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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences



L’impegno della “Regenerative Society foundation” per la definizione e la promozione dell’economia rigenerativa. Il contributo della Dottrina Sociale della Chiesa

 

 

INTRODUZIONE

PDF file is comming soon...Il presente lavoro di ricerca prende il via grazie ad un’esperienza di tirocinio curriculare svolta presso la Regenerative Society Foundation, organizzazione non profit nata nell’ottobre 2020 con l’obiettivo di riunire imprese, altre organizzazioni, istituzioni pubbliche, singoli individui ecc., per promuovere la rigenerazione e quindi l’economia rigenerativa come nuovo paradigma di sviluppo alternativo a quello main stream basato esclusivamente sulla logica del profitto.

Scopo originario dell’internship era di fornire supporto circa l’individuazione di standard e metriche esistenti - e relativi target - che potessero misurare la capacità rigenerativa delle imprese e di conseguenza avvalersene per valutare e quindi finanziare quei progetti che puntavano alla rigenerazione degli ecosistemi e che miravano, in generale, al passaggio da un paradigma estrattivo – tipico dell’economia lineare – a uno rigenerativo.

Tuttavia, è subito emerso un gap di conoscenza, cioè l’inesistenza di una definizione chiara, univoca e, dunque, operativa della “rigenerazione” e dell’“economia rigenerativa” che potesse mettere d’accordo tutti i founders e quindi essere una base dalla quale partire per la ricerca di metriche opportune. Ciascuno dei founders proponeva – e talvolta anche imponeva - una propria definizione, perfettamente calzante con quelle che erano le proprie attività principali e quindi i propri interessi. Come si può, dunque, “misurare” un qualcosa che non è ancora ben definito e soprattutto ben definito da tutti in maniera univoca?

Da qui, il cambio dell’obiettivo del gruppo di lavoro che a questo punto è diventato quello di definire la rigenerazione o, comunque, provarci. Il team ha preferito adottare un approccio bottom-up: partire dall'analisi dei framework-progetti-imprese che si definiscono rigenerativi (includendo anche i termini “restoration” o simili) per avere una casistica ragionata che ha consentito di fare una sorta di stato dell'arte su come a oggi viene interpretata, e possibilmente misurata, la rigenerazione e quindi, l’economia rigenerativa. Ovviamente, per ora, non si è giunti ad una conclusione, ma ad un elenco di caratteristiche comuni dalle quali iniziare a ragionare per costruire una definizione che non solo possa mettere tutti d’accordo, ma sia soprattutto rispondente ad alcuni requisiti specifici che differenzino questo modello da altri già esistenti.

Il presente lavoro, dunque, ripercorre questa esperienza vissuta all’interno del gruppo della Regenerative Society Foundation:

1. nel primo capitolo verrà descritta l’importanza della rigenerazione delle risorse naturali e quindi degli ecosistemi in un contesto in cui l’attenzione ai temi ambientali è tornata preponderante all’interno del dibattito pubblico. Successivamente verrà presentata in breve la Regenerative Society Foundation – costituzione, obiettivi e partnership – ed in particolare la strutturazione del gruppo di lavoro sulle misurazioni;

2. nel secondo capitolo verrà dato spazio all’analisi dei progetti individuati dal gruppo di lavoro, secondo alcune linee guida comuni che hanno permesso di individuare elementi dai quali partire per delimitare un primo perimetro della definizione di “regeneration” (le schede dei singoli progetti sono poste in appendice alla tesi originale);

3. nel terzo capitolo, infine, si è cercato di impostare un primo dialogo tra economia rigenerativa e Dottrina Sociale della Chiesa, evidenziando quei passaggi in cui quest’ultima può fornire un contributo di “senso” a questo nuovo modello economico, a maggior ragione se è ancora in via di definizione.

 

 

Capitolo I
L’impegno della Regenerative Society Foundation per la definizione e la promozione dell’economia rigenerativa

 

Introduzione

Si fa sempre più chiara ed impellente la necessità di adottare un modello di sviluppo alternativo a quello dominante ormai ampiamente riconosciuto come insostenibile sia da un punto di vista economico, sia da un punto di vista sociale che ambientale: le economie emergenti ed i paesi in via di sviluppo vedono aumentare il loro già enorme debito pubblico; il divario tra economia reale e finanza favorisce il diffondersi di disuguaglianze tra paesi e all’interno dei paesi stessi a causa di un intervento politico pressoché inesistente; i cambiamenti climatici minacciano la distruzione di ecosistemi, biodiversità e capitale naturale.

All’interno del dibattito sulla ricerca di nuovi modelli per modificare queste attuali tendenze economiche, sociali ed ambientali - impact economy, stakeholder economy, economia della felicità, economia della ciambella, decrescita felice, economia del benessere e tanti altri - si sta facendo strada un nuovo concetto che è quello di “rigenerazione” e quindi di “economia rigenerativa”. Ad oggi, però, al di là di una prima contestualizzazione tra le tante proposte che mirano principalmente a rispondere alle questioni ambientali, e di una intuibile associazione con tutto ciò che riguarda la capacità di rigenerare gli ecosistemi e quindi di rigenerare più risorse di quante ne siano state utilizzate – datane la scarsità qualitativa e quantitativa - manca una definizione puntuale e condivisa del concetto. Questo gap di conoscenza non ci permette quindi di definire con chiarezza ciò che è effettivamente rigenerativo, di distinguerlo da ciò che non lo è, e di conseguenza misurarne le performance per eventualmente migliorarle.

Da qui parte l’impegno della “Regenerative Society Foundation”, un’alleanza d’imprese, organizzazioni non profit, istituzioni accademiche e singoli individui, nata nell’ottobre 2020 per promuovere la “rigenerazione” come base di un nuovo modo di concepire l’economia.

L’attualità della rigenerazione all’interno della questione ambientale

Secondo il primo volume del sesto report sui cambiamenti climatici dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change1) per l’Italia pubblicato il 9 agosto 2021, “i cambiamenti climatici stanno già influenzando molti estremi meteorologici e climatici come ondate di calore, precipitazioni intense, siccità e cicloni tropicali in ogni regione del mondo e si sono rafforzate rispetto al precedente rapporto dell’IPCC le prove che attribuiscono queste variazioni negli estremi all’influenza umana”.

Il diffondersi a livello planetario di questi eventi calamitosi e relativi effetti economico-sociali che non si esauriscono a livello locale, ma hanno ripercussioni in diverse parti del mondo a causa dell’interconnessione globale, ha accresciuto la consapevolezza che la tutela dell’ambiente sia uno dei driver fondamentali ed imprescindibili per assicurare un futuro al genere umano e al pianeta stesso e su cui impostare nuovi modelli economici ed in generale di sviluppo. Per questo motivo, i temi ambientali stanno entrando in maniera sempre più preponderante all’interno del dibattito pubblico; si assiste, inoltre, ad uno sforzo della comunità internazionale nell’intraprendere iniziative di sensibilizzazione e programmazione politica che coinvolgono anche il settore privato, entrambi sollecitati da un’opinione pubblica in cui giocano un ruolo sempre più decisivo le giovani generazioni, che oltre ad essere le più colpite da questa crisi, sono paradossalmente quelle ad avere le maggiori capacità intellettuali, sociali e tecnologiche per risolvere il problema. Non potendole citare tutte, ci si limita a ricordarne alcune solo a titolo puramente esemplificativo: L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (…) e il “Green Deal” (…) europeo.

Secondo uno studio in continua evoluzione messo a punto dal 2009 dal ricercatore svedese Johan Rockstrom, ci sono nove “limiti planetari” all’interno dei quali la vita umana può continuare a prosperare. Essi riguardano nove aree fondamentali che garantiscono l’equilibrio del nostro pianeta: gli oceani, il sistema climatico atmosferico, lo strato di ozono stratosferico, la biodiversità, il ciclo idrogeologico, lo sfruttamento del suolo, il ciclo dei nutrienti, l’inquinamento atmosferico e le scorie nucleari. Per ciascun’area esiste una soglia critica che, una volta superata, compromette l’intero ecosistema terrestre. Com’è facilmente intuibile, la situazione si complica a causa dell’interdipendenza tra i confini che, se superati, potrebbero dar vita a cambiamenti irreversibili. Per invertire la rotta, i dieci anni che abbiamo davanti diventano cruciali; infatti, lo stesso Rockstrom, parla di “decennio decisivo per il futuro dell’umanità e della terra”. Tra questi nove confini che non dovremmo superare, i tre nei quali la situazione è critica sono la concentrazione dei gas serra e dei cambiamenti climatici ad essa legati, la perdita di biodiversità e l’esaurimento delle materie prime.

L’organizzazione internazionale di ricerca Global Footprint Network calcola annualmente l’“Overshoot day”, cioè il giorno che segna l’esaurimento delle risorse rinnovabili che la Terra è in grado di rigenerare in un anno. Il giorno in cui la Terra ha esaurito le risorse naturali previste per tutto il 2021, è stato il 29 luglio, rispetto al 22 agosto del 2020. A determinare la data sono stati l’aumento del 6,6% dell’impronta di carbonio2 e la diminuzione della biocapacità3 forestale globale dello 0,5%. Per l’Italia, l’“Overshoot Day” del 2021 è caduto il 13 maggio, a differenza del 2020 in cui è caduto il 14 maggio. Questo eccessivo sfruttamento ecologico causa sempre più frequentemente eventi meteorologici estremi, siccità e scarsità di acqua dolce, erosione del suolo e deforestazione, anidride carbonica nell’atmosfera e perdita di biodiversità.

L’attenzione crescente nei confronti di questi trend esponenziali, a cui si aggiunge l’aumento della popolazione globale, ci indica come il tema della scarsità - sia qualitativa che quantitativa - delle risorse stia diventando sempre più centrale all’interno del dibattito sulla ricerca di modelli alternativi di sviluppo, per cui si sta facendo strada un nuovo concetto che è quello di “rigenerazione”. Nel mondo del business, il passaggio da un paradigma estrattivo che va a distruggere gli ecosistemi più velocemente di quanto essi ci mettano per rigenerarsi, ad uno rigenerativo, è al centro della filosofia delle Società Benefit e delle B Corp. Società Benefit e B Corp sono due strumenti – uno normativo4 e l’altro di misurazione5 – che, modificando i modelli di business delle aziende da estrattivi a rigenerativi, creano benessere per gli ecosistemi e le persone. Il business ed il profitto non sono più l’obiettivo delle imprese, ma diventano lo strumento per creare una prospettiva condivisa e durevole per esse stesse e il contesto territoriale e sociale in cui operano, secondo il principio dell’interdipendenza.

Tuttavia, non esiste in questo momento una definizione puntuale e condivisa di “rigenerazione”, per cui si possa valutare un’attività, un progetto, un’idea di business, un’impresa o un’organizzazione come effettivamente rigenerativi e quindi renderli scalabili e perché no, riproducibili: questo è l’obiettivo che si è data la Regenerative society Foundation ed in particolare il suo “gruppo misurazione”.

