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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

 

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PIERLUIGI DI PIAZZA

 

06 dipiazza 1 Lpdf’esperienza personale e comunitaria è certamente importante; lo è altrettanto viverla con umiltà, virtù preziosa che ci porta a considerare in modo veritiero il nostro essere e operare, riconoscendo le nostre qualità, il bene praticato e insieme le parzialità, i limiti, le infedeltà e incoerenze, la provvisorietà.
Il Centro di accoglienza per migranti e di promozione spirituale e culturale “Ernesto Balducci” di Zugliano (Udine) dove vivo da tanto anni come uomo e prete è un piccolo segno collocato nella vastità della questione di milioni di migranti sul Pianeta, anche se cinquanta ospiti non sono pochi, e la disponibilità richiesta riguarda diversi aspetti della convivenza e un’organizzazione significativa per risposte il più possibile adeguate.


Spiritualità e cultura precedono l’organizzazione dell’accoglienza
Designato come parroco in questo paese, sono stato sollecitato a presentare una domanda alla Regione Friuli Venezia Giulia per la ristrutturazione della casa parrocchiale. Siamo negli anni della ricostruzione dopo che nel 1976 un disastroso terremoto aveva distrutto una parte della Regione in modo impressionante e provocato quasi mille morti.
Possibili beneficiarie di fondi anche le parrocchie, per altro in un orientamento veramente evangelico della Chiesa friulana che aveva dichiarato, rispetto alla ricostruzione: prima le fabbriche perché la vita possa riprendere; poi le case perché le persone possano tornare a vivere insieme; poi, da ultime, le chiese.
La parrocchia di Zugliano ha ricevuto il contributo e la domenica successiva, durante la celebrazione dell’Eucarestia ho presentato tre ipotesi, per scartare le prime due e per chiedere coinvolgimento nella terza. Non costruire una bella casa per il parroco, “una villa”, con le porte chiuse, apribili solo ad orario indicato all’ingresso: ho affermato che questa prospettiva è contro il Vangelo che propone condivisione del denaro, della casa, delle strutture. Meno grave ma ancora non rispondente al Vangelo l’ipotesi di una casa parrocchiale frequentata solo da coloro che “stanno attorno al prete”. La terza ipotesi proposta esprimeva una sintonia con l’orientamento evangelico: la ristrutturazione in due appartamenti, non in uno grande, da finalizzare uno all’abitazione del parroco e l’altro, accanto, all’accoglienza di persone in necessità.
Questa è dunque l’ispirazione del Centro Balducci.
In realtà non era prevista l’accoglienza di stranieri, poi di fatto, la storia ce li ha portati e nel febbraio 1988 tre ghanesi hanno bussato alla porta e sono stai accolti. La solo presenza è stata una sollecitazione a riflettere sulla questione dei migranti e a considerarla non un fatto emergenziale, bensì un fenomeno strutturale, che sarebbe durato a lungo con la sua vastità e complessità.
Lo sguardo retrospettivo porta oggi a considerare l’insegnamento di quell’inizio e come nell’attuale situazione storica sono indispensabili ancora di più la spiritualità e la cultura dell’accoglienza prima della necessaria organizzazione della stessa.
Un piccolo gruppo di persone si è coinvolto con convinzione e disponibilità; la maggioranza del paese (allora 1200 abitanti, oggi 1620) si è espressa in modo negativo, anche se mai con parole e segni di contrasto aggressivo.
La frase che si ascoltava più spesso e che attualmente in Italia si è molto diffusa con espressioni di avversione era questa: “Quel prete, anche i neri ha portato in paese, nella casa parrocchiale”.
L’esperienza dell’accoglienza si è ampliata: una cascina contadina proprietà della parrocchia è stata ristrutturata con il contributo economico volontario di tante persone di tutta la Regione e di oltre ad essa. Si è pensato di costruire un’associazione legalmente riconosciuta, con statuto proprio, con gli incarichi prescritti, da anni ormai ONLUS, per “gestire” l’esperienza.
Nel settembre 1992, nel momento dell’inaugurazione della nuova casa il Centro è stato dedicato a padre Ernesto Balducci, morto il 25 aprile di quell’anno nei pressi di Cesena: per riprenderne via via intuizioni, elaborazioni e prospettive, fino a quella dell’uomo planetario. Balducci, prete della congregazione degli Scolopi, profondo intellettuale, figlio di un minatore del Monte Amiata, vissuto nel “Campo magnetico” della Firenze del sindaco La Pira, di cui è stato amico profondo, condannato nel 1963 dal Tribunale di Firenze a otto mesi con la condizionale per aver difeso la posizione di obiettore di coscienza del giovane cattolico Giuseppe Gozzini; fondatore nel 1958 della rivista Testimonianze a promozione e sostegno di una fede vissuta nella storia, liberandosi da ogni integralismo, confessionalismo, proselitismo.
