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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

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Composizioni musicali comuniste: il dibattito storico sulla missione politica dell’artista.

pdfIl rapporto fra musica e politica – trattato nel saggio dal titolo “Musica politica. Dal canto sociale all’inno di partito”1 – appare nei diversi momenti storici dell’Ottocento e del Novecento, segnalandosi come un tema articolato e complesso. La ricca produzione di sinfonie, marce, inni e canzoni di contenuto politico mostra, in effetti, l’esistenza di un legame stretto tra l’espressività musicale e le istanze politiche e sociali.

Ma insieme ai repertori sono le riflessioni teoriche e i dibattiti intorno a quale musica possa meglio servire la causa politica ad indicare il ruolo cruciale che l’arte musicale ha svolto nella rappresentazione dello Stato, dei conflitti sociali, delle istanze di parte. Ogniqualvolta la musica esprime contenuti politici finisce per suscitare riflessioni profonde e accesi contraddittori, giacché la valenza estetica del prodotto musicale non può essere scissa da una valutazione di natura politologica.

La distinzione polemica fra il canto anarchico e quello propriamente politico – che viene trattata in una parte del saggio - sembra collegata al dibattito sul ruolo storico dei partiti. Su un altro fronte, il dibattito sulle avanguardie artistiche e il potere sembra portare l’attenzione sul problema del dirigismo e della pedagogia politica; mentre la questione relativa al rapporto fra cultura popolare e cultura di massa sembra evidenziare il travagliato passaggio dalla lotta di classe ad assetti di partito più compositi ed estesi.

Quella parte del canto sociale di stampo anarchico, genericamente polemica e oppositiva, che si sviluppa nel corso dell’Ottocento, viene fatta oggetto di critiche da parte di intellettuali e politici (in particolare Antonio Gramsci ed Alberto Asor Rosa) che vedono la musica come strumento da utilizzare non già in modo estemporaneo e per un fine genericamente espressivo ma per un preciso obiettivo politico. La valutazione sulla qualità del prodotto musicale deriva dunque dalla sua funzionalità rispetto allo scopo, laddove la politica è concepita come attività che reclama di essere organizzata e disciplinata all’interno di un partito.

Del resto, il grande fenomeno che emerge nella seconda metà dell’Ottocento è proprio la costituzione dei partiti e lo sviluppo delle organizzazioni sindacali, soggetti che hanno la missione di canalizzare i conflitti sociali e i temi d’interesse collettivo all’interno di una determinata ideologia, e di un’attività programmatica che deve estendersi ad ogni aspetto della vita della comunità, compreso quello relativo alla musica. L’insofferenza verso i repertori musicali anarchici è probabilmente il riflesso delle riserve che un partito politico può avere nei confronti di coloro che esprimono il proprio dissenso in forme istintive e disorganizzate. Altro tema di dibattito è, come anticipato, quello del rapporto fra politica e avanguardie musicali.

Le innovazioni in campo musicale, come quelle sviluppatesi con la rivoluzione russa, hanno infatti sollevato la questione relativa al rapporto fra il singolo artista e l’interesse collettivo. Quella della rivoluzione russa è un’esperienza che porta alla ribalta, contestualmente, una classe intellettuale che guida il processo ed una massa popolare che al processo conferisce coralità e sostegno.

Il portato di tutto questo sarà, come noto, il consolidamento di un apparato oligarchico che gestisce la vita pubblica in nome del superiore interesse del popolo, e che censura i contributi individualistici vale a dire non omogenei con la dottrina ufficiale. Il riflesso in campo musicale di un tale travaglio è la difficile coesistenza di una produzione d’avanguardia, frutto di una intellighenzia artistica che vede le forme espressive e il genio creativo del singolo come vettori della trasformazione sociale, e di una produzione di stampo tradizionale che vuole assecondare, senza forzature estetiche e concettuali, la sensibilità della gente comune.

La musica d’impegno politico può presentare una forma più canonica e condivisa, ed una forma che appare invece convincente solo in ordine alla creatività e alla sensibilità individuale dell’autore, e che non necessariamente riesce ad esprimere con efficacia le istanze collettive.

La questione riguarda in sostanza l’efficacia del prodotto musicale, e il rischio che la sensibilità del singolo compositore lo porti verso un’estetica autoreferenziale, inefficace a promuovere una causa d’interesse comune. Di fatto, dopo avere svolto un ruolo propulsivo nella prima fase della rivoluzione, gli artisti russi vedono ridursi in modo drastico i loro spazi di libertà, in conseguenza di un centralismo politico e amministrativo che per sistema deve contrastare l’iniziativa individuale – sulla quale si proietta il sospetto di un intellettualismo borghese – e dettare i propri canoni.

In un saggio sul realismo musicale sovietico pubblicato nel 1974, Malcolm Brown descrive i concetti di “Intonazia” e di “Immagine musicale” – così come li concepisce Boris Vladimirovich Asafyev, musicologo e critico musicale, oltre che compositore, scomparso nel 1949 dopo essere stato l’unico musicista chiamato a far parte dell’Accademia sovietica delle scienze – quali elementi base della costruzione e comprensione del brano musicale.

In sintesi, l’Intonazia consiste negli stimoli sonori che possono essere automaticamente associati a delle realtà o a dei simboli di dominio comune, come il frusciare del vento, il pianto di un bambino, le sirene di una fabbrica o il tonfo di una bomba.

