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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

  

 

Il punto di partenza di queste riflessioni è costituito dalle polemiche suscitate dalla stesura della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che nel dicembre del 2000 fu approvata dal Consiglio Europeo, e dal riproporsi attuale di discussioni affini sul ruolo politico dell’etica religiosa.pdf

Con l’elaborazione della Carta, l’obiettivo dell’Unione europea è stato quello di costruire le fondamenta etiche del nascituro «diritto costituzionale europeo». Molti stati membri, infatti, hanno progressivamente cominciato ad adeguare i propri ordinamenti alla nuova realtà giuridica dell’Unione europea. Sempre più si sentiva l’esigenza di poter fare riferimento ad un corpus di diritti fondamentali.

L’organo preposto alla stesura della Carta dei diritti fondamentali ha preso il nome di «Convenzione», e non si esagera se si afferma che la Convenzione aveva un mandato restrittivo: alla Convenzione era impedito di introdurre 

Uno dei momenti più critici nella discussione sulla Carta è stato nella stesura del suo Preambolo. Vi leggo i primi due capoversi, così come compaiono oggi nella traduzione italiana:innovazioni sostanziali rispetto a documenti affini già elaborati in ambito europeo e internazionale (si veda l’art.51 della Carta). Il fine della Carta è quello di definire, in una organica e solenne Dichiarazione dei diritti, alcune prerogative irrinunciabili derivanti dall’appartenenza dei cittadini agli Stati membri dell’Unione.

I popoli dell’Europa nel creare tra loro un’unione sempre più stretta hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni.

Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali della dignità umana, della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà.

Dietro a questa formulazione, tuttavia, ci sono state posizioni contrapposte.

In una delle ultime riunioni dei parlamentari europei, il deputato dei Cristiano democratici bavaresi, il Sig. Friedrich, ha proposto che il testo comparisse facendo riferimento all’eredità religiosa.

Appena il testo dell’emendamento è stato eletto alla Presidenza, il deputato Guy Braibant, che di fatto dirigeva il Presidium dato che il Presidente Herzog era malato, ha subito messo in rilievo che la Francia non avrebbe mai potuto accettare un testo fondamentale con il riferimento all’eredità religiosa, perché questo elemento era contrario al carattere laico dello Stato che è uno dei capisaldi della Costituzione francese.

La proposta di Braibant: sostituire religioso con spirituale, aggettivo che in Francia ha un connotato analogo ma più moderato.

La situazione è precisa: da una parte i francesi chiedono che la Carta europea non sia troppo distante dalla prassi costituzionale francese, dall’altra i membri dei partiti democratici cristiani – in particolare quelli tedeschi (ma tutta la situazione, come vedremo, è stata soprattutto un affare fra francesi e tedeschi) – i quali condizionano per esempio il prolungamento della lista dei diritti civili – come per esempio il diritto di sciopero, vera novità – all’accettazione del riferimento all’eredità religiosa.

Il presidio, in assenza del presidente Herzog e del Commissario Vitorino, approva la proposta dei parlamentari europei democristiani e la Convenzione 47, un testo intermedio a quello finale, cita esplicitamente il riferimento all’eredità religiosa. E’ il 12 settembre dell’anno 2000.

Nel frattempo, però, anche Chirac e Jospin sono intervenuti con vigore nel dibattito. Il Ministro francese delegato agli Affari Europei, Sig. Pierre Moscovici ha dichiarato pubblicamente che la Francia non avrebbe mai accettato di firmare il testo della Carta se il suo preambolo avesse fatto riferimento all’eredità religiosa dell’Europa.

Inizia una pressione verso il Presidium del Presidente Herzog operata dai vertici dello Stato francese e dalle componenti socialiste degli attori europei. La richiesta, esplicita, è quella di rinunciare al riferimento religioso nel testo della Convenzione.