 

La Regenerative Society Foundation

Nata nel settembre del 2020, subito prima del lancio del suo programma d’azione “Regeneration 20|30” avvenuto a Parma, il 15 e 16 ottobre 2020, la Fondazione partecipativa senza scopo di lucro è presieduta da Andrea Illy e Jeffrey Sachs. La Fondazione Ernesto Illy è tra i suoi fondatori, insieme con il Sustainable Development Solutions Network delle Nazioni Unite, il Gruppo Davines, il Gruppo Chiesi, Banca Mediolanum e Flowe, Mutti SpA, Lombard Odier, oltre al sistema B Corp e alla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, in previsione di cooptarne altri. La coalizione conta inoltre su importanti partner istituzionali, quali il Centre for Bhutan Studies; l’Accademia Pontificia delle Scienze Sociali; UNIDO (United Nations Industrial Development Organization); ASVIS (Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile); il Wellbeing Research Centre di Oxford University e il Center for Sustainable Development di Columbia University.

La “Regenerative Society Foundation” è un’alleanza unica nel suo genere: imprese, istituzioni, università, organizzazioni non governative, confessioni religiose e singoli individui coinvolti in una partnership per rendere possibile un futuro più sostenibile, in un periodo che va tra il 2020 e il 2030. I suoi tre pilastri sono l’economia rigenerativa, le azioni per il clima e la felicità mondiale. Dalle sue “Guidelines” leggiamo che la Fondazione immagina: “un'economia globale in cui le imprese e tutti gli altri attori siano una forza positiva che rigenera gli esseri umani, la società e la biosfera. Le aziende misurano il loro impatto e creano valore per tutti gli stakeholder, comprendendo che insieme siamo responsabili per le generazioni future. La crisi climatica è la più grande minaccia per il nostro futuro. Il mondo deve raggiungere zero emissioni nette di gas serra al massimo entro il 2050. Con la presente ci impegniamo a compiere un forte sforzo per spostare i nostri modelli di business verso un percorso di decarbonizzazione per avviare un nuovo percorso inclusivo ed economia prospera. La ricerca della felicità nel suo significato più profondo di autorealizzazione, altruismo, benessere individuale e sociale, è l'obiettivo finale della vita e la nuova frontiera della sostenibilità. I responsabili politici, le organizzazioni private e pubbliche e i leader spirituali, dovrebbero impegnarsi a raggiungere la felicità come la vera misura dell'umano progresso”.

Come abbiamo letto, l’interconnessione e l’interdipendenza tra i tre pilastri sono fondamentali per dare forma ad un nuovo modello di sviluppo “rigenerativo”. Il suo macro-obiettivo per il 2030 è sviluppare e istituzionalizzare l'economia rigenerativa attraverso lo scouting di progetti rigenerativi ed il loro successivo scale up grazie a reti di partnership globali e modelli finanziari innovativi. Sostenendo e promuovendo azioni di ricerca e sviluppo sul tema della rigenerazione, intende colmare tutte le attuali lacune di conoscenza e quindi avviare processi educativi ed attività di advocacy per promuovere e sostenere la rigenerazione a tutti i livelli, dalle istituzioni ai media, dal settore privato alla società civile.

In particolare, le azioni si focalizzeranno su quattro aree d’intervento:

1. Ridurre i gas serra e ricostituire lo stock di carbonio nelle biosfere terrestri e idriche;
2. Preservare la biodiversità;
3. Sviluppare materiali e catene di fornitura “circolari”;
4. Coltivare e mirare al benessere perseguendo il doppio beneficio - salute e felicità - per le persone e il pianeta.

 

Il gruppo “misurazione”

All’interno della Fondazione è stato creato un gruppo di lavoro con l’obiettivo di individuare e/o impostare metriche e standard da utilizzare per valutare la capacità rigenerativa delle aziende (…). Il gruppo si è incontrato periodicamente dal mese di luglio al mese di dicembre 2021 e poiché manca una definizione di rigenerazione ufficiale e condivisa dalla quale partire per individuare o addirittura impostare ex novo, metriche per la valutazione della capacità rigenerativa dei progetti di aziende, organizzazioni, istituzioni ecc., ha preferito un approccio bottom-up: partire dall'analisi dei framework-progetti-imprese che si definiscono rigenerativi (includendo anche i termini “restoration” o simili) per avere una casistica ragionata che consenta di fare una sorta di stato dell'arte su come a oggi viene interpretata, e possibilmente misurata, la rigenerazione e quindi, l’economia rigenerativa.

Questi, in sintesi, gli step compiuti:

1. nel primo step (luglio-agosto 2021), si è deciso di fare un focus sulla rigenerazione “ambientale” in quanto l’accezione sociale avrebbe reso ancora più variegato e complesso il campo di indagine;

2. nel secondo (settembre 2021), dopo una attenta analisi della letteratura esistente, si è accertata la mancanza di una definizione univoca della rigenerazione, per cui, prima di passare all’individuazione di standard e metriche per la sua misurazione, si è convenuto insieme della necessità di definire – o cercare di definire – la rigenerazione in senso stretto;

3. nel terzo step (ottobre-novembre 2021), che è quello di cui parleremo ampiamente nel secondo capitolo di questo elaborato – attraverso un approccio bottom up, è stata compiuta un’analisi di framework e progetti che si definiscono rigenerativi (includendo anche i termini come “restoration” e simili). Si è stabilito di indagare in generale su framework e progetti e non su “imprese rigenerative” poiché sarebbe risultato limitante sia in termini di core business sia in termini di forma giuridica. I framework ed i progetti analizzati sono stati scelti all’interno di una mappatura precedentemente effettuata dalla Regenerative Society Foundation;

4. nell’ultimo step di questa prima fase del lavoro (dicembre 2021), grazie all’analisi compiuta nel precedente passaggio, si è presentata una prima casistica ragionata che ha consentito di avere una sorta di stato dell’arte su come oggi viene interpretata e possibilmente misurata la rigenerazione.

 

 

Capitolo II
Analisi dei progetti

 

Introduzione

In questo secondo capitolo vengono analizzati i diversi progetti studiati dal “gruppo misurazione” per delineare un primo perimetro di riferimento del concetto di “regeneration”. La selezione dei progetti è stata effettuata all’interno di una mappatura precedentemente realizzata dalla Regenerative Society Foundation che ha raccolto numerose esperienze di buone pratiche, campagne di advocacy o studi e ricerche in termini generali di sostenibilità economica, sociale ed ambientale, tra aziende, organizzazioni non profit, organismi istituzionali, università e centri di ricerca. La scelta è ricaduta su quei progetti che si definiscono rigenerativi o che parlano espressamente di rigenerazione soprattutto in termini ambientali. In questa fase, abbiamo allargato il campo di indagine anche a tutte quelle esperienze che utilizzano nella loro presentazione una terminologia simile come “restoration” o “ecosystem restoration” o ancora “restorative”, purché l’azione in oggetto fosse rimasta nell’ambito dell’ecosistema naturale.

Sono state individuate tre tipologie di progetti:

1. Progetti “framework”: quadri teorici di riferimento proposti da organismi internazionali sia pubblici che privati. In questa categoria troviamo il programma “Ecosystem Restoration” dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, lo studio “RESTORE – Rethinking sustainability towards regenerative economy” realizzato dal COST (European Cooperation in Science and Technology) e il “Rodale Institute”, organizzazione non profit leader nel campo dell’agricoltura biologico rigenerativa e della sua istituzionalizzazione;

2. Progetti “Regenerative Society Foundation”: progettualità promosse da alcuni founder della Fondazione o dalla Fondazione stessa. In particolare il “Kilometroverde” di Parma, sostenuto all’interno del “Consorzio forestale Kilometroverde Parma” dalle aziende Chiesi, Mutti e Davines, il progetto “Virtuous Agriculture” della Fondazione Ernesto Illy ed infine il “Sustainable ecosystems of connected, prosperous communities”, progetto di agricoltura rigenerativa promosso in Africa dalla stessa Regenerative Society Foundation in collaborazione con l’Ifad (International Fund for Agricultural Development) e Farmshine (piattaforma virtuale globale in cui agricoltori e acquirenti e fornitori di servizi agricoli possono operare a condizioni reciprocamente vantaggiose), presentato durante l’ultima COP26 a Glasgow. 

3. Progetti di organizzazioni profit e non profit: le esperienze presentate appartengono sia al panorama internazionale che nazionale, ma essendo l’Italia il contesto di riferimento della Regenerative Society Foundation, una particolare attenzione è stata rivolta ai progetti delle organizzazioni del nostro paese. Per il contesto italiano verranno presentati il progetto “ARCA – Terra buona, cibo sano” realizzato nelle Marche, l’esperienza dell’agricoltura rigenerativa dell’azienda agricola De Martino nel Cilento, il progetto della “Planet Farm, Go Vertical” sull’agricoltura verticale, il progetto “Tomato regeneration” della “Nestlè” realizzato in Campania e in Emilia Romagna, la campagna “Regeneration” di Levissima e la “Eco-ethical company” del gruppo Savioli. Per il contesto internazionale si fa invece  riferimento al “Regenerative fund for Nature” del gruppo moda “Kering”, alla “Sinai Initiative” promossa dal gruppo di ingegneri olandesi “The weather makers”, al progetto “Regeneration” dell’azienda tessile inglese “Trace collective” e all’“Acacias for All” dell’omonima impresa sociale tunisina. 

 

L’analisi di ogni progetto è stata sintetizzata all’interno di un’apposita scheda articolata nelle seguenti voci:

  • Nome: nome del progetto;
  • Proponente: organizzazione promotrice del progetto ed eventuali partnership;
  • Descrizione: breve descrizione generale del progetto, delle sue finalità e del suo contesto di riferimento;
  • Concetto di “regeneration”: interpretazione del concetto di rigenerazione che viene specificato o che emerge dal progetto; 
  • Interventi specifici: azioni che rendono operativo il concetto di rigenerazione;
  • Elementi di misurazione: esplicitazione di eventuali metriche di misurazione degli effetti/benefici relativi agli interventi specifici realizzati;
  • Rispetto dei criteri della “Regenerative Society Foundation”: riscontro dei 4 criteri che le “Guidelines” della Fondazione pongono alla base dei processi rigenerativi, senza i quali non si potrebbe parlare di “regeneration”. Come abbiamo visto nel capitolo precedente, essi sono:

1. La riduzione dei gas serra e la ricostituzione dello stock di carbonio nelle biosfere terrestri e idriche;
2. La preservazione della biodiversità;
3. Lo sviluppo di materiali e catene di fornitura “circolari”;
4. Il raggiungimento del benessere perseguendo il doppio beneficio - salute e felicità - per le persone e il pianeta. 

 

Ogni criterio è stato indicato come:

  • diretto, se il progetto si pone esplicitamente l’obiettivo in questione e pone in essere azione specifiche per raggiungerlo; gli obiettivi diretti si distinguono in prevalenti o secondari a seconda del grado di intensità delle relative azioni; 
  • indiretto, se il raggiungimento dell’obiettivo in questione è consequenziale al raggiungimento degli obiettivi diretti. 

I contenuti delle schede – poste in appendice alla tesi - derivano da un’attenta analisi delle informazioni a disposizione sui singoli progetti. Per quanto riguarda i progetti della sezione “Regenerative Society Foundation”, è stato possibile effettuare interviste ai founders che si sono resi disponibili a fornire indicazioni e specifiche sulle diverse voci delle schede, mentre per gli altri ci si è attenuti alle informazioni presenti sui siti istituzionali dei progetti stessi o delle organizzazioni promotrici.

