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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

 

 

Tra le pressanti esigenze della società contemporanea, la necessità di potenziare le qualità morali per uscire dall’egocentrismo ed avvicinarsi sempre di più ad una concezione solidale della vita sembra costituire una delle priorità concordemente avvertite.

La nostra cultura, cristiana e non, considera la capacità di interessarsi agli altri e di darsi aiuto e sostegno reciproco una delle mete ideali di comportamento, in evidente contraddizione appare invece il nostro agire quotidiano, pregno di individualismo e di miopia, che fatica non poco già soltanto a tentare ad avvicinarsi all’obiettivo morale sollecitato.

Osservando il nostro comportamento si può essere tentati di affermare che l’inclinazione verso azioni socialmente riprovevoli, distruzione o anche solo indifferenza sia più marcata che la tendenza verso la comprensione, la generosità e la collaborazione con gli altri.

In realtà, anche se le norme e gli standard degli orientamenti sociali e della considerazione per gli altri variano da società a società e da cultura a cultura, il comportamento dell’individuo, morale o no, ammirevole o deplorevole, costituisce sempre il risultato finale di una complessa e intricata rete di eventi - biologici, sociali, psicologici, economici e storici - che interagiscono tra di loro.

Nonostante le difficoltà metodologiche legate alla definizione stessa dei comportamenti sociali positivi e dell’identificazione delle variabili che aumentano la probabilità che gli stessi vengano messi in atto, gli studi condotti in tal senso hanno dimostrato come la capacità di aiutarsi e di operare per la collettività siano maggiormente funzionali non solo per il singolo individuo, ma per la stessa sopravvivenza della specie. Conseguentemente è stato possibile concludere quanto sia più vantaggioso per la società orientare i propri membri verso comportamenti socialmente adeguati (piuttosto che avversare quelli inadeguati), attivando delle strategie idonee a prevenire atti di violenza e di aggressività.

Da sempre le società sono state interessate al miglioramento della qualità della vita e alla riduzione delle azioni socialmente inadeguate o riprovevoli. Laddove questo interesse è stato tradotto in ricerca empirica, l’accento si è spostato sia sulla rilevazione di dati e sull’analisi dei presupposti che conducono verso azioni civicamente dannose, sia verso sequenze o interi processi comportamentali tesi alla diminuzione delle reazioni antisociali.

Al contrario la storia della ricerca psicologica relativa al comportamento prosociale è piuttosto recente ed è per questo che attualmente conosciamo ben poco degli antecedenti di fenomeni quali l’altruismo, la generosità, l’empatia, ecc.

Non sono chiare le ragioni che hanno portato a trascurare quest’area di ricerca, ma è possibile avanzare delle ipotesi.

Innanzi tutto i problemi che minacciano la struttura ed il funzionamento delle società hanno una qualità di urgenza: essi richiedono, infatti, un’attenzione immediata ed è probabile che ci si dedichi alle condizioni da migliorare, prima che alla promozione dei comportamenti sociali positivi e al miglioramento delle condizioni generali di benessere.

Recentemente tuttavia si sta cercando di colmare il ritardo delle ricerche relative alla condotta prosociale e i primi risultati vengono già inseriti nei programmi di ottimizzazione del comportamento per bambini ed adolescenti. La progettazione educativa scolastica ad esempio prevede l’incremento del rendimento individuale e collettivo attraverso la convergenza di interessi, motivazioni e comportamenti che si esplicitano in condotte cooperanti, costituendo altresì un potente fattore di estinzione dell’aggressività e della violenza, dal momento che forniscono risposte alternative incompatibili con esse.

I comportamenti prosociali migliorano le relazioni interpersonali in quanto consentono all’individuo di gestirle in modo ottimale, dato questo che - come evidenziato dalle ricerche di Argyle sulla felicità 1 - costituisce una condizione necessaria per il raggiungimento di un adeguato livello di appagamento personale e di benessere; oltretutto risulta oramai certo uscire dall’io per andare verso l’altro rappresenta una grossa modalità di prevenzione di tanti disturbi di tipo psicologico e organico.

