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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

06conclusioni

 

Sugli obiettivi di carattere metodologico

pdfLa proposta di ricerca per il 2021 offriva a coloro che avrebbero fatto parte del gruppo di ricerca di “sperimentare concretamente la metodologia e le tecniche della ricerca-azione, al fine di produrre esiti utili ad essere presentati e condivisi con la comunità accademica e non solo in materia di educazione alla cittadinanza globale”.

L’obiettivo, dunque, non era quello di condurre una ricerca - individuale o di gruppo – [solo] su e a partire da testi e documenti ma di apprendere una metodologia di ricerca che nel suo sviluppo non si separa dall'azione e diventa essa stessa azione: collega l'obiettivo della conoscenza e della creazione di consapevolezza (anche attraverso il recupero di dati e informazioni contestuali) con quello di rafforzare o creare relazioni e legami che diventano condizione per il cambiamento della realtà in cui si svolge l'azione-ricerca.

Dal punto di vista dell’acquisizione di familiarità con la metodologia della ricerca-azione, l’andamento della pandemia ha purtroppo giocato un ruolo determinante sia nello svolgimento (on line) degli incontri per l’impostazione del lavoro, sia nella conduzione vera e propria della ricerca.

È davvero complesso d’altra parte comunicare, apprendere e agire una metodologia per sua natura partecipativa dietro lo schermo di un pc o, peggio, di un cellulare. Nonostante gli sforzi e gli strumenti proposti, gli incontri – specie quelli iniziali di impostazione - hanno avuto un andamento frontale e la distanza ha di fatto impedito una verifica sulla comprensione di processi circolari e dinamici e di tutte le fasi che questi processi richiedevano e richiedono.

È risultato perciò naturale che l’attenzione (e l’impegno) dei/lle partecipanti si concentrasse sulla fase più operativa che più facilmente poteva essere agita anche a distanza: la realizzazione dei questionari e la loro somministrazione.

Le due fasi hanno registrato una partecipazione molto vivace e ciascun/a partecipante, all’interno del proprio gruppo di lavoro, ha dato il proprio contributo con molta generosità e capacità di iniziativa.

Come si è potuto osservare dal calendario dei lavori, sono proprio queste le fasi che hanno occupato la maggior parte del tempo a disposizione e anche – da parte delle docenti – impegno suppletivo per effettuare incontri dedicati ai singoli gruppi di lavoro nella stesura degli strumenti di rilevazione/questionari.

All’inizio, poi, era stato concordato che ciascun gruppo avrebbe effettuato circa 30 colloqui/interviste, individuando con cura il contesto nel quale operare. Questo nella prospettiva che potesse essere possibile una restituzione dei risultati – almeno parziale - alle persone intervistate. Di fatto tutti i gruppi si sono concentrati nel raccogliere più interviste possibili e ciò ha significato, da un lato, una certa dispersione nell’individuazione delle persone intervistate, dall’altro una concentrazione sulla raccolta delle risposte ai questionari che – come si è visto – sono stati somministrati in varie forme (direttamente in presenza, per telefono, via mail, via WhatsApp…) in un numero così elevato (circa 200) che – complice i mesi estivi – ha fatto slittare i tempi dell’elaborazione, dell’analisi di gruppo dei risultati e della restituzione nei singoli contesti, che doveva precedere la presentazione finale dei risultati.

In sintesi si può dire che l’elaborazione e la somministrazione dei formulari per le interviste hanno catturato l’interesse dei/lle partecipanti, quasi che il loro compito si dovesse esaurire nella consegna dei questionari riempiti, in un numero maggiore possibile, a prova di un impegno realmente profuso. Il rischio che si è corso è stato, in tal modo, di generare confusione tra strumento e fine della ricerca.

Questi limiti oggettivi, ad un’osservazione attenta, non sembrano però aver diminuito il processo di crescita dei e delle partecipanti nella loro consapevolezza di essere cittadini globali che avevano (ed hanno) lo scopo di diffondere quanto più possibile, nei contesti di ciascuno, la stessa consapevolezza.

L’impegno nel cercare, in ambienti più o meno vicini, persone disponibili a rispondere al questionario (e a farlo seriamente, come dimostrano le risposte non casuali) è stata l’occasione per esplorare contesti diversi e per instaurare - direttamente o indirettamente, attraverso passaparola - relazioni su temi sicuramente poco usuali.

