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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

 

Nel confronto che instaura con le realtà del nostro tempo, il documento del Pontificio Consiglio Iustitia et Pax nonpdf sfugge all’esame dei rapporti internazionali e delle loro contraddizioni. Il nocciolo della questione appare sin dalla lettera introduttiva del Segretario di Stato, Cardinale Angelo Sodano, quando evoca “l’Umanità nella ricerca del bene comune”1. Da un lato la persona umana, e le forme con cui esprime la propria cultura e religiosità. Dall’altro l’azione del sistema degli stati, troppo spesso ispirata allo spirito di conquista e sopraffazione, alla tutela esclusiva d’interessi nazionali, maschera di più prosaici interessi dei gruppi dirigenti e dei loro referenti economici o culturali.

Il Compendio è esplicitamente diretto anche ad ambiti non cattolici. Conseguentemente si relaziona all’esigenza di giustizia e pace nei rapporti internazionali, non soltanto sotto il profilo teologico e dottrinale ma anche umanistico: è di Paolo VI l’espressione “umanesimo plenario”, riferito allo sviluppo a vantaggio di tutti, alla giustizia che sostenga la pace planetaria2. Ciò non toglie che il documento ribadisca la centralità di Cristo nella storia delle nazioni e dei popoli, insieme al ruolo salvifico che la Chiesa esercita in suo nome: “La Chiesa continua a interpellare tutti i popoli e tutte le Nazioni, perché solo nel nome di Cristo è data all’uomo la salvezza”. E’ una salvezza che “investe questo mondo nelle realtà… della comunità internazionale e dei rapporti tra le culture e i popoli”3. E’ in quest’ambito che viene sottolineato il compito svolto nella nostra epoca dal dialogo interreligioso, in materia di pace e cooperazione internazionale: “E’ un segno di speranza il fatto che oggi le religioni e le culture manifestano disponibilità al dialogo e avvertono l’urgenza di unire i propri sforzi per favorire la giustizia, la fraternità, la pace e la crescita della persona umana”4.

Charitas Christi urget nos, scriveva Paolo. E il Compendio, riprendendo la parola del Papa che dell’Apostolo ha assunto il nome, motiva il perché non possa non lasciarsi coinvolgere dalle questioni internazionali: “… E come poi tenerci in disparte di fronte alle prospettive di un dissesto ecologico, che rende inospitali e nemiche dell’uomo vaste aree del pianeta? O rispetto ai problemi della pace, spesso minacciata con l’incubo di guerre catastrofiche? O di fronte al vilipendio dei diritti umani fondamentali di tante persone…”5.

In quest’ambito la Chiesa contemporanea ha onorato una tradizione di coerenza e autorevolezza, schierandosi dalla parte dei diritti dell’uomo in ogni occasione in cui le vessazioni d’ideologie totalitarie e razziste, o gli errori delle democrazie abbiano sollecitato l’intervento del suo alto magistero. Così Pio XI il 29 giugno 1931 “protesta contro le sopraffazioni del regime fascista in Italia con l’enciclica “Non abbiamo bisogno”6. E nel 1937 pubblica l’enciclica “Mit brennender Sorge” sugli sviluppi nel Reich germanico, mentre afferma nel 1938: “Siamo spiritualmente semiti”7. Giovanni XXIII, con la Pacem in terris, summa di una tendenza che negli anni Sessanta in risposta ai problemi posti, sul piano economico-sociale dalla decolonizzazione e dal sottosviluppo, sul piano politico e della sicurezza dall’angosciosa ipotesi dell’olocausto nucleare, ha reso la Chiesa autorevole protagonista degli affari internazionali, interprete della sofferenza della comunità umana di fronte ai drammi della realpolitik e della competizione bipolare. Papa Roncalli si dirige ai “pubblici poteri della comunità mondiale” per chiamarli ad “affrontare e risolvere i problemi a contenuto economico, sociale, politico, culturale che pone il bene comune universale”8. La Gaudium et Spes garantirà, nel contesto del Concilio Vaticano II, definitivo approfondimento ai temi affrontati dall’enciclica giovannea.

E’ dalla visione antropologica imposta dalla Costituzione pastorale che occorre muovere, per comprendere le sfide avanzate dalla Chiesa dei nostri tempi alla politica internazionale. A fronte della visione statolatrica che un po’ tutti i governi appongono al sistema delle relazioni internazionali, sta la scelta evangelica in favore della persona e in direzione della persona9. Da qui la spietata difesa dei diritti dell’uomo e d’ogni singolo essere umano; da qui la scelta di campo a favore della pace e dello sviluppo. “Lo sviluppo è il nuovo nome della pace”10.

E’ nel capitolo III del Compendio che il rapporto tra la persona umana con i suoi diritti naturali, e il sistema “onnivoro” imposto dal concerto degli stati, trova definizione e illustrazione. Sul piano teologico, ci si muove, ovviamente, dalla dichiarazione della persona umana come imago Dei, dalle esigenze imprescindibili che ne derivano verso ogni e qualunque autorità umana, in termini di richiesta di rispetto e garanzia. E’ la lezione biblica dell’incipit del Genesi, completata dalla fase successiva del peccato e della caduta dei progenitori. Se il peccato spiega i comportamenti erranti degli uomini e la protervia degli stati verso l’esigenza umanistica, la Chiesa ribadisce che i “Diritti dei popoli e delle Nazioni”11, non sono altro che l’allargamento del campo d’applicazione dei diritti dell’uomo. E che come si chiede al diritto interno di rispettare gli esseri umani, così si pretende dal diritto internazionale di rispettare tutti gli stati, il diritto di ciascun popolo all’autodeterminazione, la libertà di ciascun paese a cooperare liberamente in vista del superiore bene comune dell’umanità12.