La condotta collaborativa diviene dunque il presupposto necessario, oltre che per migliorare il benessere personale, anche per costruire un civismo sociale allargato, che consenta quel "riarmo morale e civico" di cui si parla oramai anche in ambito politico. Pertanto acquista sempre maggiore rilevanza la capacità di rispondere alle richieste sociali di quanti - genitori, docenti ed educatori in genere - avvertono la necessità di formare le nuove generazioni verso quei sentimenti altruistici che siano in grado di innescare i processi di reciprocità prosociale tanto auspicati.

Il miglioramento della qualità della vita e del complessivo stato di benessere della società non può che passare attraverso la modificazione culturale dei singoli individui, i quali diverranno in seguito essi stessi promotori del cambiamento. Per raggiungere tale obiettivo è necessario attivare quei programmi cognitivi e comportamentali che, incrementando le abilità sociali, l’autostima, la fiducia nell’ambiente esterno e nella personale capacità di affrontare e risolvere i problemi che si verifichino, permettano alle nuove generazioni di riscoprire le capacità affettivo-emozionali e di essere dunque parte attiva dell’intero processo di evoluzione prosociale, modificando positivamente l’ambiente relazionale.

Alla luce di quanto detto emerge l’importanza della prosocialità quale capitolo a sé stante all’interno della psicologia evolutiva e sociale, soprattutto in ragione del notevole interesse suscitato dalle retroazioni positive conseguenti sia per l’autore dell’azione prosociale, sia per i beneficiari.

Il comportamento prosociale si differenzia dagli atti solidali e altruistici in quanto si riferisce ad azioni dirette ad aiutare o beneficiare singoli individui o gruppi, senza attendersi ricompense esterne. La definizione proposta da R. Roche (Università Autonoma di Barcellona), uno tra i più autorevoli esperti di prosocialità, è piuttosto ampia: prosociali sono "quei comportamenti che, senza la ricerca di ricompense esterne, favoriscono altre persone, gruppi o fini sociali e aumentano la probabilità di generare una reciprocità positiva di qualità e solidale nelle relazioni interpersonali o sociali conseguenti, salvaguardando l’identità, la creatività e l’iniziativa degli individui o dei gruppi implicati" 2.

L’azione consente a coloro che ne sono oggetto di sperimentare i benefici di tali condotte e all’autore di percepire la propria competenza ed efficacia, a tutto vantaggio dell’autostima. Per questo le ricerche in corso sono orientate nel tentativo di veicolare i benefici interindividuali all’ambito sociale, dei sistemi di gruppo e delle collettività, al fine di consentire l’introduzione, la formazione, la promozione, il mantenimento e l’incremento delle condotte prosociali.

Secondo Roche l’insieme delle azioni prosociali può essere annoverato in alcune categorie: aiuto fisico, servizio fisico, dare, aiuto verbale, conforto verbale, conferma e valorizzazione positiva dell’altro, ascolto profondo, empatia, solidarietà, presenza positiva e unità. E’ importante però precisare talune differenze relative ai vari aspetti della prosocialità. Intanto va chiarito che conoscere un comportamento prosociale non significa necessariamente metterlo sempre in atto: l’acquisizione delle norme sociali può essere del tutto separata dalla condotta che vi si conforma.

Un esempio possiamo trovarlo nella norma della responsabilità sociale, che prescrive di assistere coloro che hanno bisogno di aiuto oppure sono in una condizione di dipendenza fisica o morale (come i figli nei confronti dei genitori). Ma, come sottolinea Yzaguirre 3, "Il fine ultimo di questo modello prosociale non è tanto quello di creare dei "buoni samaritani" o degli eroi, quanto di aiutare i bambini (e gli individui in genere) ad intraprendere e mantenere interazioni positive con gli altri in maniera continuativa e non solo in situazioni critiche o in momenti eccezionali. L’obiettivo principale è promuovere un orientamento di cooperazione sociale in cui sia data uguale importanza sia ai bisogni altrui che a quelli propri."

Per agire in accordo con le norme apprese e interiorizzate occorre innanzitutto che i bisogni dell’altro vengano percepiti e accuratamente interpretati, ma è altrettanto importante comprendere se l’altro può essere aiutato e ciò sia attraverso l’analisi delle proprie capacità e competenze nella situazione specifica sia mediante una corretta valutazione circa i costi e i rischi preventivabili nel corso dell’operazione. Se tali presupposti non fossero rispettati, persino chi è bene a conoscenza della norma della responsabilità potrebbe trovarsi in grosse difficoltà nel fornire il proprio aiuto.

