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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

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FRANCESCO COMPAGNONI 

N 01 editorial 1pdfel momento attuale chiedersi in Europa della presenza dei cattolici, o dei cristiani, in politica non è una domanda politicamente corretta. Ridesta troppi ricordi del passato: dalle guerre di religione del XVII secolo al Kulturkampf del XIX, dalle ideo-logie totalitarie alle lotte per l’esclusione delle “radici cristiane” dalla (purtroppo fantomatica) Costituzione Europea.

Ci fa ricordare i recenti decenni di esperienze dirette in politica dei tanti partiti democratico-cristiani europei, molto vivi e attivi soprattutto dopo la seconda guerra mondiale. Ma che si sono dissolti più o meno presto, a cominciare dalla Francia gollista per finire in gran parte con la caduta della cortina di ferro (materiale ed ideale) nel 1989.

Eppure non è necessario essere dei reazionari revanscisti per pensare che un qualche influsso il cristianesimo, millenaria religione universale, potrebbe ancora continuare ad esercitare. Almeno questo pensano i credenti che sono ancora in qualche modo legati alla tradizione. E non solo in senso ideale, come generica ispirazione culturale, ma anche come gruppo socialmente operativo.

Il Vangelo e le persone che lo hanno rappresentato in modo eccellente nei secoli passati hanno sempre ritenuto, seppur con modalità di-verse, che anche nella società civile dovesse cambiare qualche cosa sotto l’influsso della presenza di cittadini cristiani. E non solo perché e quando i cristiani erano la maggioranza – anche tra le élites – ma perché il cristianesimo sottolinea valori sociali che hanno validità universale e pretende anche di essere una forza storica della loro realizzazione.

Questo penso sia il punto nodale.

1.“Essere nella storia” è necessario, ma se non vogliamo essere dei semplici neo-contrattua listi (“La maggioranza ha sempre ragione”) è necessario avere dei criteri/valori che orientino il nostro fare concreto pur nella vita variegata ed imprevedibile delle società umane complesse. Non si tratta semplicemente di “applicare principi” in modo quasi para-giuridico, ma di averli piuttosto presenti per poter discernere ciò che è bene e ciò che è male quando operiamo nel sociale. Nelle società monolitiche dal punto di vista dei valori – se mai sono esistite – era intuitivo, dato l’ampio consenso sociale e la comune storia che non cambiava velocemente, saper dire cosa era bene o male per la società. Oggi non lo è più, soprattutto, direi, per quella parte dell’azione sociale che consiste nel progettare il futuro comune.

Oggi la posizione di Aristotele che affermava che è virtuoso quello che l’uomo saggio fa e ragionevolmente degno di essere imitato, non funziona, perché appunto non siamo più “spontaneamente” d’accordo su chi sia un uomo saggio.

Non essendo più i cristiani la maggioranza, debbono impegnarsi su progetti condivisibili e condivisi con altre forze, proprio perché i Principi Evangelici nel sociale sono condivisibili in quanto connaturali all’uomo. Il Dio Creatore non è altro che il Redentore e il precetto evangelico dell’elemosina non è radicalmente diverso dai progetti per un lavoro dignitoso, né dalla necessità del welfare sociale per tutti.

Questi principi sono quelli esposti nel Pensiero Sociale Cattolico, nella Dottrina Sociale della Chiesa, nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (1992). Ma essi non sono immediatamente operativi, perché all’azione nella storia reale contribuiscono molti altri fattori che non sono evangelici.

La fede dà la motivazione al bene e alla virtù. Quindi è possibile scegliere il bene da fare ed agire di conseguenza, proprio perché con fede e virtù si vede cosa fare o tralasciare. Anche gli errori morali – “i peccati” per i cristiani – possono essere identificati attraverso la fede e la virtù. E la persona saggia e buona, sa riconoscere quando sbaglia, proprio perché la sua vita morale e di fede è un orizzonte che appunto gli serve per orizzontarsi nell’azione. Come per orizzontarci sul territorio dobbiamo sapere quale è il Nord e quindi quali gli altri punti di riferimento astronomici, così è per l’uomo abitualmente virtuoso riguardo al bene. Intuisce ciò che è bene e quindi sa cosa è male anche nella concretezza della vita.