È stata sicuramente occasione di attivazione di un processo di empowerment non individuale, proprio perché la ricerca è stata occasione di formazione e di confronto di gruppo.

Non solo, perché – come già accennato – questa assunzione di iniziativa da protagonisti/e ha determinato una forte assunzione di ruolo non soltanto nei confronti di comunità migranti che hanno partecipato come intervistate alla ricerca. Ha infatti provocato un vero e proprio capovolgimento di ruolo tra intervistato e intervistatore quando i contesti hanno favorito la partecipazione – come intervistati – di persone italiane.

Da destinatari/e “oggetto” di ricerca a soggetti attivi di una ricerca di cui loro sono state/i titolari.

Purtroppo il tempo non ha permesso loro di seguire con altrettanto approfondimento l’elaborazione dei dati e dei risultati: solo in parte e non tutti/e hanno potuto esercitare lo stesso protagonismo nell’evento di presentazione della ricerca, il 23 ottobre dello scorso anno. Sia perché il tempo loro concesso era scaduto, sia perché l’elaborazione era solo abbozzata.

Per questo motivo vorremmo che questo lavoro ulteriore, che noi docenti – d’accordo naturalmente con l’Angelicum - ci siamo rese disponibili a realizzare, arrivasse come restituzione proprio a loro che l’hanno reso possibile. E magari - perché no? - organizzare presentazioni proprio nei luoghi e nei contesti che li hanno visti/e all’opera, a Roma e non solo, laddove è possibile, potrebbe essere il modo per rilanciare un’azione coerente alla ricerca realizzata, per continuarla, valorizzandone anche i risultati raggiunti dal punto di vista del merito.

Anche questo può essere un modo, in un momento in cui rischia di allargarsi un conflitto globale, di portare un contributo fattivo all’educazione alla cittadinanza globale.

 

Sugli obiettivi della rilevazione

L’obiettivo di merito della ricerca era quello di fornire uno “stato dell’educazione allo sviluppo globale, riscontrato nei contesti individuati dagli studenti-ricercatori, da loro scelti per l’osservazione e su azioni concrete da proporre per contribuire a promuoverla”.

In generale possiamo sostenere che proprio in base alla loro capacità di relazione sono persone che faticheremmo a definire migranti: vivono in Italia, da tempo, sono radicati ed è particolarmente interessante indagare presso di loro il senso di consapevolezza di essere cittadini globali: sia per la loro storia, sia per l’impegno formativo che stanno sostenendo, sia per le relazioni che hanno intessuto. Insomma sono ricchi di quel capitale che Bourdieu1 definirebbe culturale e sociale, non avendo indizi rispetto al capitale economico.

Il lavoro non ha pertanto avuto l’ambizione di individuare un campione scientificamente valido, ma di dare la possibilità agli studenti-ricercatori di concentrare la propria attenzione su un tema come l’educazione alla cittadinanza globale nel quadro delle loro relazioni.

Il gruppo che hanno individuato come rispondente è stato pertanto costituito da 189 persone, di cui 108 di nazionalità italiana e 81 non italiana. Sono presenti 37 nazionalità oltre quella italiana.

Fanno volontariato 76 persone, ovvero il 40,2% degli intervistati. Di questi il 46,9% non è italiano, mentre il 35,2% lo è. 50 di loro hanno come titolo di studio la laurea (65,8%), il 23,7% ha il diploma di secondaria. Il 7,9% ha la licenza media e nessuno ha la licenza elementare o niente. Fra le 11 persone che non lavorano, 6 fanno attività di volontariato.

Il 40,4% degli italiani svolge attività di volontariato, contro il 56,25% dei non italiani.

Quindi si conferma l’ipotesi, già suffragata da varie ricerche, che un titolo di studio più elevato sia positivamente correlato con un’attività volontaria. Nel nostro gruppo di intervistati, inoltre, in percentuale, gli stranieri fanno più volontariato degli italiani.

Quanto agli elementi di spicco della rilevazione possiamo dire che nel confronto fra conoscenza dei concetti di cittadinanza globale e sviluppo sostenibile, in 97 su 189 hanno detto di conoscere perfettamente (livello 5) cos’è lo sviluppo sostenibile (51.3% del gruppo di rispondenti), contro una percentuale del 19.1%, che conosce perfettamente il termine cittadinanza globale: una differenza di oltre 30 punti percentuali.

