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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

 

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Indagine sul lavoro

dei migranti a Roma: “Occupati tra dignità e sconvenienza”

fr. Roberto Bongianni

 

Risultati finali

Aggregando i dati del campione emerge rispetto alle cinque dimensioni del decent work il risultato riportato nella tabella che segue. Nessuna delle dimensioni raggiunge il livello di dignità; il dato maggiormente critico riguarda gli aspetti economici e contrattuali (40,3%), mentre la dimensione della tutela e della sicurezza raggiunge il livello, più alto tra le 5 dimensioni, comunque pari al 74,1%.

 

FORMAZIONE E CRESCITA PROF.

43,8%

ASPETTI ECONOMICI E CONTR.

40,3%

WORK-LIFE BALANCE

60,6%

DISCRIMINAZIONE E ABUSI

48,1%

TUTELA E SICUREZZA

74,1%

   

LIVELLO MEDIO DEL DECENT WORK

51,1%

Le due dimensioni del resto sono quelle più corrispondenti ad una base contrattuale offerta a tutti i lavoratori (sia italiani, che stranieri); mentre le maggiori distanze emergono proprio negli aspetti dove potrebbe risaltare la dimensione più individuale del rapporto di lavoro.

Sintetizzando i punti precedenti già analizzati nel dettaglio riportiamo le conclusioni più evidenti. Per quanto è relativo all’ambito della “formazione e crescita professionale” il risultato dell’indice, pari al 43,8%, è riconducibile alle seguenti problematiche: la possibilità di avere formazione è limitata, anche se i lavoratori stranieri la ritengono utile per la propria crescita professionale e per la propria produttività; in generale non c’è un interesse significativo ad investire risorse sulla formazione del lavoro migrante. Si riscontra un significativo problema tra il livello di conoscenza acquisito attraverso lo studio e la possibilità di carriera. Di fronte a questa situazione anche la posizione del lavoratore è dentro una sorta di rassegnazione: il 40% non ha mai chiesto una promozione. Perché?

Nell’ambito della corposa dimensione relativa agli “aspetti economici e contrattuali” emergono diverse criticità: dal punto di vista della remunerazione il 40% dei lavoratori percepisce un mensile netto che è sotto la soglia della povertà (fissata dall’Istat per Roma in 1.049 euro mensile per persona single)[1]; l’11,7% del campione riceve un salario orario medio netto pari o inferiore ai 5 euro l’ora; mediamente il salario orario netto è pari ad 8 euro, ma per alcune posizioni lavorative corrispondenti ai contratti in somministrazione, e all’essere soci in cooperative di lavoro il dato medio è molto al di sotto di un ipotetico “salario minimo”. Nel complesso si avverte come competenze professionali e titoli di studio non sono adeguatamente riconosciuti, e non incidono sulla retribuzione media oraria del lavoratore straniero. Le modalità di pagamento evidenziano la presenza di consistenti aree di lavoro irregolare (il 29,3% dei lavoratori migranti è pagato in contanti, il 10,7% in una forma mista). Dal punto di vista degli straordinari il 30% è costretto a farli spesso, o sempre, ed il 20% di queste ore non viene mai remunerato, mentre il 30% è corrisposto fuori dalla busta paga.

Per quanto è relativo alla dimensione del “work-life balance” emerge una scarsa attenzione a questo aspetto, anche in questo caso le risultanze più critiche riguardano le forme di organizzazione del lavoro attuate attraverso agenzie in somministrazione, e cooperative di lavoro. In generale un dato significativo è che il 20% dei lavoratori non riesce ad usufruire delle ferie per potersi riposare dal lavoro, mentre ad un 12% sembra non essere riconosciuto un diritto alle ferie probabilmente riconducibili ad aree di lavoro irregolare. Incide nella percezione di questa dimensione anche la difficoltà ad ottenere permessi familiari (circa il 38% degli intervistati), e la distanza dal luogo del lavoro che supera i 40 minuti per il 46% del campione.