 

Definizione di “regeneration”
L’analisi dei progetti presi in esame dal “gruppo misurazione” fa emergere un dato di fatto molto rilevante ai fini della nostra ricerca: nessuno di essi fornisce una definizione chiara, formale e quindi operativa del concetto di rigenerazione. Come abbiamo dichiarato in premessa, poiché si sono presi in considerazione anche tutte quelle esperienze che utilizzano nella loro descrizione una terminologia simile (restoration, ecosystem restoration, restorative), c’è da rilevare che soltanto il primo progetto framework delle Nazioni Unite “Decade on ecosystem restoration 2021-2030” definisce puntualmente “l’ecosystem restoration” come il “processo di arresto e inversione del degrado degli ecosistemi, con conseguente recupero della biodiversità e miglioramento dei servizi ecosistemici. Esso comprende un ampio continuum di pratiche a seconda delle condizioni locali e delle scelte della società”.

Tuttavia, il secondo progetto framework “Restore – Rethinking Sustainability Towards Regenerative Economy” (ricerca del COST - European Cooperation in Science and Technology) propone addirittura una differenza tra ciò che è “sustainable”, ciò che è “restorative” e ciò che è “regenerative”, com’è ben descritto nella seguente infografica estrapolata direttamente dal lavoro in questione:

fega 01Figura n.1

 

Lo studio sostiene che la sostenibilità, già un passo avanti rispetto alla concezione tradizionale di business orientato esclusivamente al profitto e alla massimizzazione dell’utile per gli azionisti, e poi di economia green6, rappresenti soltanto l’inizio di un percorso verso la “regeneration”; Per “sostenibile”, infatti, s’intende tutto ciò che limita l’impatto, il punto di equilibrio in cui si restituisce tanto quanto si prende. Il secondo passaggio è rappresentato dalla “restorative”, caratteristica di tutte quelle attività che favoriscono il ripristino dei sistemi sociali ed ambientali ad uno stato sano. Infine, per “regenerative” s’intende tutto ciò che consente ai sistemi sociali ed ecologici non solo di mantenere uno stato sano, ma anche di evolversi. Ciò nonostante, per quanto possa essere per alcuni innovativa, ma per altri poco condivisibile visti i pochi dati scientifici a supporto della stessa, la definizione non appare certamente chiara ed esaustiva, in linea con quella che tutti gli altri progetti danno al termine “regeneration”: un concetto vago, che in generale richiama alla protezione e alla ricostituzione dell’ecosistema distrutto dall’attività umana e quindi all’enorme quantità di benefici sociali ed economici per le comunità destinatarie degli interventi. Inoltre, in tutti i progetti, esclusa la ricerca del COST che abbiamo citato in precedenza, non vi è alcun accenno ad una eventuale differenza tra sostenibilità e rigenerazione intesa come l’una il primo step verso l’altra, piuttosto la seconda come uno degli interventi specifici per raggiungere la prima, come vedremo nel prossimo paragrafo.

Tra i 16 progetti analizzati ve ne sono 2 – il progetto “regeneration” della Levissima (San Pellegrino-Nestlè) e “The Eco-Ethical Company” del Gruppo Mauro Saviola – che identificano la “rigenerazione” come una fase del processo tipico dell’economia circolare, cioè la capacità di reintrodurre in altra forma all’interno del ciclo economico, materiali e/o componenti di prodotti non più in uso. In questi casi, il ripristino dell’ecosistema viene assicurato in maniera indiretta attraverso l’utilizzo di “materie prime seconde”, evitando, quindi, l’ulteriore estrazione dal suolo.

 

Interventi specifici e settori

La lettura di questo paragrafo richiede alcune premesse. Come abbiamo visto in precedenza, il concetto di “rigenerazione” emerso da tutti i progetti, richiama in generale la protezione e il ripristino degli ecosistemi ed i relativi benefici economici e sociali che ne conseguono. Tuttavia, sebbene siano interessanti da descrivere ed approfondire le dimensioni economiche e sociali della rigenerazione espresse in delle attività specifiche, il focus del lavoro del gruppo e quindi del presente paragrafo, sarà dedicato esclusivamente alla descrizione e al commento degli interventi specifici in ambito ambientale. Inoltre, non prenderemo in considerazione i due progetti che identificano la rigenerazione esclusivamente come una fase dell’economia circolare. Bisogna considerare che in non tutti i 14 progetti vi è una presentazione dettagliata delle attività portate avanti per raggiungere l’obiettivo della rigenerazione, piuttosto alcuni macro-obiettivi come la “tutela del paesaggio” o la “tutela della biodiversità” contro la degradazione e la modifica degli ecosistemi. Per quanto riguarda gli interventi specifici, quello presente nel 50% dei progetti analizzati è lo stoccaggio di carbonio, cioè l’assorbimento dell’anidride carbonica da parte del terreno attraverso le piante. Questo processo non solo favorisce la diminuzione degli effetti del cambiamento climatico, ma migliora la produttività del terreno, la sua qualità insieme a quella dell’aria e dell’acqua, e di conseguenza la sicurezza alimentare. Sei progetti su quattordici mettono in campo azioni per migliorare l’utilizzo dell’acqua sia a livello quantitativo per evitarne lo spreco (ad esempio l’installazione di sonde con sensori che comunicano agli agricoltori le condizioni di unità del terreno, riducendo lo spreco idrico e aumentando la reattività e la resistenza delle piante) sia a livello qualitativo per aumentare la fertilità del suolo e la crescita della biomassa. Cinque progetti su quattordici, invece, promuovono azioni di riforestazione e rimboschimento, non soltanto con l’obiettivo di rigenerare terreni degradati, ma anche di riqualificare aree urbane ed extraurbane. Quarto intervento specifico emerso è l’insieme di processi che favoriscono la rotazione delle colture e la presenza di mosaici paesaggistici. Presenti in quattro progetti su quattordici, il primo consiste nella variazione, all’interno dello stesso appezzamento di terreno, della specie agraria coltivata per mantenere o migliorare la fertilità del terreno per ottenerne una maggiore resa, mentre il secondo nello scomporre un determinato territorio in tanti paesaggi quanti sono i processi e gli organismi che lo caratterizzano.

Dall’analisi emerge che la maggior parte dei progetti analizzati (12 su 14) ricade all’interno di imprese, organizzazioni o programmi che si occupano di agricoltura, in particolare della cosiddetta “agricoltura organico-rigenerativa”. Questa pratica consiste in un insieme di tecniche agronomiche pensate per migliorare la fertilità dei suoli ed evitare sostanze inquinanti (Deafal 2010). Tecnicamente si tratta di arricchire il suolo con carbonio organico, per migliorarne la sua biodiversità e la sua salute. Tale operazione lo rende più resistente e meno dipendente da prodotti agrochimici. Tra queste dodici esperienze riconducibili all’agricoltura rigenerativa, otto la utilizzano per poi dar vita a prodotti alimentari – classificabili quindi all’interno del settore “food and beverage” – mentre due la pongono alla base della produzione tessili, classificabili, quindi, all’interno del settore “fashion”.

Un progetto degno di nota è “Planet Farm. Go Vertical” dell’omonima azienda agricola lombarda. Esso coniuga l’agricoltura rigenerativa con la rigenerazione urbana e fornisce prodotti realizzati con un processo di agricoltura verticale. Attualmente realizzato a Milano, il progetto ha ottenuto dei fondi comunitari affinché possa essere replicato non solo in Italia, ma in tutta Europa. Nella descrizione del progetto si legge:“lo spazio rimasto coltivabile è sempre meno, ma noi possiamo dire di aver trovato il nostro. Tramite l’agricoltura verticale risparmiamo il 90% del terreno. Infatti, a parità di superficie, produciamo 100 volte di più dell’agricoltura tradizionale. E il suolo che risparmiamo può tornare al suo habitat naturale favorendo la biodiversità” Il “vertical farming”, infatti, aiuta le città a diventare autosufficienti a livello agroalimentare, producendo cibo a ridosso dei centri urbani, vicino al consumatore finale e consegnando prodotti freschi, salutari, disponibili ed accessibili. In questo modo, si affrontano diversi problemi quali il consumo del suolo, il risparmio dell’acqua, l’accesso al cibo, la sicurezza alimentare, l’urbanizzazione.

 

Elementi di misurazione

Se da una parte è questo il punto nodale del discorso dal quale si partiti per sviluppare tutto il resto della ricerca, dall’altra è l’aspetto che meno si evince dall’analisi dei progetti, segno di come sia difficile individuare una metrica, se prima non si è definito con puntualità e chiarezza l’oggetto della misurazione. Il progetto framework delle Nazioni Unite “Decade on ecosystem restoration 2021-2030” esplicita chiaramente: “sulla base di ciò che si è appreso sull’ecosistema che si desidera proteggere o ripristinare, si decida cosa si vuole ottenere e in quale periodo, magari con obiettivi intermedi lungo il percorso. Si trovino indicatori misurabili che mostrino i progressi o la necessità di modifica dell’azione progettuale”.

Soltanto due progetti su quattordici ci indicano chiaramente delle metriche utilizzabili. Il “Rodale Institute”, all’interno dell’ambito dell’agricoltura rigenerativa, propone il ROC – Regenerative Organic Certified. Si tratta di una certificazione costruita su tre pilastri: salute del suolo, benessere degli animali e equità sociale, ciascuno dei quali con un set di indicatori precisi; la certificazione è destinata ad aziende agricole ed alimentari, tessili e della cura personale. Tra gli indicatori per la salute del suolo si trovano – tra gli altri – la presenza di colture di copertura, meccanismi di rotazione delle colture, l’utilizzo di organismi geneticamente modificati, la presenza o meno di input sintetici e i pascoli a rotazione; tra gli indicatori del benessere degli animali si trovano le 5 libertà: libertà dal disagio, libertà dalla paura e dall’angoscia, libertà dalla fame, libertà da dolore, lesioni o malattie, libertà di esprimere un comportamento normale; a queste si aggiungono le condizioni di allevamento, trasporto e rifugio; l’equità presenta tra i suoi indicatori la possibilità per gli agricoltori di organizzarsi ed associarsi, salari e pagamenti equi, buone condizioni lavorative, trasparenza e responsabilità. La certificazione presenta tre livelli di compliance: bronzo, argento e oro a seconda se il 10%, il 50% o il 100% della produzione rispetta i parametri sopra indicati.

Il secondo progetto che presenta indicazioni precise è il “Kilometroverde” di Parma, soprattutto in riferimento al calcolo dell’anidride carbonica stoccata, basato sulla grandezza delle piante. Sono state individuate cinque classi di grandezza delle piante attribuiti valori medi di stoccaggio di CO2 a ciascuna classe in un periodo di riferimento lungo cinquant'anni. Ogni classe di grandezza ha un valore medio annuo, sovrastimato all’inizio ma compensato nel tempo.

Tutti gli altri progetti non danno indicazioni precise per metriche, approcci quantitativi o qualitativi da prendere in considerazione, né tantomeno target di riferimento. Piuttosto, si limitano a precisare che le attività verranno valutate semplicemente in base al numero di alberi piantati, alla quantità di superficie oggetto di riforestazione o di pratica agricola, al numero di colture oggetto di rotazione o alla quantità di acqua risparmiata, senza nessun approccio integrato tra le diverse variabili.

