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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

classica

 

Nota editoriale:

Una buona esposizione globale della posizione del De Vitoria sulla guerra è quella facilmente accessibile di Giuseppe Tosi
https://www.juragentium.org/topics/wlgo/it/tosi.htm

Mentre la traduzione e il commento di Carlo Galli resta un classico:
F. de Vitoria: De Jure Belli, Laterza 2005.

 

pdfDe Vitoria tiene lezioni sulla Carità (si noti bene: non sulla Giustizia!) nel 1534 a Salamanca. In quel periodo Carlo V combatte su tutti i fronti europei e mediterranei.
I suoi studenti e segretari prendono note e queste saranno pubblicate dopo la sua morte.

Il breve testo, estrapolato da F. Compagnoni, costituisce il suo commento a:
Summa Theologiae di Tommaso d’A., II-II q. 40, art 1: Se fare la guerra sia sempre peccato.
L’originale latino qui tradotto si trova in:
Comentarios a la secunda secundae de santo Tomás / Francisco de Vitoria; edición preparada por el p. Vicente Beltrán de Heredia. Convento de Santo Esteban, Salamanca.
Vol. 2: De caritate et prudentia (qq. 23-56). 1932.

Si ponga attenzione ai soli quesiti n. 11. 12. È evidente la posizione di transizione dagli usi guerreschi medievali agli inizi del diritto umanitario in bello.
Riassumendo il pensiero dell’autore: quando la guerra è giusta, lo scopo giusto è la vittoria. Si possono uccidere quindi i nemici pericolosi e, a certe condizioni, anche i civili inermi, per raggiungerla. Per la vittoria si possono anche concedere pratiche (allora molto praticate…) come il saccheggio e distruzione delle città, se senza di esse non si può raggiungere la vittoria, sempre legittima perché perseguita in una guerra giusta.

Per il contesto militare (ad es. come erano impiegati e pagati i soldati, le loro rivolte, ecc,) si vedano gli scritti molto documentati (anche sui dibattiti teoretici dell’epoca) di Geoffrey Parker, La rivoluzione militare. Le innovazioni militari e il sorgere dell'Occidente, Il Mulino, 2014; L’imperatore, vita di Carlo V, Hoepli 2021; Un solo re, un solo impero. Filippo II di Spagna, Il Mulino 2005.

 

***

 

Francisco de Vitoria (1483-1546)

Per la vittoria in una guerra giusta si può usare qualsiasi mezzo, se proprio necessario

[…]

9. Ci si chiede se sia lecito uccidere durante la guerra. Rispondo che, se è necessario alla vittoria, lo è, come lo è uccidere certi uomini che perturbano la società (rempublicam)

10. Un dubbio: Supponiamo che gli spagnoli vincano e non siano minacciati da pericoli ma i nemici fuggano. È lecito inseguirli ed ucciderli, mentre ormai la loro morte non è necessaria alla vittoria?
Rispondo che è assolutamente lecito ucciderli. Il motivo è il re ha il potere di uccidere non solo per recuperare beni ma anche di punire i nemici, dopo che [i propri soldati] sono entrarti nella città. Come il re può uccidere alcuni cittadini che hanno incendiato la città e non solo confiscare i loro beni.
Questo è evidente, perché se non si potessero uccidere, non si potrebbero evitare le guerre, perché subito dopo lo rifarebbero [incendiare]. Secondo. Affermo che non sarebbe lecito uccidere tutti i nemici, ma bisogna essere moderati (adibendus est modus). Come il re non può punire tutti i cittadini di questa città, che si sono ribellati contro di lui, ma può ucciderne alcuni.
[… seguono alcune distinzioni in favore della non uccisione]

11. Si pone la questione se in quella guerra si possano uccidere i bambini. Io ne ho discusso con qualcuno del Consiglio del Re [Carlo V]. Lui sosteneva che va considerato la possibilità di uccidere tutti al fine di avere buone guerre (bona bella)
Io affermo: Primo. Tutti coloro che possono portare armi sono da ritenersi pericolosi, perché si presuppone che difendano il re nostro nemico. È lecito ucciderli, almeno che non consti il contrario, cioè che non sono pericolosi. Secondo. Che quando è necessario uccidere degli innocenti per avere la vittoria, questo è lecito. Come quando per conquistare una città è necessario cannoneggiarla [bombardearla, in spagnolo nell’originale latino]. Da questo segue che consegua la morte di innocenti, ma questo è per accidens. Non c’è nessun dubbio su questo, come quando si espugna un castello. Terzo. Quando una città è stata conquistata, e questi innocenti non mettessero in pericolo la vittoria, allora non è lecito al re uccidere tali innocenti, come sono i bambini, i religiosi e i chierici che non aiutano contro di lui. La ragione è chiara: costoro sono innocenti e nè è necessario ucciderli per conseguire la vittoria. È eretico dire che vanno uccisi comunque. E non si può uccidere intenzionalmente gli innocenti se è possibile distinguerli da altre persone pericolose.

12. Ci si chiede se durante una guerra giusta sia lecito concedere che una città sia saccheggiata, distrutta e passata a fil di spada (dare in praedam civitatem, in direptione ed in gladium). Sembrerebbe di sì, perché non si potrebbe conquistarla diversamente. In tal modo i (nostri) soldati combattono con più impegno e i nemici hanno più paura. Questo è necessario per acquisire la vittoria.
In contrario: ne segue però la morte di innocenti, per cui non è lecito.

Rispondo che se questo non è necessario alla fine della guerra, coloro che permettono questo peccano gravemente. Secondo. Dico che se questo è necessario, i comandanti possono concederlo, ma i soldati non posso farlo di propria iniziativa. I comandanti possono permettere il saccheggio delle città nelle guerre contro i mori [cioè i mussulmani e i turchi]. Non perché sono mori, ma perché occupano nostre proprietà e la guerra è giusta. Questo sarebbe lecito anche tra cristiani. Terzo. I comandanti debbono esortare i propri soldati a non uccidere gli innocenti. Ma anche se sapessero che i propri soldati produrranno molti mali, possono comunque permetterlo (bene tamen possunt hoc permittere).

[…]

 

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