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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

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Sommario

Il numero dei cosiddetti pazienti apallici nel mondo continua a crescere, e questo comporta dilemmi non solo economici, sociali ma anche etici per tutti coloro che sono interessati. Questo studio presenta aspetti etici e argomenti per trovare modi appropriati per prendersi cura dei moribondi e per affrontare i dilemmi etici che possono verificarsi nelle cure palliative. Tali dilemmi riguardano questioni come la nutrizione e l'idratazione artificiale, l'alleviamento del dolore (cioè l'uso di benzodiazepine), la chemioterapia, i trattamenti sperimentali, la ventilazione e la rianimazione di un paziente. Qui, in particolare, analizzeremo le questioni relative alla nutrizione artificiale e all'idratazione (ANH) dei pazienti in stato vegetativo persistente (PVS), che costituisce una delle questioni etiche più complesse nelle cure palliative. Intendiamo chiarire la questione, se la somministrazione di nutrizione artificiale e l'idratazione è solo un prolungamento meccanico della vita umana e in quali circostanze è eticamente imperativo. Dopo questo riavvicinamento presentiamo una prospettiva cristiana sul dovere di preservare una vita umana. L'antropologia cristiana mostra che l'uomo è fatto a immagine di Dio, il che porta le persone a prendersi cura anche della vita degli altri, specialmente di coloro che non sono in grado di prendersi cura di sé stessi. Questa responsabilità non solo spetta ai medici, ma a tutti noi.

 

 

1. Introduzione

pdf04 szaniszlo Viviamo in un'epoca in cui il dovere prevalente dei medici è quello di prolungare e mantenere la vita a tutti i costi, e in cui la morte è considerata una "sconfitta della vita". Allo stesso tempo, gli etici e i medici parlano sempre più spesso di morte istituzionalizzata, il che significa che la lotta contro la morte è spesso affidata a istituzioni e ospedali. Qui spesso si muore da soli in presenza di tecnologie che prolungano la vita, piuttosto che in presenza di altri esseri umani. D'altra parte, si comincia sempre più a parlare di prendere la vita e la sua fine nelle nostre mani secondo i bisogni e i desideri individuali.

Ci sono diversi punti di vista tra gli etici e i medici sul fatto che la nutrizione e l'idratazione artificiale sia o meno un intervento medico, e che il rifiuto o il rifiuto della nutrizione e dell'idratazione artificiale equivalga alla decisione di permettere a un paziente di morire. I sostenitori della nutrizione artificiale e dell'idratazione in questo contesto insistono sul fatto che una persona in PVS ha diritto alle cure mediche ordinarie. Altri bioeticisti considerano la nutrizione artificiale e l'idratazione come un intervento medico, e non parte della cura ordinaria. Secondo la Chiesa cattolica, per dirla in breve, ci dovrebbe essere sempre un presupposto a favore di fornire nutrimento e idratazione a tutti i pazienti, anche se medicalmente assistiti, purché vi sia un sufficiente beneficio per il paziente, che superi gli oneri in gioco (Roach 1990, 2).

Nei nostri paesi dell'Europa centrale, molti dei quali con un passato comunista, l'assistenza adeguata ai moribondi è complicata non solo da vincoli finanziari, ma anche da notevoli sforzi da parte di parenti e medici per mantenere la vita umana il più a lungo possibile. La ragione di quest'ultimo è da vedere nel fatto che, ad esempio, in Slovacchia gli ospizi e le unità di cure palliative non hanno una lunga tradizione e di conseguenza la conoscenza pubblica delle cure palliative è molto scarsa. Se noi nelle università slovacche chiediamo agli studenti che cos'è la cura palliativa, solo in pochi casi otteniamo una risposta corretta. In generale, nella regione dell'Europa centrale, contrariamente a quanto avviene, per es. nei paesi di lingua tedesca, l'etica medica è meno accettata nelle istituzioni cliniche e negli ospedali a causa del lunghissimo periodo comunista durante il quale gli sviluppi occidentali dell'etica medica non sono stati apprezzati e ricevuti. I medici considerano l'etica come qualcosa di non necessario.

Questo documento non pretende di trovare risposte a tutte queste questioni etiche, ma piuttosto offre criteri e soluzioni etiche e cristiane ad alcune di esse sulla base di fonti e considerazioni selezionate. Il nostro approccio cristiano al problema cerca di rispondere, dopo oltre quaranta anni di assenza, ad argomenti cristiani nell'etica medica dell'Europa centrale. Nonostante il fatto che la società civile in questa regione sia rimasta in gran parte cristiana, anche dopo il periodo del totalitarismo, non ha avuto alcuna formazione al riguardo. Per questo motivo, consideriamo la prospettiva cristiana come un arricchimento dell'attuale dialogo scientifico della "Regione di Visegrad". Questo perché anche i cristiani hanno il diritto di formarsi nella religione per fare delle scelte secondo la loro coscienza.