 

Rispetto dei criteri della Regenerative society foundation

In questo ultimo paragrafo prenderemo in considerazione il rispetto dei quattro criteri minimi che la Regenerative society foundation indica come necessari per definire – a livello generale – un progetto come rigenerativo: riduzione di emissioni di carbonio, tutela della biodiversità, economia circolare e perseguimento di salute e benessere:

1. Riduzione delle emissioni di carbonio: tutti i progetti – tranne due – si sono posti l’obiettivo di ridurre le emissioni di carbonio attraverso interventi diretti e specifici, ma sebbene alcuni progetti abbiano dichiarato di voler contribuire alle minori emissioni di CO2 sia in maniera diretta che indiretta, questi non hanno messo in campo interventi specifici a riguardo.

2. Tutela della biodiversità: la tutela della biodiversità è l’obiettivo che si pongono tutti i progetti che si definiscono rigenerativi, per cui bisogna impegnarsi a far sì che tutte le specie animali e vegetali non solo siano tutelate, ma, lì dove sono state sradicate, tentare processi di ripristino essenziali per la ricostituzione in salute degli ecosistemi e quindi degli esseri umani.

3. Economia circolare: per quanto riguarda l’economia circolare, più della metà dei progetti la pone come un obiettivo diretto, ma posto in secondo piano rispetto ad altri se non addirittura proprio secondario. Infatti, pratiche di economia circolare vengono incentivate una volta rigenerate le risorse per non disperderle ulteriormente. Tra i quattro progetti che la inseriscono tra le priorità, ci sono i due progetti già citati in precedenza che identificano la rigenerazione con la fase della riutilizzazione del materiale di scarto sotto altra forma.

4. Raggiungimento del benessere (salute e felicità): discorso a parte merita il quarto criterio “Raggiungimento del benessere (salute e felicità)”. Più della metà dei progetti pone il raggiungimento del benessere come obiettivo indiretto. Non che la salute e la felicità degli uomini non siano importanti, ma sono consequenziali – secondo la logica almeno fin qui condivisa della rigenerazione – al ripristino e alla rivitalizzazione degli ecosistemi. Le attività rigenerative permettono di aumentare la qualità del suolo e dell’acqua e quindi dei prodotti destinati all’alimentazione che poi incide sulla salute globale dell’uomo. Il raggiungimento della felicità dipende dalla quantità e dalla qualità dei benefici sociali ed economici emergono da attività quali l’informazione trasparente verso i consumatori, il miglioramento nella commercializzazione dei prodotti attraverso piattaforme dedicate fuori dal main stream, l’apertura di canali di finanziamento ad hoc, la diffusione della conoscenza e la condivisione dell’expertise tecnologico e raramente l’inserimento lavorativo di categorie svantaggiate e la spinta verso forme di sovranità alimentare (solo un progetto).

 

 

Conclusioni

Per concludere, ricapitoliamo in sintesi alcuni aspetti comuni della rigenerazione che sono emersi dai progetti analizzati dal “gruppo misurazione”:

  • Nessun progetto – ad esclusione di uno – dà una definizione chiara e quindi operativa di rigenerazione e di economia rigenerativa. Le iniziative richiamano semplicemente alla necessità di passare da un paradigma estrattivo – tipico dell’economia lineare - ad uno rigenerativo delle risorse e degli ecosistemi;
  • Non esistono metriche adatte a misurare la capacità rigenerativa dei progetti, ma eventualmente soltanto alcune azioni specifiche che tuttavia non permettono di coglierne l’integralità e la complessità; soltanto un progetto propone uno standard che, però, ancora non è riconosciuto a livello internazionale;
  • Emerge una chiara differenza tra la rigenerazione e l’economia circolare. Per quanto questo nuovo modello di produzione e consumo preveda un uso efficiente delle risorse evitando gli scarti, tuttavia esso, a livello temporale, si pone sempre in seconda battuta: una volta che queste risorse sono state effettivamente rigenerate, allora si applicano modelli che non le esauriscano ulteriormente;
  • Tutti i progetti che si definiscono rigenerativi – in linea con quanto espresso nel punto precedente – pongono tra le loro priorità, azioni a tutela della biodiversità e contro il cambiamento climatico (in particolare la cattura e lo stoccaggio della CO2); tra gli interventi specifici, occupano un posto di rilievo quelli a tutela dell’acqua.
  • Dodici progetti su quattordici appartengono ad imprese, organizzazioni o programmi che si occupano di agricoltura, in particolare della cosiddetta agricoltura organico-rigenerativa. I settori di riferimento sono l’agroalimentare e la moda;
  • La salute ed il benessere dell’uomo sono gli effetti consequenziali delle attività che rigenerano gli ecosistemi. Il miglioramento delle condizioni del suolo favorisce diete più sane e quindi una maggiore salute e benessere dell’uomo.

 

 

 

Capitolo III
Dottrina Sociale della Chiesa ed economia rigenerativa in dialogo

 

Introduzione

Poiché “nessun sapere è escluso, per la parte di verità di cui è portatore” e, al contempo, tutte le scienze sono invitate a “cogliere le prospettive di significato, di valore e d’impegno che la Dottrina Sociale dischiude”, anche tra Magistero sociale ed economia rigenerativa – almeno per quelle linee di principio e di applicazione che siamo riusciti ad individuare nei capitoli precedenti – può instaurarsi un dialogo (Compendio della Dottrina sociale della Chiesa 2004:78). Vedremo come l’economia rigenerativa che ha ben compreso la complessità della realtà che stiamo vivendo e l’importanza dell’interazione tra la salute del pianeta e quella dell’uomo, trova facilmente sponda nell’“ecologia integrale” proposta da papa Francesco nell’enciclica “Laudato si’” poiché “non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale” (Laudato si 2015:139). L’avvio di iniziative per far fronte al compromesso stato di salute della nostra casa comune da parte di imprese ed organizzazioni – in particolare contro il cambiamento climatico e a tutela della biodiversità – tuttavia, deve procedere di pari passo con il rispetto della dignità dell’uomo e la promozione del bene comune. La tutela del lavoro, l’accesso e l’utilizzo sapiente della tecnologia e il coinvolgimento reale delle comunità locali in cui sono promosse le “progettualità rigenerative” sono condizioni indispensabili affinché l’economia rigenerativa – tanto nella sua impostazione teorica, quanto nelle sue diverse applicazioni pratiche – sia veramente un antidoto alla dominante cultura dello scarto e possa aprirsi ad “un orizzonte più ampio al servizio della singola persona, conosciuta e amata nella pienezza della sua vocazione” (CDSC 2004:78).

Dottrina Sociale della Chiesa e questione ambientale

La Dottrina Sociale della Chiesa è attenta alla questione ambientale. Infatti, “la tutela dell'ambiente costituisce una sfida per l'umanità intera: si tratta del dovere, comune e universale, di rispettare un bene collettivo” (Centesimus Annus 1991:40). “È una responsabilità che deve maturare in base alla globalità della presente crisi ecologica e alla conseguente necessità di affrontarla globalmente, in quanto tutti gli esseri dipendono gli uni dagli altri nell'ordine universale stabilito dal Creatore: occorre tener conto della natura di ciascun essere e della sua mutua connessione in un sistema ordinato, ch'è appunto il cosmo” (CDSC 2004:446).

È necessario ristabilire il rapporto tra l’uomo e l’ambiente, entrato in crisi a causa di uno sfruttamento delle risorse predominante ed invasivo in chiave meccanicistica e consumistica: l’ambiente come “risorsa” rischia di minacciare l'ambiente come “casa” (CDSC 2004: 461). L’uomo, dunque, non dovrebbe essere più concepito come padrone degli esseri viventi che dispone “arbitrariamente della terra, assoggettandola senza riserve alla sua volontà, come se essa non avesse una propria forma ed una destinazione anteriore datale da Dio, che l'uomo può, sì, sviluppare, ma non deve tradire” (CA 1991: 37), ma come custode della creazione in tutte le sue forme. Una custodia che si esercita nel presente, ma con lo sguardo rivolto alle future generazioni, come già aveva ricordato Papa Paolo VI in una delle pietre miliari del Magistero sociale: “Eredi delle generazioni passate e beneficiari del lavoro dei nostri contemporanei, noi abbiamo degli obblighi verso tutti, e non possiamo disinteressarci di coloro che verranno dopo di noi ad ingrandire la cerchia della famiglia umana. La solidarietà universale, ch'è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un dovere” (Populorum Progressio 1967:17).

La dimensione inter-generazione della questione ambientale viene letta da Benedetto XVI anche in chiave educativa e morale. Infatti, “è una contraddizione chiedere alle nuove generazioni il rispetto dell’ambiente naturale quando l’educazione e le leggi non le aiutano a rispettare se stesse; il libro della natura è uno e indivisibile sul versante dell’ambiente così come su quello della vita” (Caritas in Veritate 2009: 51). “Per salvaguardare la natura non è sufficiente intervenire con incentivi o disincentivi economici e nemmeno basta un'istruzione adeguata. Sono, questi, strumenti importanti, ma il problema decisivo è la complessiva tenuta morale della società. Se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale, se si rende artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita dell'uomo, se si sacrificano embrioni umani alla ricerca, la coscienza comune finisce per perdere il concetto di ecologia umana e, con esso, quello di ecologia ambientale” (CiV 2009:51).

Di conseguenza, un sistema economico che, abbandonando la logica della massimizzazione del profitto, mette al centro l’uomo e la sua dignità, non potrà non essere conseguentemente rispettoso dell’ambiente. La protezione della casa comune non può essere assicurata solo con la logica del mercato che non è in grado di difenderla o di promuoverla. “Tutti i Paesi, in particolare quelli sviluppati, devono avvertire come urgente l'obbligo di riconsiderare le modalità d'uso dei beni naturali. La ricerca di innovazioni capaci di ridurre l'impatto sull'ambiente provocato dalla produzione e dal consumo dovrà essere efficacemente incentivata” (CDSC 2004:470).

