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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

 

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Anthony GOERZEN (ed.)

Research Handbook on International Corporate Social Responsibility

Edward Elgar Publishing

Cheltenham, UK - Northampton, MA, USA, 2023

 

Un manuale di grande utilità per imprese, sindacati, stakeholder

 Luigi Troiani

 

Sotto il coordinamento di Anthony Goerzen, sessantadue autori, in ventinove capitoli organizzati in cinque parti, hanno collaborato a un'opera - Research Handbook on International Corporate Social Responsibility - (Csr) che, per la serietà e la completezza dell'indagine e della riflessione condotte, resterà nella storia del pensiero sociale, in specifico di quello che studia la responsabilità sociale delle imprese.

Il curatore insegna Imprenditoria Internazionale all'università Queen's di Kingston, nell'Ontario, e presiede la sezione canadese di Aib, l'accademia internazionale che studia i comportamenti internazionali delle imprese, in particolare delle multinazionali. Il Research Handbook risente già nel titolo della specializzazione del curatore, ma non ne viene limitato, visto che è strutturato sull'interdisciplinarità. Tra gli autori figurano economisti (Liena Kano, dell’Università di Calgary), consiglieri politici versati sui diritti umani e le risorse naturali (Joanne Lebert, visiting fellow in Studi sui rifugiati ad Oxford), esperti di politiche per l'occupazione, la salute e la gioventù (Linda Jane Liutkus, operatrice Unicef e World Child Canada), operatori della catena agroalimentare (Cynthia Waltho dell'Università di Waterloo), giuristi (Lise J. Johnson, consigliere in un primario studio legale), e antropologi, ambientalisti, giuslavoristi, esperti in paesi in sviluppo.

Le cinque parti del testo - "Historical and Current Assessments", "Challenges and Shortcomings", Partnerships and Collective Action", "Csr in Emerging Markets", "A View Forward" - raccolgono e organizzano le differenze di approcci e di esperienze, attraverso un trattamento sistemico che riesce a garantire all'esposizione la necessaria coerenza, sia all'interno di ciascuna parte, che nel complesso dell'opera.

Si viene a disporre di un concetto di Csr ricco di approcci i più diversi, ciascuno dei quali  contribuisce alla ricomposizione collettiva grazie ai risultati della formazione e specializzazione che l'hanno generato, fornendo al libro abbondanza di posizioni, soluzioni, casi di studio, che tutti si ritrovano nella definizione di Csr richiamata da uno dei saggi, a firma Tatiana Kostova e Valentina Marano: "Csr refers to a collection of organizational practices that firms adopt to create social value by reducing the firm's negative externalities or creating positive ones".

Giustamente il curatore scrive che gli autori hanno raggiunto il collective goal di fornire alla comunità degli studiosi di scienze sociali un'originale e "fresca" apertura sul concetto di Csr internazionale, soddisfacendo lo sforzo di partenza teso ad: informare i manager che hanno la responsabilità dei comportamenti e delle performance delle loro organizzazioni, sollecitare i policy-maker a sviluppare percorsi  ragionevoli equi ed efficaci per la necessaria regolazione dell'attività economica, aiutare le Ong a diventare migliori "advocates and monitors".

La scelta esplicita dei quattro gruppi pubblici ai quali indirizzare l'Handbook non è casuale. Per il modello proposto dalla comunità transnazionale di studiosi che hanno realizzato il corposo volume di 500 pagine, da un lato occorre far crescere le consapevolezze concettuali di studiosi e politici, dall'altra attrezzare imprenditori e manager a indirizzare in termini di responsabilità sociale le attività delle loro imprese, in particolare nel caso operino per imprese multinazionali o con paesi in sviluppo. Le Ong vengono situate a bordo campo, con funzioni di sorveglianza e difesa.

Il volume ipotizza una rete di Csr internazionale, tale da generare incentivo alle buone pratiche di responsabilità sociale, e protezione per chi le promuove e realizza, con l'obiettivo di arrivare a dotare di sostenibilità la catena globale del valore. In diversi dei suoi saggi avverte che i lavoratori risultano tanto più vulnerabili quanto più "lontani" dai centri dove si prendono le decisioni che li riguardano. É ciò che capita con le multinazionali. Goerzen scrive di una vera e propria "race to the bottom" che riguarda i modi con i quali si costruisce l'approvvigionamento sulle linee della produzione globale del valore, a partire dalle materie prime e dai semilavorati dei PVS. Non casualmente un intero capitolo del libro analizza le diverse strategie da attuare, a seconda delle diverse "distanze" nelle quali la Csr va a porsi (locale, transnazionale, globale).