 

2. Che cos'è lo stato vegetativo del paziente?

Esploriamo ora cosa sia il "PVS" o, come è anche noto, l’"irresponsabilità post-coma". Secondo Kenneth Maiese del National Heart, Lung, and Blood Institute in USA, uno stato vegetativo è l'assenza di reattività e consapevolezza dovuta a disfunzioni che coinvolgono gli emisferi cerebrali, con sufficiente parsimonia del diencefalo e del tronco cerebrale che preserva i riflessi autonomi e motori e i cicli sonno-veglia. I pazienti possono avere riflessi complessi, compresi i movimenti degli occhi, sbadigli e movimenti involontari a stimoli nocivi, ma non mostrano alcuna consapevolezza di sé o dell'ambiente. Rispetto a ciò, uno stato minimamente cosciente, a differenza di uno stato vegetativo, è caratterizzato da alcune prove di consapevolezza di sé e/o dell'ambiente, e successivamente i pazienti tendono a migliorare. Maiese aggiunge che la diagnosi è clinica e il trattamento è principalmente di supporto. La prognosi per i pazienti con deficit persistenti è tipicamente tetra (Maiese 2017).

La sindrome fu descritta per la prima volta nel 1940 da Ernst Kretschmer che la chiamò sindrome apallica (Kretschmer 1940). Nel 1972, Jennett e Plum hanno coniato il termine PVS per descrivere una classe di pazienti inconsapevoli di sé stessi e del loro ambiente, ma con cicli di eccitazione e sonno-veglia mantenuti (Bryan/Plum 1972). Studi patologici di pazienti con PVS che hanno subito diffusi insulti ipossico-ischemici hanno mostrato diffusi danni cerebrali corticali neuronali con parsimonia delle strutture del tronco cerebrale (Dougherty/Rawlinson/Levy 1981, 991). Il PVS è una condizione in cui una persona perde i poteri cerebrali superiori del cervello, ma mantiene i cicli sonno-veglia con funzioni ipotalamiche e funzioni autonome del tronco encefalico complete o parziali. Il PVS include periodi di eccitazione e il ritorno dei cicli sonno-e-veglia (il paziente sembra "sveglio" ma purtroppo non ne è mai consapevole). Anche se rimangono incoscienti e inconsapevoli, i pazienti con PVS possono interagire. Inoltre, i pazienti in un PVS sono incapaci di esprimere sensibilità, sentimento o sofferenza (Cranford 2004). Ad ogni modo dobbiamo fare delle distinzioni tra a) stato neuro-vegetativo persistente b) stato di minima coscienza o minimamente responsivo e c) stato di fine della vita (per es. la malattia oncologica in fase terminale di metastasi diffusa).

Secondo Nelson e Bernat esistono i seguenti criteri per la diagnosi clinica di un PVS:

  1. I pazienti giacciono con gli occhi aperti o li aprono agli stimoli.
  2. Sono presenti movimenti oculari spontanei, ma non c'è una ricerca visiva sostenuta.
  3. Non c'è la possibilità di seguire i comandi.
  4. Non vi è alcuna prova di risposta cognitiva a qualsiasi stimolo.
  5. Non vi è alcuna azione o comportamento volontario.
  6. Non c'è un linguaggio riconoscibile e i pazienti sono solitamente muti.
  7. I riflessi del tronco cerebrale e i cicli sonno-veglia sono intatti.
  8. La respirazione spontanea è presente.
  9. Viene presentata la doppia incontinenza (Nelson/Bernat 1989; The Multi-society Task Force on PVS 1994, 1499 – 1508, 1572-1579).

Questi criteri per la diagnosi di un PVS portano ad un ulteriore punto, al "recupero dello stato vegetativo". La prognosi per la guarigione è una caratteristica essenziale dell'analisi morale che si occupa di pazienti in "stato vegetativo". La prognosi per la guarigione deve essere determinata secondo Fine, "in base alla causa della lesione, alle condizionicomorbide e al periodo di tempo in cui si è stati vegetativi: (1) durata superiore a 1 mese è detto essere persistente; (2) durata superiore a 3 mesi quando la causa non è traumatica, come ad esempio una lesione anossia cerebrale dopo che la RCP è permanente; (3) durata superiore a 12 mesi dopo che la lesione cerebrale traumatica è permanente". (Fine 2005, 303-304).