Dall’ambito della “parità, discriminazione, e abusi” emerge purtroppo, e con sorpresa, come il mondo del lavoro migrante presenti ancora rilevanti problemi di discriminazione riconducibili al paese di provenienza e al colore della pelle (Africa, e America Latina). La discriminazione si attua generalmente attraverso un mancato riconoscimenti dei propri meriti (nel 29,7% dei casi), ricorrendo a comportamenti offensivi e umilianti (il 18,8%), oppure con forme di squalificazione professionale (il 16,7%). In merito all’abuso di potere[2] si riscontra che il 38% dei lavoratori migranti ha subito una qualche forma di abuso; generalmente viene esercitato soprattutto attraverso un sovraccarico di lavoro (circa nel 30% dei casi), e con forme di intimidazione e minacce (nel 20% dei casi). Dall’analisi dei dati risulta inoltre una differenza di genere relativamente alla tipologia di abuso: nei casi di violenza sulla persona (molestie, intimidazioni, isolamento sociale) il 70% delle volte è esercitato sulle donne, mentre l’uomo subisce forme di abuso che riguardano soprattutto l’attività lavorativa e i diritti conseguenti al rapporto di lavoro.

La quinta dimensione è relativa alla “tutela e sicurezza” in questo ambito si è valutata la dignità in rapporto alla tutela sindacale e previdenziale, oltre a misure relative alla sicurezza e all’igiene riscontrate negli ambienti di lavoro. Il dato di sintesi (74,1%) evidenzia come sia l’ambito meno problematico. In generale si riscontra comunque una bassa partecipazione sindacale (18% contro una media che in Italia si stima intorno al 30%), probabilmente conseguenza di occupazioni esercitate in piccole imprese. Scarsa coscienza anche dei propri diritti previdenziali (il 18% non ha mai verificato la propria posizione contributiva), mentre il 10% è certo che il proprio datore di lavoro non versa contributi. Più alte le percentuali di coloro che riconoscono l’ambiente di lavoro come pulito (85%) e sicuro (82%). Tra coloro che non si sentono sicuri nel proprio lavoro (il 10% dei casi) la maggior parte sono uomini (il 70%).

bongianniuno.pngPer ogni dato presente nel campione si è poi analizzato il relativo livello del decent work attribuendo un giudizio qualitativo in relazione al punteggio complessivo conseguendo all’aggregazione delle diverse variabili. La discriminazione dei record del campione è effettuata applicando, in base alla tabella riportata, una variabile qualitativa che esprime, come sintesi dei risultati, un giudizio sintetico sul lavoro dignitoso. L’attribuzione prevede cinque livelli di decent work[3] : “dignitoso”, “tollerabile”, “mediocre”, “insoddisfacente”, “indecente”, in relazione ad un punteggio standardizzato che può variare tra un minimo di 0, ad un massimo di 5. Dopo aver qualificato ogni elemento del campione possiamo rappresentare la distribuzione delle frequenze delle relative variabili qualitative. Da questa analisi emerge il seguente grafico: soltanto il 7,8% del campione raggiunge un livello compatibile al lavoro dignitoso, seguito da un 26,2% considerato come tollerabile; collocando così nell'area complessiva di accettabilità (dignitoso e tollerabile) soltanto il 33,9% del campione. La classe con maggiore frequenza è quella “mediocre” (38,9%), a cui si aggiunge quasi un 20% di livello “insoddisfacente” e un 7,8% del livello qualificato come “indecente” dove certamente si annida all’interno una situazione caratterizzata da probabile sfruttamento e mancato rispetto dei diritti umani. L’area negativa, da considerare come non accettabile, totalizza un 66,1% (risultati corrispondenti al mediocre, insoddisfacente, indecente)[4].

bongiannidue.pngLe cinque variabili qualitative del decent work sono poi state incrociate con i dati anagrafici presenti nel campione; in particolare in rapporto al genere, al paese di provenienza, al settore di attività e alla tipologia di contratto. In tutti i casi, in base al test X² risulta un livello di associabilità statistica tra la variabile qualitativa del decent work e i dati di cui sopra.

