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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

pdfDobbiamo all’economista Guido Huelsman, tedesco di nascita e docente all’Università di Angers (Francia), autorevole rappresentante della teoria economica austriaca, e più in particolare della versione di questa che si rifà a quell’importante suo esponente ch’è stato il von Mises, un ponderoso testo in tema di teoria monetaria, anzi – com’è impostazione dell’autore – di teoria e politica di “produzione della moneta”.

Al fine di evitare che il lettore si senta disorientato per quanto appena enunciato, aggiungo subito che – nella visione ch’è propria del von Mises e di tutti coloro che lo seguono nella sua “versione” della teoria economica austriaca, versione che Huelsmann accoglie e sviluppa – la moneta, a parte le sue specificità, che mai si possono trascurare e che sono ben note (in particolare, quanto ad essere universalmente considerata quale intermediaria degli scambi), è vista come “oggetto di produzione”, fenomeno, si noti, trattato dall’autore alla stessa stregua che per ogni altro bene prodotto.

Non solo, ma la precedente notazione va intesa congiuntamente ad un’altra che non può, peraltro, non destare sorpresa e che riguarda lo specifico concetto di inflazione che, nella posizione dell’autore, coincide del tutto con quello di andamento dei prezzi e che, come per tutti gli “austriaci”, i quali, in proposito, sono sostanzialmente dei “monetaristi”, è strettamente legato a quello di “offerta di moneta”. Ciò, mentre, come ben noto, nella teoria economica più diffusa – anche al di là di ogni altra differenza, in particolare quanto a quella, che mi caratterizza e che richiamerò specificamente poco più oltre, fra neoclassici-monetaristi e classici-keynesiani – l’inflazione concerne l’andamento dei prezzi in aumento (naturalmente, oltre un certo minimo “fisiologico”), mentre quello al di sotto di tale minimo riguarda un certo “andamento dei prezzi”, ma non è certamente inflazione.

Dunque, come si vede anche da questi brevi, ma essenziali, elementi introduttivi, trattasi di posizioni che da parte mia, ma ritengo di essere, per così dire, “in larga compagnia”, non si possono condividere, come mi propongo di argomentare nel seguito del discorso.

Intanto, prima di proseguire con i problemi “di contenuto”, mi preme precisare un ulteriore, rilevante, punto, questa volta relativo ad un aspetto di carattere metodologico ed epistemologico.

Si tratta del fatto che, come Huelsmann dichiara esplicitamente nell’Introduzione, egli intende perseguire un approccio di tipo realista, il che è quanto “si addice” ad uno che, come si dichiara di essere, è seguace dell’impostazione scolastica, anzi tomista (ovviamente, nel senso delle posizioni perseguite e rappresentate da San Tommaso). Orbene, la mia opinione è che non si può non riscontrare una specifica “contraddizione” fra l’adesione ad una metodologia individualistica (di tipo austriaco) ch’è propria dell’autore e quella ad un’impostazione epistemologica di carattere realista, così come non può non essere per qualsiasi studioso che si rifaccia al tomismo. Allora, delle due l’una: o s’intende essere tomisti e realisti, oppure si persegue un’impostazione di tipo austriaco e, pertanto, trattandosi di una posizione di ordine individualistico e monetarista, non si può essere tomisti.

In effetti, com’è in qualsiasi posizione di tipo realista, da un lato, non ci si può occupare d’inflazione senza considerare anche la disoccupazione, o meglio, in positivo, non ci si può occupare di andamento dei prezzi senza, al contempo, considerare l’occupazione (insieme alla crescita dell’economia), e dall’altro, non si può necessariamente ricondurre l’inflazione all’andamento della quantità di moneta né, meno che mai, “identificare” l’inflazione con un qualsiasi comportamento dell’offerta di moneta, anche della sola moneta cartacea. Altrimenti, si è appunto in una notevole contraddizione, di cui però Huelsmann non si avvede, né - francamente - può farlo, stanti le premesse accolte non suo discorso!

Anche quanto all’altro tema (per noi cattolici) “cruciale”, trattato inizialmente nell’Introduzione e poi ripreso più volte nel testo, quello dei rapporti fra economia e giustizia, o più precisamente - nella sua impostazione - fra moneta e morale, ancora una volta il discorso portato avanti da Huelsmann non può proprio ritenersi soddisfacente.