Nel caso della nutrizione e dell'idratazione artificiale, l'acqua, anche se somministrata artificialmente, non può essere considerata una mera procedura medica perché senza di essa il paziente morirà non a causa della sua malattia ma per disidratazione. In merito a tali decisioni è quindi necessario porre le seguenti domande:

  1. L'apporto di nutrizione e d’idratazione va a beneficio del paziente o lo appesantisce?
  2. Il principio di proporzionalità si applica a tali dilemmi etici, come nei casi di dialisi?
  3. Come si deve procedere nei casi di pazienti che rifiutano un'assistenza così ordinaria?
  4. La somministrazione di nutrizione artificiale e d’idratazione è solo un prolungamento meccanico della vita?
  5. Come ci si deve rivolgere alle famiglie di questi pazienti, che spesso richiedono cure straordinarie per gli stessi?
  6. Perché non lasciare che le persone muoiano quando la morte è inevitabile?

Infine, a partire da qui, presentiamo alcuni aspetti etici e gli argomenti per una cura adeguata del moribondo e per affrontare i dilemmi etici che possono verificarsi nel contesto delle cure palliative. Quando si parla di trattamenti di fine vita, spesso si dice una cosa del genere: "Non voglio essere un peso per nessuno. Niente tubi per me. Voglio solo andarmene velocemente e in pace". Le persone da un lato sono attratte dalla tecnologia e da ciò che essa ha da offrire loro quando sono malate, ma dall'altro hanno anche paura di essa, soprattutto quando sono in uno stato di debolezza o di vulnerabilità. Immaginano di rimanere intrappolati in una situazione in cui non gli è permesso di morire, ma sono tenuti in una sorta di animazione sospesa dalle macchine. Temono anche che il loro dolore possa non essere gestito bene. A volte possono sentire la pressione dei membri della famiglia che non dovrebbero "restare nei paraggi" troppo a lungo (Paštéková 2011, 45). Questi tipi di timori e preoccupazioni devono però essere esaminati con attenzione, poiché possono indurci ad agire in modo avventato e a pensare in modo poco chiaro quando si tratta di prendere decisioni concrete sul trattamento. Inoltre, l'istituto del consenso del paziente non è ancora sufficientemente diffuso e compreso nel contesto dell'Europa centrale. Spesso questo processo si restringe solo a "qualche firma" del documento da parte del paziente, atto a protegge il medico piuttosto che aiutare il paziente stesso.

Se parliamo di dilemmi etici, possiamo notare che, negli ultimi 10 anni, è in corso un dibattito su quante cure, se ce ne sono, e che i pazienti di un PVS dovrebbero ricevere in sistemi sanitari afflitti da risorse limitate. Ad esempio, in una causa dinanzi alla Corte superiore del New Jersey, Betancourt contro Trinitas Hospital, un ospedale comunitario ha chiesto una sentenza secondo cui la dialisi e la rianimazione cardiopolmonare per un paziente di questo tipo costituiscono un'assistenza inutile. Il paziente è morto naturalmente prima di una decisione sul caso, con il risultato che il tribunale ha trovato la questione irrisolta (Mason Pope 2010, 23 giugno). E un bioeticista americano, Jacob M. Appel, aggiunse la proposta che il denaro speso per il trattamento dei pazienti con PVS sarebbe meglio speso per altri pazienti con maggiori probabilità di guarigioni (Mason Pope, 2010 25 giugno).

L'assistenza di fine vita è un compito complesso e difficile per i pazienti PVS e le loro famiglie, così come per gli operatori sanitari che forniscono loro cure e trattamenti quotidiani. Nel campo delle cure di fine vita è nostro dovere fornire cure amorevoli e qualificate ai pazienti affetti da PVS, e anche fornire loro tutte le cure possibili, aiutarli a comprendere la loro sofferenza e la loro morte. Solo negli Stati Uniti, è stato stimato che ci sono tra i 15.000 e i 40.000 pazienti in un PVS, ma dal momento che i registri dell'assistenza domiciliare sono tenuti in modo impreciso, il numero esatto è difficile da determinare. Fino al 70% dei pazienti in coma sono curati a casa in famiglia. Ciò sembra tanto più auspicabile, in quanto il confine con lo stato di minima coscienza non può essere tracciato con assoluta certezza e le reazioni emotive sono più che prevedibili. Con un adeguato supporto professionale (servizi di assistenza ambulatoriale), questo può spesso essere fatto fisicamente e psicologicamente per le famiglie (Beilhammer 2018).

 

3. Nutrizione e idratazione in situazioni di fine vita e PVS

I dilemmi etici più comuni nelle cure di fine vita riguardano questioni come l'alimentazione artificiale e l'idratazione, l'alleviamento del dolore (cioè l'uso di benzodiazepine, es. midazolam),1 la chemioterapia, i trattamenti sperimentali, la ventilazione e la rianimazione di un paziente. Tra questi ci concentreremo sulla nutrizione artificiale e l'idratazione (ANH), una nuova tecnologia medica in grado di fornire nutrimento a persone che non sono in grado o non vogliono ingerire cibo o bevande, in situazioni di fine vita. Per prima cosa daremo una visione d'insieme sull'ANS come trattamento medico-responsabile in tre parti: (1) le preoccupazioni relative all'alimentazione dei pazienti affetti da PVS; (2) la fornitura tecnica e i benefici medici dell'ANH; e (3) i fattori clinici che possono limitare la fornitura di ANH.

