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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

058risultati

pdfChi ha risposto
Gli studenti-ricercatori, a partire dai propri contesti sono riusciti a contattare 189 persone, di cui 108 di nazionalità italiana e 81 non italiana. Ovviamente non si tratta di un campione statisticamente significativo, dal momento che non è stata seguita alcuna procedura statistica di campionamento. Si tratta però di un gruppo di persone che è stato raggiunto attraverso la metodologia del cluster, a partire dai ricercatori.

Sono presenti 37 nazionalità oltre quella italiana, così ripartite:
f01 nazionalità

Come evidente dal grafico, il numero maggiore di non autoctoni proviene dalle Filippine (9), seguono Brasile e Ucraina con 6, Romania ed Egitto con 5, Perù, Moldavia, Argentina e Albania con 3, Angola, Bangladesh, Nigeria e Russia con 2 e tutti gli altri con una persona.

Si tratta di 54 uomini e 135 donne (60 delle quali di nazionalità non italiana).

L’età media è 39 anni, 41,5 la mediana, 45 la moda.

Rispetto al titolo di studio, il 70,37 % (133 persone) ha il diploma di laurea. Fra gli 81 non italiani, 61,72% ha il diploma di laurea, il 22,22% il diploma di secondaria superiore e 8.64% quello di secondaria di primo grado o elementare. La situazione per gli italiani non si discosta molto: il 67,6% ha la laurea, il 26,9 ha il diploma, e il 5,5% la licenza media o elementare.

Rispetto alla situazione lavorativa ha un impiego full time il 38.3% degli stranieri, 4 hanno un full time smart working, 20 (24.7%) un part time, 3 un part time smart working, 9 a chiamata e 11 (5,8%) non lavorano. Fra gli italiani la situazione è la seguente: il 53.7 degli italiani ha un impiego full time; il 15,7 % un part time e nessuno non lavora.

Fanno volontariato 76 persone, ovvero il 40,2% degli intervistati. Di questi il 46,9% non è italiano, mentre il 35,2% lo è. 50 di loro hanno come titolo di studio la laurea (65,8%), il 23,7% ha il diploma di secondaria. Il 7,9% ha la licenza media e nessuno ha la licenza elementare o niente. Fra le 11 persone che non lavorano, 6 fanno attività di volontariato. Quindi si conferma l’ipotesi, già suffragata da varie ricerche, che un titolo di studio più elevato sia positivamente correlato con un’attività volontaria. Nel nostro gruppo di intervistati, inoltre in percentuale, gli stranieri fanno più volontariato degli italiani.

13 su 81 (16%) fra i non italiani fanno mestieri di assistenza e cura (infermiere/a, assistente familiare, colf); 37 (45,7%) fanno attività connesse con la cultura, da mediatore culturale a insegnante a restauratore; 3 sono religiosi, 3 imprenditori.

Quanto al periodo di anzianità della migrazione, fra i rispondenti, l’anno di maggior accesso è stato il 2006, senza regolarità nei vari anni.

In relazione alle lingue parlate, oltre l’italiano, abbiamo 22 lingue parlate.

Rispetto invece al titolo di soggiorno in Italia, il 37,48% ha la carta CE per soggiornanti di lungo periodo, seguito dalla cittadinanza italiana 22,29% e infine il Permesso di soggiorno (18,23%).

Infine quanto alla conoscenza dell’italiano in relazione alle 4 competenze chiave (lettura, scrittura, ascolto e parlato), effettuata sulla base dell’autovalutazione da 79 soggetti che hanno risposto, risulta in generale molto buona (4 su 5), con picchi di conoscenza perfetta per quanto riguarda lettura e scrittura. Pochissimi soggetti reputano di conoscere poco o per nulla l’italiano.

Questi dati generali sono interessanti in relazione alle caratteristiche del gruppo di persone raggiunte grazie alla rete degli studenti-ricercatori.

Come si vede si tratta di persone che faticheremmo a definire semplicemente migranti, dal momento che la maggior parte di loro convivono da lungo tempo con gli autoctoni in vari territori italiani.

Per questo è particolarmente interessante indagare presso di loro il senso di consapevolezza di essere cittadini globali: sia per la loro storia, sia per l’impegno formativo che stanno sostenendo, sia per le relazioni che hanno intessuto. Insomma sono ricchi di quel capitale che Bourdieu1 definirebbe culturale e sociale, non avendo indizi rispetto al capitale economico.

 

Cittadini Migranti del mondo globale: la sfida di educare adolescenti migranti e rifugiati

Il questionario A verteva sulla sfida di educare adolescenti migranti e rifugiati. Il Global Education Monitoring Report, redatto ogni anno da UNESCO, nel 2019 si soffermava sull’importanza dell’accesso all’educazione per migranti e rifugiati sostenendo che:

Mediamente, 1 persona su 8 è un migrante interno. Questo tipo di migrazione può avere effetti significativi sulle opportunità educative sia per chi parte, sia per chi rimane, soprattutto se si tratta di Paesi caratterizzati da una forte spinta all’urbanizzazione e da livelli di reddito medio-bassi. Circa 1 persona su 30 oggi non vive nel Paese in cui nasce e quasi due terzi dei migranti internazionali si dirigono verso Paesi più ricchi. Benché la maggior parte delle persone parta alla ricerca di un lavoro, una minoranza è spinta dalla ricerca di opportunità educative. Ma le migrazioni internazionali hanno ripercussioni anche sull’educazione dei discendenti dei migranti. Quasi 1 persona su 80 deve lasciare il proprio Paese o è costretta a spostarsi al suo interno a causa di conflitti o calamità naturali; di questi, 9 su 10 vivono in Paesi con livelli di reddito medio-bassi. Il loro inserimento nel sistema educativo nazionale è fondamentale, ma questo processo può essere condizionato dalla specificità dei singoli contesti di destinazione.2