Se analizziamo il gruppo di rispondenti italiani e non italiani, troviamo che il gruppo degli italiani presume di conoscere meglio cosa sia lo sviluppo sostenibile, mentre nel gruppo di stranieri la differenza tra conoscenza dell’educazione alla cittadinanza globale e allo sviluppo sostenibile è minore.

Questo ci ha portato a desumere che la cultura circostante ed attuale favorisca la conoscenza del termine sostenibilità, piuttosto che quello di cittadinanza globale anche se oltre l’80% dell’intero gruppo di rispondenti ritiene l’educazione alla cittadinanza globale importante per tutti e non solo per i migranti.

Le sfide più urgenti del cittadino globale sono state ritenute diritti umani, equilibrio ecologico e pace e non violenza, senza sostanziale differenza fra gruppo di italiani e gruppo di non italiani. Le uniche differenze fra italiani e non italiani sono nel questionario C, dove l’equilibrio ecologico è prioritario per gli italiani, mentre per gli stranieri pace e non violenza sono prioritarie, e nel D dove per gli italiani sono prioritari giustizia sociale e diritti umani, mentre per i non italiani torna pace e non violenza.

Diventare cittadini globali è ritenuto per tutti di grande priorità, indipendentemente dalla propria origine (domanda sull’importanza della formazione globale). Gli studi in questo campo sono tutt’ora da realizzare e a livello italiano, come si è visto, sono ancora poche le pubblicazioni accademiche sul settore.

Ma dove sarebbe più indicato realizzare il senso di cittadinanza globale? Nella propria comunità di riferimento? In quella allargata? Il gruppo D differisce da A e C: sembra più importante realizzare la cittadinanza globale nella propria comunità di riferimento, mentre per gli altri in quella allargata. D’altra parte il questionario D si rivolgeva proprio ad indagare lo sviluppo di identità multiple entro le proprie comunità di riferimento. La differenza tra italiani e stranieri non è rilevante.

Riguardo ai sistemi scolastici e formativi il gruppo che ha risposto al questionario del gruppo C, per lo più composto da italiani e da studenti, si è maggiormente avvicinato all’ipotesi, in base alla quale l’Angelicum aveva deciso di indagare sul bisogno di aumentare la presenza di argomenti di studio dell’educazione alla cittadinanza globale nei percorsi formativi. Uno studio ancora legato ad approcci specifici e settoriali alle competenze è risultato prevalente nella percezione degli intervistati.

Gli ostacoli più rilevanti da superare nell’apprendimento per adolescenti DOS risultano tutt’ora gli stereotipi e i pregiudizi, (44,44%), le barriere legali (41,27%), al terzo posto (33,33%) risorse umane e finanziarie insufficienti. In questo i dati concordano ancora una volta con gli studi realizzati a livello internazionale nei quali i ragazzi di cosiddetta seconda generazione non hanno le stesse opportunità dei loro coetanei autoctoni sul piano dell’inserimento lavorativo. In base all’ultima rilevazione, pubblicata a settembre 2021 dal Ministero dell’Istruzione, i dati relativi alle studentesse e agli studenti con cittadinanza non italiana che fanno riferimento all’anno scolastico 2019/2020, ci dicono che questi alunni costituiscono il 10,3% della popolazione scolastica: sono circa 877.000 su un totale di 8.484.000 ragazze e ragazzi che lo scorso anno hanno frequentato le scuole del Paese. Rispetto alla regolarità, i tassi di scolarità sono analoghi a quelli degli studenti italiani sia nella fascia di età 6-13 anni (quasi il 100%), sia in quella 14-16 anni (94,1%), mentre nei 17-18 anni il tasso di scolarità degli studenti con cittadinanza non italiana scende al 77,4%. Questo dovrebbe far riflettere sugli ostacoli principali che i ragazzi più grandi possono trovare (come ben rilevato nel questionario A).

Da qui ben si comprende la risposta quasi massimamente unanime dell’importanza di una governance globale del processo migratorio nel questionario A, richiamata nell’Enciclica Fratelli tutti.

