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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

pdfMolto si è scritto sull’evoluzione in quest’anno 2009 in cui si celebrano i duecento anni della nascita di Charles Darwin (1809-1882) e i centocinquant’anni dalla pubblicazione del suo testo piu celebre, L’origine della specie (1859). Fa parte del novero di questi autori anche Simone Morandini, un teologo noto per le sue riflessioni di profondo respiro su tematiche scientifiche, che pubblica per i tipi della Morcelliana uno stimolante libro dal titolo Darwin e Dio. Fede, evoluzione, etica. Anziché soffermarsi sui dettagli dello sviluppo storico del dibattito teologico che è immediatamente seguito alla comparsa delle tesi evoluzioniste, dibattito ormai facilmente reperibile in numerose altre pubblicazioni, l’Autore offre piuttosto un qualificato contributo di alto taglio teologico finalizzato alla ricerca di una feconda sintesi tra creazionismo ed evoluzionismo. Fede e scienza sono dai tempi di Galileo mondi linguistici e metodologici diversi che però necessitano, oggi più di ieri, di essere congiuntamente articolati al fine di impedire che l’annuncio cristiano, disancorandosi da un confronto con la realtà dei fatti, si trasformi in un discorrere autoreferenziale. Scandito in otto capitoli, a cui va aggiunta la Conclusione, lo scritto di S. Morandini si presenta in questo contesto come un incrocio di piani tematici dove alla profonda e affinata teoretica di certe pagine si accompagnano tratti didascalici che, come è il caso del secondo e terzo capitolo, rispettivamente dedicati ai punti salienti della teoria darwiniana e alla loro ricezione da parte delle diverse Chiese, aiutano a meglio definirne il contorno del dibattito attuale in tutte le sue connesse implicazioni. Più che rivolto al passato lo sguardo dell’Autore è evidentemente orientato al futuro, mostrando di aver chiara la coscienza che ogni tentare di comporre il conflitto tra creazione ed evoluzione implica mettere mano ad indagini che coinvolgono e stravolgono l’epistemologia non meno dell’etica, l’antropologia non meno della biologia. Molto aggiornato sul dibattito in corso Morandini osa proporre un suo proprio e originale percorso che apparentemente sembrerebbe muoversi su binari di superficie, mostrando più i possibili indirizzi di ricerca, che non vere e dibattute soluzioni. Ma questa possibile critica scompare se consideriamo la giovinezza dei tentativi di accordo tra evoluzionismo e creazionismo, ed anzi l’Autore guadagna il merito di indagarne il contenuto nell’ambito tematico della teologia cattolica, la quale, ad eccezione di alcune rare occasioni, come quelle espresse a suo tempo dall’attuale pontefice (fra tutti Ratzinger, J., In principio Dio creò il cielo e la terra. Riflessioni sulla creazione e sul peccato, Lindau, Torino, 2006), risulta quasi del tutto assente dal dibattito. Sullo sfondo appare tuttavia chiaro che il punto critico che motiva le argomentazioni di Dio e Darwin è il tentativo compiuto dai teorici dell’Intelligent Design di trasformare una dottrina a-critica della creazione, una dottrina cioè che non tiene conto delle recenti ricerche esegetiche e teologiche, in una vera e propria teoria scientifica apertamente alternativa all’evoluzionismo biologico di matrice darwiniana. Il nostro S. Morandini ha ben chiari i termini del dilemma riconoscendo la difficoltà a: «orientarsi in questioni cosi complesse», ma certo non demorde considerato che ad ogni pagina sembra che vada «cercando una via diversa sia dal creazionismo fondamentalista che da un’acritica accettazione del naturalismo cogliendo la differenza tra diversi saperi, ma mantenendo anche una prospettiva unitaria» (p. 69).