Per quanto riguarda la nostra rilevazione, la prima delle piste originali di ricerca era di fatto mirata a persone impegnate in ambito di educazione formale e non formale sui temi connessi alla cittadinanza globale, nell’educazione e formazione di migranti e rifugiati. A conferma di ciò, 48 su 61 rispondenti (oltre il 78%) fanno mestieri connessi con l’educazione: insegnanti, baby-sitter, assistenti all’infanzia etc...
f02 paesi

 

In 63 hanno risposto al questionario A, di cui 22 non italiani3.
f03 nazionalità

 

Le donne sono il 73% di chi ha risposto la classe d’età maggioritaria è quella dai 36 ai 50 anni (38%), il 28% tra 51 e 65, il 17,5% tra i 26 e i 35.

Il 74,6% ha un diploma di laurea, il 17,5 un diploma di scuola media superiore. Tra gli stranieri il 41% ha la carta Europea, l’11% la carta CE e il 31,8% il permesso di soggiorno.

La condizione lavorativa prevalente è di impiego full time per il 60,3%, mentre il 20,6% lavora a part time. Ben il 55% del gruppo fa attività di volontariato.

Il 61,9% è di nazionalità non italiana, di cui il 23,07% è di origine filippina, ma sono presenti anche altre 13 nazionalità con un individuo ciascuna.

La prima delle domande specifiche per il questionario A era proprio sul significato della sostenibilità per le future generazioni.
f04 nazionalità

 

Le risposte pervenute si concentrano per lo più sulla corretta definizione derivante dal rapporto Brundtland del 1987 (65%) ma circa il 30% ne coglie l’aspetto soltanto compensativo immediato.

D’altra parte il termine sostenibilità è entrato nel patrimonio comune di conoscenza e l’82,5% di questo gruppo sostiene di sapere bene o molto bene cosa significhi sostenibilità e il confronto fra le due domande mette in evidenza che si pensa di saperlo più di quanto lo si sappia davvero (65% vs 82%).

La sfida più urgente per questi nuovi cittadini globali, che rientrerebbero negli aventi diritto allo ius scholae, sono i diritti umani (74,6%), segue la pace e la non violenza (69,8%) mentre al terzo posto c’è la giustizia sociale con oltre il 65%.

Queste priorità, come vedremo in seguito, sono state confrontate con i rispondenti ad altri questionari. In questo caso emergono come necessari temi che hanno come elemento fondante il rispetto della persona.

La formazione globale, per costruire questo rispetto, è ritenuta necessaria per tutti i cittadini (71,43%) e non solo o particolarmente per i migranti (65.08%).

L’approccio privilegiato nei sistemi scolastici e formativi conosciuti viene ritenuto quello misto (41,27%), basato sia su competenze specifiche (36,51%), sia su una formazione globale (20,63%).

Oltre l’80% ritiene che l’educazione alla cittadinanza globale sia importante per tutti i cittadini, oltre il 70% per i migranti in particolare.

Questa formazione deve però, secondo il gruppo di rispondenti, trovare spazio in una comunità di pratiche allargata (73,02%) e non soltanto essere esercitata da soli (11,11%), in un gruppo ristretto (4,76%), o nella propria comunità di riferimento (15,87%).

I principali ostacoli da superare per l'accesso all’istruzione e all’educazione alla cittadinanza globale di migranti e rifugiati vengono ritenuti gli stereotipi e i pregiudizi (44,44%), le barriere legali (41,27%), a seguire un supporto linguistico o di mediazione culturale insufficiente e risorse umane e finanziarie insufficienti.

L’ultima domanda chiedeva: nell’ultima Enciclica Fratelli tutti, Papa Francesco parla della necessità di una governance globale di una collaborazione internazionale per una pianificazione a lungo termine della migrazione, andando oltre le singole emergenze a favore dello sviluppo solidale di tutti i popoli basato sul principio della gratuità. Quanto è d’accordo da 1 a 5?
f05 nazionalità
f06 governance
Qui la risposta è plebiscitaria e concentrata sulle massime priorità (4 e 5). L’accordo è all’82,5% e non si riscontrano differenze sostanziali in base a nazionalità, età, genere o titolo di studio. Tutto il gruppo di rispondenti è unanime nel ritenere necessaria una governance globale che affronti i temi della migrazione e dello sviluppo in ottica sistemica e sostenibile.

Inoltre come già riferito nell’analisi della letteratura in materia, l’Enciclica ha rappresentato un punto di riferimento importante per il mondo accademico e per la popolazione mondiale in generale.

 

Scuola elementare ed educazione a distanza in tempo di COVID 19

Il questionario B aveva come oggetto prioritario di interesse i comportamenti educativi in contesto scolastico e familiare in epoca di pandemia. Il gruppo di ricerca ha scelto di osservare in che modo la crisi avesse influito sull’educazione dei ragazzi, visto che la loro vita, a causa della chiusura della scuola, era stata totalmente sconvolta e così anche la loro educazione. È stato indagato chi fossero le persone che hanno avuto più vicino in questi mesi e che hanno esercitato un ruolo genitoriale; come li avessero sostenuti non solo nella loro educazione ma anche nella loro socialità. Anche qui il target principale sono state figure educative ma perlopiù genitori, tutori e responsabili anche temporanei (baby-sitter, altro…) di bambini in età scolare 5-11 anni.