Nell'analisi degli autori, la perversione subita dalla catena globale del valore a partire dalla crisi del subprime del 2007, ha prodotto due enormi falle nel sistema internazionale, né solo quella economica né solo quella sociale: l'abbassamento dello standard di vita assoluto di miliardi di persone (marginali cronici, disoccupati, precari, sottopagati, pensionati, malati), l'aggressione all'ambiente fisico e biologico.

La prima falla ha generato i pochi troppo ricchi e i troppi troppo poveri. La seconda i micidiali dati sul riscaldamento globale e i livelli di inquinamento ambientale.  Nel decennio trascorso i primi cinque miliardari hanno raddoppiato la propria ricchezza, mentre la povertà globale si è incrementata del 60%; l'obiettivo dello sradicamento delle povertà è stato così spostato a 230 anni da ora.  In quanto al riscaldamento globale, si è da poco chiuso il febbraio più caldo dal 1850, con una temperatura media mondiale superiore di 1,4°C alla temperatura media di ogni febbraio del XX secolo. Commenta uno degli autori del libro: "Per quanto ripugnanti tali comportamenti possano risultare a chi li osserva, molte imprese ottengono un vantaggio economico diretto dal violare diritti umani." E dire che la Dichiarazione Universale sui Diritti Umani risale al 1948, a più di tre quarti di secolo fa.

È la scarsa pratica di Csr che, con altri fattori, risulta all'origine delle due falle e dei fenomeni che le producono. Come ha scritto recentemente Oxfam, se Jeff Bezos (167,4 miliardi di dollari, un quinto dei quali accumulati dal 2020) si conformasse alle regole di Csr invece di ostracizzare i sindacati e fissare pesanti condizioni di lavoro, gli operatori di Amazon avrebbero ben altri turni, retribuzioni, welfare, con vantaggi evidenti per il tono dell'economia e il benessere socio-ambientale.

Il ragionamento vale anche per il riscaldamento globale. Ad eccezione di rari esempi virtuosi, i grandi attori economici transnazionali fanno ancora troppo poco per neutralizzare le emissioni di CO2, violando uno dei primi codici comportamentali della Csr: il rapporto "amichevole" con la natura e gli stakeholder.

Dalla lettura dell'Handbook si ha conferma che se i grandi soggetti imprenditoriali multinazionali non assumono la Csr come principio ispiratore della loro azione mirata alla produzione di beni e profitto, le pratiche corporate che ormai si caratterizzano - soprattutto nei paesi in sviluppo e in quelli con regimi dispotici - per sfruttamento del lavoro ed evasione fiscale, finiranno (più presto di quanto si immagini) per generare un sistema sociale dove le diseguaglianze estreme saranno considerate il nuovo "normale" dell'assetto politico e socio-produttivo. Magari ancora mascherato con meccanismi di democrazia formale come il voto.

Su questo punto l'Handbook va giù pesante: per non aver voluto aderire ai principi di Csr, si è messo termine alla speranza che più crescita e più sviluppo economico, comportasse automaticamente più benessere per le popolazioni e la gente comune. Alla speranza è stata sostituita la vana illusione di un futuro di consumi e progresso, ma ora neppure più quella risulta credibile.

Quando si guarda alle soluzioni da adottare per consentire a temi come l'ambiente e il clima, la giustizia salariale, l'equità della fiscalità, la fairness dei costi delle materie prime e la conseguente ristrutturazione della supply chain, il primo appello che si ritrova in diversi saggi, riguarda cosa può mettere in campo l'Europa, dove la sensibilità alla Csr appare relativamente alta. Vanno a confronto il sistema di economia "sociale" anglo-sassone e quello euro/renano, attribuendo al primo la prerogativa di rendersi flessibile attraverso il "rule-based system", mentre al secondo si rimprovera di irrigidirsi nel "principles-based system". Non è un'affermazione necessariamente condivisibile, e lo conferma il dibattito che sulla bipartizione si apre tra i diversi autori in diversi punti del volume.

Però gli autori concordano nel chiedere più impegno alla cultura accademica e di ricerca, alle Ong specializzate, ai sindacati, alle organizzazioni internazionali come Ocse, alle religioni che predicano una dottrina sociale che rispetta la persona, così che operino fattivamente per un paradigma collaborativo che ponga in dialogo management, studiosi e operatori del sociale, sindacati, per un modello di "supply chain" sostenibile.

Al tempo stesso denunciano con preoccupazione la situazione nei paesi in sviluppo dove il dialogo sociale - contrariamente a quanto accade nelle società cosiddette occidentali dove dialogo sociale e responsabilità sociale d'impresa sono istituzionalizzati e talvolta costituzionalizzati - è spesso ostacolato o addirittura represso. In situazioni del genere, l'ambìto risultato che dovrebbe scaturire dal diffondere nelle imprese la pratica dei principi di Csr, ovvero quella che il libro chiama la social and environmental performance, è praticamente impossibile da raggiungere.

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