 

GENERE

DECENT (min)

NO DECENT

Uomini

31,5%

68,5%

Donne

36,3%

63,7%

In particolare in rapporto al genere emerge come nel complesso la distribuzione delle frequenze degli uomini si collochi soprattutto sugli estremi, mentre per le donne la distribuzione è sostanzialmente inversa e si concentra maggiormente nelle aree intermedie. Probabilmente la differenza è dovuta soprattutto alla maggiore presenza degli uomini in aree di lavoro connesse al settore dell’edilizia (18% del totale), e ai servizi professionali (11%), a cui sono associata livelli di maggiore dignità, e anche preponderanza degli uomini in settori come i servizi per il turismo (21%) e attività commerciali (21%); settori presenti a Roma, e caratterizzati da un basso livello di decent work. Per le donne invece il maggiore coinvolgimento è nell’ambito dei servizi alla persona (54%), dove si associa una valutazione considerata mediamente come “mediocre”.  Aggregando le posizioni (vedi tabella) si evince come il dato si presenta negativo sia per gli uomini, sia per le donne, con una accentuazione significativa per i lavoratori migranti di sesso maschile.

PROVENIENZA

DECENT (min)

NO DECENT

Africa Continentale

28,3%

71,7%

Asia

39,4%

60,6%

Europa (paesi comunitari)

40,3%

59,7%

Europa (paesi non comunitari)

29,3%

70,7%

Medio Oriente

38,1%

61,9%

America Latina

32,6%

67,4%

In relazione al paese di provenienza emergono differenze statistiche significative, nel senso che il paese incide, in qualche modo, sulla condizione lavorativa del migrante. Chi proviene dall’Africa in più del 70% delle volte si ritrova con un lavoro qualificabile come no decent, seguito dalle persone provenienti dai paesi europei non comunitari (70,7%), e da coloro che provengono dall’America Latina (67,4%). Le posizioni lavorative migliori sono riferite, invece, a coloro che provengono dall’Europa comunitaria, ma purtroppo anch’esse superano di poco il 40%, seguite da coloro che provengono dall’Asia (39,4%).

Dati interessanti emergono anche con riferimento alla posizione contrattuale. In questo caso il test del X² misura una forte associabilità statistica tra la forma contrattuale e le dimensioni valutative del decent work. Dai dati raccolti emerge una forte criticità associata alle diverse forme dei contratti atipici, che non offrono al lavoratore straniero alcuna possibilità di accedere ad un lavoro dignitoso. Il contratto a tempo indeterminato è quello che offre livelli di dignità più alti (decent min: 45,8%), anche se per il restante 54,2% il lavoro è qualificato come no decent pur avendo un contratto tipico. La forma contrattuale resta una condizione importante, necessaria ma ancora non sufficiente. In merito da rimarcare (vedi tabella a seguire) che solo il 51% dei lavoratori migranti possiede a Roma un contratto a tempo indeterminato, contro una media generale nel 2022 pari all’ 87,4% dei lavoratori presenti a Roma[5].

In generale dalla tabella sottostante si evince come i contratti atipici non riescono a garantire nella maggior parte dei casi (solo i contratti di collaborazione raggiungono nel decent min un valore pari al 40%) una condizione di lavoro dignitoso. In particolare la situazione si presenta fortemente compromessa per la condizione dei soci in cooperativa (il 36,4% di questa tipologia è valutata al livello di “indecente”) e per coloro che hanno contratti in somministrazione (l’88,9% è in una condizione di no decent). Il 6,3% del campione non risponde alla domanda sul tipo di contratto: probabilmente in questa area si nasconde buona parte del lavoro irregolare; incrociando i dati emerge infatti come anche in questo caso la gran parte dei lavori è dentro una condizione di no decent (88,0%).

 

TIPOLOGIA DI CONTRATTO

DECENT (min)

NO DECENT

tempo indeterminato

45,8%

54,2%

tempo determinato

21,5%

78,5%

contratto di collaborazione

40,0%

60,0%

contratto di somministrazione

11,1%

88,9%

contratto a chiamata / intermittente

18,2%

81,8%

apprendistato / formazione lavoro

36,4%

63,6%

socio in cooperativa lavoro

0,0%

100,0%

partita iva

25,9%

74,1%

- non risponde -

12,0%

88,0%

In generale il dato dovrebbe essere oggetto di una riflessione importante soprattutto per comprendere quali sono gli elementi di maggiore criticità che rendono ad esempio il lavoro in somministrazione una forma di lavoro fortemente compromessa dal punto di vista della dignità di lavoro; in questo caso non è difficile immaginare l’uso strumentale di questi contratti che certamente aumentano l’efficienza del costo del lavoro, ma allo stesso tempo scaricano questa maggiore flessibilità sui lavoratori che vedono fortemente compromessa la stabilità lavorativa, la remunerazione economica, ed in generale tutto ciò che attiene al giusto equilibrio tra vita privata e lavoro.