Certo, come l’autore osserva correttamente, nella Dottrina Sociale della Chiesa (DSC) – la quale rappresenta il fondamento etico per le posizioni di ogni economista di fede cattolica (ma simile, mutatis mutandis, sarebbe il discorso da farsi per ogni altra confessione cristiana) –, non si ritrova un ampio riferimento alla questioni riguardanti la moneta. Ciò, laddove, da un lato, “tradizionalmente”, dalla Scolastica alla Scuola di Salamanca, al Molinismo, fino alla metà del sec. XIX, nella riflessione teologica sui temi economici vi si era ininterrottamente dedicata maggiore attenzione, e, dall’altro, nell’Enciclica Rerum novarum di Leone XIII (1891) che, come noto, rappresenta il punto d’inizio della DSC, gli aspetti monetari non avevano ricevuto specifica trattazione, ma questo sarà in parte il caso con la Quadragesimo Anno di Pio XI (1931).

Tuttavia, questo non è il punto che qui va specificamente messo in discussione, mentre esso riguarda il fatto, già sopra accennato, che non per ogni teoria economica è possibile, per così dire, procedere “legittimamente” a considerarne il legame con la morale, o l’etica, o la giustizia (al riguardo, è qui possibile fare riferimento indistintamente a ciascuno di tali concetti), bensì soltanto quanto a quelle posizioni teoriche che, nei miei lavori in merito, ho chiamato teorie “aperte”, vale a dire quelle di ordine classico-keynesiano, mentre non è possibile, o legittimo, farlo con quelle posizioni teoriche che, nei miei lavori, ho chiamato teorie “chiuse“, vale a dire quelle di ordine neoclassico-monetarista. Ciò, in quanto è proprio delle teorie “aperte”, cioè incomplete, il fatto che possono ben essere “completate”, così con riferimento all’etica, ed in particolare con riferimento ad un’etica “oggettiva” come quella di ascendenza cristiana, mentre non è possibile farlo nel caso delle teorie “chiuse” che, invece, non possono essere, correttamente, “completate”, né con riferimento all’etica, né in alcun altro modo, essendo già “complete” in sé e per sé. Allora, se la cosa non è detta, o riconosciuta, o percepita e si procede altrimenti, ci si troverà di fronte ad un’insanabile contraddizione.

E’ chiaro che questa è una critica “pesante” per un genuino credente come il prof. J.G. Huelsmann, ma, per così dire, è il prezzo che, stante l’adesione ad una posizione teorica come la sua, egli si trova a dover “pagare”, nonostante ogni credito che, indubbiamente, ha come credente e come studioso, ancorché seguace di una teoria che ritengo essere inaccettabile.

In effetti, anche nella ricostruzione degli andamenti della teoria economica in generale , Huelsmann procede ragionando in termini di una sola ed unica impostazione, quella neoclassica-monetarista, ragionando poi in termini delle specifiche posizioni di tipo austriaco – in particolare, alla von Mises –, e ciò allorché passa ad affrontare ex professo il tema del ruolo, in un’economia di mercato, della moneta e della “produzione di moneta”, quindi dell’inflazione, aspetti tutti visti, come già precisato, alla luce dell’etica cattolica.

Poste tali premesse e passando a trattare, in estrema sintesi, del contenuto dell’intero lavoro, intanto si consideri, per così dire, “a volo d’uccello” il dispiegarsi dei diversi Capitoli e paragrafi sulla base delle intestazioni rispettivamente ad essi date.

Dopo l’Introduzione, gli argomenti trattati sono divisi in tre Parti. La prima Parte riguarda il tema della “Produzione naturale della moneta”, la seconda e più lunga Parte il tema centrale degli andamenti della moneta cartacea e dell’“Inflazione”, la terza Parte gli aspetti dell’“Ordine monetario e dei sistemi monetari”.

In ciascuna Parte, i temi trattati si presentano sempre in modo, per così dire, da far “risaltare” l’idea di fondo dell’autore che, nello svolgersi delle “economie di mercato”, ma la stessa cosa si potrebbe dire per le “economie pianificate”, inizialmente, si è avuto a che fare con i casi, fisiologici e positivi, sia della “produzione naturale di moneta”, vale a dire della moneta metallica, sia del “legame” tra questa, la moneta cartacea, a quella strettamente “legata”, ed il “basso” andamento (del livello generale) dei prezzi e dell’inflazione; bensì, via via, si sono sempre più succeduti vari casi, patologici e negativi, di sostanziale “irrilevanza” della moneta metallica e, allora, di “eccessi” nell’offerta di moneta cartacea e, quindi, di processi inflazionistici deleteri. Non solo, ma – e questa sembra francamente essere una vera e propria “idea fissa” dello Huelsmann – “dietro” tali processi ed andamenti patologici e negativi si è sempre riscontrato un comportamento egoistico e predatorio dei Governi, da quelli delle Signorie italiane dei secoli XIII e XIV a quelli dei Principati e Regni europei dei secoli seguenti, fino agli stessi Governi democratici, inclusi quelli degli USA, dei secoli ulteriormente successivi, fino ai nostri giorni. Si è, allora, stati in presenza delle molteplici e pesanti richiese fatte dai Governi alle banche Centrali, e da queste “estese” alle diverse banche, ordinarie e speciali, a fonte del finanziamento monetario di spese crescenti, dapprima soprattutto di natura bellica, poi sempre più di tipo consumistico e demagogico (si noti, peraltro, che si è, via via, imposta anche l’emissione da parte dei Governi di titoli pubblici, sia acquistati dal sistema bancario, sia da questo “collocati” sui mercati).

