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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

pdf1. Il titolo è solo apparentemente a-valutativo. Infatti, già parlare di 'valori' normalmente implica che si parli di qualche cosa che 'ha valore' per qualcuno. Inoltre il fatto di considerare la loro trasmissione alle nuove generazioni quasi certamente contiene un apprezzamento positivo: le generazioni precedenti hanno qualche cosa di positivo da trasmettere e le nuove hanno bisogno di questo.

Tralasciando posizioni estremiste, vorremmo quindi partire da una posizione che accetti entrambe le premesse: sì esistono buoni valori nella nostra società ed inoltre è un bene che vengano trasmessi.
Inoltre ci limiteremo alla considerazione dei soli valori morali, cioè quelli relativi al comportamento umano e alle relative attitudini interiori. Non ci riferiamo quindi ai valori estetici e neppure a quella della retorica di Chaïm Perelman. Neppure ai valori in senso sociologico, secondo i quali, ed es., negli Stati Uniti è socialmente apprezzato (ed onorato anche economicamente) più un grande atleta che un professore universitario. Questi sono i cosiddetti beni umani (distinti dai beni morali) che vengono perseguiti in ogni cultura secondo una gerarchia relativamente diversa.

Ma cosa sono allora i valori dei quali vogliamo parlare? Sono 'entità' (non necessariamente oggetti fisici) che il soggetto umano ritiene essere positive per se medesimo, sia in senso meramente utilitaristico, oppure in se stesse. In questo senso una bicicletta per un appassionato di ciclismo è un valore utilitaristico al fine di esercitare il proprio sport; la fedeltà alla parola data è invece un valore in sé, perché non è funzionale a nient'altro.

Ma i valori sono beni umani? Beni per le persone? Sì, un valore in sé è un bene per l'uomo, come la fedeltà. Nella terminologia della filosofia aristotelico-tomista sono identici con gli oggetti delle virtù.
Dove virtù è una buona e difficilmente acquisita attitudine interiore di ogni persona che tende a completare il proprio sviluppo come persona umana buona.

Con il termine 'valori' si possono anche intendere la formulazione dei valori, e quindi si potrebbe anche dire che tali formulazioni esprimono principi morali astratti, leggi generali, che debbono poi essere applicati attraverso le norme morali ed i giudizi morali. In questo senso tali principi si imparano cognitivamente, mentre l'appropriazione degli oggetti delle virtù è frutto in gran parte della volontà, dell'impegno personale, e non solo di quello cognitivo.

2. Questo dovrebbe bastare come punto di partenza di questo quaderno di OIKONOMIA, senza entrare, seppur la tentazione sia forte, in dibatti filosofici ulteriori.
Lasceremo quindi da parte i filosofi come Max Scheler e Nikolai Hartmann, ma anche i sociologi come Max Weber.
Direi che il nostro punto di partenza sono più empiricamente quell'insieme di principi e regole generali che definiscono una cultura umana dal punto di vista del comportamento morale, non includendo quindi altre componenti valoriali (cioè desiderabili) pur essenziali all'identità di una cultura determinata.
Noi oggi nel Nord del Mondo veniamo grosso modo da una cultura morale che à stata generata dalla Bibbia e dal mondo greco-romano ed è passato attraverso due millenni di cristianesimo.

Ora sembra che la globalizzazione e la multiculturalità metta in discussione il patrimonio di questi valori morali che caratterizzavano ancora la cultura occidentale alla fine della seconda guerra mondiale (l'Unione Sovietica era allora un'eccezione rilevante). In occasione della stesura della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani nel 1948 affiorarono però già alcune difficoltà tra le diverse culture. Ad esempio, da parte del filosofo confuciano cinese P.C. Chang membro del comitato di stesura del testo. In proposito si veda il brillante libro di Mary Ann Glendon, A World Made New: Eleanor Roosevelt and the Universal Declaration of Human Rights (2001). Ma è con la globalizzazione successiva che sono esplose molte differenze di valori, o meglio di espressioni culturali, di tradizioni diverse degli stessi valori morali umani.

Comunque, per non addentrarci in un ginepraio di questioni (pur legittime in se stesse), il nostro punto di partenza è quello della cultura attuale del Nord del Mondo, dove sempre più insistentemente si parla della difficoltà dell'educazione dei giovani, cioè (in buona parte) della loro educazione morale.

Dal punto di vista morale, mi sembra che i valori del mondo mussulmano non siano troppo lontano da quelli del mondo post-cristiano. Forse altre culture, come quella cinese e giapponese, sono più distanti da noi, ma, provvisoriamente, riteniamo che sia piuttosto un problema di posizione di accenti e di gerarchie d'importanza che di contenuti di valore.

3. Per non restare troppo nel vago, potremmo partire dalla proposta, ormai vecchia di due decenni, dei principi dell'Etica Globale, presentata nel 1993 da Hang Küng. Si veda in proposito il sito: www.weltethos.de.
"Il nostro mondo sta attraversando una crisi fondamentale: una crisi dell'economia, dell'ecologia, della politica mondiale. Ovunque si lamenta l'assenza di una grande visione, lo spaventoso ristagno di problemi irrisolti, la paralisi politica, un ceto politico poco più che mediocre, senza intelligenza e prospettive, in generale un troppo scarso senso del bene comune... Esiste già un ethos capace di opporsi a queste funeste degenerazioni globali. Quest'ethos non offre certo soluzioni dirette per tutti gli immensi problemi del mondo, è però in grado di fornire il fondamento morale per un migliore ordine individuale e globale: una visione capace di trarre fuori gli uomini e le donne dalla disperazione e dalla disponibilità alla violenza, e le società dal caos.
Noi siamo uomini e donne che si riconoscono nei precetti e nelle pratiche delle religioni del mondo. Noi affermiamo che tra le religioni c'è già un consenso che può costituire il fondamento di un'etica mondiale: un consenso di fondo minimo circa valori vincolanti, norme irrevocabili e comportamenti morali fondamentali."

L'esigenza fondamentale è che ogni uomo deve essere trattato umanamente. Da essa seguono quattro norme immutabili: dovere di una cultura della non violenza e del rispetto per ogni vita; dovere di una cultura della solidarietà e di un ordine economico giusto; dovere di una cultura della tolleranza e di una vita nella sincerità; dovere di una cultura della parità di diritti e della solidarietà tra uomo e donna.

I risultati prodotti sia da European Values Study che da World Values Survey ci richiamano a scendere da queste "vette di astrazione" al mondo più concreto delle culture valoriali realmente esistenti, cioè realizzate nella storia. Ma se non credessimo a quelle "vette" o a quei "fondamenti" non potremmo nemmeno credere al miglioramento possibile della situazione globale.

Anzi crederemmo solo (in modo negativo) a "così non va!", ma non sapremmo orientarci verso valori positivi. Questo sarebbe però tragico, soprattutto perché non sapremmo quali valori trasmettere, se non quelli strumentali e utilitaristici. Ma utili apdf che cosa?

Ma perché trasmettere valori morali? Perché, al di là di ogni retorica, finora non conosciamo società umane che siano vissute in pace ed in prosperità e che non avessero un'identità precisa. E di questa identità fa parte certamente un codice di valori e norme morali fondamentalmente condiviso.
Le difficoltà che la generazione 'educante' trova ad essere tale deriva probabilmente dal fatto che essa non ha ancora trovato un equilibrio dopo lo shock del '68, cioè del passaggio alla globalizzazione.

 

 

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