Il modo in cui questo programma di intenti è realizzato puo forse lasciare insoddisfatto chi non è disposto a passare tanto facilmente sopra la contraddizione incastrata nel capitolo quarto, dove, ad una esplicita ammissione di una non piena competenza (scientifica) sui dati che confermano l’evoluzionismo, e che invece «sarebbe necessaria per vagliare sistematicamente la consistenza scientifica dell’immane mole [dei] dati e delle teorie fondate su di essi» (p. 79), corrisponde un placet senza condizioni ad una concezione evolutiva che, seguendo lo schema di Darwin, è affidata al gioco del caso che agisce sia nella trasmissione ereditaria come nella pressione ambientale (p. 38). Forse pero bisogna considerare che cosi il teologo Morandini, pur affidandosi con troppa fiducia alla credibilità scientifica dell’evoluzionismo che – non dimentichiamolo – pur essendo accreditato da molti contributi concordanti, continua a subire anche una serie motivata di critiche, non ultime quelle del genetista G. Sermonti (Dopo Darwin. Critica all’evoluzionismo, Rusconi, Milano, 1980), riesce comunque a guadagnare un punto a suo favore. Infatti, nel momento in cui la teologia lascia fare alla scienza il suo lavoro senza interferenze, è necessario che anche gli scienziati non optino per una ideologica contrapposizione tra scienza e fede, e si aprano invece alla possibilità di leggere la realtà come un incrociarsi di piani prospettici diversi. Non dobbiamo poi dimenticare, leggendo questo saggio, che la prospettiva teologica che guida l’Autore è orientata ad impedire che il discorso scientifico venga usato per fini apologetici contro coloro che credono in un Dio creatore, come a impedire che la teologia si radicalizzi in un fondantalismo a-scientifico altrettanto deleterio, come è quello dei fautori del “Disegno Intelligente”. Il fine del libro in fondo è anche quello di comporre le condizioni per l’esistenza di una comunità scientifica dove, accanto ai cosiddetti “laici”, possano convivere anche sinceri credenti, e di farlo tracciando «approcci diversi da quello centrato sulla nozione di disegno, meno carichi di pretese apologetiche, ma piu attenti alla ricchezza della tradizione cristiana» (pp. 88-89).

Il cuore pulsante del libro lo troviamo tuttavia là dove l’autore di Dio e Darwin affronta un sincero confronto tra il tema scientifico dell’evoluzione e la fede cristiana nel Dio creatore, un dibattito poi ampliato ad alcune specifiche tematiche etiche quali sono la domanda sulla sofferenza, sulla libertà e su altri aspetti affini dell’antropologia. Sembra che molta della passata letteratura dedicata al tema abbia peccato di quella che potremmo chiamare un’ingenuita filosofica e che, come riconosce lo stesso Autore, si radica in una superficiale analisi del termine creazione. Egli ci tiene invece a precisare che «è importante prima di trarre conclusioni frettolose circa le supposte implicazioni (anti)teologiche del darwinismo, [di] delimitare meglio il significato che Darwin conferiva a tale espressione nelle sue opere» (p. 41). Questa poca attenzione al significato darwiniano di creazione, se da un lato ha permesso di fare di Darwin l’ ariete dell’ateismo scientifico (come accade ad esempio nel R. Dawkins di L’illusione di Dio. Le ragioni per non credere, Mondadori, Milano, 2007), all’opposto ha favorito le tipiche reazioni del fondamentalismo teologico di area protestante, il quale si presta ad un rifiuto assoluto, anche se ormai insostenibile, di ogni forma di evoluzionismo a tutto favore di un creazionismo radicale, il quale continua a trovare ispirazione nei primi due capitoli biblici letti senza una corretta analisi esegetica. Facendo propria un’intuizione rintracciabile in P. Ricoeur (J. P. Changeux – P. Ricoeur, La natura e la regola. Alle radici del pensiero, Cortina, Milano, 1999) Morandini ha saputo interrogare i diversi saperi che abitano la contemporaneità, per cogliere in essi «le tracce di un senso che pure resta al di là di ognuno di essi» (p. 13). Ecco allora che se la prima metà del libro è impegnata sul fronte dell’epistemologia col tentativo di far dialogare scienza e teologia, svolgendo un’armonizzazione tra dottrina della creazione e teoria dell’evoluzione, l’altra metà ha indagato i risvolti etici e teologici di questo accordo. Il risultato finale è l’essere riuscito a scrivere uno stimolante capitolo di teologia naturale che, senza nascondersi i punti aperti che rendono il rapporto tra scienza e teologia «più problematico» rispetto ad un passato anche recente (p. 65), permette di continuare a pensare Dio come Creatore accogliendo come scientificamente credibile la teoria dell’evoluzione.