Insomma, secondo l’autore, la storia monetaria e la stessa teoria monetaria dell’Occidente – ma, in Oriente, le cose non sono andate diversamente – hanno specificamente mostrato che si è stati di fronte ad un susseguirsi di processi di offerta crescente di moneta cartacea, anzi, nell’impostazione dell’autore, di incontrollata e crescente “produzione della moneta”, immediatamente tradottasi in inflazione crescente, processi sostanzialmente messi in moto da comportamenti deleteri da parte dei Governi nel finanziamento monetario di crescenti spese di ogni genere.

Allora, mentre in condizioni di moneta metallica si è potuto avere un limite “naturale” nell’attività di conio dei metalli preziosi “disponibili” – soprattutto oro, ma anche argento – e ciò si è tradotto in un limite “naturale” anche nell’andamento dell’offerta di moneta e dell’inflazione, tale limite non si è potuto realizzare in condizioni di moneta cartacea, ed è così che non si sono potuti limitare i forti processi inflazionistici delle economie contem-poranee. Pertanto, solo “recuperando” condizioni di quel tipo sarà possibile per i mercati “riprendere” la loro funzione regolatrice degli andamenti dell’economia in ogni suo comparto, anche ed in particolare in campo monetario. E solo così si potranno conseguire condizioni sia di ordinato funzionamento dell’economia, sia di adeguamento degli andamenti dell’economia alle esigenze dell’etica, in particolare secondo i principi della Dottrina Sociale della Chiesa.

Tuttavia, alla luce di quanto argomentato sopra, è chiaro come vada ribadito che le condizioni reclamate dallo Huelsmann non possano essere ritenute né necessarie, né sufficienti, per un funzionamento dell’economia che soddisfi sia gli obiettivi di occupazione, di uguaglianza distributiva, di crescita di un’economia, sia le esigenze di pieno adeguamento degli andamenti dell’economia ai principi dell’etica e della giustizia secondo la Dottrina Sociale della Chiesa. Mentre, secondo l’autore, tali esigenze sarebbero “garantite” da comportamenti dei mercati del tutto liberi, ed in particolare da un andamento dell’offerta di moneta strettamente legato a quello del conio, effettuato “secondo il mercato”, di uno o due metalli preziosi, in realtà – come dimostrato sia dalla teoria che dalla pratica dei secoli più recenti, quelle esigenze risulterebbero, per così dire, “schiacciate” da andamenti dei mercati autonomi ed incontrollati, avendo richiesto interventi adeguati” e “mirati” da parte della politica economica, anche della politica monetaria e finanziaria.

D’altro canto, si consideri che i “referenti” sia teorici, sia etico-filosofici, dello Huelsmann, risultano essere abbastanza “datati” e, comunque, sono rappresentati, in entrambi i casi, da filoni di pensiero molto particolari.

Sul fronte teorico, ovviamente troviamo “al cuore” della trattazione le posizioni di due esponenti della scuola austriaca quali L. von Mises (1881-1973) e M.N. Rothbard (1926-1995). In particolare, mentre da von Mises l’autore deriva la teoria soggettiva del valore (economico), è al secondo che si rifà per il ruolo dell’etica nel discorso economico, nonché per la validità della categoria “naturale” della moneta metallica e la strenua opposizione alla moneta cartacea ed al concetto di attività bancaria basata sul criterio della “riserva frazionaria” o del “coefficiente di riserva”.