Lo scenario, a questa seconda sessione di discussione, trova meno impreparati gli esponenti. A leggere le cronache, osservando chi non si è sbilanciato e chi invece ha sostenuto l’una o l’altra delle posizioni in campo, è possibile sbilanciarsi nel disegno dello schema delle forze in campo: favorevoli al riferimento religioso erano soprattutto Germania, Austria e Lussemburgo. Invece, Francia, Portogallo e Italia sostenevano l’urgenza di garantire l’orientamento laico della Carta europea.

Alla fine, comunque, è prevalsa la convinzione che non si poteva sacrificare la stesura della Carta al muro contro muro sulla parola “religione”. I parlamentari europei, o piuttosto la maggioranza dei loro rappresentanti, hanno quindi, alla fine, trovato un accordo a favore della generale affermazione che menziona non l’eredità religiosa ma il patrimonio spirituale e morale dell’Unione.

Ma non è finita qui. Un’altra parte davvero sorprendente della storia sta arrivando. Le sessioni di lavoro delle istituzioni europee sono sostenute da speciali gruppi di giuristi-linguisti che hanno il compito di ricomporre i materiali nelle diverse lingue europee. Questo gruppo, inutile dirlo, è assai competente e professionalizzato. Nella traduzione in lingua tedesca, «spirituale» viene tradotto con geistig. Ma gli esponenti tedeschi affermano con decisione che geistig, nella loro lingua, ha un significato molto più sfumato di “spirituale”, più vicino – forse – al nostro “spiritismo”, per fare un esempio. Chiedono e ottengono, quindi, di tradurre quello “spirituale” nella versione tedesca di «geistig religiösen». Oggi, se si sfoglia la Carta nelle diverse lingue, si trova che la Carta fa riferimento al patrimonio spirituale in tutte le lingue eccetto il tedesco, dove “patrimonio spirituale” è diventato, per motivi linguistici, “patrimonio spirituale religioso”.

Ora, è chiaro che quanto è avvenuto apre numerosi interrogativi.

In generale, per semplificare il discorso, ci troviamo di fronte a quell’atteggiamento purtroppo consueto che cerca di relegare la religiosità nell’ambito della sfera privata. Come a dire: “ognuno preghi per conto suo, si è liberi di farlo, ma la cosa pubblica, lo Stato, l’Unione europea, sono un’altra cosa».

Che questo diritto a vivere la scelta religiosa, nella libertà prevista dal sistema della leggi, sia un successo per le moderne democrazie, non c’è dubbio. E, tutto sommato, è un successo piuttosto recente.

Nel passato in molti Stati d’Europa vigeva il principio del cuius regio eius religio, principio per il quale i sudditi tutti di una nazione erano costretti a seguire la confessione religiosa del proprio sovrano, non essendone ammessa alcun’altra. Volendo venire al nostro tempo e rimanere all’Italia, ricordiamo che lo Statuto della monarchia dei Savoia, decaduto con l’avvento della Repubblica, riconosceva il Cattolicesimo come unica e sola religione di Stato. Ciò faceva dell’Italia uno Stato confessionale cattolico.

Oggi, uno Stato moderno non rifiuta la religione e la religiosità, piuttosto si dichiara equidistante rispetto a ogni confessione religiosa, e perciò non si identifica con nessuna di esse, come fa quello italiano. Forse, più che chiamarlo laico, dovremmo parlare di Stato aconfessionale.

Ma torniamo alla domanda iniziale: la religione è qualcosa che fa riferimento solo alla dimensione individuale e privata della nostra esistenza?

Ovvero, esiste un ruolo pubblico per la religione?

E’ fondamentale riconoscere che i valori religiosi vissuti dai cittadini si trasformano in valori civili che elevano la comunità sociale e la comunità politica.

Certo, l’etica religiosa sostiene l’individuo nella sua adesione al messaggio di salvezza indicato nelle profezie. Ma ha anche una dimensione sociale diretta. Basti pensare alla nascita di organizzazioni ispirate alla religione, le quali fanno un bene sociale, nei campi dell’assistenza, dell’istruzione, della cultura.

Dalla religiosità scaturiscono effetti di rilevanza pubblica. Ecco allora che uno Stato, un ordinamento pubblico, non può rimanere indifferente a questo importante contributo determinato dall’etica religiosa.