 

Da un paradigma estrattivo ad uno rigenerativo

Va’ e ripara la mia casa” è l’invito che San Francesco riceve dinanzi al Crocifisso di San Damiano. Il mandato è quello di ricostruire, riparare, far nascere a nuova vita la Chiesa, concetto che possiamo tranquillamente estendere alla nostra Casa comune. Anche questa caratteristica peculiare del Santo di Assisi avrà certamente ispirato Papa Bergoglio nella scelta del suo nome da Pontefice, tanto che il suo magistero sociale è un continuo invito rivolto a ciascuno di noi a prenderci cura degli altri e del pianeta, intensificando le relazioni con essi. Come abbiamo visto nei precedenti capitoli, il primo grande assunto dell’economia rigenerativa è il passaggio da un paradigma estrattivo ad uno rigenerativo: l’uso intensivo del capitale naturale dovrebbe cedere il passo ad una serie di attività che non solo cercano di non procurare ulteriori danni agli ecosistemi, ma – sulla scorta del funzionamento della natura stessa – si propongono addirittura di ripararli e rigenerarli. Papa Francesco, nella sua enciclica “Laudato si’”, sottolinea come sia esemplare, in tal senso, il funzionamento degli ecosistemi naturali: “le piante sintetizzano sostanze nutritive che alimentano gli erbivori; questi a loro volta alimentano i carnivori, che forniscono importanti quantità di rifiuti organici, i quali danno luogo a una nuova generazione di vegetali. Al contrario, il sistema industriale, alla fine del ciclo di produzione e di consumo, non ha sviluppato la capacità di assorbire e riutilizzare rifiuti e scorie. Non si è ancora riusciti ad adottare un modello circolare di produzione che assicuri risorse per tutti e per le generazioni future, e che richiede di limitare al massimo l’uso delle risorse non rinnovabili, moderare il consumo, massimizzare l’efficienza dello sfruttamento, riutilizzare e riciclare” (LS 2015:22)

L’ambiente naturale è pieno di ferite prodotte dal nostro comportamento irresponsabile” (LS 2015:6): inquinamento, cambiamenti climatici e perdita di biodiversità sono tra le emergenze che “oggi ci provocano inquietudine e che ormai non possiamo più nascondere sotto il tappeto” (LS 2015:19). Non a caso, tra i criteri che la Regenerative Society Foundation pone come essenziali per il passaggio ad un'economia rigenerativa e che la maggior parte degli interventi specifici previsti dai progetti analizzati nel secondo capitolo pone come obiettivi primari, ci sono proprio la riduzione dei gas serra con la ricostituzione dello stock di carbonio nelle biosfere terrestri ed idriche e la tutela della biodiversità. “Numerosi studi scientifici indicano che la maggior parte del riscaldamento globale degli ultimi decenni è dovuta alla grande concentrazione di gas serra (biossido di carbonio, metano, ossido di azoto ed altri) emessi soprattutto a causa dell’attività umana. La loro concentrazione nell’atmosfera ostacola la dispersione del calore che la luce del sole produce sulla superficie della terra. Ciò viene potenziato specialmente dal modello di sviluppo basato sull’uso intensivo di combustibili fossili, che sta al centro del sistema energetico mondiale. Ha inciso anche l’aumento della pratica del cambiamento d’uso del suolo, principalmente la deforestazione per finalità agricola” (LS 2015:23).

Di conseguenza, il riscaldamento incide sul ciclo del carbonio che, a sua volta, renderà sempre minore la “disponibilità di risorse essenziali come l’acqua potabile, l’energia e la produzione agricola delle zone più calde, e provocherà l’estinzione di parte della biodiversità del pianeta”7 (LS 2015:24). L’acqua è indispensabile per la vita umana e per il sostentamento degli ecosistemi: “l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani” (LS 2015:30). L’aumento del fabbisogno idrico dovuto all’incremento della popolazione e il peggioramento della qualità dell’acqua dovuto all’inquinamento negano l’esercizio di tale diritto soprattutto ai più poveri. Inoltre, Papa Francesco rileva che i problemi relativi all’utilizzo delle risorse idriche abbiano anche una matrice culturale ed educativa, che spiega di fatto atteggiamenti utilitaristici quali lo spreco e la privatizzazione di questo bene comune. Auspicabile sarebbe un utilizzo intelligente dell’acqua basato sulla responsabilità delle comunità locali8 che potrebbero determinare il loro fabbisogno idrico e, di conseguenza, adottare meccanismi adeguati e sostenibili di gestione, controllo e consumo.

Un altro tema fondamentale è quello dell’energia. L’affermazione per cui “nel mondo c’è un livello esiguo di accesso alle energie pulite e rinnovabili” (LS 2015:26) evidenzia, anche in questo caso, la natura sia qualitativa che quantitativa del problema. Se da una parte è necessario “progressivamente e senza indugio” (LS 2015:165) abbandonare il ricorso ai combustibili fossili in favore delle energie rinnovabili (nei processi di produzione, trasporto, distribuzione e consumo) che rappresentano ancora una esigua parte delle energie utilizzate, dall’altra bisogna che tutti abbiano accesso all’elettricità ed in totale sicurezza.

Quando si analizza l’impatto ambientale di qualche iniziativa economica, si è soliti considerare gli effetti sul suolo, sull’acqua e sull’aria, ma non sempre si include uno studio attento dell’impatto sulla biodiversità, come se la perdita di alcune specie o di gruppi animali o vegetali fosse qualcosa di poco rilevante. Le strade, le nuove colture, le recinzioni, i bacini idrici e altre costruzioni, vanno prendendo possesso degli habitat e a volte li frammentano in modo tale che le popolazioni animali non possono più migrare né spostarsi liberamente, cosicché alcune specie vanno a rischio di estinzione” (LS 2015:.35). In una logica di lungo periodo che abbandona il perseguimento dell’interesse immediato, la tutela della biodiversità implica, dunque, la protezione di specie che “potrebbero costituire nel futuro, risorse estremamente importanti non solo nell’alimentazione, ma anche per la cura di malattie e per molteplici servizi; le diverse specie contengono geni che possono essere risorse chiave per rispondere in futuro a qualche necessità umana o per risolvere qualche problema ambientale” (LS 2015:32). Il Magistero di Papa Francesco, dunque, coglie l’intima connessione tra la biodiversità del suolo, la biodiversità e le interrelazioni tra piante e animali e la biodiversità delle diete e quindi l’impatto sulla salute. La salute umana, infatti, è un “continuum” dalla terra ai nostri corpi, dettato dall’interconnessione e dall’interrelazione tra gli esseri umani, la biodiversità della natura e i suoi sistemi. È questo, d’altronde, uno dei principi su cui si fonda la stessa agricoltura rigenerativa che abbiamo descritto nel capitolo precedente come l’“insieme di tecniche agronomiche pensate per migliorare la fertilità dei suoli ed evitare sostanze inquinanti” (Deafal 2010) con l’obiettivo di migliorare il sistema alimentare e, quindi, favorire la salute e il benessere dell’uomo.

 

L’ecologia integrale

Già nel 2013, anno dell’inizio del suo pontificato, nell’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”, Papa Francesco ci ha offerto un modello per la comprensione della struttura sociale: il poliedro. Non bisogna orientare l’interpretazione e la valutazione dei fenomeni sociali in maniera univoca, come accadrebbe se il nostro modello di riferimento fosse una sfera in cui tutti i punti sono uguali ed equidistanti dal centro, ma guardandoli da punti di vista diversi ed originali, proprio come un poliedro in cui ciascuna parte mantiene la propria peculiarità. La realtà va interpretata con occhi diversi poiché nessuno ha la risposta giusta; non bisogna sottovalutare i diversi approcci poiché ciascuno ha le proprie capacità, le proprie risorse e le proprie competenze. “Non ci sono due crisi separate, una ambientale ed una sociale, ma una sola complessa crisi socio-ambientale” (LS 2015:139). Il pontefice ci propone un nuovo approccio, un nuovo sguardo sulla vita, un nuovo paradigma concettuale: l’ecologia integrale. Un'ecologia che, nelle sue diverse dimensioni, integri il posto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le relazioni con la realtà che lo circonda, includendo quindi anche la dimensione umana e sociale; un’ecologia integrale che apre al bene comune; La sfida è proteggere la nostra casa comune, unendo e coinvolgendo tutta la famiglia umana con la consapevolezza che le cose possono cambiare. Dopo aver raccolto informazioni, bisogna prendere coscienza della situazione (nel linguaggio spirituale “convertirsi”) e riconoscere il contributo che ciascuno può dare contro il riduzionismo. Papa Francesco parla, dunque, di “conversione ecologica” che non si riduce ad una serie di risposte urgenti e parziali, ma è uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, una spiritualità che dia forma ad una resistenza di fronte all’avanzare dell’ideologia tecnocratica contro la cultura imperante dello scarto: “Se teniamo conto del fatto che anche l’essere umano è una creatura di questo mondo, che ha diritto a vivere e ad essere felice, e inoltre ha una speciale dignità, non possiamo tralasciare di considerare gli effetti del degrado ambientale, dell’attuale modello di sviluppo e della cultura dello scarto sulla vita delle persone” (LS 2015:43).

Partendo da una descrizione degli attuali problemi ambientali del nostro pianeta, il pontefice afferma il legame – l’interconnessione – tra questi e la crisi sociale in atto; condanna la globalizzazione del paradigma tecnocratico, ormai diventato omogeneo ed unidimensionale tendendo ad esercitare il proprio “dominio” sulla politica e sull’economia. La politica non deve sottomettersi all’economia (fenomeno tipico dell’ideologia capitalista anglosassone) e questa, di conseguenza, non deve sottomettersi al paradigma efficientista della tecnocrazia, senza prestare attenzione alle conseguenze negative per l’essere umano. Alla radice degli squilibri attuali ci sono, infatti, l’orientamento, i fini, il senso e il contesto sociale della crescita tecnologica ed economica. Un nuovo modello di sviluppo dunque è possibile, un percorso senza dubbio più creativo e “meglio orientato a correggere la disparità tra l’eccessivo consumo tecnologico per il consumo e quello scarso per risolvere i problemi urgenti dell’umanità” (LS 2015: 192); uno sviluppo in cui “la politica e l’economia riconoscano i propri errori e trovino forme d’interazione orientate al bene comune” (LS 2015: 198) e nel dialogo abbandonino la logica del profitto per favorire la sussidiarietà e l’integrazione dei più fragili; uno sviluppo orientato al confronto trasparente nella politica internazionale, nazionale e locale e con le religioni, in cerca di principi etici comuni; uno sviluppo basato su nuovi stili di vita, abbandonando l’egoismo, l’autoreferenzialità e l’apatia per aprire la strada al dialogo, alla responsabilità e alla reciprocità.

 

Rimettere l’uomo al centro dell’economia

L’economia rigenerativa coglie, almeno in teoria, l’interconnessione tra fattori ambientali e fattori sociali dello sviluppo nonché la sfida di guardare alla realtà come fenomeno complesso, poiché auspica che l’innovazione delle attività economiche sviluppi la capacità di rigenerare gli ecosistemi e le comunità con cui interagiscono e scambiano risorse. Non a caso, tra gli obiettivi indiretti dei progetti analizzati nel precedente capitolo, ci sono molti aspetti esplicitati o meno, che riguardano l’impatto sulla salute e sul benessere dell’uomo (dal miglioramento dell’alimentazione ad un ruolo attivo dei consumatori ecc.), tuttavia sembra che l’impianto del rapporto tra salute dell’ambiente e salute e benessere dell’uomo sia esclusivamente deterministico, senza essere inserito in un discorso più ampio che riguarda il rispetto della dignità umana e il raggiungimento del bene comune9. Tali principi cardine della Dottrina sociale della Chiesa potrebbero dare un senso più profondo, o se vogliamo addirittura nuovo, al contributo già positivo e propositivo che l’economia rigenerativa sta dando al dibattito sulla ricerca di un nuovo modello di sviluppo.

Il paradigma tradizionale e dominante della scienza economica propone una visione di uomo che per la prima volta fu definito dal filosofo ed economista inglese John Stuart Mill (1806-1873) come “homo oeconomicus”: razionale, perfetto conoscitore della realtà in cui vive, prende sempre decisioni in linea con la massimizzazione del proprio interesse individuale. Le motivazioni del suo agire nella complessa realtà sociale sono, dunque, esclusivamente economiche e orientate all’utilità del risultato. Tuttavia, l’uomo, per realizzare se stesso, non può continuare a vivere come soggetto auto-interessato e prescindere dalla dimensione sociale e relazionale della propria esistenza. Ci sono, inoltre, bisogni collettivi e qualitativi che non possono essere soddisfatti dal mercato e dai suoi meccanismi perché questi ne ignorano addirittura l’esistenza e la natura (Centesimus Annus 1991). Di conseguenza, un ordine economico – seppur efficiente e capace di produrre profitto e soddisfazione a livello materiale – non può essere organizzato senza tener conto di elementi costitutivi dell’integralità umana quali sono i valori, i simboli, le interazioni personali ecc., poiché pregiudica la realizzazione stessa della piena dignità dell’uomo e quindi il raggiungimento del bene comune.