Da precisare ancora è che il comportamento prosociale va chiaramente distinto dal giudizio morale, generalmente riferibile agli aspetti cognitivi dell’etica, ossia a concettualizzazioni e ragionamenti circa questioni morali: chiunque abbia concetti e giudizi anche sofisticati sulle questioni morali, non sarà comunque in dovere di comportarsi abitualmente in modo prosociale.

Le diverse culture riescono generalmente bene nel compito di trasferire ai propri membri norme, valori e modelli comportamentali socialmente approvati: questi infatti sono solitamente adattabili, consentendo così di stabilire quei legami fra i membri del gruppo che soddisfano sia le esigenze personali dei singoli che quelle di continuità specifiche della società stessa. Gli individui e le strutture cambiano influenzandosi vicendevolmente secondo un processo dinamico, che interessa intere sequenze nelle convinzioni personali ed interpersonali di valori, norme ed atteggiamenti. Poiché dunque la condotta prosociale viene a mano a mano acquisita, essa può essere modificata: almeno in via teorica è possibile trovare il modo migliore per sviluppare i comportamenti solidali, collaborativi e di cooperazione, al fine di raggiungere come obiettivo una migliore qualità della vita ed una maggiore armonia tra gli individui. Ma sarebbe davvero illusorio pensare di poter educare alla prosocialità limitandosi ad allestire ed implementare una serie di unità didattiche e lasciando invece inalterato il gap che separa i comportamenti dell’educatore dagli insegnamenti proposti all’allievo.

L’educazione alla prosocialità, non può che viaggiare su due itinerari connessi ma indipendenti tra loro: il modellamento, spesso involontario, non consapevole o non programmato; e l’educazione intenzionale e sistematica da realizzarsi attraverso specifici curricoli appositamente progettati.

Il primo percorso è rappresentato da tutti quegli apprendimenti verso i quali l’allievo viene stimolato dal comportamento dell’educatore: direttamente quando questi è in relazione con lui e indirettamente quando l’allievo ha modo di osservare le intenzioni dell’educatore mentre interagisce con altre persone, sia in situazioni scolastiche che extrascolastiche.

L’insegnante che mostri di comprendere il punto di vista e le emozioni del proprio interlocutore (empatia), di essere determinato nel perseguire i propri obiettivi pur rispettando gli altri, di saper esprimere le proprie opinioni ed emozioni (assertività), di affrontare e risolvere creativamente problemi personali, tensioni e conflitti interpersonali (problem solving), nonché di assumere decisioni che comportano un ritardo della gratificazione (autocontrollo), aumenterà notevolmente la probabilità che i propri allievi interiorizzino ed attivino comportamenti prosociali dello stesso tipo.

Il docente che si proponga egli stesso quale modello di comportamenti altruistici e collaborativi rappresenta dunque una variabile determinante nell’educazione prosociale degli allievi; sarà ancora più funzionale ed efficace se parallelamente avrà programmato l’insegnamento intenzionale e sistematico di tutte quelle conoscenze e competenze interpersonali che costituiscono i presupposti o i componenti della condotta prosociale. Ordinandole in sequenze graduali e interdisciplinari, attraverso la costruzione di un curricolo educativo, consentirà egli stesso la realizzazione della prevenzione di diverse forme del disagio scolastico e la promozione del benessere individuale e dell’intera collettività.

 

ESEMPLIFICAZIONE PRATICA N.1

PROGETTO

"COMUNICAZIONE E PROSOCIALITÀ"

Il presente progetto, triennale, finalizzato alla comunicazione efficace e allo sviluppo delle abilità prosociali, sta attualmente interessando due classi terze di una scuola elementare situata nella zona sud di Roma, la sua strumentalità viene progressivamente adeguata alle crescenti caratteristiche psicofisiche dei partecipanti.

Presupposto teorico:

- le problematiche relative al disagio sociale sono al contempo causa ed effetto di insuccessi educativi; il potenziamento delle abilità relazionali favorisce un armonico sviluppo del comportamento prosociale, che a sua volta influenza positivamente i processi formativi.

Obiettivi formativi:

- Elaborare un sistema di valori etici personali e corrente.
- Costruire un’efficace rete di relazioni interpersonali.
- Valorizzare le diversità.
- Estinguere le eccessive reazioni di ansia, paura, remissività o aggressività.