In Italia, questo riconoscimento del ruolo pubblico dell’etica religiosa si esprime in varie forme, la più visibile è forse quella dell’8 per 1000, nella quale lo Stato si priva dell’uso diretto delle entrate perché stima l’uso che ne possono fare le organizzazioni religiose.

Ma dobbiamo riconoscere che questo ruolo pubblico della religione è stato la costante che ha costruito la storia del Vecchio continente.

Si pensi alla nascita degli Ordini Mendicanti nel XIII secolo. Non si è trattato solo di una grande fase di rigenerazione della Chiesa e della vita evangelica, ma con l’insegnamento di San Domenico e di San Francesco riusciamo a cogliere anche una nuova antropologia, un rinnovato modo di impostare l’ordine economico, politico e anche culturale. Per capire il ruolo pubblico degli Ordini Mendicanti, si pensi al fatto che le autorità civili favorirono e protessero l’insediamento delle case dei frati nelle loro città. E questi Ordini Mendicanti praticavano la povertà e si dedicavano alla predicazione e agli studi, per cui oltre alle grandi istituzioni universitarie di Bologna e di Parigi, ricordiamo il fiorire degli studi a Oxford, Montpellier, Tolosa, Cambridge, Coimbra. Un’azione costante che ancora oggi ci porta qui, in una istituzione universitaria domenicana, a discutere di Europa. L’Europa avverte l’influenza decisiva di questa nuova realtà della Chiesa, giacché gli Ordini Mendicanti, non sono congregazioni monastiche tipiche delle epoche precedenti, perché chi vi entrava non doveva, per principio, fare voto di stabilità, ma anzi si riprometteva di girare il mondo, passando da Comune a Comune, girando l’Europa - con particolare riferimento all’Europa orientale.

Ma pensiamo anche al ruolo in Europa avuto dalla Riforma protestante e dalla Riforma cattolica (o Controriforma, secondo una brutta abitudine di qualche storico). L’esigenza di rinnovamento della vita religiosa, e di abbandono di costumi e consuetudini contrarie all’ideale del cristianesimo, si estendono rapidamente lungo tutto il continente europeo, investendo l’ordine politico e civile. Fra l’altro, è soprattutto la Riforma protestante che mescola dottrina politica e dottrina religiosa, giacché quando avviene la rottura con la Chiesa di Roma, il compito di difendere e giudicare la fede rimane affidato alle autorità civili e politiche. La riforma, dunque, in aperta contraddizione con il suo conclamato bisogno di tolleranza religiosa, favorisce un ritorno e un rafforzamento delle concezioni assolutiste della politica. E’ nel pensiero politico di Lutero che troviamo che non è mai giusto opporsi all’autorità civile, perché egli rileva che i Capi di Stato sono come dei Vescovi per necessità.

Infine, in questo breve excursus storico, vorrei citare le numerose opere sociali ispirate dai carismi religiosi che si attuano durante l’esplosione della Rivoluzione industriale, quando ancora le politiche degli Stati non erano in grado di dare una risposta sufficiente alla risoluzione dei nuovi problemi connessi con la proletarizzazione delle masse e l’industrializzazione. Così ricordiamo le Conferenze di San Vincenzo dei Paoli, i Somaschi, il Gellenverein di Adolf Kolping (Germania), le iniziative caritative di Ozanam, le cooperative cristiano sociali, le corporazioni cristiane, l’Unione di Friburgo, e tante, tante altre.

Allora, si può anche dibattere sull’inserimento dell’eredità religiosa nella Carta fondamentale dei diritti dell’Unione europea, e ci possono anche essere ragioni di rispetto e di opportunità che ci devono portare ad ascoltare le motivazioni di chi non pensa sia necessario il riferimento diretto all’eredità religiosa. Quello che forse deve essere visto come più urgente, è la maturazione della consapevolezza che va ben al di là della formulazione del Preambolo.