La dimensione morale dell'economia fa cogliere come finalità inscindibili, anziché separate e alternative, l'efficienza economica e la promozione di uno sviluppo solidale dell'umanità (…). È un dovere svolgere in maniera efficiente l'attività di produzione dei beni, altrimenti si sprecano risorse; ma non è accettabile una crescita economica ottenuta a discapito degli esseri umani, di interi popoli e gruppi sociali, condannati all'indigenza e all'esclusione” (CDSC 2004:332).

Il Magistero Sociale apre la strada ad una riformulazione del modello di sviluppo incentrato sulla dignità della persona umana e sul primato dell’uomo che è “l’autore, il centro e la fine di tutta la vita economico sociale” (Gaudium et Spes 1965:63) per ridare “al fine (la persona umana) e ai mezzi (l’economia e la politica) il posto loro proprio”10. Infatti, se l’“oggetto dell’economia è la formazione della ricchezza e il suo incremento progressivo, in termini non soltanto quantitativi ma qualitativi, tutto ciò è moralmente corretto se finalizzato allo sviluppo globale e solidale dell’uomo e della società in cui egli vive ed opera” (CDSC 2004:334). “Lo sviluppo, infatti, non può essere ridotto a mero processo di accumulazione di beni e servizi. Al contrario, la pura accumulazione, anche qualora fosse per il bene comune, non è una condizione sufficiente per la realizzazione dell'autentica felicità umana. In questo senso, il Magistero sociale mette in guardia dall'insidia che un tipo di sviluppo solo quantitativo nasconde, perché la «eccessiva disponibilità di ogni tipo di beni materiali in favore di alcune fasce sociali rende facilmente gli uomini schiavi del “possesso” e del godimento immediato. È la cosiddetta civiltà dei “consumi”, o consumismo...»”. (CDSC 2005:334)

Se da una parte è vero che il consumismo impedisce di “distinguere correttamente le forme nuove e più elevate di soddisfacimento dei bisogni umani dai nuovi bisogni indotti, che ostacolano la formazione di una matura personalità” (CA 1991:83), dall’altra è possibile “indirizzare, grazie alla maggiore circolazione delle informazioni, il comportamento dei produttori, mediante la decisione — individuale o collettiva — di preferire i prodotti di alcune imprese anziché di altre, tenendo conto non solo dei prezzi e della qualità dei prodotti, ma anche dell'esistenza di corrette condizioni di lavoro nelle imprese, nonché del grado di tutela assicurato per l'ambiente naturale che lo circonda” (CDSC 2005: 359), e quindi, anche in questo modo, recuperare attivamente il ruolo centrale che l’uomo dovrebbe avere all’interno del sistema economico, anche grazie al fatto che l’“interconnessione mondiale ha fatto emergere un nuovo potere politico dei consumatori e delle loro associazioni” (CiV 2009:144). Benedetto XVI, nella medesima enciclica, chiarisce che c’è “una precisa responsabilità sociale del consumatore che si accompagna alla responsabilità sociale dell’impresa”. “I consumatori vanno educati al ruolo che quotidianamente esercitano e che essi possono svolgere nel rispetto dei principi morali, senza sminuire la razionalità economica intrinseca all’atto dell’acquistare” (CiV 2009:145). Chiarire il ruolo centrale dell’uomo all’interno dell’economia, permette quindi al modello dell’economia rigenerativa di andare oltre rispetto agli obiettivi di salute e benessere o comunque di qualificarli e quindi di fare attenzione, nella messa a terra dei progetti, ad altri aspetti che contribuiscono al rispetto della dignità umana e del raggiungimento del bene comune, quali il lavoro e il rapporto con la tecnologia, che non possono essere considerati accessori e funzionali, il ruolo delle imprese e un nuovo modo di concepire la sussidiarietà, il concetto di dono e l’attenzione ai poveri.

 

Il tema del lavoro e il rapporto con la tecnologia

La questione del lavoro spinse papa Leone XIII nel 1891 a scrivere proprio quella che viene considerata la prima enciclica sociale del periodo moderno, la “Rerum Novarum” che ha definito il lavoro “un diritto fondamentale e un bene per l’uomo” (Rerum Novarum 1981:110). A partire da questo documento, i Pontefici si sono occupati del tema del lavoro con attenzione e costanza, ritenendolo strumento fondamentale per la dignità dell’essere umano e per garantire una serena e costruttiva convivenza tra gli uomini. Una delle formulazioni più interessanti del pensiero sul lavoro è certamente quella di Giovanni Paolo II espressa nell’enciclica “Laborem Exercens” del 1981. Accanto ad un aspetto puramente oggettivo del lavoro che solitamente coincide con un output sia fisico che intangibile, ve ne è uno soggettivo cioè il cambiamento positivo o negativo che si verifica nel lavoratore stesso. Cambiamento sul quale incidono sicuramente le condizioni dei lavoratori e la qualità del lavoro, nonché tutti quei diritti11 basati “sulla natura della persona umana e sulla sua trascendente dignità” (CDSC 2004:301) che soprattutto le imprese – e la politica12 – devono contribuire a garantire e perseguire in tutte le zone del mondo, comprese quelle meno favorite per cui l’“avvio di un processo di sviluppo solidale di vasta portata non solo rappresenta una concreta possibilità per creare nuovi posti di lavoro, ma si configura anche come una vera e propria condizione di sopravvivenza per interi popoli: “occorre globalizzare la solidarietà” (CDSC 2004: 320) . Come sintetizzerà e rilancerà poi Papa Francesco, nell’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” del 2013 solo nel lavoro “libero, creativo, partecipativo e solidale l’uomo esprime ed accresce la propria dignità della vita” (Evangelii Gaudium 2013: 192). Infine, non bisogna dimenticare che nella società moderna, il lavoro è soggetto a cambiamento continuo. Negli ultimi anni, in particolare, il mondo del lavoro sta cambiando così in fretta da rivoluzionare stili di vita e modelli etici. Tra le “res novae” che influenzeranno il mondo attuale del lavoro possiamo citare la trasformazione tecnologica che, attraverso processi di automazione e digitalizzazione, inciderà in tutti i domini dell’economia (produzione, consumo, trasporti e comunicazione), creerà sì opportunità di maggior ricchezza e benessere, ma dovrà superare la prova della sostenibilità sociale: qualità e quantità di lavoro subiranno cambiamenti significativi, dal numero di ore lavorate alla “dematerializzazione” del luogo di lavoro.

Quando, dunque, nei progetti analizzati si parla di utilizzo di nuove tecnologie per lo stoccaggio di carbonio o per il risparmio della risorsa idrica ecc. bisognerà valutarne non solo la sostenibilità economica – in quanto questi interventi hanno dei costi molto elevati che non ne permettono una diffusione capillare, per cui molte zone del pianeta potrebbero esserne tagliate fuori – ma anche la citata sostenibilità sociale: mezzi che da una parte mitigano l’impatto delle attività umane sull’ambiente, ma dall’altra non facciano “perdere il senso della totalità, delle relazioni che esistono tra le cose, dell’orizzonte ampio” (LS 2015:110) e quindi siano orientati, messi al “servizio di un altro tipo di progresso, più sano, più umano, più sociale e più integrale” (LS 2015:112) che comprende il rispetto del diritto al lavoro, affinché non manchi mai a nessuno, delle condizioni dei lavoratori e delle loro famiglie. A maggior ragione, quando queste progettualità vengono messe in campo nei cosiddetti “paesi in via di sviluppo” (cfr. i progetti di agricoltura rigenerativa della Regenerative Society Foundation, Acacias for all o Fondazione Ernesto Illy), particolare attenzione dovrà essere data innanzitutto alla partecipazione attiva e consapevole delle comunità locali: non soltanto spettatori o destinatari passivi di interventi (dimensione oggettiva del lavoro), ma protagonisti del cambiamento (dimensione soggettiva del lavoro)13. A proposito di questo, Richard Huston14, al recente incontro “Preparare il futuro: costruire un’economia sostenibile, inclusiva e rigenerativa” organizzato dalla commissione Vaticana COVD-19 il 12 gennaio 2022, ha affermato: “La tecnologia e l'innovazione ci hanno permesso di connetterci in tutto il mondo. Hanno permesso alle imprese di prosperare. Ma se quella tecnologia non può essere usata per connettere le persone a un'istruzione e a un lavoro di alta qualità, allora vedremo una maggiore disuguaglianza di reddito, un aumento della disoccupazione, una crescente dipendenza dal governo e un aumento delle migrazioni di massa”.

Sarebbe inutile assicurare salute e benessere ai consumatori finali dei prodotti, se questi invece fossero la causa di condizioni non dignitose dei lavoratori e delle comunità dei paesi fornitori, così come sarebbe in generale poco opportuno se a portare avanti progetti rigenerativi fossero imprese o organizzazioni che non rispettano in altri contesti i diritti fondamentali dell’uomo e dello stesso ambiente, ma questo è un discorso che avrebbe bisogno di un ulteriore approfondimento non in questa sede possibile.

 

Il ruolo delle imprese

Inevitabile, a questo punto del discorso, un riferimento al ruolo delle imprese, a cui il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa dedica un intero paragrafo all’interno della sezione settima “la vita economica” e che associa al concetto di iniziativa privata in quanto “la libertà della persona in campo economico è un valore fondamentale e un diritto inalienabile da promuovere e tutelare” (CDSC 2004:336). Una libertà, che se creativamente ed intelligentemente messa in pratica, scopre “le potenzialità produttive della terra e le multiformi modalità con cui i bisogni umani possono essere soddisfatti” (CA 1991:337). Il Magistero riconosce la giusta funzione del profitto come primo indicatore del buon andamento dell’azienda, ma non sempre il profitto “segnala che l’impresa stia adeguatamente servendo la società” (CDSC 2004:340) o stia creando opportunità per “il miglioramento delle persone coinvolte” (CDSC 2004:339). Già da queste poche affermazioni possiamo intuire come la Dottrina Sociale della Chiesa abbia dato e continua a dare – a volte anche inconsapevolmente – un notevole contributo alle riflessioni circa la responsabilità sociale d’impresa. Se l’azienda deve essere una “comunità solidale non chiusa negli interessi corporativi, tendere ad una ecologia sociale del lavoro e contribuire al bene comune anche mediante la salvaguardia dell’ambiente” (CDSC 2004:340), deve riconoscersi sempre più protagonista nei processi di cambiamento degli attuali paradigmi di sviluppo e tendere verso modelli di business che facciano dell’attenzione all’impatto non solo economico, ma anche sociale ed ambientale il loro obiettivo principale. “Se ben gestite, le imprese promuovono attivamente la dignità dei collaboratori e lo sviluppo di virtù, quali la solidarietà, la saggezza pratica, la giustizia, la disciplina e molte altre. Mentre la famiglia rappresenta la prima scuola della società, le imprese, così come altri istituti sociali, continuano a educare la persona alla virtù” (La vocazione del leader d’impresa. Una Riflessione, 3 del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace del 2011).

