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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences
aquino
 
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396 - Vedendo le folle, Gesù, Qui il Signore propone la sua dottrina.
 
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403 - Sopra [n. 396] l'Evangelista ha posto come un breve titolo dell'insegnamento di Cristo, ora pone l'insegnamento stesso, e il suo effetto, cioè lo stupore delle folle.
Bisogna a questo punto considerare che, secondo sant'Agostino, in questo discorso del Signore è contenuta tutta la perfezione della nostra vita. E lo prova in quanto il Signore aggiunge il fine al quale conduce, ossia a una certa promessa (repromissionem aliquam). Ora ciò che sommamente l'uomo desidera è la beatitudine.
 
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404 - Bisogna però notare che qui vengono affermate molte cose sulle beatitudini, tuttavia nessuna potrebbe parlare delle parole del Signore così sottilmente da raggiungere il proposito del Signore. Bisogna anche sapere che in queste parole è inclusa ogni piena beatitudine: tutti gli uomini infatti desidera la beatitudine, ma differiscono nel giudizio su di essa; quindi alcuni desiderano questo, altri quest'altro.
 
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419. - Beati i miti. 
 
Questa è la seconda beatitudine; ma perché qualcuno non dica che per la beatitudine basta la povertà, mostra che non basta; anzi, si richiede la mansuetudine, che modera quanto all'ira, come la temperanza quanto alla concupiscenza: infatti è mite chi nemmeno si irrita (nec irritatur). Ora, può accadere grazie alla virtù che tu non ti adiri se non per una causa giusta; ma se non lo fai nemmeno avendo una causa giusta, ciò è sopra il modo umano; per questo dice: Beati i miti. 
 
Il combattimento infatti è in vista dell’abbondanza delle cose esteriori; per cui non ci sarebbe mai turbamento se l'uomo non bramasse le ricchezze; e così quelli che non sono miti non sono poveri di spirito. E per questo aggiunge subito: Beati i miti.
 
E nota che ciò consiste in due cose. Primo, che l'uomo non si adiri; secondo, che se si adira, moderi l'ira. Così dice sant' Ambrogio: «Appartiene al prudente moderare i moti dell'ira, e si dice che non è minore virtù adirarsi moderatamente che non adirarsi del tutto; e io ritengo che per lo più questo è più lieve, quello più forte» ecc. 
 
420.  
 
Il Crisostomo dice: «Fra le molte promesse eterne ne pone una terrena». Per cui, letteralmente, questa terra la posseggono i miti. Infatti molti litigano per avere possedimenti, ma spesso perdono la vita e ogni cosa; invece i miti spesso hanno tutto; Sal. 36, Il: «I miti possederanno la terra». 
 
Ma ciò si spiega meglio riferendolo al futuro. E allora si può spiegare in vari modi. Sant'Ilario così: Possederanno la terra, cioè il corpo di Cristo glorificato, poiché saranno conformi nel loro corpo a quello splendore; Is 33,17: «I tuoi occhi vedranno il re nel suo splendore, contempleranno un paese sconfinato»; Fil 3,21: «Trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso». 
 
Oppure diversamente. Questa terra adesso è dei morti, poiché è soggetta alla corruzione, ma sarà liberata dalla corruzione, secondo l'Apostolo, Rm 8,21. Quindi la terra presente, quando sarà glorificata e liberata dalla schiavitù della corruzione, sarà chiamata terra dei viventi. Oppure per terra si intende il cielo empireo, nel quale si trovano i beati; ed è chiamato terra poiché, come la terra sta al cielo, così quel cielo al cielo della Santa Trinità. Oppure possederanno la terra, cioè il loro corpo glorificato. 
 
Sant' Agostino dà una spiegazione metaforica, e dice che con ciò va intesa una certa solidità dei santi nella conoscenza della prima verità; Sal 26,13: «Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi». 
 
42l. - Questa seconda beatitudine si adatta al dono della pietà: poiché si adirano, propriamente, quanti non sono soddisfatti dal divino ordinamento.
 
 
 
Riquadro editoriale per questa pagina classica:
Tommaso D'Aquino, Commento al Vangelo secondo Matteo, capitoli 1-14, I Talenti, ESC & ESD, Bologna 2018. pp. 385 e 387.
Il testo originale viene comunemente datato 1269-1270 e si ritiene scritto a Parigi. 
Per i problemi della trasmissione del testo tomasiano si veda: J.-P. Torrell, Amico della Verità. Vita e opere di Tommaso D'Aquino, EDS, Bologna 2017 3 ed., pp.110 es.
 
 
 
NOTA ESPLICATIVA   di Francesco Compagnoni
 
Nel campo degli studi di storia delle teorie della guerra Tommaso è noto per la sua teoria della guerra giusta. In parte ripresa da S. Agostino, è stata per secoli la dottrina delle chiese cristiane e degli Stati e culture in qualche modo legati ad esse.
Meno noto è che Tommaso nella Somma Teologica ne parla non nella trattazione sulla Giustizia ma tra i peccati contro la Carità, la massima delle virtù cristiane. È la domanda alla quale egli risponde esplicitamente: È sempre peccato fare la guerra? (S.Th. II-II, 40). Questa questione è del 1271-1272.
Si noti che nella Summa si parla a livello di etica politica, mentre nel Commento l'orizzonte è sempre più centrato sulle singole coscienze.
 
Questo accostamento fa pensare comunque che Tommaso sia a cavallo delle due tradizioni cristiane della non violenza e della guerra giusta. Sono due fili rossi paralleli nella tradizione che non si elidono mai completamente, ma che appunto sono sempre pronte a riaffiorare in tempi ed ambienti differenti. La divaricazione è iniziata alla fine del IV secolo. La Vita Martini di Sulpicio Severo (ca. 397) ne è la testimonianza. È Martino di Tours, quello che trancia con la spada il suo mantello militare.
 
Il testo tomassiano su Matteo ci sembra una conferma. Per Tommaso l'ideale, la mitezza, è qualche cosa che ci trasporta per la sua realizzazione piena nel trascendente. Non nell'utopia, si noti bene, ma nella realtà dell'assoluto di Dio, cioè nell'eternità. Per accettare questo è necessario credere in Dio e nell'assolutezza della libertà umana.

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