In primo luogo, affrontiamo alcune preoccupazioni riguardanti l'alimentazione artificiale dei pazienti affetti da PVS. Secondo Carson, "l'atto stesso di dare da bere e da mangiare porta in sé un profondo significato simbolico che parla direttamente alle persone coinvolte. Questo significato simbolico, per quanto elusivo, rivela l'importanza di fornire all'altro l'essenziale della vita" (Carson 1989, 85). Soprattutto nel caso dei pazienti affetti da PVS è di grande importanza prendere in considerazione questo significato simbolico. L'alimentazione dei pazienti affetti da PVS deve essere vista come un'espressione di "solidarietà umana". (Roach 1990, 1). Poiché l'ANH per i malati di PVS continua ad essere un punto di contesa tra gli eticisti e i teologi, una questione ci sembra molto chiara: il significato simbolico della fornitura di cibo e acqua può essere di grande significato, ma non può di per sé determinare sufficientemente la giustezza o l'erroneità di tali azioni.

Un'altra preoccupazione riguardo all'alimentazione artificiale dei pazienti con PVS e legata al suo significato simbolico, è che la somministrazione di ANH ai pazienti con PVS è accompagnata da molte emozioni sia per il paziente che per la sua famiglia. Per questo motivo è necessario che il personale medico sia molto attento alle risposte del paziente, alla sua famiglia, all'età e allo stato di salute generale del paziente stesso e alla diagnosi definitiva, compresa la prognosi definitiva di una morte prematura. (Roach 1990, 4). Qualsiasi reazione negativa o non professionale può causare stress o generare successivamente problemi etici e legali.

In secondo luogo, i mezzi tecnici di ANH sono stati sviluppati nel corso di molti anni. In particolare, i moderni metodi endovenosi hanno sostituito le vecchie procedure. Un importante progresso negli anni '60 è stata l'introduzione della tecnica della linea venosa centrale [CVP] (Major 1989, 24, enfasi aggiunta). Oggi, "L'ANH viene somministrato interamente (attraverso l'intestino) attraverso un tubo nasogastrico [NG] o una gastrostomia [PEG] o un tubo di jejunostomia che viene posizionato con guida fluoroscopica o endoscopica". (Devettere 1995, 226). Generalmente questo metodo non causa complicazioni. L'ANH può anche essere somministrato per via parenterale (attraverso qualsiasi via diversa dall'intestino) attraverso l'accesso venoso periferico o centrale. 2 La sola idratazione può essere fornita anche tramite infusione sottocutanea.

L'ANH può migliorare la sopravvivenza dei pazienti che si trovano in un PVS. Questi pazienti possono vivere per 10 anni o più con l'ANH, ma possono morire entro poche settimane senza supporto nutrizionale (The Multi-society Task Force on PVS 1994, 1499). L'ANH può migliorare la sopravvivenza dei pazienti nella fase acuta di un ictus o di un trauma cranico e tra coloro che ricevono cure critiche a breve termine (Wanklyn/Cox/Belfield 1995). Può anche migliorare lo stato nutrizionale dei pazienti con cancro avanzato che sono sottoposti a radioterapia intensiva. Al giorno d'oggi, la nutrizione e l'idratazione sono generalmente disponibili e possono essere regolate e preparate piuttosto bene in base alle esigenze del singolo paziente. I problemi sorgono spesso quando i pazienti terminali delle unità di terapia intensiva (TI) vengono trasferiti ad altre unità. Se si verifica un graduale declino nella funzione degli organi del paziente, le autorità mediche spesso continuano a somministrare l'alimentazione artificiale come prescritto in terapia intensiva. In questi casi, la nutrizione potrebbe a volte essere ridotta a scapito delle esigenze energetiche e nutrizionali dei pazienti, come si suggerisce in alcuni manuali di medicina intensiva in Slovacchia. La letteratura sulle cure palliative in fase terminale raccomanda di ridurre l'ANH a costo di non rispettare i requisiti energetici e nutrizionali (Paštéková 2014).