Uomo di fede ed intellettuale ha proposto di vivere la fede nella laicità della storia, assumendo con dedizione e impegno particolari la promozione della cultura della pace, fino a fondare una casa editrice “Edizioni cultura della pace” per diffondere informazioni, riflessioni, le storie e l’impegno dei profeti.
Ha riflettuto in profondità sul rapporto con la diversità dell’altro proponendo questa indispensabile riflessione, giorno dopo giorno necessaria.
L’altro non deve mai essere considerato inferiore: questa posizione ha portato nella storia alle situazioni più drammatiche e disumane. Chi si considera superiore infatti ritiene di esercitare il potere di vita e di morte su chi ritiene inferiore. Da Auschvitz alle attuali schiavitù delle persone la storia registra le conseguenze atroci di questa convinzione. L’altro non deve mai essere omologato; la pretesa di omologazione obbliga l’altro, per poter essere accolto, di svuotarsi della sua diversità.
Chi determina questa pretesa non incontrerà mai l’altro com’è nella sua verità esistenziale, ma l’altro come pretende sia, non più se stesso.
C’è un’unica possibilità degna dell’uomo e indispensabile per costruire un futuro umano: ogni altro riveste la stessa, uguale dignità umana, senza parentesi, distinzioni, dubbi (ma, forse, però…)
Dignità e uguaglianza della persona non sono attribuite estrinsecamente da qualcuno (persona o istituzione) ma sono costitutive dello stesso essere persona. Allora: riconoscere a ciascuna persona pari dignità. E nello stesso momento riconoscere la sua diversità come possibilità di comunicazione e di scambio nella reciprocità, con la conseguenza di un arricchimento reciproco: umano, culturale, spirituale; una “dilatazione” della propria identità per riprendere una felice espressione di padre Balducci.
Queste indicazioni riguardano la nostra vita di ogni giorno e in essa le nostre relazioni così decisive per il senso profondo della stessa. Il rapporto con chi arriva fra noi da altrove evidenzia maggiormente, data la sua accentuata ed evidente diversità, quella che è la dinamica di ogni relazione umana, a cominciare da quelle che viviamo più da vicino.
In un Centro di accoglienza di cinquanta ospiti e di una cinquantina di persone volontarie queste prospettive diventano dimensioni di quel microcosmo, quel laboratorio umano di relazioni che ogni giorno chiedono di non umiliare nessuno come inferiore, di non pretendere che l’altro rinunci alla sua diversità per essere accolto, invece di sperimentare quel dare e ricevere in continuità che favoriscono una crescita umana nelle sue diverse dimensioni.
Il Centro Balducci ha proseguito il suo cammino: un’altra data da ricordare è il 28 giugno 2003 quando è stata inaugurata un’altra grande casa di accoglienza acquistata come edificio cadente ancora con tanta solidarietà e poi ristrutturata con diversi contributi pubblici, privati, di fondazioni, compresa la Fondazione Migrantes della Chiesa italiana, di cui era direttore mons. Luigi Petris, conterraneo e amico, a cui poi abbiamo dedicato la sala polifunzionale.
Da allora gli ospiti sono mediamente cinquanta. C’è stata successivamente la costruzione di un nuovo edificio: gli uffici, uno scantinato per depositare alimenti e vestiti per gli ospiti e per le persone in necessità, italiani e stranieri che passano; un piccolo, sobrio appartamento per due sorelle suore che vivono da nove anni l’esperienza del Centro; una cucina per i momenti comunitari, una sala polifunzionale in cui vivere i momenti di spiritualità e di cultura, di musica, di proiezione di film, di convivialità.
Lo specifico di questa esperienza è quello di cercare costantemente di rapportare l’accoglienza concreta delle persone alla promozione culturale e spirituale, con incontri, convegni, presentazioni di libri, in particolare con un convegno internazionale che si ripropone dal settembre 1992 e che quest’anno ha registrato la sua 25a edizione, coincidente con la memoria del 25° della morte di padre Ernesto Balducci.
In questo piccolo paese del Friuli in questi anni sono passati tanti testimoni: donne e uomini, in rappresentanza delle loro comunità provenienti da tanti luoghi del Pianeta: conosciuti come il Dalai Lama e l’altro premio Nobel per la pace, Adolfo Perez Esquivel; Iman importanti, amici come don Ciotti, Massimo Cacciari, Vito Mancuso; magistrati come Roberto Scarpinato; tanti altri non conosciuti ai più, ma ugualmente importanti per la profonda umanità e spiritualità, i drammi, le speranze, la dedizione che ci hanno comunicato e che ha via via costituito uno straordinario patrimonio interiore a cui attingere per uno sguardo planetario della storia dell’umanità.