Al Questionario B hanno risposto in 52, di cui 30 non autoctoni (57,7%), ma, per il 26,92%, con cittadinanza italiana acquisita.
f07 nazionalità
f08 paesi

La classe d’età prevalente è ancora una volta 36-50 (65,38%), seguita da quella 26-35 (25%).

Titolo di studio più frequente (67,3%) la laurea, seguita dal diploma di scuola media inferiore (15.4%).

L’orario prevalente dell’attività professionale è ancora una volta il full time (32,7%) seguito da part time (23,07%).

Chi ha risposto più frequentemente è stata la madre, 61,5% dei casi, seguita dal padre nel 17,3% dei casi, nel 7,6% ha risposto la baby sitter, per il resto zii, altri conviventi etc.

Data la particolare condizione di convivenza richiesta dalle restrizioni nel contatto in epoca COVID, è stata indagata la permanenza sotto lo stesso tetto da parte di vari membri del nucleo familiare.
f09 FAD

Ne emerge che aldilà della famiglia nucleare (madre presente nel 96,15% dei casi e padre nel 75%) anche sorelle (17,31%), nonni (11,54%), zii (9,62%) e babysitter sono stati presenti in casa.

Il questionario mirava a conoscere la reazione alla formazione a distanza e il 65% ha detto di essersi trovato bene o molto bene, mentre il 34,6% ha risposto male o molto male.

Il confronto con altre rilevazioni effettuate nello stesso periodo dall’UNICEF conferma la disponibilità e la percezione positiva. Nella pubblicazione UNICEF si riporta infatti che:

È stato incoraggiante vedere che molti studenti hanno riportato opinioni entusiaste e ottimistiche riguardo alla didattica a distanza e si sono sentiti sicuri della loro capacità di adattarsi a questo nuovo contesto di apprendimento. In ogni livello scolastico, dalla scuola primaria alla scuola secondaria superiore, la maggioranza dei bambini e dei ragazzi (57 - 64%) ha dichiarato di essere motivata a partecipare ad attività online. Analogamente, la maggior parte (64 - 73%) ha riferito di sentirsi in grado di imparare rapidamente a partecipare ad attività online, anche se i bambini in età primaria sono stati un po’ meno propensi a riferire questa risposta rispetto ai ragazzi più grandi4.

L’adattamento al nuovo sistema di studio è stato per lo più positivo o molto positivo per il 78,8% dei rispondenti, ma oltre il 21% si è invece trovato male.

Anche questo dato è confermato dalla rilevazione UNICEF che ha trovato il 25% di ragazzi in difficoltà:

un bambino o ragazzo su quattro ha dichiarato di essere preoccupato o nervoso a partecipare ad attività online o a completare le attività scolastiche online. L’analisi non ha mostrato chiare differenze di genere o di età per quanto riguarda le preoccupazioni di bambini e ragazzi5.

I principali problemi riscontrati sono stati nella debolezza della connessione internet (46,15%), problemi con i supporti: computer, tablet, cellulare (26,92 % di casi). Di grande ostacolo nel 48% dei casi la contemporaneità dei collegamenti e la presenza di troppe persone a casa (25%).

Il luogo di collegamento più frequente è stata proprio la camera del bambino/a (67,31%) o la cucina/sala (9,62 %), ma compare anche il balcone/terrazza (25%).

Nel 53,85% dei casi le lezioni non sono andate perse, ma per il 46,15% sì. Laddove ciò sia avvenuto, è stato in numero non troppo elevato (da 1 a 5 per il 32,69%) e da 5 a 10 per il 13,46 % dei casi.

Da una domanda con possibilità di risposte multiple, emerge che i genitori sono stati i più presenti nel supportare i figli nel percorso di studio e formazione a distanza (88,46%), ma anche altri parenti e babysitter sono stati presenti (rispettivamente 23,08% e 21,15 %).

Trattandosi di bambini, anche il mantenimento del gioco e delle attività ludiformi è stato posto sotto attenzione. Ne risulta che, nonostante la TV sia stato il modo di divagazione preferito, anche i giochi di movimento hanno ricevuto una gran quantità di preferenze. La lettura e i giochi da tavolo sono stati frequenti. Ovviamente il forte utilizzo di dispositivi e consolle è confermato anche dai dati di tutte le altre ricerche in materia.

Il luogo privilegiato di attività di svago, a causa delle restrizioni, è stato ovviamente la casa 98,08 %, anche se frequente è stato anche l’utilizzo del terrazzo/balcone, 59,62 %e alcuni hanno potuto svolgere parte dell’attività all’aperto (34,62%).

È stato chiesto se fosse comunque stato possibile avere momenti di socialità con altri bambini e dove. Ne emerge che la dimensione sociale è stata comunque mantenuta dalla stragrande maggioranza, anche con frequenza, grazie soprattutto ad internet.
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f15 luoghi socialita

 I nostri dati confermano quindi quanto riportato nella suddetta pubblicazione UNICEF e le conclusioni sono tali che inducono gli esperti UNICEF ad affermare che:

Il tempo trascorso online per attività non scolastiche può essere stata la loro unica opportunità per connettersi con gli amici, rilassarsi o anche per fare esercizio fisico. Queste potrebbero essere tutte modalità importanti di affrontare una situazione insolita e cognitivamente ed emotivamente provante per i bambini e i ragazzi6.

