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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences



Guerra e ambiente: una stretta connessione

 

 

INTRODUZIONE

PDF file is comming soon...La relazione tra guerra e ambiente è un tema di cui si è presa consapevolezza in tempi relativamente recenti, specialmente nel secondo dopoguerra, sia per una generale maggiore sensibilità nei confronti della tutela dell'ambiente sia, soprattutto, per l'evolversi della tipologia, modalità ed estensione dei conflitti armati, che vedono l'impiego di tecnologie sempre più sofisticate e invasive nei confronti delle risorse naturali. La guerra in Vietnam (1955-1975) è il primo evento che ha messo in evidenza come un conflitto armato può arrecare non solo la perdita di vite umane, ma anche un grave danno ambientale. Nello specifico la vasta deforestazione e l’utilizzo di erbicidi, utilizzati come strategia di attacco, hanno danneggiato un decimo del territorio nazionale e l’impatto di esplosivi sulla flora e sulla fauna hanno arrecato ingenti danni, spesso irreversibili, agli ecosistemi (Parkinson e Cotrell, 2022). Purtroppo in modo ancora più evidente, l’utilizzo della bomba atomica nella seconda Guerra Mondiale ha segnato il culmine di come una guerra possa causare una devastazione allo stesso tempo umana e ambientale.

Tra guerra e ambiente la relazione è complessa e articolata e certamente con ricadute estese nel tempo e nello spazio ben oltre i semplici confini delle aree coinvolte.

 

LE RISORSE NATURALI: ELEMENTI INNESCANTI E STRATEGICI NEI CONFLITTI

Da sempre la ricerca di nuove terre da abitare e coltivare, il possesso di luoghi militarmente strategici, la possibilità di accesso a risorse naturali economicamente rilevanti (minerali, acqua, metalli preziosi...) hanno costituito un fattore d’interesse per le varie popolazioni e nazioni, diventando spesso elementi determinanti l'innesco di conflitti o di guerre. In altri casi le motivazioni ambientali possono essere più velatamente sottese ad interessi di altra natura o essere concause aggravanti di situazioni già critiche.

È da notare come la ricerca e l’accaparramento di risorse naturali da parte delle popolazioni sia mutata nel tempo, come conseguenza dell’evoluzione socio-economica e tecnologica. Pertanto anche i territori oggetto d’interesse e di conquista sono variati nel corso della storia: se in passato per un popolo era determinante l'accesso a grandi corsi d'acqua e a terre fertili, più recentemente sono diventati oggetto d’interesse economico e politico i territori ricchi di combustibili fossili, di metalli preziosi e, negli ultimi decenni, le aree in grado di fornire i materiali impiegati nelle nuove tecnologie, quali ad esempio, le cosiddette “terre rare”. Non a caso sono oggi di grande interesse le aree che detengono le maggiori riserve di terre rare mondiali: la Cina (37%), gli Stati Uniti (12%) e il Myanmar (10,5%).

Un ulteriore elemento naturale che si prevede sarà sempre più motivo di conflitti è l'acqua potabile, ormai diventato un bene raro spesso conteso tra le nazioni: ne è prova il fatto che un miliardo della popolazione mondiale vive con meno di 5 litri di acqua al giorno a fronte del fabbisogno medio pari a 20 litri (CDCA, 2021).

Allo stesso tempo le risorse naturali, oltre ad essere obiettivi strategici, possono essere utilizzate anche come vere e proprie "armi" e strumenti di guerra: è il caso dell'abbattimento di dighe per inondare e devastare interi territori, come accaduto per l’alluvione del Fiume Giallo provocata nel 1938 dal governo cinese per fermare l’avanzata giapponese durante la seconda Guerra Mondiale; oppure l’esplosione di pozzi petroliferi, come di recente accaduto nella base petrolifera di Mykolaiv in Ucraina, possono determinare devastanti incendi a spese delle aree boschive. Non di rado le stesse risorse naturali sono utilizzate anche come strumenti politici in quanto oggetto di contrattazione politica internazionale.

Se in generale si può affermare che le questioni ambientali sono spesso motivo d’innesco di conflitti, molto più frequentemente sono concause che vanno ad aggravare situazioni già critiche dal punto di vista politico ed economico. Ne sono un esempio la guerra civile siriana e gli scontri tra pastori e agricoltori del Sahel, dove la siccità e la desertificazione, provocata dalle avverse condizioni climatiche, sono concause dei conflitti in atto.