Uno dei criteri proposti dalla Regenerative society foundation come indispensabile per la capacità rigenerativa di un progetto o di una attività è quello dell’economia circolare. Come abbiamo visto in precedenza, ci sono alcune imprese (The Eco-Ethical Company e Levissima) che identificano la “rigenerazione” in una fase di questo modello di produzione e consumo, citato da Papa Francesco nella Laudato si’, al n. 22 come esempio virtuoso di prassi che le aziende devono mettere in pratica per non estrarre ulteriormente risorse dalla terra. Tuttavia, la stessa impostazione dei criteri della Fondazione e l’analisi dei progetti hanno messo in evidenza che l’economia circolare non basta da sola a definire un progetto rigenerativo poiché un utilizzo efficiente delle risorse a disposizione non corrisponde necessariamente ad una capacità effettiva di rigenerarle. Questo comporta alle imprese – così come ampiamente descritto all’interno della Dottrina Sociale – un ulteriore passo in avanti: non solo modelli di produzione efficienti ed attenti alle esternalità negative che superino il concetto di economia lineare, ma identificativi di un concetto più ampio di sostenibilità sociale ed ambientale. Inoltre, per diventare davvero sostenibili, le imprese devono avviare pratiche per la misurazione delle performance in ambito ambientale e sociale – non solo economico – rendere il proprio percorso trasparente e fissare degli obiettivi chiari. Fuggendo da qualsiasi tentazione di greenwashing o di qualsiasi altro espediente puramente comunicativo e di marketing, le organizzazioni avviano in questo modo un circolo virtuoso improntato alla creazione di valore condiviso, ultima frontiera della sostenibilità. Come abbiamo evidenziato, a tutt’oggi, poiché ancora non c’è una definizione univoca, chiara e definita di rigenerazione, non esiste alcun sistema di misurazione capace di effettuare l’analisi della capacità effettivamente rigenerativa delle imprese o delle organizzazioni.

 

La sussidiarietà circolare

Mercato, stato e società civile sono le tre istituzioni economiche che il Magistero sociale pone a servizio dell’uomo.

Il mercato – laddove è assicurato quello spazio di autonomia personale, familiare e collettiva grazie al riconoscimento e alla tutela della proprietà privata e lì dove non si verifichi “l'inversione del rapporto tra mezzi e fini che può farlo degenerare in una istituzione disumana e alienante, con ripercussioni incontrollabili” (CDSC 2004:348) – garantisce la produzione di ricchezza, un’efficiente allocazione delle risorse e lo scambio dei beni e servizi, premia gli sforzi degli imprenditori e la loro capacità di innovazione, nonché la circolazione delle informazioni che assicura una sana concorrenza. Come abbiamo già accennato nel precedente paragrafo, uno dei limiti più evidenti del mercato è l’incapacità di “soddisfare esigenze umane importanti, per le quali c'è bisogno di beni che, per loro natura, non sono né possono essere semplici merci, beni non negoziabili secondo la regola dello scambio di equivalenti e la logica del contratto” (CDSC 2004: 349) per cui – basato su una visione riduttiva della persona e della società - bisogna sempre “circoscriverne il suo spazio di autonomia” (Octogesima adveniens 1971:43).

L’attività economica, in particolare quella dell’economia di mercato, non può svolgersi in un vuoto istituzionale, giuridico e politico. Essa suppone, al contrario, sicurezza circa le garanzie della libertà individuale e della proprietà, oltre che una moneta stabile e servizi pubblici efficienti” (CA 1991:48). In questo passaggio San Giovanni Paolo II traccia chiaramente quale dovrebbe essere il ruolo dello Stato nell’economia. Sicuramente né troppo invadente né troppo cauto, l’intervento equilibrato dell’istituzione pubblica è caratterizzato da funzioni di coordinamento, controllo e difesa, nonché di attenzione – secondo un principio di solidarietà15 – nei confronti di coloro che rimangono esclusi dal mercato, in quanto esso non è in grado “di garantire una distribuzione equa di alcuni beni e servizi essenziali alla crescita umana dei cittadini: in questo caso la complementarità tra Stato e mercato è quanto mai necessaria” (CDSC 2004:353).

In rapporto di complementarità con il mercato e lo stato per contribuire al raggiungimento del bene comune, si pone la società civile organizzata in corpi intermedi che, dunque, assumono un suo ruolo specifico in ambito economico. In genere costituite “sulla base di un patto associativo (…) espressione di una comune tensione ideale dei soggetti che liberamente decidono di aderirvi” (CDSC 2005:357), queste organizzazioni si sono sempre contraddistinte per le loro azioni di solidarietà con l’intento di rendere diffusive le azioni di ridistribuzione della ricchezza generata dal mercato, anche se, negli ultimi anni, questa non è rimasta l’unica loro funzione, ma si stanno sempre più specializzando anche nella produzione di beni e servizi.

Uno dei principi di rilievo della Dottrina Sociale della Chiesa che mette in relazione mercato, stato e società civile è la “sussidiarietà” secondo cui “una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità ed aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune” (CA 1991:48). Un’impostazione classica attribuisce alla sussidiarietà due caratteristiche: verticalità e orizzontalità. Secondo la prima, la ripartizione gerarchica delle competenze deve essere spostata dagli organi dello Stato centrale verso gli enti locali più prossimi al cittadino, e pertanto, più vicino ai bisogni delle singole realtà territoriali; per la sua orizzontalità, invece, gli enti pubblici favoriscono i singoli cittadini o le loro forme associate nell’espletamento di funzioni utili alla collettività e che rispondono all’interesse generale. La complessità dei sistemi attuali, però, ci impone di andare oltre una logica comunque lineare, sia essa verticale o orizzontale, per superare le proprie inefficienze e raggiungere il bene comune della società. I tre soggetti principali del sistema sociale, mercato, stato e società civile devono entrare in relazione secondo un’ottica circolare e cooperativa, affinché lavoro e ricchezza nascano non solo dalla concorrenza, ma anche dal mutuo vantaggio e dalla co-programmazione degli interventi in risposta ai bisogni della comunità ogni volta diversi. Questo percorso inizierebbe sciogliendo l’annosa criticità della progressiva diminuzione delle risorse pubbliche che rischiano nel futuro di non poter più rispondere – in ottica universalista – alle varie esigenze del territorio. Inoltre, la circolarità favorirebbe una maggiore biodiversità economica, finanziaria, organizzativa, motivazionale che quotidianamente contribuisce “alla crescita del senso di responsabilità personale e sociale, alla vita democratica, ai valori umani utili al progresso del mercato e della società” (Mater et magistra 1961:53) In altre parole, la promozione della creatività accelera quel processo di partecipazione responsabile alla vita economica e sociale di un paese o di una determinata comunità, migliorandone sia da un punto sociale che ambientale, l’impatto delle attività umane.

Molti dei progetti che abbiamo analizzato si muovono – anche inconsapevolmente – in tal senso. Un’economia che si definisce rigenerativa dell’ambiente e di conseguenza della società non può prescindere dalla circolarità virtuosa del rapporto tra imprese, istituzioni e società civile: basti pensare al “Kilometroverde” di Parma promosso proprio da un consorzio di cui fanno parte organizzazioni pubbliche e private. Ogni anno si propone di mettere a dimora una media di 20.000 alberi per interventi di riforestazione con l’obiettivo di riqualificare aree urbane ed extraurbane, grazie all’aiuto di imprese del territorio, professionalità individuali e associazioni. Creare alleanze, relazioni, network permette di rispondere pienamente ai bisogni di una comunità che si trova ad affrontare problematiche sempre più complesse ed interconnesse, a cui di certo non possono aggiungersi la politica e l’economia “che tendono ad incolparsi reciprocamente per quanto riguarda la povertà ed il degrado ambientale, ma quello che ci si attende è che riconoscano i propri errori e trovino forme di interazione orientate al bene comune” (LS 2015:19).

 

CONCLUSIONI

Questo lavoro di ricerca ci ha permesso di conoscere uno dei nuovi modelli economici che, a suo modo, cerca di contribuire ad un cambio dell’attuale paradigma economico ormai insostenibile. La mancanza di una definizione chiara e quindi operativa di economia rigenerativa ci ha dato, però, la possibilità di conoscere nel concreto attività e progetti che si dichiarano rigenerativi. Organismi internazionali, imprese, organizzazioni non profit si stanno facendo promotori di iniziative che mirano al superamento del paradigma estrattivo delle risorse, in favore di uno rigenerativo degli ecosistemi e quindi della società.

Anche se il più delle volte sono stati dichiarati come obiettivi indiretti di azioni specifiche contro l’inquinamento, i cambiamenti climatici e a tutela della biodiversità, il miglioramento della salute umana e del benessere configurano come la positiva conseguenza di pratiche quali la cattura e lo stoccaggio di carbonio, bonifiche, la riqualificazione del suolo, la riforestazione, gestione responsabile della risorsa idrica ecc. Tuttavia, questa consequenzialità – sicuramente fondata su basi scientifiche e universalmente riconosciuta – tende ad offuscare il senso ultimo e più profondo della necessità di trovare una valida alternativa al paradigma economico attuale, cioè rimettere l’uomo al centro dell’economia, come fine e non come mezzo per raggiungere esclusivamente il profitto.

Per questo motivo siamo ricorsi ad un dialogo con la Dottrina Sociale della Chiesa affinché potesse fornire prospettive di significato, valore ed impegno per il rispetto della dignità umana e il raggiungimento del bene comune. Infatti, sebbene in linea teorica l’economia rigenerativa trova certamente una sponda nell’interconnessione tra fattori sociali, ambientali ed economici ben sistematizzata nell’enciclica “Laudato si” di Papa Francesco nella logica del “tutto è connesso” (soprattutto nei passaggi che descrivono lo stato di salute in cui versa la nostra casa comune dovuto alle attività umane), eppure manca – anche nelle sue applicazioni - di quel riferimento chiaro alla dimensione etica e morale.

L’attenzione al tema del lavoro legato al diffondersi delle nuove tecnologie e alla necessità di coinvolgere le comunità locali nei processi di produzione e consumo, in un’ottica di impresa orientata al bene comune e alla generazione di valore condiviso con le istituzioni pubbliche e la società civile, sono fattori imprescindibili se l’economia rigenerativa vuole con successo proporsi come modello alternativo in una società sempre più complessa.

Nel messaggio ai partecipanti all’evento “Preparare il futuro: costruire un’economia sostenibile, inclusiva e rigenerativa” organizzato dalla commissione Vaticana COVD-19 il 12 gennaio 2022, papa Francesco scrive: “mi auguro dunque che dal confronto di oggi non emergano dichiarazioni di intenti o messaggi sui grandi principi: vi esorto a prendere impegni concreti, a fare la vostra parte perché l’economia e la finanza siano a servizio delle persone e della nostra madre terra. I vostri indicatori di successo non siano i soli profitti, l’espansione, i rendimenti a breve e brevissimo termine. Siano invece il numero di persone che escono dalla povertà estrema, che possono lavorare dignitosamente”.

Andare oltre la cultura dominante dello scarto per “ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri” (LS 2015:49), significa, quindi, non solo focalizzarsi sulle risorse naturali – come ben ci dice l’economia rigenerativa – ma anche e soprattutto sui poveri che continuano a non essere ascoltati.