2. Se noi guardiamo indietro nei due secoli passati dopo la Rivoluzione Francese vediamo che i politici cristiani hanno fatto parte di élites abbastanza estese, anche quando le élites dominanti in Europa non erano cattoliche o cristiane. Era l’epoca del liberalismo politico, che in quanto spesso unito nelle persone dei politici alla Massoneria, era programmaticamente anti-cristiano.

Si potrebbe dire che nel XIX secolo tali élites politiche cristiane erano radicate nella tradizione dell’unione trono-altare, mentre nel XX sec. erano radicate nella base popolare cristiana ancora in gran parte presente in tanti Paese europei.

Attualmente sia la ‘tradizione trono-altare che la religione diffusa in ampi strati popolari non esistono più e quindi neanche i politici cattolici che ne erano uno dei prodotti.

La secolarizzazione sociale si è poi combinata con le teorie che vedono nel Concilio Vaticano II una rottura radicale nella storia della Chiesa. Ne è nata anche una teoria del dialogo, di per sé ottimo (anzi necessario, specialmente in politica!) ma che ha convolti anche i tradizionali pilastri della politica cattolica del dopoguerra: famiglia, scuola, corpi intermedi, piccole/medie imprese, il bene comune… Per combattere il cosiddetto e deprecato ‘identitarismo’ si è spesso giunti a ne-gare la propria identità politica, cioè il patrimonio ideale sociale.

3. Riflettendo sul problema “come possono i cattolici essere presenti in politica oggi nel loro paese”, ritengo che si possano fissare alcuni punti:

• il primo è di chiedersi se si ritiene legittimo la loro presenza in quanto tali. Cioè in concreto: qual è il nucleo ideale che un gruppo politico ha fatto suo e che è corrispondente agli ideali valori cristiani?
• successivamente ci si può chiedere se potrebbero esistere diversi partiti cristiani. Visto che la politica è il luogo del compromesso al di là dei valori, la risposta teoreticamente potrebbe essere positiva.
• Per fare questa discesa in campo è però necessaria una élite cattolica di qualità che sia interessata a fare politica.
• Questa dovrà tenere conto degli interessi delle Chiesa come istituzione, ma questo non sarà il suo scopo principale, che è il bene comune dello Stato.

Ritengo che la non presenza dei cattolici riconoscibili come tali in politica, e con una base comune condivisa, sarà sul lungo termine molto pericolosa per la Chiesa come istituzione. Non possiamo rinunciare, cioè, alla presenza cristiana nella società con scuole, centri di ascolto, case editrici, cooperative sociali, ONG ecc. Non ba-stano solo alcuni centri di eccellenza come qual-che monastero in montagna o in campagna, con 10 monaci/monache.

Se la vita pubblica è diventata assolutamente lontana dalla tradizione cristiana delle virtù individuale e collettive, dall’opzione per
i poveri, dal solidarismo internazionale…le nuove generazione si allontaneranno sempre più dalla Chiesa e le generazioni più mature saranno tentate di essere tolleranti/scettici/in-differenti/delusi.

4.I Contributi che presentiamo, il-lustrano il problema da diversi punti di vista, sia temporale che spaziale.

Il contributo O. Höffe, filosofo emerito di Tubinga, rispecchia chiaramente un esempio di riflessione accademica d’oltralpe da parte della borghesia accademica colta, nella quale si rileva la profondità di riflessione storica e teoretica. Molte sue opere sono tradotte, anche in Italia da Il Mulino.

01 editorial 2 02M. Melnyk, giovane prete ucraino, subito dopo gli studi è divenuto una manager della Caritas nel suo Paese. Presenta le finalità della sua attività in continua espansione e le convinzioni che la sostengono. Non ha nulla di professorale nel suo scrivere, ma richiama i primi protagonisti europei che all’interno della chiesa cattolica affrontarono la questione operaia all’inizio del XX secolo sulla scia della Rerum Novarum. Altri tempi, altri contesti socio-economici, ma lo stesso slancio del giovane imprenditore o del giovane politico ispirati dalla loro religione.