In terzo luogo, l'accantonamento di ANH può essere associato a notevoli rischi medici. Ad esempio, i pazienti con demenza avanzata che ricevono ANH attraverso un tubo per gastrostomia devono probabilmente essere fisicamente trattenuti e sono a maggior rischio di polmonite da aspirazione, diarrea, disturbi gastrointestinali e problemi associati alla rimozione del tubo di alimentazione da parte del paziente (Finucane/Christmas/Travis 1999). Inoltre, quando le funzioni vitali del paziente diminuiscono alla fine della vita, l'ANH può causare soffocamento a causa dell'aumento delle secrezioni orali e polmonari, dispnea dovuta all'edema polmonare e malessere addominale dovuto all'ascite (Casarett/Kapo/Caplan 1972).

Lo stato vegetativo deve essere distinto sia clinicamente che giuridicamente dalle condizioni definite come morte cerebrale o coma irreversibile. In questi casi c'è la perdita completa e irreversibile dell'attività cerebrale, confermata da registrazioni elettrofisiologiche, e delle relative funzioni vitali, compresa l'attività respiratoria. La morte cerebrale è, quindi, una condizione completamente diversa dallo stato vegetativo, che non viene riconosciuta come morte in nessun sistema giuridico. Tuttavia, rimane una "zona grigia" legale intorno a questo stato. Questo fatto ha portato ad alcune controversie mediatiche e legali riguardanti persone in stato di coma di allerta, con accesi dibattiti bioetici. Se non accettiamo la sostituzione della disabilità per mancanza di coscienza, allora è indiscutibile che il PVS non sia necessariamente permanente e non è indiscutibilmente insensibile.

In questi casi, i medici spesso cercano di parlare con i parenti per concordare l'assistenza di base per i pazienti affetti da PVS senza misure di supporto vitale e per rendere più facile l'addio del paziente, tenendo conto delle linee guida sull'eutanasia. In particolare, la prospettiva di una vita non autodeterminata nella Sindrome apallica ha ripetutamente suscitato discussioni tra le associazioni mediche e i politici tedeschi riguardo all'eutanasia attiva. Questo era ancora punibile secondo la legge tedesca a causa delle atrocità del Terzo Reich fino al 26 febbraio 2020, fino a quando la Corte costituzionale tedesca non ha emesso un’altra decisione (Janisch 2020). La cura dei pazienti affetti da PVS è anche associata a un notevole stress psicologico per il personale infermieristico. Perché la cura del paziente impercettibile richiede molto tempo, ed è spesso percepita come “estremamente frustrante” (Nacimiento 1997).

Tra i casi noti troviamo Paul Brophy, Sunny von Bülow e Tony Bland, che hanno creato un precedente nel Regno Unito. Il caso altamente pubblicizzato di Terri Schiavo negli Stati Uniti, che riguardava le controversie sulla diagnosi di PVS emesse da vari medici nominati dal tribunale. I ricorsi presentati in tribunale sono stati respinti e il tubo nasogastrico di alimentazione di Terri Schiavo è stato rimosso, portandola alla morte. Il caso italiano di Eluana Englaro è analogo.

D'altra parte, nel 2010, ricercatori britannici e belgi hanno riportato in un articolo del New England Journal of Medicine che alcuni pazienti in stato vegetativo persistente avevano in realtà abbastanza coscienza per "rispondere" sì o no alle domande sulle scansioni fMRI (Functional magnetic resonance imaging). Tuttavia, non è chiaro se il fatto che parti del cervello dei pazienti si illuminino sulla fMRI aiuterà questi pazienti ad assumere le proprie decisioni mediche (possibile cambiamento del consenso informato del paziente). Lo stesso bioeticista Appel ha detto al Telegraph che questo sviluppo potrebbe essere un gradito passo avanti verso il chiarimento dei desideri di tali pazienti. Appel ha dichiarato: "Non vedo perché, se siamo veramente convinti che questi pazienti stiano comunicando, la società non dovrebbe onorare i loro desideri. In realtà, come medico, penso che si possa affermare con forza che i medici hanno l'obbligo etico di assistere tali pazienti rimuovendo le cure. Sospetto che, se tali individui sono davvero intrappolati nel loro corpo, potrebbero vivere in un grande tormento chiedendo la cessazione delle cure o addirittura l'eutanasia attiva" (Alleyne & Beckford 2010 4 febbraio). Personalmente, penso che in tale comunicazione si potrebbe constatare, con sorpresa, una risposta opposta. La decisione potrebbe essere di non porre fine alla propria vita, perché a nostro avviso, non è una forma naturale di comportamento il volere la propria morte; tanto più che la sofferenza nei nostri tempi moderni potrebbe essere meno insopportabile.