Percorso formativo: stimolare

- la Percezione, attraverso l’analisi dei linguaggi verbali e non verbali;
- la Creatività, mediante la conoscenza di nuove modalità espressive;
- la Tolleranza nei confronti degli altri, chiarendo e accettando i propri e gli altrui sentimenti, positivi o negativi che siano;
- l’Adattamento attivo alle regole di vita sociale, comprendendone la necessità pratica ed i reciproci vantaggi, a fronte di piccole rinunce;
- la capacità di Ascolto, di Critica Costruttiva, di Interrelazione Positiva, riducendo l’ansia della prestazione, la paura nel confrontarsi verbalmente con gli altri, la remissività o l’aggressività della risposta - quando ci si sente provocati o quale modalità comportamentale regolarmente privilegiata -, nonché dando il giusto rilievo ai bisogni e alle proposte altrui;
- l’Accettazione e la Valorizzazione delle Diversità, ottimizzando le capacità e le potenzialità personali nel rafforzare, concretizzandoli, i sentimenti di amicizia, collaborazione e solidarietà.

Attività e strumenti:

Il clima relazionale che il docente riesce a stabilire in classe, costituisce uno dei fattori determinanti dell’apprendimento e del cambiamento; generalmente invece il sistema scolastico tende a privilegiare il pensiero logico-razionale a scapito di quello affettivo (da ciò deriva quello che Roche definisce "l’analfabetismo emozionale"); per questo il gruppo è iniziato con le seguenti priorità:

- Stabilire un legame socio-affettivo, per prevenire, controllare e correggere possibili forme di discriminazione e di pregiudizio;
- Concordare le regole della comunicazione, attraverso domande del tipo: che cosa succederebbe se parlassimo tutti insieme?
- Facilitare l’espressione dei propri bisogni fisici, materiali e psicologici;
- Considerare gli effetti che tali bisogni possono provocare negli altri;
- Manifestare affetto, fiducia e incoraggiamento;
- Sdrammatizzare le esperienze di insuccesso;
- Fornire validi e concreti esempi di modelli prosociali positivi.
Le attività e gli strumenti di cui ci si è serviti durante la prima fase di realizzazione del progetto sono stati proposti ai ragazzi a partire da quanto era maggiormente vicino al loro spazio mentale; in generale, dopo la presentazione delle situazioni-stimolo (storie, situazioni problematiche, avvenimenti,…) e l’accertamento che la decodifica fosse appropriata, si è passati all’azione (rappresentazioni iconografiche, giochi a tema, drammatizzazioni, registrazioni, esercizi muscolari,... ) e quindi alla generalizzazione della situazione.

Verifiche:

Hanno generalmente cadenza quadrimestrale e comprendono attività e strumenti idonei all’accertamento della decodifica appropriata e alla generalizzazione degli stimoli preposti.

Risultati intermedi:

I risultati intermedi raggiunti, verificati attraverso l’avvenuta generalizzazione degli apprendimenti, riguardano alcune performance dei comportamenti: è stata registrata la riduzione dell’ansia della prestazione, la paura nel confronto verbale con gli altri, della smania nel privilegiare solo i bisogni personali; parallelamente sono state incrementate la tolleranza nei confronti degli altri, la capacità di collaborare fattivamente con i compagni e la conoscenza di nuove modalità espressive.

 

ESEMPLIFICAZIONE PRATICA N.2

PROGETTO

"SVILUPPO DELLA PROSOCIALITÀ E PREVENZIONE DEL DISAGIO SOCIALE"

Il progetto, biennale, coinvolge attivamente quattro classi quarte di una scuola elementare di Roma e fa parte di una più ampia ricerca supervisionata dal Prof. R. Roche che si svolge in Europa. Dal modello teorico il Prof. R. Roche, docente in Psicologia Evolutiva presso l’Università Autonoma di Barcellona dal 1971, ha realizzato dei programmi per l’applicazione della prosocialità in ambito educativo in buona parte della Catalogna e nel resto della Spagna. In Argentina è stato invitato dal Ministero dell’Educazione a presentare il modello al Forum di riforma del sistema educativo argentino.