Per G. Piana, da sempre impegnato nella riflessione sociale, la crisi della politica è mondiale. A consolidare tale processo hanno contribuito la crisi delle ideologie e l’affermarsi di un rivendicazionismo dei diritti, non bilanciato dalla coscienza di una vera responsabilità civile in una società complessa. la secolarizzazione, che si è trasformata da “crisi del sacro” in “crisi del senso” (e/o del fondamento), ha eroso all’etica le basi naturali, dando vita a una pluralità di “sistemi valoriali”, che rendono arduo (se non impossibile) la convergenza attorno a una piattaforma di valori comuni.

A. Cortesi: La situazione sociale italiana di rapida secolarizzazione degli ultimi decenni ha mostrato l’impreparazione dei vertici ecclesiali italiani ad accogliere la centralità della dimensione testimoniale e di educazione alla fede rispetto all’orientamento ad occupare spazi e a mantenere condizioni di privilegio. L’Autore critica fortemente l’impostazione del Card. Ruini e propone per il prossimo futuro una presenza di testimonianza su temi come il lavoro, l’immigrazione, il progetto Europa.

A. Santagata descrive invece, con partecipazione, il processo del disimpegno delle associazioni e gruppi cattolici italiani dalla politica negli ultimi decenni. La sua provenienza ideale dalla Normale di Pisa è evidente, sia nella precisione della descrizione che nella interpretazione degli avvenimenti stessi.

Ch. J. Droste, appartenente ad una congregazione di suore insegnanti statunitensi, mette in risalto con dati statistici pertinenti l’importanza del sistema scolastico cattolico per gli USA. Non solo per il passato ma anche, nella mutata situazione attuale, tale sistema scolastico è la base della presenza sociale della chiesa cattolica. È facile quindi cogliere tutta l’importanza che il problema pedofilia ha per la chiesa cattolica di quel paese.

Il contributo di S. Burke ci illumina sia sulla presenza di cattolici nella attuale vita politica inglese, sia il modo come i cattolici inglesi stessi vedono la presenza di una proprio rappresentanza nella vita politica.

S. Perdrix, è ugualmente giovane, ma docente universitario francese. Il suo contributo sulla Francia è particolarmente significativo data la nuova svolta che sembra aver assunto il governo francese di Macron nei confronti della Chiesa Cattolica, sempre sospettata di attentare alla laicità repubblicana. Non si può dimenticare, ad es., che nella “fantomatica” Costituzione Europea le radici cri-stiane non erano entrate per l’opposizione decisa del governo di Giscard d’Estaing. L’A. ritiene che attualmente, al di là degli schieramenti di destra e sinistra, ci siano dei temi, come immigrazione, mussulmani, bioetica… dove i cattolici insieme agli altri cittadini, possono convergere nel campo politico per difendere certi valori. Anche in questo campo i cristiani si dovrebbero riconoscere per la loro ortodossia ed ortoprassi.

Innocent Szaniszló, affronta, su di un piano decisamente teoretico, il problema centrale dei rapporti tra le religioni e il mondo sociale con-temporaneo. Estrema estraneità tra le due categorie? Sembrerebbe che la società secolarizzata dell’Occidente non cerchi null’altro. Ma l’A. distingue tra diverse forme di secolarizzazione e in-dica soluzioni viabili sia per la religione che per la società contemporanea.

La Pagina Classica la riprendiamo dagli scritti di Mons. John A. Ryan (1869-1945). Si tratta di una pagina sul salario che rappresenta non solo una posizione classica cattolica sulla questione ope-raia, ma vuol anche ricordare una grande figura di pensatore cattolico sociale che negli USA ha avuto un grande influsso. Specialmente all’epoca pdfdel Presidente di F. D. Roosevelt. Tra le due guerre mondiali fu spesso in Europa e collaborò con pensatori sociali cattolici di diversi Paesi.
Nella ribrica Spazio Aperto presentiamo una nuova pubblicazione del filosofo Mario Toso nel tema di questo fascicolo.

 

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