Stesso discorso anche per le cooperative di lavoro, nate per offrire maggiore autonomia, formazione, flessibilità e condizioni economiche migliorative, e quindi condizioni di lavoro più dignitose, ma che di fatto sembrano essersi trasformate oggi, almeno per i lavoratori migranti, in strumenti non rispettosi della dignità lavorativa. Un ambito questo da approfondire e monitorare.

 

TIPOLOGIA DI CONTRATTO

DIGNITOSO

TOLLERABILE

MEDIOCRE

INSODDISFACENTE

INDECENTE

% comp.

tempo indeterminato

11,8%

34,0%

38,4%

13,3%

2,5%

50,9%

tempo determinato

1,5%

20,0%

41,5%

30,8%

6,2%

16,3%

contratto di collaborazione

6,7%

33,3%

40,0%

6,7%

13,3%

3,8%

contratto di somministrazione

0,0%

11,1%

33,3%

33,3%

22,2%

2,3%

contratto a chiamata / interm.

6,1%

12,1%

42,4%

27,3%

12,1%

8,3%

apprendistato / formazione lavoro

18,2%

18,2%

45,5%

9,1%

9,1%

2,8%

socio in cooperativa lavoro

0,0%

0,0%

27,3%

36,4%

36,4%

2,8%

partita iva

7,4%

18,5%

44,4%

22,2%

7,4%

6,8%

- non risponde -

0,0%

12,0%

32,0%

32,0%

24,0%

6,3%

L’analisi delle corrispondenze[6] applicata su alcune variabili qualitative (livello di decent work, tipologia di contratto, titolo di studio, settore di attività) evidenzia spazialmente sul grafico la maggiore o minore convergenza verso i differenti livelli qualitativi dell’indicatore di decent work (dignitoso, tollerabile, mediocre, insoddisfacente, indecente).bongiannitre.png

La mappa evidenzia in modo descrittivo le variabili che convergono verso le aree qualificate dai livelli del decent work: è evidente come verso l’area “indecente” convergono i dati caratterizzati da salari molti bassi, contratti atipici (somministrazione, chiamata, socio in cooperativa[7]), settori di attività connessi all’agricoltura, commercio e turismo, e lavoratori che provengono dall'Africa continentale e dal Medio Oriente. Dall’altro lato della mappa, nell’area del lavoro dignitoso ritroviamo attività professionali e relative al settore dell’edilizia, lavoratori europei, contratti a tempo indeterminato e salari mediamente superiori ai 10 euro. Un dato da sottolineare riguarda la condizione di lavoratori migranti con titolo di studio (laurea specialistica, dottorato, triennale) che si collocano tra l’area del tollerabile e del mediocre.

In conclusione sembra dai dati della ricerca che il lavoratore migrante a Roma non abbia un volto, né un titolo, né una significativa differenza di genere, e che di fatto la sua condizione lavorativa non gli consenta di uscire dalla condizione di povertà. La necessità connessa alla propria sopravvivenza in un paese straniero costringe di fatto i migranti ad accettare spesso con rassegnazione anche condizioni poco dignitose, aggravate anche da una certa discriminazione razziale, e dalla presenza diffusa di lavoro irregolare (stimato intorno al 30%). Il contratto a tempo indeterminato offre ancora una certa garanzia a tutela del lavoratore, è certamente uno strumento importante e necessario, ma da solo non è sufficiente a garantire il raggiungimento di un livello accettabile di dignità lavorativa. Nel territorio di Roma il settore che domanda lavoro è costituito in gran parte da imprese medio-piccole che operano nell’ambito dei servizi turistici, commerciali, e di assistenza sociale, dove è di fatto molto difficile esercitare una qualche forma di controllo, e dove non vi è rappresentanza sindacale. La concomitanza di questi diversi elementi evidenzia così, in un quadro che già si presenta problematico per il lavoro degli italiani, una situazione alquanto difficile e penosa, e che implica la necessità di avviare una riflessione specifica sul problema, dal momento che il contributo del lavoro dei migranti al bene comune dell’Italia è insostituibile, e lo sarà ancora di più nei prossimi anni.