Lo sguardo sui migranti, vivendo ogni giorno con loro

  • Le migrazioni che sono sempre state una costante nella storia dell’umanità attualmente hanno assunto una caratterizzazione planetaria. Sono oggi la questione più rilevante anche perché ne assumono altre importanti che sono le cause strutturali delle forzate partenze di milioni di persone.
  • Coloro che giungono fra noi ci rivelano la situazione drammatica del mondo; impoverimento, fame, sete; regimi dittatoriali e oppressivi, violazione dei diritti umani, armi prodotte e vendute in aumento; guerre terrificanti, disastri ambientali.
    06 dipiazza 3Questa rivelazione dovrebbe attivare la memoria storica delle responsabilità del nostro mondo per queste situazioni drammatiche; la decisione e l’impegno di rompere ogni sorta di complicità; l’elaborazione e l’avvio di un progetto straordinario e intelligente di autentica cooperazione con i paesi di provenienza coinvolgendo persone e comunità, sensibilità e capacità professionali dei mondi diversi.
  • Coloro che giungono fra noi ci rivelano chi sono loro e ci interpellano a scoprirlo nell’accoglienza, nell’ascolto, nella reciprocità. E’ una provocazione per noi a liberarci da quella mentalità che fin da piccoli ci è stata comunicata per la quale il mondo è il nostro mondo e i mondi altri che pure ci sono, sono da considerare inferiori.Ci narrano di famiglie e di comunità, di città e villaggi, di luoghi, di culture e di preghiere; di paesaggi incantevoli, di povertà, violenze e guerre; di morti e feriti; del viaggio lungo e faticoso in cui hanno subito ferite e torture, in cui hanno dovuto pagare i trafficanti di esseri umani e guardare con lo strazio del cuore gli amici morti nel mare, o per la fatica e gli stenti del viaggio sulle montagne e nelle vallate.
    Ci rivelano le loro diversità culturali nel senso ampio e diversificato: del cibo e dei vestiti, della musica, delle tradizioni e feste, delle celebrazioni religiose; del ritmo del nascere, del vivere e del morire.
  • Coloro che giungono fra noi ci rivelano chi siamo noi, proprio perché la relazione con l’altro contribuisce in modo significativo a svelare noi stessi a noi stessi, a percepire con progressiva profondità chi siamo veramente.
    Ci rivelano appunto qual è la nostra sensibilità, cultura, etica, politica, legislazione; quale la fede. La rivelazione ha messo a nudo le nostre povertà umane, la nostra superficialità e approssimazione culturale; un’etica superficiale, quindi non adeguata alle richieste.
    L’Europa ha mostrato un volto disumano fino alla vergogna. L’Italia lasciata sola come la Grecia ha il merito di aver salvato la vita in mare a decine e decine di migliaia di persone non riuscendo ad evitare però le migliaia di morti, negli anni oltre quaranta mila. Le ultime scelte politiche del nostro Governo sono negative: i finanziamenti a gruppi di persone della Libia senza scrupoli per rallentare i viaggi nel Mediterraneo e gli sbarchi nel nostro Paese di fatto hanno favorito in modo evidente la permanenza di tanti migranti nel lager della Libia o il ritorno forzato negli stessi dove si perpetrano le violenze e gli abusi più terribili e dove si pratica anche la tratta degli esseri umani venduti come schiavi con tanto di prezzo proclamato. Nell’estate scorsa si sono criminalizzate le ONG e di fatto la solidarietà. Manca poi un progetto di inserimento nella nostra società delle persone che decidono di fermarsi nel nostro Paese. pdf
    Nei nostri territori, nelle città e nei paesi si mescolano sensibilità ed esperienze positive e significative di accoglienza ad una diffusione di indifferenza, contrarietà, avversione, xenofobia, razzismo: i predicatori dell’odio sono cresciuti e si esprimono in gruppi e associazioni riconoscibili come neofasciste.