A questo punto dobbiamo dare maggiore rilievo alle evidenze messe in luce da due neurologi Adrian Owen, dell’Università di Cambridge in Inghilterra, e Steven Laureys, dell’Università di Liegi in Belgio:

Nel 2006 pubblicarono uno studio intitolato “Detecting awareness in the vegetative state” (Ricercare la consapevolezza nello stato vegetativo; Owen/Laureys 2006). Anche loro come sistema diagnostico usarono la risonanza magnetica funzionale. Questo sistema visualizza l’attività sanguigna degli organi umani. In particolare visualizza le variazioni che subiscono il flusso e l’ossigenazione del sangue nel cervello in dipendenza da determinati stimoli. Owen e Laureys sottoposero alla risonanza magnetico funzionale dei pazienti, la cui diagnosi era lo stato neuro-vegetativo, e nel corso dell’esame diagnostico dissero loro di immaginare di giocare a tennis e di camminare nelle stanze di casa. Alla richiesta dei neurologi i pazienti in stato neuro-vegetativo non fecero alcun movimento articolare, anche perché erano posti all’interno della macchina della risonanza magnetica; ma l’esame diagnostico rilevò l’attivazione emodinamica di diverse aree cerebrali ed in particolare dell’area motoria supplementare, quella che programma i movimenti. Inoltre, questo risultato diagnostico fu confrontato con i risultati ottenuti dalla risonanza magnetico funzionale condotta su persone sane e perfettamente coscienti: le aree cerebrali che si attivavano nel primo gruppo, quello dei pazienti in stato neuro-vegetativo, erano le stesse aree cerebrali che si sono attivate nel secondo gruppo, quello delle persone sane. La differenza più vistosa tra i referti diagnostici dei due gruppi è stata data dalla diversa intensità del flusso e dell’ossigenazione sanguigna. Il risultato più rivoluzionario di questo esperimento è stato che gli uomini in stato neuro-vegetativo, sebbene a livello di comportamento esterno sembravano privi di consapevolezza, reagendo a livello cerebrale agli stimoli esterni, cioè all’invito del neurologo di immaginare di giocare a tennis o di camminare. Successivamente Adrian Owen e i suoi collaboratori hanno cercato di migliorare il metodo diagnostico, hanno definito meglio quali ordini dare ai pazienti ed hanno semplificato le domande da porre al fine anche di ottenere risposte semplici come “sì” o “no” (Monti M. M./Vanhaudenhuyse A./Coleman M. R/Boly M./Pickard J. D./Tshibanda L./Owen A. M./Laureys S. 2010).

Sempre nel 2010 Adrian Owen ha lasciato Cambridge per continuare le sue ricerche in Canada presso il Brain and Mind Institute of Western Ontario, e qui ha sottoposto alla sua tecnica diagnostica Routley Scott. Per quanto avesse gli occhi aperti e avesse il ciclo spontaneo di sonno veglia, Scott non dava alcun segno di reazione ai test convenzionali, come gli stimoli visivi, uditivi e tattili. Sottoposto, invece, alla risonanza magnetico funzionale, Scott ha manifestato la volontà di rispondere intenzionalmente, con segnali emodinamici, alle domande e ai comandi posti da Owen. In particolare ha risposto “no” alla domanda: “provi dolore?”.

 

4. Il dovere di preservare la vita umana da una prospettiva cristiana

La vita umana è un dono al quale dobbiamo rispondere con gratitudine, timore e riverenza. Questa credenza nella vita come dono del Creatore permette loro di mantenere la santità della vita. Da un punto di vista cristiano gli esseri umani sono fatti a immagine di Dio. Questo porta le persone non solo al nostro Creatore, ma anche alla loro responsabilità di prendersi cura della vita degli altri, specialmente di coloro che non sono in grado di prendersi cura di sé stessi, o sono afflitti da specifiche condizioni mediche come un PVS e hanno bisogno dell'aiuto di qualcuno. È essenziale ricordare che questa responsabilità non spetta solo ai medici, al personale medico o a qualcun altro di specifico: dipende da tutte le persone.

Per quanto riguarda il PVS e la questione dell'ANH, dobbiamo stare molto attenti e diffidare dell'egoismo personale o familiare, delle pressioni della società e, cosa ancora più importante, delle prognosi mediche premature. Come abbiamo appena detto, l'elenco di questi casi e delle relative discussioni è molto lungo (da Tony Bland a Terri Schiavo fino a Otto Warmbier). Dopo aver assistito ad un altro tipo di caso, quello di Tony Nicklinson, un paziente con la sindrome del locked-in, che voleva porre fine alle sue sofferenze assumendo dosi letali di un farmaco, che ricordiamo non essere legale nel Regno Unito, l'ex arcivescovo di Canterbury George Carey, che in passato si era opposto al suicidio assistito, ha detto che le sue "vecchie certezze filosofiche sono crollate di fronte alla realtà di una sofferenza inutile". Alla richiesta di fare un commento su questo, Charles Scicluna, l’allora arcivescovo di Malta, ha detto di credere che "molti sostengono che il movimento per abbracciare il suicidio assistito come una politica pubblica è guidato, non da pazienti sofferenti, ma da cosiddetti worried well (ben intenzionati), coloro che sono terrorizzati dalla perdita di controllo che la malattia e la morte provocano" (Massa 2014).