Le opinioni dei rispondenti, sul fatto che potessero essere stati riscontrati dei cambiamenti nei comportamenti dei ragazzi, a seguito del COVID, quasi si equivalgono, con una lieve tendenza ad indicare l’esistenza di tali cambiamenti (48,08% no, 51,92%

sì). Ovviamente il cambiamento d’atteggiamento avrebbe potuto essere derivato da molte variabili tra le quali l’impatto diretto della malattia in famiglia.

Per questa ragione è stato richiesto se ci fossero stati casi di COVID fra parenti e conoscenti. I no sono stati il 53,85%, mentre i sì il 46,15%. Quanto alla gravità della malattia (che avrebbe potuto avere un impatto in tal senso), il 29% ha risposto che le conseguenze sono state gravi o gravissime.
f16 covid
f18 domande
f17conseguenze

 

A tale proposito ricordiamo che l’indagine è stata svolta nell’estate 2021, e quindi ha preso in considerazione particolarmente casi COVID della prima ondata. Infatti all’epoca solo il 34,62% dei rispondenti si era dovuto sottoporre a quarantena.

Questi grafici mostrano come i bambini nell’84,62% dei casi abbiano fatto domande; tuttavia l’evento pandemico, almeno nella percezione delle figure parentali, sembra aver reso i bambini più attenti e responsabili; solo nel 20% delle risposte, più ansioso o preoccupato.
f19 consapevolezza

Questo dato percettivo, riportato dalle figure parentali, contrasterebbe con quanto sostenuto da vari autori nella guida Erikson: Bambini, adolescenti e Covid-197, dove si dice che gli studi condotti finora in Italia hanno dimostrato come l’isolamento a casa abbia favorito l’insorgenza di problematiche comportamentali e un peggioramento di condizioni preesistenti nel 65% di bambini al di sotto dei 6 anni e nel 71% di quelli di età compresa tra i 6 e i 18 anni, con un incremento dell’irritabilità, dei disturbi del sonno e d’ansia.

D’altra parte la domanda 21 chiedeva al rispondente se avesse notato differenze nel rapporto fra il proprio bambino con altri. Ne è emerso che una netta maggioranza (71,15%) non sembra aver risentito degli effetti del confinamento, il 28% circa invece ne ha risentito, accusando comportamenti di distanza, paura o depressione. D’altra parte dopo il confinamento, sostanzialmente più della metà dei bambini è stato in grado di iniziare nuove attività (51,92%).

Come in altre rilevazioni già citate (UNICEF 2021) il tempo passato ad utilizzare supporti elettronici è aumentato in modo rilevante. Si tratta del 55,8% dei casi fra i nostri rispondenti, mentre è rimasto analogo nel 30% dei casi.

La nostra rilevazione non ha approfondito però se l’aumento dell’uso dei supporti digitali sia stato dipeso maggiormente dall’uso per lo studio o da quello per il tempo libero.

Il COVID ha influito, almeno temporaneamente nel rapporto del bambino con le figure parentali per il 53,85% dei rispondenti, mentre ciò non è avvenuto nel 46,15% dei casi.

Questa influenza sembra si riverberi in molti casi in una maggior vicinanza, ma in altri ha fatto invece aumentare la distanza dall’esterno o esacerbato relazioni conflittuali nella coppia. Insomma sembra sia stato un amplificatore di rapporti in senso per lo più positivo ma anche negativo.

Il progetto KiDiCoTi8, coordinato dal Joint Research Center della Commissione Europea, ha riportato una generale preoccupazione dei genitori a fronte dell’impatto della pandemia sull’istruzione dei propri figli. Questa preoccupazione sembra particolarmente rilevante nei genitori con istruzione terziaria ed oltre. Nel nostro gruppo il livello di istruzione dei genitori è per oltre il 67% dei rispondenti con istruzione terziaria ed oltre, quindi i numeri del resto dei rispondenti sono troppo esigui per tracciare correlazioni.

 

Cittadinanza globale, coscienza ecologica e ambientale

L’obiettivo del questionario C era dichiaratamente quello di comprendere come le persone che frequentano diversi istituti di Istruzione, Licei, Università (studenti, docenti, direttori di Dipartimento) ed enti, associazioni che si occupano di sostenibilità (es. Greenpeace, Legambiente, etc.), percepiscono l’importanza della cittadinanza globale e del suo impatto ambientale. In 47 hanno risposto al questionario C, di cui solo 7 non italiani.
f21 paesi
f22 nazionalità

 

Il 66% è di genere femminile, il 34% maschile. Le classi d’età prevalenti sono la seconda 27,6% (18-25 anni) e la quinta 23,4% (51-65 anni), differendo in tal senso dai gruppi di rispondenti negli altri questionari. Titoli di studio prevalenti sono il diploma di secondaria superiore (44,68%) e il diploma di laurea (48,94%). Anche la condizione lavorativa differisce rispetto agli altri gruppi di rispondenti: la maggior parte è impiegata full time (44,68%), e il 34,04% non lavora, essendo almeno in parte, in pensione.

Il 59% non fa attività di volontariato, mentre il 41% sì.

Molte delle domande di questo questionario erano condivise con altri gruppi e se ne parlerà in una sezione apposita. Ma il tema focale di questo gruppo era quello della responsabilità nei confronti dell’ambiente. Come si sa il concetto di sostenibilità in questo momento è piuttosto diffuso, ancor più in questo momento in cui la crisi energetica ha messo in evidenza l’interconnessione esistente a livello globale. Nulla più di ciò che sta accadendo attualmente può mettere in luce le connessioni esistenti fra il conflitto fra Russia e Ucraina, crisi energetica e migrazioni di persone, che ne stanno derivando.

