (a cura di), Design for all. The project for everyone. Methods, tools, application, Vol. 1, Maggioli, Milano, 2014, pp. 212-222.
11 Guy Debord, La Societé du Spectacle, Paris, Lebovici, 1967. Per una disamina dal punto di vista biourbanistico cfr. Stefano Serafini, “Liberazione partecipata dello spazio dall’iperreale. L’Italia come esperimento biourbanistico”, in: XIV Conferenza della Società Italiana degli Urbanisti (SIU): Abitare l’Italia. Territori, economie, diseguaglianze, Planum Journal of Urbanism, 2011.
12  Carlo Ratti, Matthew Claudel, The City of Tomorrow: Sensors, Networks, Hackers, and the Future of Urban Life, 2016 Yale University Press, New Heaven, 2016. Antonio Caperna, Stefano Serafini, “Biourbanism as a new framework for smart cities studies”, in: T. M. Vinod Kumar (a cura di), Geographic Information System for Smart Cities, Copal, New Delhi, 2014, pp. 250-287. Massimo Marra, “The city is a bitch. The dematerialization of the urban”, in Journal of Biourbanism IV (2015) 1&2, pp. 83-90.
13  Jean Baudrillard, L’échange symbolique et la mort, Paris, Gallimard, 1976. Il concetto di “iperreale” introdotto dal pensatore francese in effetti fagocita la categoria stessa di estetica, sostituendola in quanto “modello” iperuranio e desiderabile di ogni dimensione esistenziale.
14  Norbert Elias, Il processo di civilizzazione, traduz. italiana Il Mulino, Bologna, 1988; Timothy Pachirat, Every Twelve Seconds : Industrialized Slaughter and the Politics of Sight, Yale University Press, New Heaven, 2013.
15  Christopher Kennedy, John Cuddihy, Joshua Engel-Yan, “The changing metabolism of cities”, Journal of Industrial Ecology, 11 (2007) 2, pp. 43-59.
16  Timothy Pachirat, op. cit. pp. 5-8.
17  Cfr. Sara Bissen, “Editor’s Note”, in Journal of Biourbanism, IV (2015) 1&2, pp. 7-11. In tal senso il noto saggetto di Francis Fukuyama, The End of History (trad. Italiana La fine della storia e l'ultimo uomo, Milano, Rizzoli, 1992) può ben essere inteso come il primo sostanziale trattato di urbanistica post-moderna.
18  Friedrick Engels, The Condition of the Working Class in England in 1844, Panther Edition, 1969, capitolo “Great Towns”.
19  Karl Marx, La Sacra Famiglia, in Opere complete di Marx ed Engels, vol. IV, Roma, Editori Riuniti, 1972; Friedrich Engels, La questione delle abitazioni, Roma, Editori Riuniti, 1971.
20  Gabriele Tagliaventi, New Urbanism, Firenze, Alinea, 2002.
21  Stefano Serafini, “Totalitarismo del brutto. No alle archistar”, Bioarchitettura, 59 (2009), pp. 4-11; Stefano Serafini, “Abbattere Corviale è di destra o di sinistra?”, Studi Cattolici, 592, Giugno 2010, pp. 434-435; Stefano Serafini, “Il nichilismo visibile”, Radici Cristiane, 57 (2010), pp. 78-80
22  Stefano Serafini, “Sostenibilità strutturale. Sergio Los e Mario Cucinella: analisi bio-urbanistica”, Bioarchitettura, 67 (2011), pp. 60-63.
23  Stefano Serafini, “Progetto Artena in Puglia, e altre consonanze”, Novembre 2013 http://biourbanistica.com/
24  Karl Marx, Grundrisse, traduz. inglese, Penguin Books, London, 1973, Capitolo sul Capitale, p. 479.
25  Marco Casagrande, Biourban Acupuncture. Treasure Hill of Taipei to Artena, International Society of Biourbanism, Roma, 2013.
26  Christopher Alexander, The Timeless Way of Building, Oxford, Oxford University Press, 1979.
27  Christopher Alexander, The Nature of Order, 4 voll., Berkeley, Ca., Center for Environmental Structure, 2002-2005.
28  Besim Hakim, Mediterranean Urbanism. Historic Urban / Building Rules and Processes, Springer, New York, 2005.
29  http://www.biourbanism.org/
30  Michael Batty, Stephen Marshall, “Geddes at UCL: There was something more in town planning than met the eye!”, CASA Working Paper 138, Centre for Advanced Spatial Analysis, University College London, 2008.
31  Antonio Lima-de-Faria, Evoluzione senza selezione. Autoevoluzione di Forme e Funzione, traduz. italiana, Genova, Nova Scripta, 2003.
32  Adrian Bejan, Sylvie Lorente, “The constructal law and the evolution of design in nature”, Philosophical Transactions B, 365 (2010) 1545.
33  Il metodo della “agopuntura biourbana” si basa esattamente sul concetto di fisica del caos o dell’ubiquità sottesa al modo di funzionare e dunque alla possibilità di influenzare i sistemi complessi. Cfr. Marco Casagrande, Biourban Acupuncture, op. cit.
34  Jaap Dawson, “Building to sustain body and soul”, Journal of Biourbanism, III (2014) 1&2, pp. 49-59.
35  Stefano Serafini, “Liberazione partecipata dello spazio dall’iperreale”, op.cit.
36  Jaap Dawson, “Patterns with a heart”, Journal of Biourbanism, II (2012) 1, pp. 97-106: 105.
37  Antonio Caperna, Stefano Serafini, “Biourbanism as new epistemological perspective between Science, Design and Nature”, in: Ahmed Z. Khan and Karen Allacker (a cura di) Architecture and Sustainability: Critical Perspectives for Integrated Design. Generating Sustainability concepts from Architectural Perspectives, Leueven: KU Leuven, 2014.
38  Nikos Salingaros, Antonio Caperna, Michael Mehaffy, Geeta Mehta, Federico Mena-Quintero, Agatino Rizzo, Stefano Serafini, Emanuele Strano, “A Definition of P2P (Peer-To-Peer) Urbanism”,
https://wiki.p2pfoundation.net/ (2010). Stefano Serafini, “P2P (peer to peer) Urbanism and Biourbanism”, in: МЕЖДУ–НАРОДНАЯ НАУЧНАЯ ШКОЛА, Перспективные направления физико-химической биологии и био–технологии” (тезисы докладов), Tomsk State University, Tomsk, 2011, pp. 11-15
39  Il convegno organizzato dall’Istituto Nazionale di Bioarchitettura “Ritrovare il bene comune: recuperare qualità urbana e natura incompresa”, Verona, 20 Maggio 2016 ha visto gli interventi di Giovanni Sasso, Sergio Los, Stefano Serafini e Antonino Galloni.
40  Rem Koolhaas, Junkspace. Per un ripensamento radicale dello spazio urbano, traduz. italiana Quodlibet, Macerata, 2006.
41  Cfr. Gregory Bateson, Mente e natura, traduz. italiana, Milano, Adelphi, 1984.

 

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