In questo contesto, principi come quelli già presentati da Papa Pio XII, in particolare la sua spiegazione dei mezzi ordinari e straordinari, potrebbero permetterci di impegnarci per la santità della vita e di essere attenti alla qualità della vita della singola persona o del paziente. Essenziale per questo approccio è un giudizio prudente che misura la proporzione dei benefici e degli oneri di un particolare mezzo di conservazione della vita. Un vero e proprio obbligo cristiano di aiutare questi pazienti è presente, come aggiunge Scicluna nell'intervista di cui sopra, solo nella misura in cui il trattamento fornito è benefico. Ogni vita umana è preziosa, ma questo non significa che ogni vita umana debba essere sostenuta all'infinito (Massa 2014).

Quando la Conferenza Episcopale Statunitense ha chiesto una risposta alla domandase fosse moralmente obbligatoria la somministrazione di cibo e acqua (per vie naturali oppure artificiali) al paziente in “stato vegetativo”, a meno che questi alimenti non possano essere assimilati dal corpo del paziente oppure non gli possano essere somministrati senza causare un rilevante disagio fisico, la Congregazione per la dottrina della Fede rispose in modo affermativo. Perchéla somministrazione di cibo e acqua, anche per vie artificiali, è in linea di principio un mezzo ordinario e proporzionato di conservazione della vita. Essa è quindi obbligatoria, nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria, che consiste nel procurare l’idratazione e il nutrimento del paziente. In tal modo si evitano le sofferenze e la morte dovute all’inanizione e alla disidratazione. Invece alla domandase il nutrimento e l’idratazione vengono forniti per vie artificiali a un paziente in “stato vegetativo permanente”, possono essere interrotti quando medici competenti giudicano con certezza morale che il paziente non recupererà mai la coscienza?, la risposta è stata “No”, perché un paziente in “stato vegetativo permanente” è una persona, con la sua dignità umana fondamentale, alla quale sono perciò dovute le cure ordinarie e proporzionate, che comprendono, in linea di principio, la somministrazione di acqua e cibo, anche per vie artificiali (Congregazione per la dottrina della fede, 2007).

Tuttavia, l'utilizzo della diagnosi di PVS contribuisce all'istituzionalizzazione dell'autorità di vita e di morte nella professione medica. Alcuni eticisti, come Dworkin, credono che sia nel migliore interesse delle persone con disabilità così gravi avere "il diritto di morire" e lo invocano in loro nome. Saremmo tutti più felici se potessimo essere sicuri che le persone che si trovano in situazioni non sopportabili non ne siano consapevoli (Borthwick 2009). Con questo diritto all'autodeterminazione, l'autonomia umana viene portata ad un livello qualitativamente nuovo. Dal punto di vista giuridico, una delle leggi che regolano questa tipologia di casi è la legge sui diritti dei pazienti e la fine della vita, nota per esempio in Francia come legge Leonetti (e recentemente in Germania), che mira in particolare ad evitare l'implacabile terapia per le persone che avrebbero, preso accordi in precedenza, quindi mentre erano in buona salute, per il tipo di cure che avrebbero o non avrebbero voluto, se si trovassero in questa situazione, in particolare con una direttiva anticipata. Dobbiamo dire, tuttavia, che la regola di base della cultura giudaico-cristiana, che vieta di uccidere una persona nell'applicare questa nuova legislazione (soprattutto tedesca), e che dà ai medici e ad altre persone la possibilità di sottomettere un mezzo letale, si scontra con una logica di interpretazione dei diritti fondamentali risultando essere molto contraddittoria. Se il medico, la cui professione è quella di curare le persone, deve essere il messaggero della fine della vita di un paziente, l'intera teoria dei diritti umani sarebbe minacciata. In sostanza, sembra che lo sforzo della società laica alla fine del XX secolo sia culminato nel diritto all'autodeterminazione di una persona senza relazione con il fondatore e difensore di questi diritti. Sarà interessante fermarsi a riflettere sulla reazione di una società post-secolare, che ha iniziato a parlare (anche violentemente) di diritto al suicidio fin dall'inizio del XXI secolo. Come etica sappiamo che ogni azione provoca una reazione. Infine, su questo tema controverso, possiamo solo aggiungere l'affermazione di Böckenförde: "Lo Stato liberale e secolarizzato vive di condizioni che non può garantire a sé stesso".3