Quali sono allora i contenuti più importanti per coltivare questa uguaglianza di opportunità, il senso di appartenenza ad una comunità globale? Fra le azioni concrete da proporre per contribuire a promuovere l’ECG troviamo sicuramente indicazioni chiare. Si tratta per lo più di elaborare programmi che promuovano il senso di cittadinanza attiva e globale attraverso valori importanti e condivisi. Quindi l’importanza di un rafforzamento della dimensione etica insieme a quella scientifica, approfondendo lo studio dei cambiamenti climatici, dei diritti umani, dei conflitti.

La pandemia prima, la guerra tra Russia e Ucraina in corso, la crisi energetica e quella migratoria che ne sono derivate, hanno chiaramente messo in evidenza la necessità di concepire i fenomeni in ottica globale, non soltanto in senso geografico.

L’indagine ha chiaramente espresso il bisogno di lavorare ad una comunità allargata, anche laddove il gruppo maggiormente composto da adolescenti di seconda generazione o italiani DOS, ha espresso il bisogno di fare ancora molto riferimento alla propria comunità di appartenenza. D’altra parte questo elemento, che dovrà essere ulteriormente indagato, fa riflettere sul fatto che a riportare il bisogno di appartenenza ad una comunità, nel contesto italiano, siano soprattutto espresso dalle famiglie di stranieri adolescenti.

Per cosa passa questo senso di appartenenza? Per progetti condivisi di sviluppo sostenibile, in senso ecologico, sociale, economico; per il rispetto di comportamenti che favoriscono la convivenza e la sopravvivenza del pianeta, mentre i maggiori ostacoli, che impediscono la condivisione, sono stereotipi e pregiudizi, barriere legali, ovvero elementi di divisione che si oppongono alla coesione sociale. Per gli adolescenti è ritenuto necessario anche un maggior sostegno psico-sociale.

La pandemia, nella sua tragicità, ha rappresentato per molti ragazzi anche la scoperta di nuove dimensioni, in cui si trovavano più a loro agio dei propri genitori ed insegnanti: gli studenti si sono impegnati, sono stati attivi, come risulta anche dagli studi UNICEF.

Trasformare la sfida in opportunità è stato il comportamento di molti ragazzi (solo ¼ degli intervistati nello studio UNICEF e 1/5 nel nostro si è sentito a disagio con la DAD.

Dalla nostra indagine (questionario B) è emerso, come risvolto positivo, l’aumento del senso di responsabilità nei confronti delle proprie famiglie ma anche di altri esseri umani in generale. L’adattamento alle nuove tecnologie non risulta essere stato troppo impedente e i bambini sembrano essersi rapidamente abituati. Abbiamo scoperto che i bambini avevano per lo più una propria camera, dalla quale venivano effettuati normalmente i collegamenti. Anzi la socialità è stata comunque mantenuta dalla stragrande maggioranza, anche con frequenza, grazie soprattutto ad internet.

Altri tipi di azioni da intraprendere come cittadini globali sono emerse, in particolare nel questionario C, maggiormente orientate verso le questioni ambientali. È stato richiesto di tassare le multinazionali per il loro elevato impatto negativo sull’ambiente; di influire sulla capacità dei decisori in modo che adottino un approccio che superi i silos settoriali e sia capace di promuovere politiche di sistema, riguardanti aspetti sociali, culturali, economici, tecnologici, ambientali e politici. Questa responsabilità e questa cura devono essere particolarmente prese in carico ai differenti livelli di governo: territoriale, nazionale ed internazionale.

In questo senso di bisogno di appartenenza a una comunità più ampia e a una comune umanità, i “ricercatori” sono stati solleciti e sensibili ai fattori che favoriscono o rendono difficile “l’essere cittadini globali”, specialmente a partire dalla propria origine.

Si sono prese in considerazione tutte le dimensioni della sostenibilità e dell’essere comunità, evidenziando l’interdipendenza politica, economica, sociale e culturale e l’interconnessione tra il livello locale, nazionale e globale.

D’altra parte, se è vero che la grande differenza fra dittature e democrazie è fatta dalla presenza di una società civile organizzata, è necessario approfondire la costruzione e l’appartenenza di cittadini ad associazioni che hanno proprio l’educazione alla cittadinanza globale come scopo prioritario e la realizzazione di percorsi di cittadinanza attiva per rendere patrimonio condiviso e diffuso gli obiettivi raggiunti sul piano educativo.