Non a caso alcuni degli approfondimenti indagati nelle opinioni dei rispondenti hanno riguardato la percezione della responsabilità di multinazionali e grandi aziende di influire sulla sostenibilità.

Il dibattito sulla responsabilità sociale d’impresa è molto diffuso e spesso mostra come le imprese rischino di appiattirsi in mere opere di filantropia aziendale, che hanno effetti nel breve periodo, ma non sono integrate nelle strategie aziendali di ampio raggio, né sviluppate in ottiche di lungo periodo ed orientate al bene della collettività.

I risultati di un recente sondaggio IPSOS mostrano chiaramente che le aziende multinazionali hanno la capacità e la responsabilità di "fare del bene" nel mondo e che i loro programmi di responsabilità sociale (CSR) possono essere vantaggiosi per tutti, garantendo che gli impegni siano autentici, credibili ed efficaci. Nell'ultimo periodo, sempre più aziende si stanno allineando con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite (UNSDGs) contenuti nell'Agenda 2030, ma la ricerca ha dimostrato che molti stakeholder – cittadini/consumatori in particolare - non hanno familiarità con gli UNSDGs o con ciò che gli obiettivi si prefiggono di realizzare.

IPSOS Corporate Reputation a marzo 2021 ha infatti condotto uno studio internazionale9 in 28 Paesi semplificando le aree di interesse degli UNSDGs in tre macro-aree: Ambiente, Società e Governance (ESG - acronimo di Environmental, Social and Governance). Dai risultati del sondaggio emerge che il miglioramento della società rappresenta la priorità per i cittadini/consumatori di cui le aziende multinazionali dovrebbero occuparsi. A seguire, si posizionano quasi a pari merito la tutela e protezione dell'ambiente e le questioni riguardanti la Governance.

In merito alle preoccupazioni sociali, i cittadini/consumatori desidererebbero che le multinazionali migliorino in primo luogo le condizioni di lavoro e la salute e la sicurezza dei lavoratori. Queste aree sono le prime scelte in quasi tutti i 28 Paesi esaminati.

In merito alle preoccupazioni ambientali, la riduzione dei rifiuti e dell'inquinamento è la scelta prioritaria in quasi tutti i 28 mercati. Le altre azioni principali che le aziende potrebbero intraprendere secondo l'opinione dei cittadini/consumatori sono: la riduzione dell'uso della plastica, lo sviluppo di prodotti più ecologici, la cura generale dell'ambiente e la riduzione delle emissioni di gas serra.

Infine, in questioni specifiche di Governance, l'attenzione dei cittadini/consumatori è fortemente concentrata sulla fine della corruzione e sul pagamento delle tasse.

Quando si parla di sostenibilità, le multinazionali non sono gli unici attori coinvolti. Infatti, anche il Governo, le altre aziende e i singoli individui hanno un proprio ruolo da svolgere per contribuire alla costruzione di un mondo maggiormente sostenibile.

Ipsos ha chiesto ai cittadini/consumatori di assegnare dei punti che riflettono la responsabilità di Governi, aziende e singoli individui nell'affrontare le questioni relative ad Ambiente, Società e Governance.

Nel complesso, i cittadini/consumatori tendono a pensare che il governo abbia la maggiore responsabilità per ciascuno delle tre macro-aree indicate. Tuttavia, per quanto riguarda la tutela e protezione dell'ambiente, gli intervistati ritengono che il compito spetti maggiormente ad aziende e singoli individui.

In merito al miglioramento della società, il governo è visto di gran lunga come l'attore più importante.

Infine, i cittadini/consumatori non vedono un ruolo per se stessi nelle questioni relative alla Governance.

f23 influenza
Le risposte al questionario C sono orientate del tutto in modo analogo. L’87,23% del gruppo dei rispondenti pensa che le multinazionali e le grandi aziende influiscano sulla sostenibilità ambientale; solo una persona non era d’accordo, mentre il 10,64% non sa.

Quanto alla modalità di questa influenza, le risposte aperte hanno indicato chiaramente la negatività quasi assoluta dell’impatto delle multinazionali.

Citando risposte lucide e sintetiche, la maggior parte pensa alla loro negatività dovuta a:

1. “non avere linee di produzione eco sostenibili nei loro stabilimenti produttivi”
2. “non fare l'adeguato trattamento ai rifiuti e alle acque residuali”
3. “scarsa partecipazione di responsabilità sociale nelle zone allocate” insomma “gli interessi economici delle grandi aziende e delle multinazionali prevalgono sull'intero ecosistema ambientale”.

La letteratura in materia già da anni mostra attenzione su questo tema, affermando che nella globalizzazione economica, il peso politico ed economico delle imprese multinazionali è notevolmente accresciuto comportando dei benefici, come la crescita economica e tecnologica dei Paesi emergenti in cui operano, ma anche svantaggi tra cui l’eccessivo sfruttamento delle risorse ambientali, dovuto anche a sistemi politici e giuridici assai permissivi, finalizzati a sostenere nel loro territorio gli investimenti esteri di tali imprese10.

f24 tassare
Tra le misure concrete esemplari per dimostrare concretamente tale responsabilità è stata formulata una domanda sulla tassazione delle multinazionali: l’opinione dei rispondenti è molto chiara.

Il 93,62% è d’accordo nel porre tassazioni ad hoc e il 6,93% non sa.

Questi dati corrispondono anche alle opzioni identificate dalla rilevazione IPSOS di cui sopra, per la quale “pagare il giusto livello di tassazione” è la seconda priorità del gruppo dei rispondenti (41%), preceduta da “porre fine alla corruzione e alle tangenti” per il 64%.