Ci sono regole economiche che sono risultate efficaci per la crescita, ma non altrettanto per lo sviluppo umano integrale. È aumentata la ricchezza, ma senza equità, e così ciò che accade è che nascono nuove povertà. Quando si dice che il mondo moderno ha ridotto la povertà, lo si fa misurandola con criteri di altre epoche non paragonabili con la realtà attuale. Infatti, in altri tempi, per esempio, non avere accesso all’energia elettrica non era considerato un segno di povertà e non era motivo di grave disagio. La povertà si analizza e s’intende sempre nel contesto delle possibilità reali di un momento storico concreto” (Fratelli tutti 2020:22).

Un’economia, per definirsi pienamente rigenerativa, dunque, deve accompagnare all’attenzione verso l’ambiente e gli ecosistemi, l’attenzione per l’uomo, non soltanto come detentore di salute e benessere, ma come titolare di quella dignità che gli è propria; una dignità che a molti non è riconosciuta a causa della povertà e delle ingiustizie sociali. Rigenerare vuol dire iniziare a “pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. È anche lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi” (FT 2020: 122). Rigenerare vuol dire riconoscere queste situazioni estreme, adottare politiche ed interventi per abolirle e aprirsi alla solidarietà anche se “alcune volte l’abbiamo trasformata in una cattiva parola che sono si può dire, ma è una parola che esprime molto più che alcuni atti di generosità sporadici” (FT 2020:122). A fronte del fenomeno dell'interdipendenza e del suo costante dilatarsi, persistono, d'altra parte, in tutto il mondo, fortissime disuguaglianze tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo, alimentate anche da diverse forme di sfruttamento, di oppressione e di corruzione che influiscono negativamente sulla vita interna e internazionale di molti Stati. Il processo di accelerazione dell'interdipendenza tra le persone e i popoli deve essere accompagnato da un impegno sul piano etico-sociale altrettanto intensificato, per evitare le nefaste conseguenze di una situazione di ingiustizia di dimensioni planetarie, destinata a ripercuotersi assai negativamente anche negli stessi Paesi attualmente più favoriti (CDSC 2044:192).

Concludendo, il processo di partecipazione alla costruzione del bene comune che va oltre lo scambio di equivalenti e la distribuzione della ricchezza, fa sì che entro le normali attività economiche trovino posto anche la logica della gratuità e del dono, a tutti gli effetti generatori di valore condiviso. La Dottrina sociale della Chiesa ritiene che possano essere vissuti rapporti autenticamente umani, di amicizia e di socialità, di solidarietà e di reciprocità, anche all'interno dell'attività economica e non soltanto fuori di essa o « dopo » di essa. La sfera economica non è né eticamente neutrale né di sua natura disumana e antisociale. Essa appartiene all'attività dell'uomo e, proprio perché umana, deve essere strutturata e istituzionalizzata eticamente (CiV 2009: 36).

Fondata proprio sulla logica della gratuità e del dono, la reciprocità consolida le connessioni sociali e la fiducia generalizzata senza cui né i mercati, né le società potrebbero esistere. Accanto alla solidarietà, assenti in questo nuovo paradigma dell’economia rigenerativa, sono proprio la dimensione della gratuità, del dono e quindi della reciprocità. Stefano Zamagni (…) definisce la reciprocità come un “dare senza perdere ed un prendere senza togliere”; una gratuità che, come sottolinea ancora Papa Benedetto XVI, è presente nella vita dell’uomo “in molteplici forme, spesso non riconosciute a causa di una visione solo produttivistica e utilitaristica dell'esistenza”, proprio perché “l’essere umano è fatto per il dono, che ne esprime ed attua la dimensione di trascendenza”(CiV 2009: 34).

Se saprà raccogliere queste sfide di senso, allora la rigenerazione e quindi l’economia rigenerativa, potranno concorrere al superamento della cultura dello scarto, non solo materiale, e alla costruzione del bene comune.

 

Salvatore Fega

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

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SITOGRAFIA

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NOTE
1 L'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) è il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici. L’IPCC è stato istituito nel 1988 dalla World Meteorological Organization (WMO) e dallo United Nations Environment Programme (UNEP) allo scopo di fornire al mondo una visione chiara e scientificamente fondata dello stato attuale delle conoscenze sui cambiamenti climatici e sui loro potenziali impatti ambientali e socioeconomici.
2 L’impronta di carbonio è l’unità di misura della domanda di risorse naturali da parte dell’umanità. Questo parametro si usa per stimare le emissioni di gas serra provocate da prodotti, servizi, organizzazioni, eventi e individui. Generalmente viene espresso in tonnellate di CO2 e si usa per determinare gli impatti ambientali che le emissioni hanno sui cambiamenti climatici di origine antropica, ossia tutti gli interventi di trasformazione dell’ambiente naturale da parte del genere umano. Tali interventi vengono attuati con lo scopo di adattare l’ambiente alle nostre esigenze e migliorare la qualità della vita. Tuttavia non sempre hanno un impatto positivo ma, al contrario, possono danneggiare l’equilibrio degli ecosistemi.
3 La biocapacità, o capacità biologica, è un indicatore di sostenibilità ambientale applicabile ad un dato territorio per stimare i servizi ecosistemici che quel territorio è in grado di erogare. La biocapacità rappresenta dunque la produzione (principalmente biologica) di risorse naturali da parte degli ecosistemi; a questo si aggiunge poi la loro capacità di rinnovare ciclicamente tali beni e di assorbire i rifiuti derivanti dalle attività antropiche.
4 Le Società Benefit sono una nuova forma giuridica d’impresa che l’Italia, come primo Stato sovrano, ha introdotto nel 2016; essa è caratterizzata da livelli più alti di trasparenza, accountability e valutazione d’impatto non solo verso gli azionisti ma verso tutti i portatori di interesse.
5 La certificazione B Corp è ottenuta da quelle aziende che, attraverso l’utilizzo del BIA – B Impact Assessment – valutano la propria “capacità rigenerativa”, creando anche una competizione positiva tra tutte quelle imprese che, rispettando sempre più principi di sostenibilità, si valutano attraverso questo strumento. Secondo l’ultima indagine pubblicata dal movimento B Corp Italia, nel nostro Paese le aziende certificate B Corp sono oltre 120.
6 L’economia verde è “un modello teorico di sviluppo economico basato su un miglioramento del benessere umano e dell’equità sociale, in grado di garantire al tempo stesso una significativa riduzione dei rischi ambientali e della scarsità ecologica”, questa la definizione fornita dall’UNEP (United Nations Environment Programme) all’interno del rapporto ufficiale Towards a Green Economy – Pathways to Sustainable Development and Poverty Eradication nell’anno 2011. In altre parole, la Green Economy è finalizzata ad aumentare la resa economica di una società mediante l’applicazione di sistemi produttivi a ridotto impatto ambientale, ma, sebbene la definizione citata presenti anche un risvolto sociale del modello, il più delle volte esso non viene nella pratica valutato, per cui lo studio lo inserisce concettualmente prima della sostenibilità tout court che, come sappiamo, è triplice: economica, ambientale e sociale.
7 Il problema dell’uso spropositato delle risorse naturali viene inquadrato dalla Laudato si’ anche nell’ambito dell’etica della relazioni internazionali, infatti “l’esaurimento dei suoli e della biodiversità naturale, la deforestazione di ampie zone del pianeta, l’inquinamento delle acque e la devastazione dei paesaggi pesano sulla coscienza di quanti hanno sfruttato la nostra casa comune” (Tavolo interdicasteriale della Santa Sede sull’ecologia integrale, “In cammino per la casa comune, a cinque anni dalla Laudato sì”, 2020, pag. 143). La protezione ecosistemi necessita di un sistema normativo sostenuto da forme di cooperazione o di organizzazione comunitaria, prima che “le nuove forme di potere derivate dal paradigma tecno-economico finiscano per distruggere non solo la politica ma anche la libertà e la giustizia” (LS 2015:53).
8 Il documento "Aqua fons vitae” del Dicastero dello Sviluppo Umano Integrale (2020) al n.69 avverte: “Prestare attenzione alla “dimensione umana e relazionale” che caratterizza i vari progetti di accesso all’acqua potabile e/o ai servizi igienici, con il protagonismo delle comunità nella progettazione, gestione e manutenzione degli impianti, promuovendo, se pertinente, la valorizzazione di conoscenze tradizionali, il ricorso alla cultura locale, adeguate consultazioni e formazione.
9 Al n.26 la “Gaudium et Spes” (1965) il bene comune viene definito come “l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alla collettività che ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente”. Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (2005) ne esplicita alcune caratteristiche: “Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro. Come l'agire morale del singolo si realizza nel compiere il bene, così l'agire sociale giunge a pienezza realizzando il bene comune. Il bene comune, infatti, può essere inteso come la dimensione sociale e comunitaria del bene morale.”
10 Lettera al Primo Ministro inglese David Cameron in occasione dell’incontro del G8 del 17/18 giugno 2013 di Papa Francesco.
11 L’enciclica “Laborem Exercens” ai nn. 18 e 19 ne elenca alcuni a titolo esemplificativo: diritto ad una giusta remunerazione, diritto al riposo, diritto ad “ambienti di lavoro e a processi produttivi che non rechino pregiudizio alla sanità fisica dei lavoratori e non ledano la loro integrità morale”, il diritto che venga salvaguardata la propria personalità sul luogo di lavoro senza “essere violati in alcun modo nella propria coscienza o nella propria dignità”, il diritto a convenienti sovvenzioni indispensabili per la sussistenza dei lavoratori disoccupati e delle loro famiglie, il diritto alla pensione, la malattia in caso di incidenti collegati alla prestazione lavorativa, il diritto a provvedimenti sociali collegati alla maternità e il diritto di riunirsi e di associarsi.
12 “La capacità progettuale di una società orientata verso il bene comune e proiettata verso il futuro si misura anche e soprattutto sulla base delle prospettive di lavoro che essa è in grado di offrire” (CDSC 2005:289)
13 “vi è una grande varietà di sistemi alimentari agricoli e di piccola scala che continua a nutrire la maggior parte della popolazione mondiale, utilizzando una porzione ridotta del territorio e dell’acqua e producendo meno rifiuti, sia in piccoli appezzamenti agricoli e orti, sia nella caccia e nella raccolta di prodotti boschivi, sia nella pesca artigianale. Le economie di scala, specialmente nel settore agricolo, finiscono per costringere i piccoli agricoltori a vendere le loro terre o ad abbandonare le loro coltivazioni tradizionali. I tentativi di alcuni di essi di sviluppare altre forme di produzione, più diversificate, risultano inutili a causa della difficoltà di accedere ai mercati regionali e globali o perché l’infrastruttura di vendita e di trasporto è al servizio delle grandi imprese. Le autorità hanno il diritto e la responsabilità di adottare misure di chiaro e fermo appoggio ai piccoli produttori e alla diversificazione della produzione” (LS 2015:129)
14 CEO di Deloitte Nord-Sud Europa
15 “Nella ricerca di linee di azione per rinnovare le istituzioni socio-economiche, il riferimento alla solidarietà non deve essere ridotto ad una semplice affermazione di principio, quasi ad un luogo comune. È invece necessario mettere in stretta correlazione solidarietà e responsabilità: in uno stato rinnovato, la solidarietà deve essere ricevuta e, al tempo stesso, prestata dai cittadini” (Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro della Conferenza Episcopale Italiana, Democrazia economica. sviluppo e bene comune (1994), 48)

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