Così vediamo che la prospettiva cristiana è consapevole che da un lato ogni vita merita di essere protetta, ma dall'altro noteremo i limiti della protezione data l'importanza di una decisione finale da parte dei medici, dei pazienti e delle famiglie in assenza di sviluppi positivi nei pazienti con PVS. Tuttavia, anche in questi casi, la soluzione, secondo la Pontificia Accademia per la Vita, non è l'eutanasia attiva, ma solo le cure palliative come diceva papa Francesco: "Le cure palliative realizzano qualcosa di altrettanto importante: valorizzano la persona. Esorto tutti coloro che, a vario titolo, sono impegnati nel campo delle cure palliative, a praticare questo compito mantenendo intatto lo spirito di servizio e ricordando che tutto il sapere medico è veramente scienza, nel suo significato più nobile, solo se usato come aiuto in vista del bene dell'uomo, un bene che non si compie mai contro la vita e la dignità dell'uomo" (Pontificia Accademia per la Vita 2019).

 

5. Alcune considerazioni finali

Prima di tutto, sembra che si debba fare la differenza tra le persone che muoiono nonostante che abbiamo ingerito cibo e acqua per via artificiale, e le persone muoiono per cause naturali perché si dimenticano di ingerire cibo e acqua (come può succedere ad es. per persone molto avanti con gli anni). In secondo luogo, ogni paziente, anche se in stato vegetativo, ha diritto alle cure mediche di base.

Siamo d'accordo con Paštéková, che grazie all'eccellenza tecnica dei supporti cardiaci pensiamo finalmente che nel prossimo futuro la questione delle cure di fine vita passerà dalla somministrazione di alimenti e liquidi a indurre per un eventuale spegnimento anticipato dei dispositivi tecnici (Paštéková, 2014). L'uomo deve avere la possibilità, se la sua vita va naturalmente a morire, di morire, e noi siamo fortemente a favore di questa soluzione.

Mons. Scicluna ripete che solo un trattamento che offra una ragionevole speranza di beneficio è moralmente accettabile. Perché? Perché la vita è un valore fondamentale, non assoluto. Infine, la decisione di fine vita, sempre molto difficile, dipende anche dalla collaborazione di medici, personale infermieristico e altre figure professionali rilevanti come psicologi, teologi ed eticisti.

In conclusione, speriamo che tutte queste idee basate sulla nostra ricerca da una prospettiva cattolica cristiana dimostrino la nostra comune preoccupazione e il nostro amore per questi pazienti gravemente malati. Essi attestano la natura genuina e disinteressata dell'amore cristiano che si esprime, anche se coloro che lo ricevono continuano a non mostrare alcun apprezzamento, anche se apparentemente non sono affatto consapevoli di questa presenza amorosa. Che è indirizzata non solo quindi a chi ci può ringraziare in qualche modo.

 

Inocent Mária V. Szaniszló OP

 

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NOTE

1 La sedazione generalmente è praticata non più con oppioidi, ma con benzodiazepine (es. midazolam), raramente con i neurolettici, e quasi mai con la morfina. La morfina entra nella miscela della sedazione quando il paziente ha un dolore non altrimenti governabile, un respiro affannoso che determina molta sofferenza o comunque altre condizioni di dolore diffuso come metastasi ossee che non consentono neppure minimi movimenti senza scatenare violenti dolori.

2 I tubi nasogastrici vengono inseriti e posizionati attraverso il naso, lungo l'esofago e nello stomaco e non necessitano di intervento chirurgico; i tubi per gastrostomia vengono inseriti attraverso l'addome nello stomaco per mezzo di un'incisione chirurgica; i tubi per jejunostomia vengono inseriti chirurgicamente attraverso l'addome direttamente nell'intestino tenue; i tubi per nasojejunal vengono inseriti gastroscopicamente attraverso il naso fino al jejune e non necessitano di un'incisione attraverso lo stomaco (Paštéková, 2014). La nutrizione parenterale totale è infusa in una grande vena (Flynn 1990, 2).

3 Per la prima volta nel 1967, nel saggio La formazione dello Stato come processo di secolarizzazione, Böckenförde aveva mostrato come l'ordine politico nella storia moderna della secolarizzazione "si libera da un dato mondo religioso-politico di unità" e ne aveva formulato il risultato come segue: "Lo Stato liberale e secolarizzato vive di condizioni che non può garantire a sé stesso". Quando gli è stato chiesto cosa significasse, Böckenförde ha risposto al quotidiano nel 2009 che lo Stato doveva fare affidamento su "i cittadini che hanno certi atteggiamenti di base e un'etica che sostiene lo Stato" perché altrimenti sarebbe stato difficile "attuare una politica orientata al bene comune". Böckenförde ha protestato contro un malinteso puramente religioso di questo ethos: la società ha bisogno di un consenso di base sulle idee comuni per agire in solidarietà (von Thadden 2019).

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