Il Compendio non fa sconti sul concetto che, va rilevato, viene a porsi in antitesi con insegnamenti correnti della Scienza delle Relazioni internazionali, in particolare nella scuola del realismo, con l’attribuzione d’autonomia e primazia alle prerogative del sistema internazionale. Mentre dichiara che i diritti delle Nazioni non sono altro che diritti umani collocati a un altro livello della vita comunitaria, il Compendio chiama al dovere di “vivere in atteggiamento di pace, di rispetto e di solidarietà con le altre Nazioni”13. In questa visione sono gli uomini, le nazioni in quanto concrezione storica di culture religioni e stili comunitari degli esseri umani, ad essere privalegiati. Gli stati (e la loro comunità, il sistema internazionale storicamente identificato) figurano come un accidente storico dalla forma mutevole, chiamati a regolare i loro rapporti in modo da non violare i diritti delle nazioni e garantirne il pacifico sviluppo.

Non può sfuggire al testo vaticano quanto la realtà effettuale delle relazioni internazionali sia distante da detta rivendicazione: “La solenne proclamazione dei diritti dell’uomo è contraddetta da una dolorosa realtà di violazioni, guerre e violenze di ogni tipo”14. Energica la chiamata a correo degli stati più ricchi e democratici, in particolare di quelli che pretendono di esprimere un contesto ispirato a valori cristiani: “i più favoriti devono rinunziare a certi loro diritti per mettere con più liberalità i propri beni a servizio degli altri”15. E’ la lezione del Vangelo sul comportamento da attuare verso i poveri.

Il principio del “bene comune”, che è a fondamento dell’intero Compendio, trova applicazione specifica, in quanto ai temi qui affrontati, nel capitolo nono: “La Comunità internazionale”. Qui la visione umanistica della storia si con trappone con forza ai conati utilitaristici che anche nel nuovo secolo gli stati non cessano di proporre. La visione utilitaristica è sempre pronta a rinnegare i dati della realtà profonda. Li piega alle pretese geoeconomiche e geopolitiche del momento storico e di chi esercita il potere dominante. Giustificando il fine e mezzi, possono costruirsi realtà fittizie sino alla negazione dell’evidenza. I popoli con le loro forme d’organizzazione, incluse quelle religiose, sono trattati in modo strumentale (si pensi all’uso della propaganda televisiva, alle incitazioni all’odio religioso e razziale da parte di governi o movimenti di massa), rispetto al mantenimento e all’ampliamento del potere. Al contrario, la visione umanistica considera i popoli, il loro destino, la loro storia, fini in sé, da considerare, tutelare, esaltare. E considera i governi, il potere, strumenti di servizio, da costringere dentro regole fissate dal diritto internazionale, dalle prassi di cooperazione tra i popoli, dalle leggi etiche del diritto naturale e del jus gentium. Quando si mettono al centro della storia i popoli, il governo nazionale e quello del sistema internazionale devono andare alla ricerca della “felicità” dei governati. Quando si ha una visione utilitaristica del potere, è la “felicità” dei governanti che viene al primo posto.

Sul piano esclusivamente religioso, queste affermazioni trovano conforto nei “racconti biblici sulle origini (che) mostrano l’unità del genere umano e insegnano che il Dio d’Israele è il Signore della storia e del cosmo”16. pdfUna constatazione che, attenzione!, non nega i principi di sovranità degli stati membri dell’umana famiglia, in quanto espressione organizzata del diritto alla libertà d’organizzazione. Una libertà che può vedersi apporre limiti, dalla necessità di organizzazioni internazionali che provvedano a bisogni superiori al livello statale.

L’obiettivo del sistema internazionale, con premesse di questa fatta, è il raggiungimento dell’armonia tra ordine giuridico e ordine morale, con gli stati e la loro comunità messi al servizio del genere umano. Se gli stati lo accettassero, e ne praticassero le conseguenze sul piano comportamentale, problemi come il sottosviluppo, la povertà, le guerre, il debito estero, le menomazioni ambientali (correttamente esaminati uno per uno dal capitolo nono del compendio) sarebbero avviati a soluzione.

 

NOTE:
1 Compendio, pag. XIII.
2 La citazione, da Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 42: AAS 59 (1967) 278. V. Compendio, pag. 55. Quando Giovanni Paolo II commemorerà il ventennale dell’enciclica, valorizzerà la differenza tra “progresso” e “sviluppo”, ribadendo l’impegno dei cristiani a favore della pienezza dell’essere dell’uomo.
3 Ib., Introduzione, pag. 2.
4 Ib., pag. 6.
5 Ib., pag. 3 da Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo Millennio ineunte, 50-51: AAS 93 (2001) 303-304.
6 Compendio, Cap. secondo, pag. 50. Citazione da Pio XI, Lett. enc. Non abbiamo bisogno: AAS 23 (1931) 285-312.
7 Ib. pag. 50. Citazione da Pio XI, Lett. enc. Divini Redemptoris: AAS 29 (1937) 130.
8 Ib. pag. 53. Citazione da Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, AAS 55 (1963) 294.
9 “Tutto è considerato a partire dalla persona e in direzione della persona: ‘la sola creatura sulla terra che Dio abbia voluto per se stessa’. Compendio, Cap. II, pag. 53, con citazione da Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 24: AAS 58 (1966) 1045.
10 Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 76-80: AAS 59 (1967) 294-296.
11 Compendio, Cap. III, d), pag. 84.
12 Ib., pag. 84.
13 Ib., pag. 85.
14 Ib. pag. 85.
15 Ib. pag. 85.
16 Compendio, Capitolo IX a) pag. 233. 

 

 

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