Giunto in pochi mesi alla seconda edizione Dio e Darwin svolge il meritevole compito di contribuire ad abbattere i pregiudizi che ancora oggi propagano l’esistenza di un conflitto insanabile tra sapere scientifico e fede religiosa. L’ Autore tuttavia non nasconde, e anzi mette bene in evidenza, la fragilità di alcune delle soluzioni che il pensiero cattolico passato aveva proposto, come ad esempio quella impostata da P. Teilhard de Chardin, e lo fa per sostituirvi categorie in grado di sostenere con sufficiente forza teoretica un accordo tra creazionismo teologico ed evoluzionismo scientifico. Con fiducia e lungimiranza il Morandini teologo apre il suo libro con un riconoscimento a tutto campo del ruolo della scienza nel contesto del nostro tempo: «E' il tempo della scienza: il nostro orizzonte è ormai profondamente segnato da essa, da renderla ormai una sorta di koiné culturale, un “linguaggio comune” cui ogni altro deve avere il coraggio di rapportarsi» (p. 5). Il messaggio è chiaro: non si puo piu affermare che il pensiero scientifico sia una parentesi destinata a chiudersi, per cui sono da respingere senza riserve tutti quei tentativi che vorrebbero impedire “a priori” ogni intesa tra scienza e teologia, come pero anche quelli che, esercitando una vistosa manipolazione metodologica dei dati offertici dalla ricerca scientifica, vogliono usare la scienza attribuendole fini metafisici o teologici per farne una forma di teologia. Ed è proprio quella ricerca teologica uscita ammaccata dal caso Galileo che Morandini vuole finalmente coinvolgere in questo nuovo e irrinunciabile dialogo, consapevole che essa è matura per l’impresa in quanto memore, si spera, degli errori del passato. Come studioso del pensiero scientifico mi è capitato spesso di trovarmi a leggere la modernità come una progressiva diluizione della relazione che il concetto di creazione stabiliva tra Dio e la Natura, come un costante annacquamento di questo legame che, una volta definita l’inconsistenza di Dio rispetto agli enti creati, giungerà ad una vera e propria eliminazione del primo a favore dei secondi. Ora, è proprio l’opposizione a questo naturalismo esagerato, a questa scienza diventata metafisica, evitando nel contempo l’eccesso opposto, ossia di ridurre la scienza ad un mero elenco di limiti ed imprecisioni da cogliere in fallo, a costituire una delle linee di forza che tengono insieme questo saggio. Il IV capitolo, schema di una prima parziale sintesi, mostra infatti che ogni tentativo di introdurre una causalità trascendente partendo dalle fallacie a cui è soggetta la teoria evolutiva non è degno di un onesta ricerca teologica, perchè in fondo si basa comunque sull’errore di stabilire una specie di consequenzialità, se non di identità, tra “naturalismo metodologico” e “naturalismo ontologico”. La trasformazione biologica delle specie come fu pensata da Darwin ha subito notevoli rimaneggiamenti che la rendono piu credibile, anche se il suo impianto di fondo è rimasto intatto, e tuttavia il fatto che la metodologia scientifica sia cosi efficiente tanto da produrre risultati degni di nota non deve per niente porre in fibrillazione la teologia, perche questo non implica, come non lo implicherà mai nessuna scoperta scientifica, la negazione di una realtà che eccede il naturale. La metodologia scientifica non riuscirà mai a dare un senso alle cose e al perche dei loro fenomeni. Ed in effetti, come era stato detto molte pagine prima: «il progetto scientifico è solido e consistente, nella sua ambizione a descrivere la totalità dei fenomeni sperimentabili, ma non è certo una realtà conclusa, gia in grado [di] esibire interpretazioni univoche e definitive del reale nella sua totalità» (pp. 24-25). Parole certo tranquillizzanti che ripetono che per quanto si dia credito al progetto scientifico darwiniano esso non sostituirà mai nè la metafisica nè la teologia, le uniche discipline capaci di rispondere alla profonda domanda di senso del vivere umano.