Quanto ai referenti sul fronte etico-filosofico, pur non essendo personalmente un cultore specifico della disciplina, similmente mi sembrano essere molto “di parte” le referenze citate dall’autore, trattandosi in particolare – oltre a taluni scolastici, in particolare N. Oresme, autore di un Trattato molto elogiato (il De Moneta, pubblicato nel sec. XIV e di cui è citata l’ed. inglese contemporanea del 1956), ed ai teologi della Scuola di Salamanca – di autori contemporanei quali B. Dampsey (1943), A. Hulme (1957), F. Beuther (1965), G. North (1986), T. Woods (2005). In proposito, viene soprattutto sottolineato il fatto che è specificamente per ragioni di etica cattolica che tutti si pronunciano – ma, per così dire, senza dimostrarlo – contro quel modello della moneta cartacea e bancaria.

Ora, quanto tali posizioni siano lontane dalle situazioni contemporanee in ogni campo dell’economia ciascun lettore potrà valutare da sé. Né, a mio avviso, si può dire che da quelle emerga una specifica aderenza ai principi basilari della Dottrina Sociale della Chiesa sui temi monetari-finanziari, quali quelli che, già negli anni ’30 del secolo scorso, Pio XI aveva validamente considerato e, soprattutto, quelli che, recentissimamente, sono stati ribaditi nella nota Enciclica in materia di Benedetto XVI – la Caritas in Veritate, 2008 –, Enciclica che l’autore cita qua e là, ma senza farne, per così dire, un “pilastro” delle sue considerazioni di merito, e nella quale si riscontra un’aggiornata presa di posizione su tutto un complesso di temi finanziari e monetari (oltre a tanti altri) secondo principi e criteri ben lontani da quelli avanzati in tale letteratura.

Procedendo con ordine, ma sempre “a volo d’uccello”, a dar conto del contenuto delle tre Parti del volume di Huelsmann, si comprende che, nella prima Parte, di carattere generale, in tema di “Produzione naturale della moneta” si procede, com’è del resto usuale fare, con una trattazione di tipo diacronico, partendo dalle situazioni di “baratto” e passando poi all’introduzione della moneta con i derivanti progressi di competitività dell’economia che ne sono conseguiti. Ciò, come noto, stanti le interazioni, definite in particolare da A. Smith nella Ricchezza delle Nazioni (1776), fra divisione del lavoro, avanzamento della produttività, ed allargamento dei mercati, nonché precisate in tutta una serie di approfondimenti da parte della letteratura successiva.

E’ chiaro che, nei diversi contesti, si è, via via, posto il problema del ruolo dell’etica, ed in particolare, per l’autore come per noi, dell’etica secondo i principi della morale cattolica, anche quanto ai temi monetari e finanziari. E’ specificamente interessante considerare quanto l’autore sostiene in proposito, affermando che, con l’affermarsi del Cristianesimo, oltre all’aspetto dell’etica nell’uso della moneta, si è anche fatto riferimento a quello dell’etica nella “produzione della moneta”.

In effetti - chiarisce validamente Huelsmann - con gli scolastici non è stato posto in discussione la legittimità della “produzione della moneta” per sé. Bensì, con Orasme ed altri, si è precisato che, in quei processi, dovessero essere sempre rispettate certe “regole”, concernenti la correttezza delle procedure, la fedeltà tra quanto metallo dichiarato in tema di coniazione e quanto effettivamente contenuto nelle monete coniate, e così via. Come si comprende, non si può non convenire sul rilievo morale di regole come queste. Tuttavia, ci si può bene interrogare, in più, quanto al punto se si tratti, in merito, di condizioni sufficienti, oltre che necessarie per l’eticità delle regole considerate. In realtà, siccome gli studiosi quali l’autore insistono tanto sull’intangibilità dei diritti di proprietà, ed è stato specificamente precisato che ciò vale anche a proposito della proprietà della moneta, ritengo che vada compiuto l’ulteriore “passo avanti”, rispetto a quanto fatto da Huelsmann, di considerare anche la funzione sociale della proprietà della moneta, così come di ogni altro tipo di proprietà. Ma, allora, ciò porterebbe a ritenere che occorrerà esplicitare un ulteriore principio etico, vale dire quello che anche la proprietà della moneta dovrebbe potere assolvere ad una simile “funzione sociale”.