09 rossi 1Facilmente decifrabili sono anche le intonazie associate alla danza o alle arti figurative, dove il suono può essere legato a movimenti e forme fisiche che creano un contesto interpretativo e rendono più esplicito il significato dell’opera. L’Immagine musicale consiste invece nel modo in cui l’intonazia viene composta all’interno del testo musicale e collegata con l’insieme delle altre sonorità. Un esempio dell’utilizzo di stimoli musicali basici a fini evocativi e descrittivi viene individuato nella Settima Sinfonia “Leningrado” di Šostakóvič, composta ed eseguita, come noto, durante l’assedio della città russa da parte delle truppe tedesche, e costruita con sonorità che alludono al rumore delle bombe, e delle sirene antiaeree.

In base a questa teoria, la costruzione del significato dell’opera musicale avverrebbe mediante una serie di associazioni che il pubblico può fare tra gli stimoli sonori che richiamano le esperienze della vita reale e la narrazione complessiva dell’opera, partecipando con il proprio vissuto alla rappresentazione che il compositore intende offrire. Sarebbe proprio questa opportunità di utilizzare sonorità e costrutti musicali già presenti nel comune patrimonio simbolico, e quindi già significanti per il pubblico popolare, a garantire una sostanziale aderenza dell’opera a quella realtà delle cose che è il denominatore comune dell’esperienza umana e che l’arte sovietica si impone di rappresentare.

Le critiche che la stampa sovietica riserva alle opere musicali appaiono oggi speciose e pesantemente ideologiche, ma la pervicacia con la quale gli apparati e la stampa di regime valutano i prodotti musicali sono la conseguenza di una visione dirigista della politica stessa. Il “realismo” a cui è improntata l’arte sovietica, infatti, non è una rappresentazione della realtà piatta e senza filtri, ma la proiezione di ciò che le cose diverranno con la piena affermazione del socialismo. Per servire a questo scopo la musica deve fondere proprio la concretezza dell’esperienza comune con l’immaginazione e la capacità proiettiva dell’artista.

Ancora una volta la musica politica, per proprio statuto, deve offrirsi non come puro prodotto estetico ma come vettore di un significato, e ciò implica – come nel caso descritto – una riflessione di natura semiotica sul processo di significazione e sulla possibilità di rendere la comprensione di un brano musicale il più possibile “oggettiva”. Nei contesti politici più estremizzati il processo di significazione viene analizzato meticolosamente, proprio perché alla musica possa essere attribuito il carattere di un codice inequivoco, decifrabile da ogni tipo di pubblico, riflesso fedele di una pedagogia che è determinante nell’affermazione e nel consolidamento del sistema politico.

Il rapporto fra l’avanguardia e il sentire popolare è un tema presente anche in Italia. Tra le polemiche che animano la sinistra negli anni del dopoguerra basta segnalare quella tra il leader del Partito Comunista Palmiro Togliatti e il musicologo torinese Massimo Mila. Togliatti si scaglierà contro le produzioni musicali sperimentali per ribadire che l’arte alta è quella dei Mozart, dei Bellini o dei Rachmaninov.

Massimo Mila non tarderà a replicare, intanto rilevando l’incompetenza dei politici a parlare di musica e considerando i giudizi del leader comunista viziati da un gusto musicale stantio; e poi osservando in modo caustico come l’atteggiamento di Togliatti, che parla di degenerazione nell’arte e che liquida con asprezza di toni la ricerca musicale di alcuni autori, risulti paradossalmente simile a quello delle censure messe in atto dai regimi nazista e fascista.

Il tema del rapporto fra la sperimentazione musicale e la cultura popolare si troverà – come segnalato nel saggio - anche nell’esperienza artistica di Luigi Nono, che rivela visioni politiche differenti all’interno della sinistra, e del PCI in particolare. Per un Partito Comunista che aspira ad esercitare un’egemonia politica nel contesto della democrazia italiana le connessioni con il mondo intellettuale e con la cultura ufficiale debbono essere ampie, mentre appare rischioso addentrarsi sul terreno di una controcultura che, votata alla ricerca di linguaggi e forme che celebrino il rinnovamento radicale della vita sociale, possa spingere la sinistra in un ghetto autoreferenziale e in ultima analisi impopolare.

Con lo strutturarsi dei grandi partiti di massa e con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione la produzione musicale a sfondo politico è ancora una volta oggetto di un dibattito a tutto campo, centrato sull’opportunità o meno di difendere le forme tradizionali dall’assalto dell’industria culturale, e in particolare sulla possibilità di definire una cultura artistica comunista che si distingua rispetto ai grandi patrimoni della cultura “tout court”. Un confronto serrato che vedrà protagonista una scuola di etnomusicologia come quella di Ernesto de Martino, volta a difesa delle più profonde tradizioni contadine e regionali come espressione di un patrimonio incontaminato; e che vede però importanti settori del Partito Comunista ripiegare su una strategia pragmatica, mirante a far coesistere una produzione culturale originaria con una produzione invece commerciale e di massa che si va affermando a partire dal dopoguerra e che avrà grande appeal anche per il vasto elettorato comunista.

 

Girolamo Rossi

 

NOTE:
1 Girolamo Rossi, Musica politica. Dal canto sociale all’inno di partito, Castelvecchi, Roma 2022, 252 pp.

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