Riferimenti bibliografici:

  • Benedetto XVI, Caritas in veritate, Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 2009.
  • Conigliaro P., “Decent work between human rights and social sustainability: considerations on relationships between principles, indicators and attainments of goals” in Rivista Italiana di Economia Demografia e Statistica, vol. 72(3), pp. 113-124, July-Sept, n. 55, 2018. Accesso: http://www.sieds.it/listing/RePEc/journl/2018 LXXII_N3_RIEDS_10_13_Conigliaro_ok.pdf.
  • Costa G. - Foglizzo P. , Il lavoro è dignità. Le parole di Papa Francesco. Ediesse, Roma, 2018.
  • Di Fabio A., Kenny M. E., “Decent work in Italy: Context, conceptualization, and assessment”, in Journal of Vocational Behavior, vo. 110, Part A, pp. 131-143, 2019.
  • Dolente F., “Il lavoro gravemente sfruttato degli immigrati. Una ricerca condotta a Roma e nell’Agro Pontino”, in Italies, n. 14, pp. 95-110, 2010.
  • European Commission (EC), European Pillar of Social Rights., 2017. Accesso: https://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=1226&langId=en.
  • Francesco, Laudato si', Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 2015.
  • Giovanni Paolo II, Laborem exercens, Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 1981.
  • International Labour Organization (ILO), Decent work. Report of the Director-General to the 87th Session of the International Labour Conference, Geneva, 1999.
  • International Labour Organization (ILO), Uno sguardo sull’ILO, n. 12, 2007. Accesso: https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/@europe/@ro-geneva/@ilo-rome/documents/publication/wcms_152367.pdf
  • Ufficio di Statistica del Comune di Roma, Il Benessere Equo e Sostenibile a Roma - 6° Rapporto - 2023. Roma, 2023. Accesso: https://www.comune.roma.it/web-resources/cms/documents /Bes_Roma_2023_unito.pdf.
  • Ufficio Statistico del Comune di Roma, Annuario Statistico di Roma Capitale. Roma, 2022.
  • United Nations (UN), Gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) e i relativi target, Risoluzione adottata dall’Assemblea Generale il 25 settembre 2015.
  • United Nations General Assembly. Transforming Our World: The 2030 Agenda for Sustainable Development; United Nations: New York, NY, USA, 2015.
  • United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR), Guidelines on International Legal Standards Relating to Decent Work for Refugees, 2021. Accesso: https://www.refworld.org/docid/60e5cfd74.html.
  • World Health Organization (WHO), Mental health and well-being at the workplace – protection and inclusion in challenging times, Copenhagen: WHO Regional Office for Europe, 2010.

 

[1] In presenza di un qualche familiare/convivente la situazione sarebbe senz’altro peggiorativa.

[2] In questo caso si fa riferimento ad un uso improprio dell’autorità o del ruolo ricoperto da parte di coloro che sono in una posizione gerarchica più alta.

[3] I dati sono stati qualificati in base ai seguenti parametri: “dignitoso”: x > 4; “tollerabile”: 3 < x <= 4; “mediocre”:2 < x <= 3; “insoddisfacente”:1 < x <= 2; “indecente”: x <= 1.

[4] Nell’articolo i riferimenti qualitativi sul lavoro dignitoso indicati con i termini decent min o no decent si riferiscono all’aggregazione dei giudizi di valore attribuiti in base alla metodologia indicata. In sintesi le posizioni indicate come decent min aggregano le attribuzione positive (dignitoso, tollerabile), mentre quelle indicate come no decent aggregano le attribuzioni con giudizio negativo (mediocre, insoddisfacente, indecente).

[5] Annuario Statistico 2022 - Roma Capitale: p. 349.

[6] Il software open-source utilizzato per l’analisi delle corrispondenze è il pacchetto library (FactoMineR)

library(factoextra) in ambiente R.

[7] Il dato relativo ai contratti in cooperativa di lavoro è aggregato a quello della somministrazione.

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