La religione, per sua natura, non può rimanere confinata nell’ambito del privato. La religione cristiana, soprattutto, deve ricordarsi per l’importante contributo che offre in merito alla democraticizzazione della vita politica. Ci troviamo qui a discutere di quali siano le fondamenta dell’Unione Europea in modo organizzato, libero, appunto democratico. Che la specificità del caso europeo risiede appunto nella democraticità dei suoi ordinamenti se ne era accorto già il Machiavelli, quando nell’Arte della guerra, distingueva l’Europa per la numerosa presenza di repubbliche, mentre l’Asia e l’Africa hanno più governi dispotici e monolitici. Per Machiavelli, i modi dell’organizzazione politica qualificano la realtà europea e ne fanno un caso unico al mondo. Ma per estendere questo discorso chiamerei in causa un pensatore laicissimo come Max Weber, il quale non sembra lasciare dubbi sulla reale portata dell’eredità religiosa dell’Europa.

«Nel trattare i problemi della storia universale, il figlio della moderna cultura europea – dice Weber – formulerà inevitabilmente e a ragione la seguente domanda: per quale concatenazione di circostanze, proprio qui, in terra d’Occidente, e soltanto qui, si sono prodotti dei fenomeni culturali i quali si sono trovati in una direttrice di sviluppo di significato e di validità universali?».

La scienza come impresa razionale, l’arte come impresa razionale, lo Stato come stato di diritto, cioè una organizzazione razionale, l’organizzazione razionale capitalistica del lavoro formalmente libero, e così via, è soprattutto nel mondo europeo ed occidentale che acquistano un significato particolare. Questa razionalità, a parere di Weber, è una possibilità che si può dare solo se esiste una predisposizione nella condotta umana ad aderire a certe forme di comportamento. Fra i più importanti fattori di formazione della condotta razionale, senza alcun dubbio, vi è il fattore appunto religioso e Weber dedica i suoi migliori sforzi alla descrizione di questo rapporto. Insomma, l’impresa dell’Unione Europea deve il proprio progetto, la propria organizzazione razionale, alla determinazione religiosa dei comportamenti sociali e politici – determinazione giudaico-cristiana - e Weber su questo non ammetterebbe alcun dubbio.

Il riferimento a Weber è servito per citare un interprete laico e attento alle dinamiche della storia universale.

Ma forse ci aiuta anche a comprendere un’altra cosa, e cioè che è implicito in un progetto di unificazione e di rapporti di solidarietà la grande forza e il grande dono della tradizione giudaico-cristiana. Che lo si citi direttamente oppure no, forse – oserei dire – è questione non così urgente, o almeno non tanto urgente da poter mettere in pericolo il cristianissimo (passatemi il termine) progetto di unificazione e di fratellanza.

Il punto chiave davvero è solo questo. La fraternità dei popoli che decidono di mettere in comune tutto quello che realmente possono condividere (anche la naturale laicità della realtà francese) per dar luogo a un processo comune e di unità. E la fonte di questa fraternità la riconosciamo nella preghiera che Gesù rivolse al Padre: «Padre, che tutti siano uno». Egli, rivelando che Dio è Padre, e che gli uomini, per questo, sono tutti fratelli, introduce l’idea dell’umanità come famiglia, l’idea della famiglia umana possibile per la fraternità universale in atto. E’ solo da questo progetto che oggi possiamo affermare che l’Europa non deve fare distinzioni di sesso, religione, colore della pelle.

E forse è proprio questa la testimonianza e l’insegnamento che ci sono stati lasciati dai grandi padri dell’Unione europea, cioè Robert Schuman e Alcide De Gasperi, per i quali è stato avviato il processo di beatificazione, e Konrad pdfAdenauer. Guai a pensare che la loro santità si dia nonostante l’impegno politico, quando invece è proprio a partire dalle virtù e dalla vocazione civile e politica che hanno raggiunto un così alto traguardo. E fra queste virtù dobbiamo ricordare proprio quelle del dialogo nella carità, unica forza in grado di consentire al difficile (e sofferto) cammino storico dell’Europa unita di costruirsi su tradizioni e concezioni diverse.  

 

 

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