 

 

L’AMBIENTE TRA LE “VITTIME DI GUERRA”

Se da un lato le risorse naturali sono motivo di conflitti, dall'altro l'ambiente stesso ne è spesso una vittima, in quanto colpito e danneggiato nella ricchezza e varietà del suo patrimonio e degli ecosistemi.
Tale aspetto è più rilevante di quanto si possa immaginare a prima vista, in quanto l’impatto di una guerra sull’ambiente ha conseguenze dirette, ma anche indirette, effetti immediati come anche effetti collaterali. Inoltre è importante evidenziare come tali fattori interessino tutte le fasi di una guerra, seppure in modo e intensità differente (UNEP, 2009). In particolare si possono distinguere relazioni tra ambiente e guerra nelle seguenti fasi di un conflitto:


1) fase preparatoria pre-bellica;
2) fase di innesco e culmine del conflitto;
3) fase di mantenimento durante il conflitto;
4) fase post-bellica a breve e a lungo termine.

Di seguito saranno analizzati alcuni aspetti dell’impatto ambientale nelle diverse fasi di un conflitto.

 

1 - Fase preparatoria pre-bellica

Durante la fase preparatoria, che può durare anche molti anni, le industrie produttive di armamenti devono necessariamente fare ricorso all'approvvigionamento di materie prime di base (metalli, minerali, legname, combustibili...) e, sempre più, a materie prime specifiche per la realizzazione di armi di nuova generazione. A tal proposito è da considerare che le modalità estrattive, i quantitativi di materie prime richiesti, non seguono certamente criteri di sostenibilità o di salvaguardia dell'ambiente, ma hanno come unico obiettivo la costruzione di un arsenale bellico efficiente e all’avanguardia.

Inoltre il settore militare, anche in assenza di un conflitto armato, richiede un mantenimento che consiste nel consumo di suolo per l’installazione di basi militari e in continui finanziamenti statali che vanno dirottati sugli armamenti a scapito di altri investimenti d’interesse pubblico. Un recente rapporto di Greenpeace (2021) ha evidenziato come, solo in Italia nel 2019, oltre 2 miliardi di euro siano stati spesi per l’estrazione di fonti fossili finalizzate a missioni militari.

Inoltre in tempo di guerra o emergenza sono certamente trascurate tutta una serie di attenzioni volte a tutelare l'ambiente e in particolare le azioni di prevenzione e monitoraggio dei rischi naturali e la riduzione degli inquinanti: azioni fondamentali per evitare catastrofi irreparabili e per ridurre l’impatto sui cambiamenti climatici.

 

2 - Fase d’innesco e conflitto aperto

Nella fase d’innesco e apice del conflitto le implicazioni con l'ambiente sono ovviamente più evidenti e incisive: il bombardamento di obiettivi strategici (depositi di petrolio o altri esplosivi) possono generare incendi devastanti, l'utilizzo di mezzi di trasporto da guerra e di armi inquinanti provocano l’emissione di sostanze chimiche nocive per l'aria, il suolo, le falde acquifere e lo spargimento di mine può rendere inutilizzabile il suolo per diversi anni. Anche gli accampamenti militari che di volta in volta devono essere installati e il relativo smaltimento di rifiuti, non hanno certo come priorità quella di essere eco-sostenibili.
Inoltre spesso i “vincitori”, man mano che avanzano, come segno di dominio e di conquista, di proposito devastano e sterminano i territori occupati.

Questi sono solo alcuni dei fenomeni che hanno un forte impatto sul campo di battaglia e non solo, determinando danni spesso irreversibili, quali la distruzione della biodiversità, degli ecosistemi e del patrimonio naturalistico di vaste aree circostanti.

Ad esempio durante la guerra civile in Ruanda sono stati distrutti 105 kmq di foresta in corrispondenza al Parco nazionale di Virunga e nel recente conflitto tra Ucraina e Russia il parco nazionale di Biloberezhzhya Sviatoslava e del Kinburn hanno subito ingenti danni.

 

3 - Mantenimento del conflitto

La durata di un conflitto inoltre è spesso determinata dalla disponibilità di risorse per il suo mantenimento, pertanto la possibilità di accesso e utilizzo di materie prime, tra cui fonti di energia e acqua, è fondamentale.
In tale fase, soprattutto nei conflitti di lunga durata, anche il fattore climatico è un'importante concausa in quanto siccità, rigidità del clima invernale, eventi naturali, come alluvioni o eventi sismici, possono spesso avere un risvolto determinante sull'esito del conflitto; è noto come in passato la rigidità del clima abbia avuto importanti risvolti durante la campagna di Russia (1812), o il terremoto in Siria, nel febbraio del 2023, abbia reso ancora più drammatica la situazione della guerra civile in corso.