Nella seconda Parte, che - come accennato - è la più lunga ed anche quella maggiormente elaborata delle tre, Huelsmann, per così dire, entra in medias res, cominciando col ribadire che, nel processo di “produzione della moneta”, per perseguire e conseguire un modello “naturale” di produzione, condizione necessaria e sufficiente è il riferimento ad una moneta metallica (preferibilmente monometallica, meglio aurea), oppure – allorché in presenza di moneta cartacea – sulla base di un sistema monetario complessivo integralmente “sostenuto” da copertura metallica (meglio, aurea). Pertanto – è la conclusione dell’autore, saldamente ancorata alle posizioni che, partendo da Oresme (sec. XIV) e “passando” attraverso studiosi quali Wheatly (1807) e gli altri precedentemente citati, arrivano ai contemporanei (da von Mises, 1912, trad. ingl. 1980 a Rothbard, 1983, 1990, 1994, agli altri) – ogni e qualsiasi intervento governativo va, anche in proposito, fortemente criticato ed osteggiato.

Come si comprende, nelle posizioni di tutti gli studiosi considerati, riassunte e precisate dall’autore, anche sul piano etico – naturalmente secondo un’etica cattolica adottata e vissuta, per così dire, all’interno di un’impostazione di quel tipo – non possiamo non trovare l’adesione totale all’idea che qualsiasi intervento “esterno”, specialmente di fonte pubblica, in ogni campo dell’economia, ed in particolare in tema di azioni che comportino spinte di crescita monetaria, dunque inflazionistiche, andrebbe incontro al più convinto e deciso giudizio negativo. Tuttavia, come già detto, tali conclusioni non possono essere condivise, né sul piano teorico, né sul fronte storico.

Infine (ovviamente, si fa per dire), nella terza Parte, che ritengo essere la più interessante anche se sono fortemente critico di qualsiasi posizione teorica di tipo austriaco, Huelsmann affronta il complesso tema dell’Ordine monetario e dei Sistemi monetari che, concretamente, si sono affermati in Occidente (concetto, questo, da intendersi in senso ampio) nel lungo periodo di tempo, chiamiamolo, della “modernità”, precisato dall’autore quale quello che va dalla creazione della Banca d’Inghilterra (1694) ai nostri giorni (o quasi).

Senza potere qui ripercorrere le diverse “tappe” dell’interessante percorso, va comunque e specificamente focalizzata (sempre, “a volo d’uccello”) l’esperienza che l’autore, giustamente, chiama del “Sistema Bancario Internazionale”, sia considerato complessivamente dal 1871 al 1971 sia distinto fra il periodo pre-Bretton Woods (quindi, fino al 1944) e post-Bretton Woods (dal 1944 al 1971), e ciò dagli Accordi di Bretton Woods (USA) che nel 1944 l’avevano specificamente modificato.

E’ chiaro che la data iniziale (a quo), il 1871, si può ben considerare come l’inizio di quella fase dell’economia e della finanza mondiale che gli storici economici hanno analizzato come quella dalla 1° globalizzazione (la 2° è quella che, dagli anni ’80 del sec. XX ad oggi, abbiamo vissuto noi) e che è durata sino allo scoppio della 1° Guerra mondiale: il sistema del gold standard. D’altro canto, la data finale (ad quem), il 1971, è quella della celebre dichiarazione con cui il Presidente USA Nixon poneva fine al sistema monetario internazionale cosiddetto del gold-exchange standard, o dollar standard, cominciato appunto con gli Accordi di Bretton Woods e secondo cui nessuna altra moneta, tranne il dollaro USA, era “convertibile” in oro, mentre prima della 1° Guerra mondiale, nel gold standard, lo erano state, in misura piena o meno, le monete di tutti gli altri paesi partecipanti, per così dire, “in proprio” ai rapporti commerciali e finanziari internazionali.

Orbene, l’interessante e condivisibile analisi dell’autore al riguardo – a parte le sempre “dubbiose” posizioni generali di tipo austriaco-monetariste – è che, mentre gli altri studiosi di quell’orientamento teorico sono stati fortemente critici del funzionamento del gold-exchange standard, questo va visto, per così dire, “in continuità” rispetto al gold standard classico, da quelli invece “osannato”, essendosi stati, a suo avviso, in presenza di differenze soltanto di “grado”, e non da considerarsipdf di carattere “essenziale”.

Per concludere, va ora puntualizzato che oggi – dopo la grave crisi iniziatasi, in tutti i paesi industrializzati, proprio in ambito monetario-finanziario nel 2007 e subito diffusasi al piano dell’economia reale – discorsi come questi veramente, per così dire, “lasciano il tempo che trovano”. Ci si può quindi augurare che studiosi seri, e tutto considerato “problematici”, come Huelsmann siano indotti, proprio dalla difficile situazione che l’economia mondiale ha attraversato ed in cui tuttora permane, a rivedere le loro posizioni generali, e ciò in vista di un atteggiamento, complessivamente, più realistico e concreto.

 

 

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