 

Raccomandazioni

Approfondire il tema dell’utilizzo dei supporti multimediali non dando per scontato che un aumento del tempo trascorso online in generale debba essere considerato solo in relazione alla mancanza di accesso alle aree esterne, alle strutture sportive e ai luoghi di incontro con gli amici durante il lockdown. Cercare di ridurre il tempo online di bambini e ragazzi in una situazione del genere potrebbe non essere l’approccio più vantaggioso. Piuttosto, le famiglie, con il sostegno dei governi locali e di altre organizzazioni, dovrebbero trovare nuovi modi di incoraggiare e promuovere la partecipazione all’esercizio fisico e il gioco per i bambini e i ragazzi durante i periodi di chiusura delle scuole, sia al chiuso, attraverso giochi di movimento, sia in ambienti esterni sicuri.2

Come ci ribadiscono anche altre ricerche (UNICEF 2021), l’effettiva efficacia delle opportunità di apprendimento tra le mura domestiche è influenzata dal supporto di insegnanti e genitori, indipendentemente dalla modalità (digitale o non digitale). Recenti evidenze globali indicano che è fondamentale che le istituzioni educative si impegnino a favorire una cooperazione con studenti e famiglie affinché la formazione a distanza risulti efficace.3 I bambini e i ragazzi di tutti i livelli scolastici (89-94%) riferiscono in modo schiacciante di essersi impegnati in qualche forma di attività online con i loro insegnanti durante il lockdown.

L’educazione alla cittadinanza globale richiede un approccio sistemico allo studio e alla valutazione lungo tutto l’arco della vita. I fenomeni che stanno avvenendo in questo periodo richiedono un aumento dello studio di materie STEM come contributo essenziale all’educazione alla cittadinanza globale. Ma l’educazione alla cittadinanza globale non può ridursi a questo, va messo in evidenza il collegamento fra la dimensione gnoseologia, quella valoriale e quella comportamentale, come viene fatto già in una pubblicazione UNESCO del 2015.4

È necessario, attraverso l’insegnamento dell’educazione civica coltivare il senso di comunità. Il senso profondo dell’educazione civica, insegnamento reso obbligatorio dalla Legge 92/2019 esprime in maniera adeguata l’importanza di tre pilastri: Studio della Costituzione, sviluppo sostenibile, cittadinanza digitale. La connessione fra cittadinanza digitale e globale è ben messa in evidenza da testi molto recenti5 e dalle Linee Guida applicative della Legge stessa. Fondamentale in questo insistere sulla formazione del personale scolastico e sulla collaborazione fra il mondo delle associazioni e quello dell’istruzione per ampliare l’offerta formativa, come previsto dagli artt. 3 e 8 della suddetta Legge.

Soltanto nell’interazione tra scuola, famiglie, associazionismo e istituzioni (a partire da quelle locali) potranno essere costituite comunità educanti ispirate ai valori democratici di convivenza civile e coesione sociale fondativi dell’UE che, sole, possono effettivamente realizzare cittadinanza globale.

 

NOTE
1 Pierre Bourdieu, La distinzione. Critica sociale del gusto, 1979
2 Mascheroni G., Saeed M., Valenza M., Cino D., Dreesen T., Zaffaroni L.G. e Kardefelt-Winther D., La didattica a distanza durante l’emergenza COVID-19: l’esperienza italiana, UNICEF Rapporto di ricerca, Febbraio 2021, p.12. Disponibile su: https://www.unicef-irc.org/publications/pdf/la-didattica-a-distanza-durante-l%E2%80%99emergenza-COVID-19-l'esperienza-italiana.pdf.
3 Alban Conto C., Akseer S., Dreesen T., Kamei A., Mizunoya S., Rigole A. COVID-19: Effects of school closures on foundational skills and promising practices for monitoring and mitigating learning loss. Innocenti Working Papers no. 13, UNICEF Office of Research – Innocenti, Florence 2020.
4 UNESCO, Global citizenship education: topics and learning objectives 2015
5 Penge S., a cura di, Dati Cittadinanza e Coding. Cercare, interpretare e comunicare i dati educativi. Ed. Anicia Roma 2022. In esso si veda in particolare il contributo di Paola Berbeglia pp. 123-143.

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