 

4 - Fase post-bellica: effetti secondari e collaterali

Al termine di un conflitto le conseguenze sono diverse a seconda ovviamente dell'entità, dell'estensione dello stesso e della tipologia di armi utilizzate. In tempi recenti l'utilizzo di armi chimiche o nucleari hanno certamente determinato conseguenze più devastanti per l'ambiente rispetto a quelle di un tempo, sia per entità che per ripercussioni a lungo termine, come nei casi della contaminazione nucleare che richiede centinaia di anni per essere neutralizzata, o la bonifica di territori inquinati per la fuoriuscita di petrolio o di altre sostanze tossiche che possono perdurare per decenni.

Se i conflitti coinvolgono più nazioni le conseguenze a lungo termine possono essere rilevanti soprattutto per quanto concerne le relazioni import-export di materie prime e di risorse naturali; un esempio è l’avvicendarsi dei numerosi accordi a livello mondiale per l'approvvigionamento di combustibili fossili a seguito della guerra tra Russia e Ucraina con tutte le conseguenze che ne derivano a livello ambientale.

Anche rispetto alle emissioni gassose nell’atmosfera nel corso dei conflitti, un recente report del Conflict and Environment Observatory (Parkinson e Cottrell, 2022) afferma che a livello globale le forze armate sono responsabili del 5,5% delle emissioni di gas serra, ovvero, paragonando il mondo militare a uno stato, quest’ultimo si collocherebbe al quarto posto tra gli Stati più inquinanti, dopo Cina, Stati Uniti e India.

A tal proposito è da evidenziare la necessità di misurare con precisione le emissioni di gas serra legate ai conflitti e al settore militare e di considerarne l’impatto sui cambiamenti climatici; tali informazioni non sono affatto irrilevanti, sebbene l’Accordo di Parigi (2015) abbia lasciato libertà agli stati nel riportare o meno le emissioni del proprio settore militare.

 

5 - Mantenimento della pace

Le questioni ambientali sono anche determinanti per il mantenimento e il consolidamento di condizioni di pace. Infatti è comprovato che, se negli accordi di pace è prevista una corretta ed equa gestione delle risorse naturali, le condizioni di stabilità politica e di pace tra i vari stati limitrofi sono più durature ed efficaci. È infatti fondamentale includere negli accordi politici internazionali post-conflitto e nei processi di mantenimento e costruzione della pace anche questioni inerenti una equa distribuzione delle risorse naturali.

Inoltre sono risultati favorevoli all’edificazione della pace la cooperazione per la salvaguardia di aree di particolare interesse ambientale ed ecosistemico, favorendo progetti transnazionali.

 

 

CONCLUSIONI

In sintesi si può affermare che la relazione tra ambiente e guerra è più rilevante di quanto si possa pensare a prima vista: ha implicazioni a lungo termine, anche decenni, dopo che i conflitti sono conclusi e possono coinvolgere estese aree anche non direttamente coinvolte dalla guerra.

Tutti i suddetti aspetti mettono in evidenza che i conflitti armati e le guerre sono un danno a tutti i livelli, non solo per la perdita di vite umane, di infrastrutture, per danni economici, ma anche per la distruzione di risorse naturali e di biodiversità, che spesso costituiscono un patrimonio naturale e culturale che non potrà mai più essere ripristinato. 

Un motivo in più per promuovere a tutti i livelli una cultura della pace, la necessità del disarmo. Sempre più è evidente la necessità di impegnarsi nel favorire accordi internazionali che considerino anche i fattori ambientali, come elementi fondamentali al fine di costruire una pace solida e duratura tra le nazioni, basata su criteri di giustizia sociale e di una equa distribuzione delle risorse naturali.

 

Stefania Lucchesi

 

 

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

CDCA - Centro Documentazione Conflitti Ambientali. 2021. Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo. Roma.

Greenpeace Climate for Peace Team. 2021. The sirens of oil and gas in the age of climate crisis. Roma: Ed. Greenpeace Onlus.

Parkinson, Stuart e Cottrell Linsey. 2022. Estimating the Military’s Global Greenhouse Gas Emissions. Lankaster, (UK): Ed. Scientists for Global Responsibility (SGR) and the Conflict and Environment Observatory (CEOBS).

UNEP - United Nations Environment Programme. 2009. From conflict to peacebuilding: the role of natural resources and the environment, Policy paper n. 1. Ginevra (Svizzera).

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