Rispetto a chi debba occuparsene, i vari interlocutori sono ritenuti tutti prioritari, con particolare enfasi su: regioni, governo nazionale e Commissione Europea.
f25 chi deve

Confrontando questi dati con il sondaggio IPSOS, il governo, le aziende e i cittadini consumatori hanno un ruolo da svolgere nella sostenibilità.

Utilizzando le precedenti definizioni di "cittadino-consumatore", IPSOS ha chiesto ai cittadini-consumatori di assegnare dei punti che riflettano la responsabilità di governo, imprese e cittadini-consumatori nell'affrontare le questioni. Complessivamente, i cittadini-consumatori tendono a ritenere che il governo abbia la responsabilità maggiore nel proteggere l’ambiente, migliorare la società (compreso il trattamento dei dipendenti e della diversità, le condizioni di lavoro etc.), praticare il buon governo (ivi inclusa anche la strategia fiscale). Tuttavia, assegnano al governo un'importanza minore per quanto riguarda l'ambiente, condividendo il dovere con aziende e cittadini-consumatori. Quando si tratta di migliorare la società, il governo è considerato di gran lunga come l'attore più importante, con le aziende e i cittadini-consumatori che si dividono il resto del compito. D’altra parte i cittadini-consumatori non vedono un ruolo per loro nella governance aziendale.

Passando poi alla parte propositiva e quindi riflettendo sulle possibili compensazioni, le risposte al quesito n.6 mostrano come tutti ritengano il problema di grande importanza (assenza di priorità basse 1 e 2) e la modalità principale per affrontarlo è superare l’approccio per settori e promuovere azioni di sistema. Per fare questo è ritenuto fondamentale sensibilizzare e promuovere una coscienza critica, ovvero aderire agli scopi della cittadinanza globale.
f26 riequilibrare

 

Cittadinanza globale e identità: tra global society e identità multiple in migranti

Al questionario D hanno risposto 27 persone, di cui 21 non italiane.
f27 paesi
f28 nazionalità

Il 59% sono donne e 41% uomini, per lo più collocati nella fascia d’età 36-50 (44%), come già successo per i gruppi A e B, seguita dalle fasce 26-35 (22,22%).

Il titolo di studio più frequente è la laurea (62,96%), seguito a distanza dal diploma di scuola superiore (33,33%).

Anche in questo gruppo, la maggior parte dei rispondenti è occupato full time (48,15%), seguito dal part-time nel 22,22% dei casi.

Attività di volontariato sono svolte dal 44% del gruppo, mentre il 56% non è coinvolto.

Il questionario D si basava sul presupposto che l’educazione alla Cittadinanza Globale si fonda sul fatto che le persone oggi vivono il processo di apprendimento in un contesto globale e, anche se in modo diseguale, interagiscono a livello planetario. In un mondo che è sempre più interdipendente, l’ECG promuove un senso di appartenenza alla comunità globale, un’idea di umanità comune condivisa tra le persone che coinvolge anche l’ambiente naturale. L’ECG comporta la necessità di allargare gli orizzonti educativi per individuare l’identità umana e la sua appartenenza al pianeta terra.

L’ECG intende offrire a ciascun abitante del pianeta la possibilità di conoscere e comprendere, nel corso della sua vita, i problemi legati allo sviluppo globale e di declinare il loro significato a livello locale e personale, nonché di esercitare i propri diritti e le proprie responsabilità come cittadino di un mondo interdipendente e in costante evoluzione, contribuendo altresì al suo procedere verso una maggiore giustizia e sostenibilità.

In questo senso di appartenenza a una comunità più ampia e a una comune umanità il gruppo di lavoro ha cercato di identificare i fattori che favoriscono o rendono difficile “l’essere cittadini globali” nella comunità migrante italiana, valutando così

l’interdipendenza politica, economica, sociale e culturale e l’interconnessione tra il livello locale, nazionale e globale.

 

Oltre ai quesiti che hanno coinvolto più gruppi di lavoro, alcune domande sono risultate peculiari di questo questionario.

È stato richiesto se si sentissero parte della comunità in cui vivono.
f29 partecipazione
f30 cittadinanza

La maggior parte (51,85%), partecipa alla vita di comunità sistematicamente o almeno qualche volta (33,33%) ed oltre il 40% fa parte di associazioni.

Il senso di appartenenza come cittadini in questo questionario era particolarmente messo in evidenza. Di seguito le domande e risposte maggiormente esplicative in tal senso. Il senso di cittadinanza come italiano, del proprio paese d’origine o globale è espresso con priorità da 1 a 5 (massima priorità).

Come si vede il senso di appartenenza come cittadini si manifesta particolarmente rispetto al proprio paese d’origine (70,37%), mentre la risposta meno frequente ed intensa è il senso di appartenenza alla cittadinanza globale (solo 29,63% dei rispondenti in priorità 5).

Coerentemente le persone sentono la propria comunità di appartenenza locale e nazionale come quella più intensa, anche se il livello europeo è nettamente percepito. Ricordiamo che nel gruppo che ha risposto al questionario D ben 20 su 27 rispondenti non sono italiani.

D’altra parte alcuni studi regionali, ad esempio quello commissionato dalla Consiglio Regionale della Basilicata all’istituto IXE11 in un campione di studenti universitari mettono in luce come la dimensione della cittadinanza sia percepita a livello globale e nazionale, molto meno a livello europeo e regionale.
f31 livello

Ma come ci si può sentire buoni cittadini? Quali sono i comportamenti riconosciuti come i più virtuosi?
f32 comportamenti

Il pagamento delle tasse è il comportamento ritenuto più virtuoso ed importante, segue l’obbedienza alle leggi e il voto alle elezioni. Importante anche vivere il proprio lavoro come contributo allo sviluppo della comunità.