Il cammino per un futuro umano

Quale direzione? Quale prospettiva? Quali le dimensioni necessarie?
La questione è prima e soprattutto culturale nel senso antropologico, profondo e ampio del significato.
Si tratta delle cultura dell’incontro con l’altro e la sua diversità riproposta nei passaggi precedenti di questa riflessione.
Fra le dimensioni fondamentali certamente c’è la cultura dei diritti umani, della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo di cui nel 2018 ricorre il 70° anniversario; ci sono lo spirito e l’attuazione della nostra Costituzione messa in atto proprio dal 1° gennaio del 1948.
Ci sono le dichiarazioni internazionali, come Convenzione di Ginevra, riguardo ai profughi e richiedenti asilo. L’impegno è quello di avvicinare la distanza così spesso drammatica fra le dichiarazioni così chiare, eloquenti, segnate da autenticità umana e le clamorose infedeltà alle stesse in tante, troppe situazioni della storia.
C’è l’esigenza di un’altra politica che governi i fenomeni con lungimiranza e organizzazione intelligente; che ascolti gli stranieri, chi vive con loro, i cittadini italiani; che comunichi con verità progetti, esperienze positive e negative, costi e benefici; che ascolti le paure, ne favorisca la elaborazione, si impegni a rispondere alle cause con decisioni e impegni seri.
Una politica che non si lasci soverchiare dalle situazioni, che non assuma la questione dei migranti come oggetto di scontro, come strumentalità per il consenso elettorale.
Senza confusione fra piani distinti, non separati la dimensione spirituale riveste una importanze del tutto particolare, a partire dalla considerazione che tutti i principi ispiratori delle fedi religiose rapportano in modo inscindibile il riferimento a Dio, chiamato con diversi nomi, e l’attenzione amorevole al prossimo, anche con espressioni molto simili.
Nella Bibbia c’è una continua sollecitazione all’accoglienza con narrazioni che assurgono a paradigmi, come l’ospitalità di Abramo nella tenda a Mambre a tre viandanti che poi di fatto sono il Signore che passa; un’accoglienza feconda che diventa origine di vita.
L’esortazione ricorrente all’accoglienza del forestiero si fonda sulla fede in quel Dio che ha visitato e liberato il popolo oppresso e forestiero. “Accogliete dunque il forestiero, trattatelo come voi stessi, perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto”. Nel racconto dei Vangeli scopriamo che nella persona di Gesù Dio stesso è forestiero nel mondo per chi è, per come si rende presente, per le sue parole e i suoi gesti che si pongono come alternativi al mondo e alla religione del tempio.
La verifica ultima della fede che Gesù ci prospetta è la nostra disponibilità ad incontrarlo in chi ha fame e sete; in chi è denudato di vestiti e di dignità; in chi è ammalato nelle diverse situazioni; in chi è in carcere, in chi è forestiero.
“Ero forestiero, sono forestiero e voi mi avete accolto, voi mi accoglierete”, accogliendo i fratelli e le sorelle, i bambini e le bambine che provengono dai diversi luoghi del Pianeta.
Cercare di essere, di diventare cristiani alla sequela di Gesù di Nazaret è profondamente e del tutto contrario a mentalità, parole, atteggiamenti di indifferenza, xenofobia e razzismo.

 

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