Quella adesso considerata è la prima parte del testo tutta dedicata al confronto con tematiche strettamente attinenti al rapporto innovativo che dovra costruirsi tra creazione ed evoluzione, o prendendo a prestito le parole che l’Autore ha usato in un articolo successivo, è lo svolgersi del tentativo di mostrare «la consistenza logica di un’interpretazione teologica delle dinamiche evolutive» (Il Regno-Attualità, 18/2009, p. 634). La restante parte del saggio non è altro che il tentativo di affinare e testare il risultato applicandolo all’etica e piu in generale all’antropologia. In un paragrafo altamente suggestivo del V capitolo, intitolato “nello spazio della Croce”, Simone Morandini offre infatti una lettura applicata delle risultanze ottenute. Introducendo il rapporto dialettico che si instaura tra l’assolutezza della potenza divina e le limitazioni che essa stessa si impone nell’atto del creare, egli interpreta la creazione nella prospettiva: «di un mondo retto da leggi entro le quali sia possibile una storia che consenta il sorgere della storia, [ovvero] un mondo nel quale siano le creature stesse a partecipare alla creatività divina» (p. 107). E' Dio stesso che creando crea per Sua libera scelta un universo non-deterministico, un universo aperto al caso, un universo darwiniano e quantistico, pari a quello che si esprime nella contingenza della storia. Dio è talmente rispettoso della creazione da accettare che in essa appaiano e prolifichino momenti contingenti che possono addirittura portare alla sofferenza, quella stessa che ha dovuto subire suo Figlio nella Passione e morte in Croce. Questo Dio cosi lontano dall’immagine del burattino onnisciente che controllerebbe ogni dettaglio, trova la sua giustificazione solo in un modello teologico che pensa il rapporto del Creatore con la creatura secondo modelli molto meno semplicistici rispetto a quelli che riescono a compilare i sostenitori del creazionismo fondamentalista tipico dell’ Intelligent Design. Recuperando e valorizzando la dimensione di causalita e contingenza evolutiva teorizzata a suo tempo da S. J. Gould in La vita meravigliosa (Feltrinelli, Milano, 1990) e poi apprezzata da scienziati come F. J. Ayala che addirittura la considerava il grande “dono” fatto da Darwin alla religione (Darwin’s Gift to Science and Religion, Joseph Henry Press, Washington, 2007), non che da teologi come J. Arnauld (La teologia dopo Darwin, Queriniana, Brescia, 2000), il nostro Autore riesce a rafforzare il concetto di autonomia tra Dio e la sua creazione senza ridurre a zero l’azione di governo che Dio continua comunque a esercitare sul mondo. Lo stretto determinismo previsto dai teorici dell’Intelligent Design è ancora una volta messo alla berlina.

