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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

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Gianfranco Miglio
La lezione del realismo.
Scritti brevi sulla politica internazionale, l’Europa, la Storia (1945-2000)

A cura di Damiano Palano
Rubbettino, 2022, pp. 344, 28 €.
https://www.store.rubbettinoeditore.it/catalogo/la-lezione-del-realismo/

 

Fu vero realismo?

pdfDi Gianfranco Miglio, la vulgata della comunicazione politica richiama soprattutto i trascorsi leghisti, quando negli anni novanta dello scorso secolo il professore comasco finì a fianco di Umberto Bossi come ideologo e parlamentare della Lega Nord-Lega Lombarda. In realtà quell’attività, nell’arco lungo e vario di vita (1918-2001) e di esperienze politico-intellettuali, fu relativamente breve e può essere considerata una parentesi.

Giustamente il libro curato dal prof. Damiano Palano, ordinario di Filosofia Politica e direttore del dipartimento di Scienze Politiche dell'università Cattolica del Sacro Cuore, accantona l’impegno politico del professore comasco (dal 1943 al 1968 fu con la Democrazia Cristiana, negli ultimi anni di vita militerà con il secessionismo padano), per concentrarsi sul contributo saggistico offerto a molti filoni del pensiero politico contemporaneo, con spiccata attenzione a quelli collegabili al federalismo e agli affari internazionali.

Gli articoli e saggi del volume sono organizzati su due periodi: il dopoguerra del “nuovo ordine” (1945-1960), il “lungo tramonto dell’ordine bipolare” (1975-2000). È una scelta che privilegia le analisi di Miglio sulle questioni internazionali, relegando in secondo piano gli scritti di sociologia politica e politologia dedicati alle faccende domestiche. Se ne ha evidenza nell’appendice, dove Palano pubblica appunti dal “Seminario su Politica e relazioni internazionali” che, nel 1990, un Miglio, professore ormai fuori ruolo, tenne alla facoltà di Scienze Politiche della Cattolica, della quale era stato preside per trent’anni dal 1959 al 1989. Con esplicito riferimento ai propri saggi Guerra, pace e diritto e La sovranità limitata, l’ex preside spinge temi come la mafia, i fattori di aggregazione negli stati, “le interferenze tra contratto-scambio e obbligazione politica” nell’alveo della metodologia analitica internazionalista, partendo dai “riflessi dei rapporti internazionali nella sfera interna alla sintesi politica”.

Mentre sul piano politico si sta imbarcando in un’avventura di estremo provincialismo, sul piano intellettuale si afferma come un innovatore che si oppone al vezzo italiano di rinchiudere la politica, la politologia, la sociologia politica nell’asfissia della politica domestica, utilizzando i grandi temi della politica internazionale per le beghe interpartitiche e le minuzie della lotta quotidiana per il mantenimento o la conquista del potere. È che il comasco alle questioni del sistema internazionale aveva cominciato a guardare già negli anni studenteschi, formandosi alla scuola giuridica internazionalista di un Giorgio Balladore Pallieri futuro giudice e presidente della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, e laureandosi in Cattolica (1940) con una tesi su Origini e i primi sviluppi delle dottrine giuridiche internazionali pubbliche nell'età moderna.

Questi “Scritti brevi sulla politica internazionale, l’Europa, la Storia” editati da Palano, documentano l’evoluzione nell’arco di mezzo secolo di un pensiero che, partendo dalla formazione giuridica, passando per lo studio approfondito della storia e delle ragioni degli accadimenti là narrati, conclude che la natura degli stati è inevitabilmente bellicosa e aggressiva. Da lì l'auspicio che almeno l’Europa generatrice e insieme vittima delle due grandi guerre del novecento, riesca a rendersi indenne dagli effetti di quella malvagia natura, che il realismo ha giudicato inguaribile opponendole l’equilibrio della forza con il build-up di armamenti che eviti la mutual assured destruction.

La riflessione migliana, pur riconducibile al filone espresso dai vari J. Morgenthau, Edward E. Carr, Kennet Waltz, se ne distingue - come correttamente osserva Palano – per il persistente richiamo a fattori altri rispetto alla forza, che oggi, con Nye, potremmo definire di soft o sharp power. Troppo pressanti, nel percorso che lo studioso comasco testimoniava nell’attività accademica politica e giornalistica - le esigenze, anche etiche, come il federalismo degli stati e l’autonomia dei soggetti politici collettivi, per non pesare sul suo rapporto intellettuale con un realismo che pure avrebbe continuato a condividere.

L’impronta federalista e il favore per il localismo, - limite allo strapotere degli stati nazionali - trovavano naturale sbocco nell’avversione migliana al nazionalismo becero e bellicista che chiamava, già nel primo articolo pubblicato sul Cisalpino all’indomani della fine della Seconda guerra mondiale, “rabbioso”. Il professore tornerà più volte contro la cultura politica della guerra instillata nei popoli dal “nazionalismo rabbioso”, spendendosi sempre, pur nel filone del realismo, contro la Machtpolitik.

Con quelle premesse precoci, si troverà già da giovane a riflettere sulla Humana Respublica e su come i pensatori cristiani – in particolare i padri dei primissimi secoli e gli epigoni dell’evo di mezzo - avessero contribuito alla sua concettualizzazione. Più avanti negli anni, arriverà a convincersi che sarà impossibile difendere le ragioni della pace e cancellare la guerra senza lo ius publicum europeum, naufragato nella dissoluzione dell’universalismo medievale e nella nascita dei bellicosi e “rabbiosi” stati nazionali. Peccato per il professore comasco, non aver compiuto il passo successivo, ovvero l’identificazione del come, nella contemporaneità, quello ius – ormai da intendere come globale, visto che tra i cambiamenti imposti dalla storia stava arrivando una comunità mondiale nella quale l’Europa era destinata a recitare una parte sempre più minuscola - potesse essere generato.

Non poteva farlo, essendo finito in “cattive” compagnie. In uno dei tanti percorsi ai quali lo guidavano un intelletto sempre sveglio e curioso, Miglio aveva incontrato Carl Schmitt e la sua distinzione tra amicus e hostis. Scriverà negli anni settanta che il tedesco gli aveva dimostrato che “ovunque c’è ‘politica’ là s’incontra l’antitesi ‘amico-nemico’, e che ogni raggruppamento politico si costituisce sempre a spese di, e contro un’altra porzione di umanità”.
L’autore non aveva notato che nella vecchia malandata Europa nel frattempo era nato un raggruppamento politico di stati che non aveva avuto bisogno di nemici per costituirsi, ed era così poco schierato contro qualsiasi “altra porzione di umanità” da meritare presto il premio Nobel per la Pace.

 

 

Luigi Troiani

BORSE DI STUDIO FASS ADJ

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