Meno rilevante è ritenuta l’appartenenza ad associazioni, anche se in questo gruppo ben 11 persone su 25 svolgono attività di volontariato, per lo più in ambito sociale.

Se confrontiamo i nostri dati con un sondaggio del Pew Research Center fatto all'inizio del 201812, circa tre quarti degli americani (74%) hanno dichiarato che votare alle elezioni è molto importante per ciò che significa essere un buon cittadino, e circa sette su dieci hanno detto lo stesso riguardo al pagare le tasse (71%) e al seguire sempre la legge (69%).

Oltre al voto, al pagamento delle tasse e al rispetto della legge, la maggioranza degli americani ha dichiarato che diverse altre caratteristiche sono molto importanti per una buona cittadinanza, tra cui rispettare le opinioni di chi non è d'accordo (61%).

Una percentuale minore ha dichiarato che è molto importante per una buona cittadinanza che gli americani facciano volontariato per aiutare gli altri (52%), seguano ciò che accade nel governo e nella politica (49%) e protestino quando si ritiene che le azioni del governo siano sbagliate (45%).

Come si vede la visione di un cittadino attivo porta di per sé a valori universalmente condivisi.

 

Le risposte alle domande in comune fra i gruppi

Pur essendo diverso il numero di domande in ciascun questionario, ci sono state 9 domande in comune fra alcuni dei questionari.

Rispetto alle caratteristiche che potrebbero aver influenzato le risposte, ma per le quali daremo solo linee di tendenza senza calcolo di correlazione, otteniamo che:

  • Il genere è in maggioranza sempre femminile: le donne rappresentano il 71.4% del gruppo che ha risposto ai questionari.
  • In A, B, D la classe d’età prevalente è 36-50; in C, 18-25.
  • Il titolo di Studio prevalente è sempre la laurea, ma vede in C molti con il diploma, dato coerente con l’età più bassa.
  • L’orario di lavoro è in tutti per lo più full-time in presenza.
  • Riguardo all’attività di volontariato, abbiamo una prevalenza di sì nel questionario A, di no negli altri. Inoltre solo il 40,4% di italiani svolge attività di volontariato, contro il 56,25% dei non italiani.
  • La nazionalità in C vede una prevalenza netta di italiani, a differenza degli altri tre gruppi.

Nel confronto fra conoscenza dei concetti di cittadinanza globale e sviluppo sostenibile, in 97 su 189 hanno detto di conoscere perfettamente (livello 5) cos’è lo sviluppo sostenibile (51.3% del gruppo di rispondenti), contro una percentuale del 19.1%, che conosce perfettamente il termine cittadinanza globale: una differenza di oltre 30 punti percentuali. Andando invece al valore 4, otteniamo un’equivalenza fra le due conoscenze.
f33

Se analizziamo il gruppo di rispondenti Italiani e non italiani, troviamo che il gruppo degli italiani presume di conoscere meglio cosa sia lo sviluppo sostenibile, mentre nel gruppo di stranieri la differenza tra conoscenza dell’educazione alla cittadinanza globale e allo sviluppo sostenibile è minore.

Questo ci ha portato a desumere che la cultura circostante ed attuale favorisca la conoscenza del termine sostenibilità, piuttosto che quello di cittadinanza globale.
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f35

A tale proposito in tre dei quattro gruppi era stato chiesto anche cosa s’intendesse per sostenibilità. Dai risultati13 emerge un andamento analogo per i tre gruppi, anche se nel gruppo A la risposta solo parzialmente corretta (opzione n.3) risulta frequente e vi compare anche la risposta sbagliata (n.2):

Le risposte sono in maggioranza corrette e seguono lo stesso andamento, rispettando la definizione universalmente riconosciuta di sostenibilità, che risale al 1987 e si trova nel cosiddetto Rapporto Brundtland14 “Our common future”. Esso pone l’attenzione sui principi di equità intergenerazionale e intragenerazionale. Il rapporto identifica per la prima volta la sostenibilità, come la condizione di uno sviluppo in grado di “assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”.
f36 cosa si intende

Le sfide più urgenti del cittadino globale, sono state ritenute in A i Diritti umani, in C l’Equilibrio ecologico, in D Pace e non violenza, dando in questo modo una risposta coerente con le priorità del questionario specifico.

In realtà, come si vede dai grafici che seguono, pace e non violenza, diritti umani e giustizia sociale riportano sempre valori molto elevati, mentre sono ritenuti meno urgenti benessere ed equità economica, partecipazione democratica e integrazione culturale.