Questo punto di arrivo ha il pregio di trovare un Autore con i piedi ben saldi per terra, tanto che nei capitoli VI-VIII si spenderà a chiedersi come mantenere la distinzione tra l’essere umano e le altre specie viventi lasciando integra la singolarità individuale, che da sempre la teologia cristiana associa ad una speciale azione divina, e a come evitare di ridurre la morale umana al mero livello biologico, non mancando di capire come eludere il trasporto sul piano socio-politico di quella “lotta per la sopravvivenza” che è parte fondante del darwinismo. Riconosciuta «la parzialità della [sua] esplorazione» (p. 114), Morandini non manca comunque di indicare delle piste di confronto. Il punto prospettico che sceglie è proprio quel valore di libertà che Dio ha fortemente imposta alla creazione e che in termini scientifici si presenta come probabilità o caso. L’indagine non è certo semplice, perche se i processi biologico-molecolari rimandano all’indeterminismo codificato dal principio di Heisenberg, problematica di cui l’Autore aveva già discusso in Teologia e fisica (Morcelliana, Brescia, 2007), l’interpretazione dell’essere vivente quale emerge dalla “sintesi moderna” porta con se una significativa dose di necessità (p. 115). Non va pero dimenticato che non solo i caratteri genetici, ma anche gli stessi comportamenti individuali che ciascuno ha elaborato per adattarsi al suo ambiente vengono trasmessi da individuo a individuo. Ora, nell’affinarsi all’ambiente ogni individuo reagira diversamente in base alle diverse esigenze di adattamento e di sopravvivenza, per cui alla necessità si assocerà una conquistata indipendenza soggettiva «fatta delle diverse opzioni di fronte a possibilità alternative [...]. Si tratta di una “proprietà emergente” che – ricorda l’Autore - sorge solo al crescere della complessità dell’organismo» (p. 118). Negli organismi complessi una tale crescente individuazione comporta che tra organismi diversi ci si trasmetta e ci si scambi messaggi. Ecco allora apparire il tema del linguaggio e quello connesso della cultura, temi tutti che in questi capitoli conclusivi vengono ben presentati ma purtroppo non dibattuti nella loro reale giustificazione. Ben altri avremmo desiderato e sperato fossero gli approfondimenti offerti vista la novità della via proposta. Quanto indicato sottotraccia da Morandini avrebbe meritato, ma chissa che non venga fatto in successivi studi e pubblicazioni, una riflessione piu ampia tra meccanismi evolutivi, implicanti, come detto piu volte dal testo, un certo grado di casualità e quanto di innato e predisposto sappiamo esserci nelle funzioni superiori che sono proprie dell’essere umano. Non si può non tentare un approfondimento sul modo con cui l’evoluzione ha portato al linguaggio umano che, come hanno ampiamente dimostrato gli studi di N. Chomsky, prevede l’esistenza di una grammatica mentale innata (Syntatic Structures, The Hague, Mouton, 1957). Allo stesso modo non si possono accantonare, almeno criticamente, le riflessioni dell’ultimo Maritain sul rapporto tra evoluzionismo e filosofia della natura a base tomista, con ammessa una base metafisica e non casuale dell’evoluzione. In Dio e Darwin si riconosce tuttavia che non può darsi una contrapposizione tra ethos e natura, e neanche pensare che il primo sia da intendere come una specie di patina che copre quella drammatica lotta per la sopravvivenza che, a giudizio dei darwinisti, è la legge primaria dell’evoluzione (p. 133). Considerazioni che, oltre alla loro enunciazione, avrebbero meritato uno sviluppo tematico più ampio. Riconosciuto che l’uomo ci appare come un essere avente una sua autonomia rispetto ai comportamenti pre-determinati degli altri viventi, che è dotato di una libertà che gli permette di costruire una cultura e dunque di esercitare un controllo sulle sue pulsioni istintuali, sarebbe stato interessate capire come, per il teologo Morandini, agisse qui il rapporto tra natura e grazia, come si inserisse nell’insieme del procedere della singolarità umana quel forte richiamo alla Croce precedentemente fatto, stemperando cosi la troppa insistenza nel voler spiegare l’etico ricorrendo ai meccanismi naturali, o privilegiando come momento dell’intervento dello Spirito divino solo quello del iniziale, vale a dire quello della creazione e non dei successivi sostegni sacramentali. Una particolare attenzione merita invece il capitolo VII che, in fedeltà ai nuovi orientamenti ecologici, è un tentativo di allargare la prospettiva etica alla totalità dei viventi, ossia di «fondare un’etica dell’ambiente e della vita», non che di porre «un richiamo alla ricchezza del mistero del Dio di Gesu Cristo – Dio di uomini e donne, ma anche Spirito amante della vita, origine di tutte le cose che sono» (p. 142). Il tentativo osato è quello di motivare l’unità del vivente quale punto di riferimento per un’etica ambientale, preservando nel contempo la diversità dei viventi e la loro specifica individualità, che è come offrire le «ragioni del biocentrismo» (p. 153). Anche qui Morandini si esercita nuovamente nel tentativo di gettare un’ancora di salvezza a Darwin preservandolo dall’accusa di aver ridotto l’uomo ad una specie tra le altre, una specie senza specificità e unicità, non proprio atto insomma alla definizione di persona. Il tentativo è fatto in modo rigoroso con la costruzione di un delicato equilibrio tra un bio-centrismo attento alle differenze e un antropo-centrismo non esclusivista. Contro il meccanicismo biologico di Descartes, che separava l’uomo dagli animali, Morandini sfrutta il meccanicismo di Darwin e della biologia moderna per evidenziare la trascendenza del biocentrismo e la necessità di attendere con attenzione all’insieme del creato, biotico e non biotico che sia (p. 159). La sfida è quella di allargare il significato di “sostenibilità ambientale” passando da una tutela esclusivamente antropocentrica a quella di tutto il creato. La vita allora viene decifrata, sulle tracce di A. Schweitzer, come «categoria estesa ed unificante» che riceve continue conferme alla sua specificità dalle recenti ricerche sui sistemi complessi vitali iniziate da I. Prigogine, che lega tutti i componenti che sostengono la vita in una forma di ecosistema energetico. All’interno di questo spazio sistemico pero, riconosce l’Autore, si deve porre la distinzione tra materia vivente e materia non vivente e, per quest’ultima, quella dei diversi gradi di responsabilità etica, i quali raggiungono il loro stato più nobile nell’essere umano. Non deve essere infatti dimenticato che è con l’essere umano che Dio ha stabilito la sua alleanza facendolo oggetto primario della sua benevolenza (p. 163). Ed è anche qui il Nostro è bravo a far capire che la scienza si accorda con questa idea di responsabilità, come ancora una volta conferma il sistema darwiniano, vera struttura portante di tutto il testo. Darwin considera il fenomeno del vivere come una tappa di sempre maggiori complessificazioni che oggi sappiamo guidate da un codice tutto sommato semplice, come è quello del DNA. Quest’ultimo rende unitaria la realtà della vita e al contempo la differenzia nelle individualità proprie, per cui «una storia naturale della vita è storia dell’emergere di novità – e insieme di continuità –tra strutture differenti» (p. 152).