Anche in Italia gruppi di insegnanti applicano con successo il modello progettato dal Prof. R. Roche.

Presupposto teorico:

Il comportamento prosociale comprende azioni dirette ad aiutare o beneficiare altre persone, senza aspettarsi ricompense esterne. Secondo Roche l’insegnante che proponga sistematicamente ai propri allievi la sperimentazione diretta di esperienze altruistiche e collaborative - e ne costituisca il modello - rappresenta una variabile determinante nell’educazione prosociale, a beneficio sia del singolo alunno che dell’intero gruppo classe.

Obiettivi formativi:

Educare gli allievi a stare con gli altri, a credere in se stessi e nelle proprie capacità, a collaborare ed aiutare gli altri, ad esprimere le proprie opinioni, ad accogliere e rivolgere delle critiche, a condividere, prevenire o risolvere i conflitti.

Percorso formativo.

Riguarda tre livelli:

La Sensibilizzazione cognitiva (racconti, audiovisivi, dibattiti,…);
Le Esercitazioni pratiche (problem solving, drammatizzazioni,…)
Le Applicazioni nella vita intra ed extrascolastica (ritagli di notizie, registrazioni, osservazioni, interviste, incontri con i familiari,...).

Modalità operative:

L’insegnamento delle abilità prosociali avrà luogo all’interno dell’abituale didattica curricolare, prendendo da essa spunti ed agganci.

Per questo il progetto sarà attuato in contemporaneità con i docenti di classe, per un massimo di quattro ore settimanali: ciò consentirà da un conto la formazione di sottogruppi di approfondimento e specificazione del lavoro, dall’altro le necessarie sistematiche osservazioni riguardanti la verifica dell’auspicata generalizzazione degli apprendimenti.

Attività e strumenti:

I seguenti fattori costituiscono gli elementi del Modello teorico che sono alla base di tutto il Programma educativo per l’ottimizzazione della prosocialità.

- Dignità e valore della persona. Autostima ed eterostima. L’io e l’altro. Il tu. Il mondo attorno. Il collettivo. La società.
- Attitudini e abilità di relazione interpersonale. L’ascolto, il sorriso, il comportamento, la conversazione. I saluti, la domanda, ringraziare.
- Valorizzazione positiva del comportamento degli altri. Gli elogi.
- Creatività e iniziativa prosociali. Risoluzione dei problemi e dei compiti. Analisi prosociale delle alternative. Presa di decisioni personali e partecipazione nelle collettive.
- Comunicazione, rilevazione dei propri sentimenti.
- Empatia interpersonale e sociale.
- L’assertività prosociale. Autocontrollo e risoluzione dell’aggressività e della competitività. Conflitti con gli altri.
- Modelli prosociali reali e nell’immagine.
- L’aiuto, il dare, il condividere. Responsabilità e cura degli altri. La cooperazione, l’amicizia, la reciprocità.
- Prosocialità collettiva e complessa. La solidarietà. Affrontare difficoltà sociali. La denuncia sociale. La disobbedienza civile. La non violenza.

Dopo la presentazione teorica di ognuno dei fattori si propongono attività diverse per la sua ottimizzazione.

Queste attività si articolano secondo alcune tecniche che cercano di incidere su qualcuno dei tre livelli: la sensibilizzazione cognitiva, l’esercitazione e l’applicazione nella vita reale.

Le attività così strutturate si presentano sotto forma di schede a disposizione degli insegnanti.

Verifiche:

Il progetto prevede un pre-test consistente in un’autovalutazione, una valutazione dei compagni di classe ed una valutazione da parte dei docenti circa le abilità prosociali dei singoli alunni; al termine dell'intervento il test sarà ripetuto per ottenere indicazioni relative all’eventuale cambiamento avvenuto (post-test).

 

NOTE

1 ARGYLE M., Psicologia della felicità, Raffaello Cortina Ed., 1987.

2 ROCHE R., SALFI D., BARBARA G., La prosocialità: una proposta curricolare. L’architettura di un programma per la scuola materna, Psicologia e Scuola, 1991, 53-55, 64, Roma

3 in ROCHE R., a cura di, La condotta prosociale. Terapia del comportamento, Bulzoni Editore, 1995.

 

A. F. Utz: Orientamento etico del progresso e dello sviluppo

B. Vinaty: La magia è magica

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