 

Le sfide più urgenti del cittadino globale
f38sfide

Quanto all’importanza della formazione globale per i cittadini autoctoni o per quelli di origine immigrata si riscontrano i seguenti valori:

Dall’andamento della curva, abbastanza simile tra i gruppi, si nota che sono quasi assenti i valori bassi: per tutti la formazione globale è estremamente importante. Troviamo in particolare che nel gruppo che ha risposto al questionario A, è massimamente importante (val 5) per cittadini immigrati, nel 68% dei casi e nel 74% per tutti i cittadini. Ciò avviene nel gruppo che ha risposto al questionario D rispettivamente per cittadini immigrati nel 78% dei casi e nell’81% dei casi per tutti i cittadini.
f39importanza

Una domanda chiedeva quale degli approcci formativi venisse più frequentemente impiegato all’interno delle aule scolastiche. Pertanto era stato richiesta un’opinione su quale approccio fosse, a parere del rispondente, maggiormente utilizzato a scuola, tenendo in considerazione che l’Agenda 2030 richiama costantemente ad un approccio sistemico. Questi i risultati alla domanda Secondo lei nei sistemi scolastici e formativi che conosce quale approccio viene privilegiato?
f39 formazione

Come si vede la risposta differisce completamente nei tre gruppi. Nel gruppo del questionario C, dove la maggioranza sono italiani, più giovani, si ritiene che l’approccio più frequente sia quello settoriale e non sistemico. Negli altri due gruppi si ritiene che siano utilizzati entrambi o che addirittura prevalga quello globale, ma la frequenza nelle aule scolastiche italiane, in questo caso è meno recente o, forse, più orientata dalle nazionalità d’origine.

Altra domanda comune ai tre gruppi è stata la seguente: Diventare cittadino globale e acquisire le relative competenze secondo lei è un compito che si realizza….

Il gruppo D differisce dagli altri 2: sembra più importante realizzare la cittadinanza globale nella propria comunità di riferimento, mentre per gli altri in quella allargata. D’altra parte il questionario D si rivolgeva proprio ad indagare lo sviluppo di identità multiple entro le proprie comunità di riferimento.
f40 ECG

Andando ad indagare nei gruppi A e D i principali ostacoli per l’accesso all’istruzione e all’educazione alla cittadinanza globale per migranti e rifugiati, emergono i seguenti dati:
f40dati

Nel gruppo A, come è stato già illustrato in precedenza, gli ostacoli più rilevanti risultano essere stereotipi e pregiudizi e barriere legali, mentre “sostegno psicosociale insufficiente” o “perdita di status legale per i maggiorenni migranti” sono ritenuti meno prioritari.

Anche nel gruppo D l’incidenza degli stereotipi e dei pregiudizi è ritenuta particolarmente importante insieme, però, ad un sostegno psico-sociale insufficiente. Barriere legali, aspetti amministrativi e burocratici e limitate opportunità per gli adolescenti sono ritenute ugualmente rilevanti nel gruppo D, seguono la perdita dello status legale ai 18 anni e la mediazione interculturale, che invece nel gruppo A aveva maggiore rilevanza.

 

NOTE
1 Pierre Bourdieu, La distinzione. Critica sociale del gusto, 1979, ed. italiana: Il Mulino, 2001.
2 UNESCO Global Education Monitoring (GEM) Report Team, Migrazioni, spostamenti forzati e educazione: costruire ponti e non muri, 2019, p.11 della versione italiana, disponibile su: http://unescoblob.blob.core.windows.net/pdf/UploadCKEditor/Sintesi%20del%20Rapporto-%20versione%20italiana11.pdf
3 Riportiamo per tutti i questionari, i dati sulla nazionalità del gruppo di rispondenti, dal momento che per le prospettive emica ed etica sopra richiamate è un dato interessante.
4 Giovanna Mascheroni, Marium Saeed, Marco Valenza, Davide Cino, Thomas Dreesen, Lorenzo Giuseppe Zaffaroni e Daniel Kardefelt-Winther, La didattica a distanza durante l’emergenza COVID-19: l’esperienza italiana, UNICEF Rapporto di ricerca, Febbraio 2021, p.16. Disponibile su: https://www.unicef-irc.org/publications/pdf/la-didattica-a-distanza-durante-l%E2%80%99emergenza-COVID-19-l'esperienza-italiana.pdf
5 Ibidem, p. 17
6 Ibidem, p.12.
7 Stefano Vicari e Silvia Di Vara (a cura), Bambini, adolescenti e Covid-19, L’impatto della pandemia dal punto di vista emotivo, psicologico e scolastico, Erikson, 2021. Con i contributi di V. Lingiardi, D. Lucangeli, N. Perini, G. Stella, D. Ianes, R. Bellacicco, A. Sansavini, E. Trombini, A. Guarini e altri
8 Kids’ Digital lives in Covid-19 Times (KiDiCoTi) è un progetto promosso nella primavera del 2020 dal Joint Research Center (JRC) della Commissione Europea, che ha coinvolto 26 centri di ricerca in 15 paesi europei e il centro di ricerca dell’Unicef. https://publications.jrc.ec.europa.eu/repository/bitstream/JRC124034/kidicoti_online_risks_tech_report_20210209_final_1.pdf
9 Jason McGrath and Trent Ross, How Multinational Corporations can lead the Way on Sustainability, IPSOS 2021
https://www.ipsos.com/sites/default/files/21-08-57_HowMulti_pov_v2.pdf
10 Giulio Peroni e Caterina Migani, La responsabilità sociale dell’impresa multinazionale nell’attuale contesto internazionale, in: IANUS n.2-2010. https://www.rivistaianus.it/numero_02-03/09_Peroni_Migani.pdf
11 Consiglio Regionale della Basilicata, Indagine sul rapporto tra enti regionali e cittadini. IXE, Aprile 2020, https://www.consiglio.basilicata.it/consiglio-api//file/1092/237682
12 PEW Research Center, The Public, the Political System and American Democracy”, Rapporto 26 aprile 2018 https://www.pewresearch.org/politics/2018/04/26/the-public-the-political-system-and-american-democracy/
13 Nei grafici che seguono, dovendo comparare tre gruppi con una differente composizione numerica di partecipanti, i valori sono stati indicati in percentuale.
14 https://www.unicas.it/media/2732719/Rapporto_Brundtland_1987.pdf

 

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