Giunti alla fine di Dio e Darwin resta in bocca il sapore che lascia una lettura piacevole e per niente affaticante. Sintetico ma non superficiale Morandini sorprende per l’ampiezza della panoramica trattata, anche se resta una punta di amaro quando si scopre che il capovolgimento degli antichi schemi interpretativi dell’evoluzione avviene senza mai interrogare filosoficamente Darwin, senza mai dare voce ai punti critici del darwinismo, aventi anch’essi una loro ampia letteratura, purtroppo mai citata. Apprezzabile di Dio e Darwin è invece l’accenno che si intravede al ruolo che la metafisica puo svolgere nel processo di indagine aperto da Darwin e appuntato al ruolo che svolge la domanda di senso e lo stesso principio di realta. La teoria dell’evoluzione deve ammettere una contingenza che puo essere narrata solo a posteriori da un’intelligenza che costituisce un elemento terminale (p. 71), ma la realtà della storia nella scienza non deve e non puo sostituire il ruolo delle idee, di una vera e propria fondazione metafisica che ancori questa contingenza ad un Essere assoluto. La domanda di senso trova allora la sua soluzione nell’agire per cause e nel comprendere che esse sono soggette a una diversa interpretazione, come a una diversa gerarchia di razionalità. Se lo scienziato si accontenta di dare significato una determinata azione con leggi descrittive, non c’è impedimento alcuno nell’ ammettere un ulteriore livello di razionalità e di significato rimandante ad unapdf intenzionalita trascendente. Questa è alla fine la scienza che ha cercato di descrivere Morandini, una scienza che non tarpa la dignita del credere.

Le ultimissime pagine del libro sono raccolte sotto il titolo “Conclusioni?”, dove – come felicemente annota l’autore – il punto interrogativo «non è una svista» (p. 191). Esso indica piuttosto la necessità di pensare ancora, ed e cio di cui in effetti c’è bisogno, considerato quanto queste pagine dense di sviluppi hanno messo in evidenza. Il tentativo di rileggere e interpretare l’evoluzione darwiniana alla luce della fede al fine di far convivere pacificamente due diversi saperi sul mondo, merita di essere incoraggiato, ma a condizione che sia costantemente vagliato nel mulino della critica scientifica, filosofica e teologica.

 

 

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